Cerca
Close this search box.

I rapporti tra la contestazione suppletiva dell’aggravante incidente sulla punibilità e la declaratoria immediata ex art. 129 c.p.p.

SOMMARIO: 1. La questione controversa: il potere di contestazione della recidiva reiterata a reato prescritto e gli effetti sul decorso della prescrizione. – 2. I diversi orientamenti a confronto. – 3. La decisione delle Sezioni unite: la prevalenza dell’obbligo di immediata declaratoria di non punibilità ai sensi dell’art. 129 c.p.p. – 4. Le critiche dottrinali e l’analoga ipotesi della contestazione suppletiva a fronte di reato improcedibile per difetto di querela.

Abstract (ita)

Il commento che segue ha per oggetto la recente sentenza con la quale le Sezioni unite hanno preso posizione intorno ai rapporti tra la causa estintiva già perfezionata e il potere di contestazione suppletiva del pubblico ministero che, riguardante una circostanza aggravante ad effetto speciale, è astrattamente idoneo a cagionare la reviviscenza del reato estinto. Le Sezioni unite, con una decisione che non è rimasta esente da critiche dottrinali, ha sposato la posizione che privilegia lo sbarramento temporale opposto dal dovere di pronunciare sentenza di non punibilità ex art. 129 c.p.p., con impossibilità per l’organo d’accusa di attivare il potere di contestazione ex art. 517 c.p.p.; la pronuncia ha ispirato l’orientamento giurisprudenziale sulla analoga questione del potere di contestazione del pubblico ministero di una circostanza aggravante che renda il reato procedibile d’ufficio quando sia già rilevabile l’insussistenza della condizione di procedibilità.

Abstract (eng)

The following comment has as its object the recent sentence with which the Joint Sections took a position on the relationship between the already completed extinctive cause and the public prosecutor’s power of supplementary challenge which, concerning an aggravating circumstance with a special effect, is abstractly suitable to cause the revival of the extinct crime. The United Sections, with a decision that was not free from doctrinal criticism, espoused the position that favors the temporal barrier opposed by the duty to pronounce a sentence of non-punishment pursuant to art. 129 c.p.p., with the impossibility for the prosecution body to activate the power of challenge pursuant to art. 517 c.p.p.; the ruling inspired the jurisprudential orientation on the similar question of the public prosecutor’s power to challenge an aggravating circumstance that makes the crime prosecutable ex officio when the non-existence of the prosecutability condition is already evident.

Nota a Cassazione penale, sezioni unite, 14 dicembre 2023 (ud. 28 settembre 2023), n. 49935 – Presidente Cassano, Estensore D’Agostini, Imp. Domingo, P.M. Ceniccola

1. La questione controversa: il potere di contestazione della recidiva reiterata a reato prescritto e gli effetti sul decorso della prescrizione.

Con la sentenza che qui si annota, la Corte di cassazione interviene a sezioni unite a comporre una interessante disputa giurisprudenziale sul rapporto tra nuove contestazioni e reato estinto. Per meglio comprendere la questione, occorre esemplificare: nel caso concreto, per i reati contestati all’imputato (minaccia, violazione di domicilio e tentato furto con strappo) era maturata la prescrizione, calcolata avuto riguardo all’imputazione così come originariamente redatta dal pubblico ministero.

Tuttavia, l’organo d’accusa, ad un’udienza successiva alla data in cui il fenomeno estintivo si era già palesato, contestava all’imputato la recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, idonea ad incidere sul termine prescrizionale nel senso del suo prolungamento. In virtù di questa scelta processuale, avallata sia dal giudice di primo grado che da quello di gravame, l’imputato veniva condannato.

Con ordinanza dell’11 aprile 2023[1], la quinta sezione della Corte di cassazione, a fronte del ricorso del difensore, ha rimesso alle Sezioni unite la questione se, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, l’aumento di pena per la recidiva che integri una circostanza ad effetto speciale – vale a dire nei casi di cui all’art. 99 commi secondo, terzo e quarto, del codice penale – rilevi anche se la stessa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione previsto per il reato come dapprima contestato.

2. I diversi orientamenti a confronto.

Sul tema brevemente cennato si confrontano due orientamenti contrapposti.

Un primo orientamento muove dalla natura dogmatica della recidiva. Dal punto di vista ontologico, è opinione ormai consolidata che la recidiva non possa ritenersi espressione di un mero status soggettivo del reo agganciato ai suoi precedenti penali.

Pertanto, il riconoscimento dell’aggravante si fonda non solo sul presupposto formale(-documentale) della precedente condanna, ma anche sul requisito sostanziale costituito dalla maggiore colpevolezza e pericolosità del reo. Il requisito sostanziale, spiegano limpidamente la giurisprudenza di legittimità e la dottrina più accreditata, impone la valutazione di significatività del nuovo delitto nell’ambito della reiterazione dei reati e si risolve nello stabilire se tale delitto esprima una maggiore rimproverabilità, poiché dimostrativo di un atteggiamento di indifferenza verso la legge, dell’assenza di un ripensamento critico a seguito delle precedenti condanne e, in conclusione, di una risoluzione criminosa più consapevole e determinata.

La maggiore dimensione di colpevolezza, ravvisabile nel nuovo delitto, si rinviene in sostanza nella sua espressività, ove rapportata ai delitti oggetto delle precedenti condanne, della resistenza del reo all’effetto dissuasivo astrattamente derivante dalla revisione del proprio vissuto criminale e del conseguente rafforzamento della propria determinazione criminosa. Detto altrimenti, la colpevolezza accentuata si regge sul consolidamento del proposito criminoso del reo nonostante il monito ipoteticamente promanante dalle risultanze giudiziali, mentre la maggiore attitudine a delinquere assume la natura di consequenziale risvolto della peculiare colpevolezza del reo[2].

Posto che la recidiva non costituisce un mero status soggettivo ricavabile documentalmente dal casellario giudiziale, secondo questa prima opinione giurisprudenziale la contestazione della circostanza in esame avrebbe una valenza costitutiva e perciò non potrebbe avvenire dopo lo spirare del termine di prescrizione, siccome determinerebbe indebitamente la reviviscenza di un reato ormai estinto, del resto in frizione con l’obbligo di declaratoria immediata della causa estintiva del reato[3].

Secondo altro orientamento, pur sempre rispettoso della ricostruzione dogmatica della recidiva sopra esposta, la funzione costitutiva della contestazione esplicherebbe il proprio effetto tipico sotto il versante processuale, nel senso che essa avrebbe lo scopo di favorire la conoscenza in capo all’imputato delle più profonde articolazioni dell’editto accusatorio e di consentire al giudice di ritenere e applicare la circostanza. Ciò non vale ad escludere, però, che le circostanze preesistano sempre alla contestazione: la preesistenza delle circostanze alla contestazione fa sì che quest’ultima possa avvenire anche dopo lo spirare del termine di prescrizione, trattandosi di un decorso temporale soltanto apparentemente estintivo[4].

3. La decisione delle Sezioni unite: la prevalenza dell’obbligo di immediata declaratoria di non punibilità ai sensi dell’art. 129 c.p.p.

Dopo aver ripreso e confermato gli approdi giurisprudenziali consolidati in tema di recidiva, con particolare rilievo all’aspetto sostanziale della stessa e all’importanza della contestazione quale fase abilitativa del successivo vaglio giudiziale, le Sezioni unite hanno sgombrato il campo da un equivoco di fondo instillato dal contrasto ermeneutico in discorso.

Secondo i supremi giudici, in continuità con l’orientamento espresso dalla sentenza “Cassarino”[5], appare fuorviante la contrapposizione ideologica tra la natura dichiarativa e quella costitutiva della contestazione. Più correttamente, può affermarsi una funzione sempre ricognitiva della contestazione, la quale assume al contempo connotati di indispensabilità ai fini della possibile efficacia della circostanza aggravante nel giudizio: infatti, come del resto ribadito di recente dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 230 del 2022, la circostanza aggravante non contestata deve considerarsi tamquam non esset  nella prospettiva del giudicante, il quale, pur scorgendola tra le pieghe dei risultati istruttori, non potrà né applicarla d’ufficio né disporre la restituzione degli atti al pubblico ministero ex art. 521 co. 2, c.p.p.

Le Sezioni unite rammentano che, al momento dell’esercizio dell’azione penale, il pubblico ministero deve verificare la sussistenza degli elementi strutturali della recidiva e determinarsi in ordine alla sua contestazione, anche a tutela dell’aspettativa dell’imputato di essere giudicato su un addebito già completo e comprensibile, evitando per quanto possibile il mutamento dell’imputazione in corso di causa, in ossequio alle norme interne che impongono l’enunciazione in forma chiara e precisa del fatto e delle circostanze aggravanti (artt. 417, 429, 450, 456 e 552 c.p.p.) e di quelle sovranazionali sulla necessità che l’accusato sia informato in modo dettagliato della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico (art. 6 CEDU).

Non può però essere esclusa la possibilità per l’organo requirente di porre in essere una contestazione suppletiva della circostanza in corso di dibattimento, siccome durante l’esperienza giudiziaria potrebbero emergerne i requisiti: si può verificare, ad esempio, che si venga a conoscenza di nuovi precedenti penali a carico dell’imputato con alias prima ignoti; o, più plausibilmente, nel progressivo sedimentarsi delle risultanze istruttorie, o financo sulla base di una migliore rilettura dei dati dall’inizio disponibili, potrebbero essere riscontrati elementi aggravatori che inducano a rivedere l’originaria valutazione sulla colpevolezza e sulla pericolosità del reo.

Ferma dunque la possibilità per il pubblico ministero di contestare in via suppletiva l’aggravante ex art. 99 c.p., anche nelle sue declinazioni idonee ad incidere sul computo della prescrizione, occorre confrontarla con la portata del principio previsto dall’art. 129 c.p.p. e con i suoi effetti; va infatti verificato se la prescrizione maturata in relazione all’originario editto accusatorio sia soltanto “apparente” e venga superata dalla nuova contestazione o, piuttosto, permanga innescando senza riserve la declaratoria immediata della estinzione del reato ai sensi del citato articolo 129 c.p.p.

Al fine di addivenire alla soluzione del quesito affidato, il giudice nomofilattico ha affrontato il propedeutico tema della funzione dell’istituto della declaratoria immediata di cause di non punibilità nel sistema processuale.

Ha affermato che la funzione della norma in esame è quella di favorire l’imputato innocente o comunque da prosciogliere «nella prospettiva di troncare […] qualsiasi ulteriore attività processuale e di addivenire immediatamente al giudizio, anche se fondato su elementi incompleti ai fini di un compiuto accertamento della verità da un punto di vista storico»; ha precisato che la norma, oltre a innescare rapidi esiti di favore per l’imputato, rappresenta per il giudice una vera e propria regola di condotta, operativa a partire dal momento in cui egli sia in condizione di riconoscere i fattori espressivi della non punibilità.

L’osservazione è del resto in linea con la più accreditata opinione dottrinale, secondo cui l’istituto in esame, che consente l’immediata declaratoria della non punibilità dell’imputato, tutela la ragionevole durata del processo nella logica del favor rei, e consiste nella semplificazione dello svolgimento del processo con eliminazione di ogni atto o attività non essenziale[6]. Si è precisato che, quando essa si fondi su motivi di merito e venga in rilievo nella fase dibattimentale, può essere concretamente adoperata soltanto dopo l’assunzione delle prove a carico e purché la formula di proscioglimento non sia basata sull’insufficienza o sulla contraddittorietà della prova[7]. Per quanto invece attiene all’immediato proscioglimento per motivi formali, come ad esempio in presenza di cause estintive, l’art. 129 co. 2, c.p.p. individua la priorità della causa estintiva rispetto a quella assolutoria nel merito, quando quest’ultima non emerga in maniera così lampante da richiedere una mera constatazione o presa d’atto[8].

La pronuncia delle sezioni unite risolve dunque il quesito facendo uso assorbente della più garantista lettura dell’art. 129 c.p.p., e cioè propugnando un’analisi rigorosa della funzione di sbarramento assunta dalla norma, la quale – ove correttamente applicata – deve indurre il giudice a porre immediatamente fine alla vicenda giudiziaria, appena riscontrata la causa di proscioglimento, essendogli precluso di favorire ulteriori segmenti processuali tesi ad approfondimenti o accertamenti: tra le attività inibite si colloca evidentemente la contestazione suppletiva ad opera del pubblico ministero, unica in grado di attribuire concreto rilievo ai fini decisionali ad una circostanza che non formava oggetto dell’addebito iniziale. Pertanto, le Sezioni unite hanno affermato il principio di diritto per cui «ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, l’aumento di pena per la recidiva che integri una circostanza aggravante ad effetto speciale non rileva se la stessa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione previsto per il reato come originariamente contestato».

4. Le critiche dottrinali e l’analoga ipotesi della contestazione suppletiva a fronte di reato improcedibile per difetto di querela.

L’orientamento sposato dalle Sezioni unite ha destato particolare attenzione da parte della dottrina, che si è schierata su due fronti opposti.

Va infatti osservato come la soluzione cui il supremo consesso nomofilattico ha ritenuto di aderire ha trovato, sin dalla pronuncia dell’ordinanza di rimessione, un sostegno in letteratura. Si è infatti osservato che nell’ordinamento processuale l’imputato ha diritto a difendersi in ordine ad una imputazione chiara e precisa anche con riferimento agli elementi circostanziali; le nuove contestazioni disciplinate dagli artt. 516 e ss. c.p.p. costituiscono istituti che realizzano un ragionevole bilanciamento fra i principi di obbligatorietà dell’azione penale, completezza del giudicato e diritto di difesa, senza però attribuire all’attore pubblico la possibilità di sopperire a pregresse inerzie o deficienze[9]. Tali contestazioni suppletive sarebbero perciò ammesse – prima o nel corso dell’istruzione dibattimentale – purché l’incedere della procedura sia ancora giustificabile, condizione che non può dirsi sussistente quando una norma di legge ne imponga la paralisi.

Altre autorevoli voci del panorama dottrinale hanno invece criticato l’impianto motivazionale e il principio di diritto, facendo notare come la contestazione di una circostanza aggravante abbia una natura puramente ricognitiva di una situazione di fatto già emergente. Perciò, se è vero che il giudice non può ritenere – né in sentenza né in una ordinanza di restituzione ex art. 521 c.p.p. – l’esistenza di una circostanza aggravante non contestata, il fatto che la stessa sia già emersa nel corso dell’attività istruttoria rende il reato non estinto e consente al pubblico ministero di contestare la circostanza[10].

Si è ulteriormente argomentato nel senso che il principio di immediatezza di cui all’art. 129 c.p.p. non implica una pronuncia intermedia prima che la fase processuale nella quale può manifestarsi la causa di improcedibilità sia esaurita; entro questo arco temporale resterebbe operativo l’art. 517 c.p.p.[11]

Giova in questa sede osservare come il principio di diritto scolpito dalle Sezioni unite con la sentenza qui annotata funga da criterio guida per la risoluzione di altra analoga questione attinente al rapporto tra la declaratoria immediata delle cause di non punibilità e la contestazione di una circostanza che renda il reato procedibile d’ufficio, elevata ex art. 517 c.p.p. dopo che sia già divenuta rilevabile l’improcedibilità per difetto di querela; la questione nasce all’indomani dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 150/2022 (c.d. riforma “Cartabia”), che ha mutato il regime di procedibilità di una serie di fattispecie criminose, portandola da procedibilità d’ufficio a procedibilità a querela.

Nel regolare, con l’art. 85, il caso in cui per il reato procedibile d’ufficio non esistesse dall’inizio una querela, è stata assegnata alla persona offesa titolata la possibilità di sporgerla entro novanta giorni dall’entrata in vigore della novella legislativa.

Si è posto allora il quesito circa l’ammissibilità della contestazione, da parte del pubblico ministero, di un’aggravante che nuovamente renda officiosa la procedibilità del reato, dopo lo spirare del termine di novanta giorni sopra indicato.

Con alcune sentenze, la Corte di cassazione ha avallato la contestazione facendo leva sul potere del pubblico ministero, immanente sino alla conclusione della fase istruttoria, di adeguare il capo di imputazione per renderlo coerente con le risultanze dibattimentali e dunque col fatto storico, in ossequio al principio di obbligatorietà dell’azione penale e anche in considerazione del fatto che l’art. 517 c.p.p. non assegna al giudice alcun potere di veto[12].

Secondo una diversa opinione giurisprudenziale – maturata dopo la pubblicazione dell’informazione provvisoria in ordine ai rapporti tra contestazione della recidiva reiterata e reato prescritto – l’adozione che l’ordinamento impone dello strumento ex art. 129 c.p.p. dovrebbe consentire l’exitus immediato del processo, sicché il potere del pubblico ministero di elevare nuove contestazioni non dovrebbe poter trovare ulteriore sbocco nella vicenda processuale[13].

Con ordinanza del 7 dicembre 2023, la quinta Sezione ha rimesso il quesito alle Sezioni unite ma successivamente, con provvedimento del Primo Presidente della Corte di cassazione del 3 gennaio 2024, è stata disposta la restituzione degli atti alla sezione rimettente.

Infatti, la questione devoluta al massimo consesso nomofilattico era strettamente connessa alla tematica pregiudiziale, pure rinviata alle stesse Sezioni unite, circa la necessità che la contestazione dell’aggravante della devoluzione della cosa sottratta al servizio pubblico (art. 625 n. 7 c.p.) avvenga mediante l’impiego di formule esplicative o sia invece sufficiente che venga menzionata nella descrizione del fatto una cosa oggettivamente destinata a pubblico servizio. È infatti dalla natura potenzialmente valutativa della circostanza che dipendono gli oneri minimi di contestazione da parte del pubblico ministero nel capo di imputazione affinché la stessa sia correttamente ritenuta in sentenza in ossequio al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato; ed è dunque da tale natura che dipende la stessa necessità per il pubblico ministero di contestare esplicitamente la devoluzione a servizio pubblico quando nel corpo testuale dell’imputazione sia stata già fatta menzione di una cosa oggettivamente incanalata in un alveo pubblicistico.

Il Primo Presidente invitava la sezione rimettente a verificare la concreta necessità della rimessione alle Sezioni unite, a fronte della sentenza Domingo (qui brevemente commentata) e delle coordinate ermeneutiche già sedimentate nel panorama giurisprudenziale in ordine ai criteri per desumere la natura oggettiva o valutativa di una circostanza aggravante.

La Corte di cassazione, con recente pronuncia, ha preliminarmente aderito alla tesi per cui la circostanza aggravante della devoluzione della cosa al pubblico servizio nel delitto di furto costituisce una circostanza valutativa, sottoposta agli oneri di contestazione chiara e specifica da parte del pubblico ministero.

Tali conclusioni hanno consentito alla quinta sezione di ritenere l’aggravante non debitamente contestata ab initio nel caso al vaglio; tanto ha poi condotto i supremi giudici a interrogarsi sulla possibilità che il pubblico ministero contestasse in via suppletiva la circostanza ai sensi dell’art. 517 c.p.p. a fronte della scadenza del termine ex art. 85 del decreto legislativo n. 150 del 2022.

La Corte di legittimità ha fatto proprie le conclusioni profuse nella sentenza delle Sezioni unite qui annotata, stigmatizzando la critica dottrinale secondo cui la contestazione suppletiva avrebbe una funzione meramente dichiarativa di quanto emergente dagli atti di causa; si ritiene che piuttosto debba attribuirsi rilievo alla natura «costitutiva processuale» della contestazione suppletiva, la quale – in quanto rientrante tra i poteri processuali attribuiti alla pubblica accusa – apparirebbe recessiva rispetto al preliminare dovere del giudice di pronunciare la decisione immediata ex art. 129 c.p.p., norma che accomuna, pure a fronte delle innegabili differenze tra gli istituti coinvolti, la causa estintiva e il difetto della condizione di procedibilità[14].


[1] Cass. pen., sez. V, ord. 11 aprile 2023, n. 26756, in Sist. pen., 2 ottobre 2023, con nota di M. Nicolini e in Giur. pen., 23 giugno 2023 con nota illustrativa di F. Lombardi.

[2] M. Ambrosetti, La recidiva tra colpevolezza e pericolosità, in Discrimen, 30 agosto 2023; A. Melchionda, Recidiva reiterata e pregresso status del recidivo: la Cassazione si avvicina alla “chiusura del cerchio”, in Sist. pen., 2021, 2, p. 143 ss.; volendo, F. Lombardi, Le Sezioni unite sulla recidiva reiterata in assenza di una precedente dichiarazione di recidiva semplice, in La Magistratura, 24 ottobre 2023.

[3] Cass. pen., sez. II, 6 ottobre 2020, n. 37884; Cass. pen., sez. VI, 22 settembre 2015, n. 47499, CED 265560; Cass. pen., sez. III, 30 gennaio 2014, n. 14439, CED 258734; Cass. pen., sez. I, 19 febbraio 2013, n. 13398, CED 256021.

[4] Cass. pen., sez. III, 10 gennaio 2020, n. 9719; Cass. pen., sez. VI, 4 novembre 2008, n. 44591, CED 242133; Cass. pen., sez. V, 19 ottobre 2005, dep. 2006, n. 9769, CED 234225.

[5] Cass. pen., sez. V, 2 luglio 2019, n. 47241, CED 277648.

[6] M. Daniele, sub art. 129, in G. Illuminati-L. Giuliani (diretto da), Commentario breve al codice di procedura penale, Cedam, 2020, p. 459 ss.

[7] R. Fonti, sub art. 129, in H. Belluta-M. Gialuz-L. Lupària (a cura di), Codice sistematico di procedura penale, Giappichelli, 2020, p. 223 ss.

[8] Da ultimo, si veda Cass. pen., sez. III, 20 gennaio 2022, n. 18069, CED 283131.

[9] In questi termini si esprime M. Nicolini, Le Sezioni Unite sulla legittimità della contestazione suppletiva della recidiva anche successivamente al decorso della prescrizione del reato originariamente contestato, in Sist. pen., 2 ottobre 2023.

[10] A. Nappi, Contestazione suppletiva e prescrizione del reato, in Sist. pen., 18 dicembre 2023.

[11] G. Spangher, Furto di energia elettrica e contestazione suppletiva, in Giustizia insieme, 30 gennaio 2024.

[12] Cass. pen., sez. IV, 22 novembre 2013, n. 47769; v. anche Cass. pen., sez. fer., 22 agosto 2023, n. 43255.

[13] Da ultimo, Cass. pen., sez. IV, 3 ottobre 2023, n. 44166; v. anche Cass. pen., sez. IV, 3 ottobre 2023, n. 44165;

[14] Cass. pen., sez. V, 30 gennaio 2024, n. 3741, in Quot. giur., 8 febbraio 2024, con nota di C. Minnella, L’aggravante della destinazione del bene a pubblico servizio è tardiva se contestata dopo il 30 marzo 2023.

Condividi su:

Articoli Correlati
Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit, sed do eiusmod tempor incididunt ut labore et dolore
Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit, sed do eiusmod tempor incididunt ut labore et dolore