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L’impugnazione per i soli interessi civili alla luce dell’intervento normativo attuato dalla c.d. Riforma Cartabia

SOMMARIO: 1. Premessa– 2. L’impugnazione per i soli interessi civili ex art. 573 cod. proc. pen. – 3.  Il contrasto dottrinale e giurisprudenziale sui profili intertemporali concernenti l’applicabilità dell’art. 573 co. 1-bis cod. proc. pen. –  4. La soluzione prospettata dalle S.S.U.U. della Corte di Cassazione.

Abstract: L’articolo, dopo una breve analisi dell’istituto delle impugnazioni per i soli interessi civili, disciplinato dall’art. 573 cod. proc. pen., analizza in chiave critica la questione intertemporale, particolarmente dibattuta in dottrina e in giurisprudenza, relativa ai confini di applicabilità del comma 1-bis dell’art. 573 cod. proc. pen., introdotto dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, c.d. Riforma Cartabia; soffermandosi, quindi, prima sulle tesi dottrinali e gli orientamenti giurisprudenziali sviluppatisi ante intervento risolutore delle Sezioni Unite, per analizzare, infine, la soluzione adottata sul punto dalla Suprema Corte.

The appeal for civil interests only in the light of the regulatory intervention implemented by the so-called Cartabia Reform

Abstract: The article, after a brief analysis of the institution of appeals for civil interests only, governed by Article 573 of the Code of Criminal Procedure, critically analyses the intertemporal issue, particularly debated in doctrine and jurisprudence, concerning the boundaries of applicability of paragraph 1-bis of Article 573 of the Code of Criminal Procedure, introduced by legislative decree n. 150 of 10 October 2022, the so-called Cartabia Reform; it then dwells, first of all, on the doctrinal theses and the jurisprudential orientations developed before the resolving intervention of the United Sections, to analyse, finally, the solution adopted on this point by the Supreme Court.

1. Premessa

Le Sezioni Unite[1] della Corte di Cassazione hanno preso posizione su una questione particolarmente dibattuta in dottrina ed in giurisprudenza, inerente ad un profilo di carattere intertemporale, ovvero i confini di applicabilità del comma 1-bis dell’art. 573 cod. proc. pen., introdotto dall’art. 33 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, c.d. Riforma Cartabia, concernente l’impugnazione per i soli interessi civili.

La Suprema Corte ha individuato, al fine di dirimere il contrasto sul punto, nel deposito della costituzione di parte civile[2] ex art. 78 cod. proc. pen.  l’acuts a cui far riferimento per verificare se applicare o meno il comma 1-bis dell’art. 573 cod. proc. pen.

Giova precisare che l’art. 78 cod. proc. pen., disciplinante le formalità della costituzione di parte civile, è stato anch’esso novellato dalla Riforma Cartabia, che ne ha mutato i parametri di ammissibilità. Tale disposizione normativa, superando i precedenti orientamenti[3], sviluppatisi antecedentemente all’intervento legislativo, in merito all’interpretazione del dettato normativo, oggi prevede che l’atto di costituzione di parte civile debba contenere, a pena d’inammissibilità, l’esposizione delle ragioni che giustificano la domanda agli effetti civili.

Il legislatore ha, quindi, voluto specificare che nell’atto di costituzione di parte civile vadano indicate non genericamente le ragioni che giustificano la domanda, ma quelle ragioni che la giustificano esclusivamente agli effetti civili.

Al fine di comprendere la ratio della novella, occorre soffermarsi sul significato da attribuire agli “effetti civili”, cosi come previsti ad opera dell’art. 5, comma 1, lett. b), n. 1), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n.150.

Agli albori della novella, la giurisprudenza, nel silenzio dottrinale, ha precisato che tale locuzione non rappresentava altro che una mera precisazione terminologica[4] e che quindi non aveva fornito alcun apporto innovativo in merito alla previgente disciplina della costituzione di parte civile.

Le Sezioni Unite, invece, si sono discostate da tale interpretazione ed hanno ravvisato nella interpolazione un onere motivazionale a carico del danneggiato più stringente rispetto al passato[5].

In particolare, la Suprema Corte ha parificato l’atto di costituzione di parte civile a quello di citazione nell’ambito del giudizio civile ex art. 163 cod. proc. civ. e, opinando in questi termini, ha precisato che le ragioni a fondamento della costituzione di parte civile devono essere illustrate sulla base degli stilemi della disposizione civilistica, ovvero alla stregua di quanto disposto dall’art. 163 cod. proc. civ. comma 3, n. 4), e quindi con “l’esposizione in modo chiaro e specifico dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni”.

È, pertanto, necessaria una precisa determinazione della causa petendi, similmente alle forme prescritte per la domanda proposta nel giudizio civile[6].

Fatta questa precisazione, occorre evidenziare che le Sezioni Unite hanno valorizzato l’art. 78 cod. proc. pen. nella risoluzione della suddetta questione di ordine intertemporale, mettendo in rilievo che la modifica normativa di tale disposizione si coordina perfettamente con l’introduzione di un’ulteriore comma nell’art. 573 cod. proc. pen., ovvero il co. 1-bis.

In particolare, quest’ultimo prevede il trasferimento del giudizio dal giudice penale a quello civile, previa verifica dell’ammissibilità o meno del gravame, nell’ipotesi in cui sia proposta l’impugnazione per i soli interessi civili[7].

Le Sezioni Unite hanno, quindi, rilevato che alla stregua del combinato disposto delle norme suddette, l’eventuale trasferimento dal giudice penale al giudice civile deve essere preventivato dal danneggiato del reato nel momento in cui redige e deposita l’atto di costituzione di parte civile.

La Suprema Corte ha, inoltre, precisato che l’atto di costituzione di parte civile deve essere idoneo e sufficiente ad incardinare un giudizio dinanzi al giudice civile, laddove si dovesse verificare l’eventualità che il giudizio penale prosegua dinanzi a quest’ultimo.

Alla luce di queste considerazioni, appare ora indispensabile soffermarsi sulla fattispecie di cui all’art. 573 co. 1-bis cod. proc. pen., anche a seguito delle modifiche apportate dalla Riforma Cartabia, nonché richiamare i diversi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali che si sono delineati in merito all’applicabilità dello stesso, per poi approfondire l’intervento risolutivo delle Sezioni Unite.

2. L’impugnazione per i soli interessi civili ex art. 573 cod. proc. pen.

L’art. 573 cod. proc. pen., rubricato “impugnazione per i soli interessi civili”, attiene ai rapporti tra impugnazioni penali e statuizioni civili e, in particolare, ad oggi, disciplina sia l’ipotesi in cui la parte decida di impugnare la sentenza emessa dal giudice per gli interessi civili sia quella in cui decida di impugnarla per i soli interessi civili.

Giova precisare che per “interessi civili” si deve far riferimento a quelli inerenti all’esercizio dell’azione civile nel processo penale. Pertanto, impugnare una sentenza di condanna o di assoluzione per gli interessi civili significa impugnare quei capi della sentenza che riguardano le restituzioni, il risarcimento del danno e la refusione delle spese processuali.

La ratio della modifica dell’art. 573 cod. proc. pen. si pone in linea con l’obiettivo perseguito dalla Riforma Cartabia, ovvero ridurre l’eccessiva durata del processo penale, intervenendo sul sistema delle impugnazioni. In particolare, la modifica da parte del legislatore delegato[8] di quest’ultimo articolo è stata orientata al risparmio di risorse nell’ottica di implementare l’efficienza giudiziaria nella fase delle impugnazioni penali. L’innovazione normativa ha avuto come scopo quello di cercare un compromesso tra la competenza del giudice penale a decidere sull’impugnazione, come in passato, e la competenza del giudice civile mediante la riproposizione della domanda risarcitoria. Scelta che può definirsi, così come si ricava dalla Relazione illustrativa al decreto attuativo della Riforma Cartabia, una c.d. terza via mediante la traslatio della domanda civile nella sua sede naturale. E, dunque, la scelta da un lato garantisce una riduzione del lavoro del giudice dell’impugnazione nonchè una pronta definizione della controversia dinanzi al giudice civile, nella sua sede naturale, senza necessità di riproporre la domanda dinanzi a quest’ultimo; dall’altro lato assicura all’imputato che non vi saranno ulteriori accertamenti di natura penale sul reato contestatogli[9].

Orbene, il primo comma della disposizione de quo, alla luce della modifica intervenuta, ad oggi prevede che “l’impugnazione per gli[10] interessi civili è proposta, trattata[11] e decisa con le forme ordinarie del processo penale”.

Prima dell’innovazione legislativa, l’art. 573 cod. proc. pen. faceva riferimento all’impugnazione “per i soli interessi civili”, ovvero al caso in cui l’impugnazione era proposta solo per fini civili, e quindi si discuteva soltanto in ordine alla responsabilità aquiliana. In tali ipotesi, il legislatore aveva previsto che si applicavano le forme ordinarie del processo penale, alla stregua del principio dell’accessorietà dell’azione civile rispetto all’azione penale[12].

A seguito della Riforma, invece, il co. 1 dell’art. 573 cod. proc. pen. non fa più riferimento ai “soli interessi civili”, ma agli “interessi civili” e, quindi, disciplina l’ipotesi generale in cui il gravame è proposto sia ai fini penali sia a quelli civili, lasciando invariato il dettato normativo nella parte in cui dispone che l’impugnazione segue le forme ordinarie del processo penale.

Al contrario, è il co. 1-bis a far riferimento ai “soli interessi civili”, prevedendo, in tal caso, una disciplina ad hoc rispetto a quanto previsto dal comma 1. Il comma 1-bis, infatti, dispone che “quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice d’Appello e la Corte di Cassazione, se l’impugnazione non è ammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile”.

Ebbene, in quest’ultimo caso non si applicano le forme ordinarie del processo penale, ma si verifica, nel caso in cui il giudice d’Appello o la Corte di Cassazione accertino l’insussistenza di doglianze penali e l’ammissibilità dell’impugnazione, il trasferimento dell’azione civile, promossa in sede penale, in quella civile, il cui giudice o sezione competente decideranno sulle c.d. “questioni civili”[13].

In particolare, la giurisprudenza si è soffermata sulla locazione “rinvio per la prosecuzione del giudizio”. Sul punto, parte della giurisprudenza[14] ha sostenuto che con tale locuzione il legislatore ha voluto far riferimento al caso in cui il giudizio già instaurato prosegua in sede civile “senza cesure o soluzioni di continuità” e quindi, al caso in cui non sia necessario un atto di impulso di parte attraverso l’istituto della riassunzione ex art. 392 cod. proc. civ.

Tale assunto trova conferma, peraltro, nel fatto che il co.1-bis dell’art. 573 cod. proc. pen. prevede che nel giudizio civile siano utilizzate le prove già acquisite nel processo penale. Ciò a dimostrazione dell’asserita continuità tra i due giudizi, sebbene radicati in sedi differenti.  

Peraltro, non si spiegherebbe l’introduzione del nuovo comma, dato che già l’art. 622 cod. proc. pen.[15] disciplina il rinvio al giudice civile a seguito di una pronuncia di annullamento da parte della Corte di Cassazione. Tale interpretazione giurisprudenziale è quindi giustificata proprio alla luce di un differente significato che viene attribuito alla medesima locuzione utilizzata dal legislatore negli artt. 573 co.1-bis cod. proc. pen. e 622 cod. proc. pen.

Orbene, secondo parte della giurisprudenza[16] il legislatore con la previsione della locuzione “rinvio” nell’art. 622 cod. proc. pen. ha inteso far riferimento al caso in cui sia instaurato un giudizio autonomo[17], che richiede un atto di impulso di parte ex artt. 392-394 cod. proc. civ., contrariamente a quanto dispone oggi il co. 1-bis dell’art. 573 cod. proc. pen.

Posto, quindi, che tale innovazione legislativa implica la prosecuzione del giudizio, va comunque rilevato che si verifica un mutamento rispetto alla disciplina previgente del giudice competente a prendere cognizione dell’impugnazione per i soli interessi civili, non intervenendo, invece, sull’individuazione del giudice al quale va presentata l’impugnazione.

Infatti, mentre in precedenza era riconosciuta la competenza esclusiva del giudice penale, oggi quest’ultimo sarà competente solo per verificare preliminarmente l’ammissibilità o meno dell’impugnazione e nel caso in cui l’impugnazione sia ammissibile, si produrrà quale effetto automatico la prosecuzione del processo dinanzi al giudice civile competente, al quale verranno rimessi gli atti processuali.

Del resto, occorre rilevare che il giudice dell’impugnazione per i soli interessi civili, nel decidere sulla domanda risarcitoria, non è chiamato a verificare se si sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice, compito che spetta al giudice penale. Altresì, secondo la giurisprudenza[18] tale giudice non può conoscere neanche dei casi in cui la parte civile impugnante lamenta l’errata applicazione di norme processual-penalistiche. Ciò in quanto in tali casi il giudizio ha ad oggetto accertamenti propri del giudizio penale e, dunque, verte su questioni del tutto estranee all’orizzonte conoscitivo del giudice civile, sicché il ricorso non potrà essere rinviato tout court alla sezione civile, ma dovrà essere trattato dalla sezione penale assegnataria dello stesso[19]. Tesi che rinviene il proprio fondamento nella volontà di preservare, oltre agli interessi della parte civile, la presunzione d’innocenza dell’imputato[20].

Fatte tali precisazioni, al giudice dell’impugnazione per i soli interessi civili spetterà il compito di accertare se sia integrata la fattispecie civilistica dell’illecito aquiliano ex art. 2043 c.c.[21].

Profilo di particolare interesse in dottrina e in giurisprudenza è la previsione del co.1-bis nell’art. 573 cod. proc. pen. con riferimento alle c.d. questioni civili.

Si è discusso sul significato di tale nozione, chiedendosi se nella stessa vadano ricomprese solo le impugnazioni della parte civile o anche quelle dell’imputato. Sul punto la dottrina[22] ha ritenuto che l’espressione “questioni civili” vada intesa in senso ampio, estendendosi alle “questioni concernenti la responsabilità dell’imputato e del responsabile civile per le restituzioni, per il risarcimento del danno cagionato dal reato e per la refusione delle spese processuali in favore della parte civile (artt. 538 e 541, comma 1 cod. proc. pen.), nonché le questioni relative alla responsabilità della parte civile o del querelante, allorché l’imputato o il responsabile civile abbiano fatto domanda per la rifusione delle spese processuali sostenute e il risarcimento dei danni causati dall’azione civile (artt. 427, commi 2 e 3, 541, comma 2, 542 cod. proc. pen.) e, infine, i temi riguardanti la responsabilità della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (art. 534 cod. proc. pen.)”. 

In linea con tali tesi, restano alcune perplessità sulla possibilità che le questioni riguardanti l’esecuzione della provvisionale e quelle relative alla responsabilità delle parti civili e del querelante per le spese processuali anticipate dallo Stato possano rientrare nella locuzione in esame.

Interessante il profilo relativo alla individuazione del criterio, a cui il giudice deve attenersi nella valutazione delle questioni civili. In particolare, parte della giurisprudenza[23] ha ritenuto che il giudice deve applicare la regola di giudizio della probabilità prevalente, ossia il criterio del “più probabile che non”, in luogo di quella prevista nell’art. 533, co. 1, cod. proc. pen.[24], ovvero il criterio dell’“al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Quanto asserito dalla giurisprudenza innanzi richiamata appare del tutto condivisibile, in quanto, trattandosi di un giudizio trasmigrato innanzi al giudice civile, è assolutamente coerente che lo stesso si conformi alle norme e ai principi del diritto civile. Tra queste, quindi, è inevitabile che si applichi anche il criterio “del più probabile che non”, alla stregua del quale il giudice deve adottare una decisione sulla base del criterio della probabilità prevalente piuttosto che della certezza assoluta. Ciò significa che a fronte di due alternative, il giudice deve scegliere quella che è più probabile dell’altra. Applicando, quindi, questa come tutte le altre norme nonché i principi del processo civile a tale fase peculiare, a parere di chi scrive, può ritenersi che il sistema raggiunga una complessiva armonia.

Giova, infine, evidenziare le ulteriori perplessità manifestate in dottrina e in giurisprudenza riguardo ad un’altra tematica, ovvero il significato da ascrivere al verso “utilizzando”, previsto dall’ultima parte del co. 1-bis dell’art. 573 cod. proc. pen.. Secondo una tesi dottrinale[25] l’introduzione di tale locuzione implica il riconoscimento di un obbligo da parte del giudice di utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte nel processo penale. E quindi, nonostante l’art. 116 cod. proc. civ.[26] conferisca al giudice un ampio potere discrezionale in merito alla valutazione delle prove, potere che richiede una motivazione in caso di utilizzo delle stesse[27], si ritiene che andrebbe ripensato l’orientamento prevalente[28], secondo cui il giudice ha la mera facoltà di utilizzare le prove provenienti dal processo penale.

Pertanto, alla luce di tale tesi il giudice civile, nel valutare le prove acquisite nel processo penale, ma non ammissibili in sede civile[29], le qualificherà come meri argomenti di prova ex art. 116 cod. proc. civ..

A parere di chi scrive tale assunto non è condivisibile. Invero, si ritiene che sarebbe preferibile sostenere la piena utilizzabilità delle prove acquisite nel processo penale in quello civile; una siffatta soluzione sarebbe, peraltro, avvalorata dal tenore letterale della norma che dispone “utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile”. Orbene, il dettato normativo sembra essere chiaro nel prevedere che tutte le prove acquisite siano utilizzate come vere e proprie prove e non come meri argomenti di prova.

3. Il contrasto dottrinale e giurisprudenziale sui profili intertemporali concernenti l’applicabilità dell’art. 573 co. 1 bis cod. proc. pen.

Particolare interesse ha suscitato in dottrina ed in giurisprudenza la questione di diritto intertemporale concernente l’ambito di applicabilità del comma 1-bis dell’art. 573 cod. proc. pen. Ciò poiché il legislatore, nell’innovare la disposizione normativa, non ha al contempo previsto nella Relazione Illustrativa di accompagnamento al d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 alcuna disciplina transitoria.

Motivo per cui ci si è chiesti se, a fronte di tale lacuna, tale comma si potesse applicare a tutti i ricorsi pendenti al momento dell’entrata in vigore della Riforma Cartabia, e quindi a far data dal 30 dicembre 2022, ovvero solo a quelli proposti avverso le sentenze pronunciate successivamente a tale data.

Sul punto non si registra uniformità di vedute in dottrina.

Invero, secondo alcuni[30] il co. 1-bis dell’art. 573 cod. proc. pen. è immediatamente applicabile a tutti i giudizi di impugnazione pendenti alla data in vigore della Riforma.

L’idea non appare condivisibile, poiché la parte impugnante sarebbe in tal modo sottoposta ad un regime giuridico differente rispetto a quello vigente al momento della proposizione del gravame, ovvero il regime giuridico esistente ante Riforma Cartabia, alla stregua del quale competente a conoscere il gravame era il giudice penale.

A tal proposito, altra parte della dottrina[31], al fine di tutelare la posizione dell’impugnante, il quale vede nel corso del giudizio mutato il quadro normativo, ha sostenuto che si dovrebbe concedere allo stesso un termine per poter integrare gli atti.

Anche questa soluzione non appare soddisfacente, in quanto l’integrazione degli atti non fa comunque venir meno il pregiudizio subito dall’impugnante; laddove, soprattutto si consideri che l’integrazione di un atto già esistente implica un intervento su un documento che è stato originariamente redatto secondo una disciplina differente, determinando così una sovrapposizione di normative difficilmente coordinabili tra loro.

Altra parte della dottrina[32], in conformità a quanto statuito dalla giurisprudenza[33], ritiene che, difettando una disciplina transitoria sul punto, debba trovare applicazione il principio del tempus regit actum, e quindi la disciplina esistente al momento non dell’instaurazione del giudizio, ma del compimento dell’actus. Quest’ultimo va identificato nella pronuncia della sentenza del grado precedente.

Anche questa ultima tesi non elimina tutti i dubbi, perché individuare come termine di riferimento, ai fini dell’applicazione della disciplina innovata, la sentenza del grado precedente comporterebbe un pregiudizio alla parte, al pari di quanto già messo in evidenza; quest’ultima, infatti, vedrebbe un mutato regime processuale in corso di causa. In particolare, il giudizio verrebbe instaurato sulla base della disciplina ante modifica dell’art. 573 cod. proc. pen., per poi essere soggetto, al momento dell’impugnazione, al nuovo regime introdotto dalla Riforma. Quindi, il primo e il secondo grado di giudizio sarebbero disciplinati da normative differenti, di cui una non conosciuta dalla parte al momento dell’instaurazione del processo ma, solo, successivamente. In tal modo la parte non sarebbe in grado di prevedere le conseguenze del processo al momento dell’impugnazione per gli o per i soli interessi civili, verificandosi la violazione dei principi della c.d. perpetuatio iurisdictionis e di affidamento, maturato dalla parte in relazione alla fissità del quadro normativo [34].

Infine, altra parte della dottrina[35], in linea con la soluzione poi adottata dalle Sezioni Unite, ha ritenuto che il co. 1-bis dell’art. 573 cod. proc. pen. non possa essere applicato ai giudizi pendenti, ma unicamente a quei processi nei quali la costituzione di parte civile avverrà dopo il 30 dicembre 2022. Tale filone sostiene, quindi, che l’atto al quale occorre far riferimento per individuare la linea di confine circa l’applicabilità o meno del comma 1-bis è rappresentato dal deposito dell’atto di costituzione di parte civile; assunto che rinviene il proprio fondamento nell’art. 78 lett. co.1. lett. d) cod. proc. pen., così come innovato, ai sensi del quale “la dichiarazione di parte civile deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione delle ragioni che giustificano la domanda agli effetti civili”. Dunque, dal combinato disposto del co. 1-bis dell’art. 573 cod. proc. pen. e del novellato art. 78 co.1 lett. d) cod. proc. pen. sembra che il legislatore abbia ancorato l’operatività della disposizione traslatoria alla prevedibilità della transaltio iudici da parte della costituita parte civile.

Non può che condividersi pienamente tale tesi poiché assicura alla parte di poter conoscere ab origine le regole, nonché le dinamiche processuali; e quindi il giudice innanzi al quale si svolgerà il processo e l’eventuale trasmigrazione del processo in sede civile laddove vi sia l’impugnazione per i soli interessi civili.

Opinando in questi termini, infatti, non vi è alcuna violazione dell’art. 25 co. 1 Cost., secondo il quale “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”[36], in quanto la parte nel momento in cui propone un’impugnazione per i soli effetti civili è ben consapevole che si potrà verificare il mutamento del giudice in corso di causa, ovvero il trasferimento dinanzi al giudice o sezione civile competente.

Al contrario, tale principio non sarebbe rispettato laddove si ammettesse che la parte veda mutato in corso di causa il giudice competente a decidere sulla base di criteri sorti successivamente all’instaurazione del giudizio e di cui viene a conoscenza solo ex post.

Alla tesi della dottrina, si sono contrapposti sul punto due orientamenti giurisprudenziali, i quali si fondano su presupposti differenti, che appare opportuno esaminare.

In particolare, si registra un orientamento favorevole[37] all’immediata applicabilità di tale nuovo comma sia ai processi sorti dopo la sua entrata in vigore, sia ai processi già pendenti ed un orientamento di segno contrario[38], che sostiene l’applicabilità differita.

Il primo orientamento giurisprudenziale, discostandosi da quanto affermato in precedenza dalle Sezioni Unite[39], ritiene che il co. 1-bis dell’art. 573 cod. proc. pen. deve applicarsi anche ai processi già pendenti. Tale orientamento a fondamento richiama il principio del tempus regit actum, che si ricava dall’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile[40] e che regola il fenomeno della successione delle leggi penali, secondo cui l’atto processuale deve seguire le norme vigenti al momento in cui l’atto viene posto in essere e non quelle vigenti all’epoca dell’instaurazione del giudizio[41]. Tale principio presuppone che sia individuato l’actus al quale far riferimento; che non può coincidere sicuramente con l’intero processo, consistente in una concatenazione di atti, altrimenti ne deriverebbe la vanificazione del principio de quo.

E, dunque, occorre operare una distinzione tra l’atto già perfezionatosi, ovvero che ha già prodotto i suoi effetti, prima dell’entrata in vigore della Riforma Cartabia, e l’atto che si protrae nel tempo, in quanto si articola in una pluralità di atti, i cui effetti non si sono ancora esauriti al momento dell’entrata in vigore della disciplina novellata.

Orbene, mentre nel primo caso l’atto, essendosi già perfezionato, secondo il c.d. criterio del “fatto esaurito”, mantiene inalterati gli effetti prodotti, risultando, quindi indifferente rispetto alla nuova normativa; invece, nel secondo caso l’atto, non essendosi perfezionati i suoi effetti, soggiacerà alla nuova disciplina normativa.

Ne consegue che secondo tale orientamento, posto che l’atto di impugnazione va considerato quale atto che con l’instaurazione del giudizio di impugnazione ha già esaurito i propri effetti, l’actus al quale far riferimento va individuato nell’esito del vaglio di ammissibilità del ricorso da parte del giudice penale.

Pertanto, se prima dell’entrata in vigore del co. 1-bis è già intervenuto il vaglio di ammissibilità del giudice penale, si deve applicare l’art. 573 cod. proc. pen. ante Riforma, se, invece,dopo l’entrata in vigore del comma de quo non è ancora intervenuto, va applicato il co. 1-bis.

L’orientamento de quo ritiene che l’immediata operatività del comma 1-bis dell’art. 573 cod. proc. pen. nei termini anzidetti non sia in contrasto con il principio di affidamento maturato dalla parte civile in relazione alla c.d. “fissità del quadro normativo”.

A sostegno di quanto detto, si adduce la circostanza secondo la quale la prosecuzione del giudizio in sede civile non comporta alcun pregiudizio per la parte. Ciò in quanto in primis la nuova previsione non incide sulle modalità di presentazione dell’atto di impugnazione, in quanto le stesse non mutano.

In secondo luogo, la posizione della parte civile, volta ad ottenere l’accertamento ed il riconoscimento della pretesa risarcitoria, risulta invariata, nonostante si verifichi il trasferimento del giudizio dalla sede penale alla sede civile. Invero, l’oggetto dell’accertamento non cambia, ma si restringe, in quanto, la domanda risarcitoria da illecito civile è implicita in quella risarcitoria da illecito penale.

Ad ulteriore conferma si evidenzia che il giudizio verrà comunque assoggettato ad un primo vaglio di ammissibilità del gravame da parte del giudice penale in base agli stessi parametri vigenti prima della Riforma Cartabia (desumibili per il giudizio di Cassazione dagli artt. 581, 591 e 606 cod. proc. pen.) e che, una volta accertata l’ammissibilità del gravame, alla successiva fase del giudizio saranno applicate le stesse regole, alle quali il giudice penale si sarebbe dovuto attenere ante Riforma. Con la precisazione, tuttavia, che, sebbene la pretesa civilistica sia decisa dal giudice o dalla sezione civile competente, si utilizzeranno le prove acquisite nel giudizio penale a cui si aggiungono quelle del giudizio civile.

Tale orientamento specifica, altresì, che la modifica dell’art. 78 del cod. proc. pen. ad opera della Riforma Cartabia, la quale ha inserito al co. 1 la lett. d) la locuzione “agli effetti civili”, non può essere posta a sostegno di un orientamento contrario all’immediata applicabilità del co.1-bis 573 cod. proc. pen. Ciò in quanto, secondo la giurisprudenza di legittimità, era già pacifico che la parte civile nella dichiarazione di costituzione dovesse indicare le ragioni che giustificavano le sue pretese di natura prettamente civilistica. L’introduzione di tale locuzione non ha altro significato che quello di specificare un assunto già noto e pacifico, sebbene implicito.

Infine a sostegno di tale orientamento, la giurisprudenza richiama una serie di sentenze[42] che, in assenza di una disposizione transitoria, hanno affermato relativa ad altre questioni di diritto intertemporale l’immediata applicabilità di nuove norme concernenti le impugnazioni.

La giurisprudenza non appare condivisibile, poiché essa, nell’ancorare il regime normativo da applicare a quello vigente al momento dello svolgimento dell’attività processuale, non tiene conto del fatto che, in tal modo la parte non è in grado di conoscere, sin dal momento in cui si incardina il giudizio, la disciplina che in esso verrà applicata. A ciò conseguirebbe un palese contrasto con il principio di prevedibilità, nonché di affidamento.

Inoltre, si paleserebbe la violazione di un diritto di fondamento costituzionale, ovvero il diritto di difesa ex art. 24 Cost.[43], posto che la parte non avrebbe la possibilità di inserire nell’atto di costituzione di parte civile l’esposizione delle ragioni che giustificano la domanda agli effetti civili.

Occorre ora soffermarsi sull’orientamento giurisprudenziale di segno contrario all’immediata applicabilità all’art. 573 co.1-bis cod. proc. pen., sviluppatosi prima dell’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite.

Anche tale orientamento, nel sostenere l’applicabilità differita della nuova norma, richiama il principio del tempus regit actum, ma, in continuità con il dictum delle S.S U.U. Lista e in conformità con la dottrina suddetta, rinviene l’atto al quale far riferimento per individuare la disciplina da applicare in quello della pronuncia della sentenza.

Quindi, secondo tale parte della giurisprudenza l’art. 573 co. 1- bis cod. proc. pen. si applicherà solo a quei procedimenti di impugnazione aventi ad oggetto sentenze emesse dopo il 30 dicembre 2022. Non potrà, invece, essere applicato a vicende processuali relative a sentenze emesse prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022.

La ratio di tale scelta si rinviene nell’obiettivo di rispettare da un lato il principio di affidamento maturato in capo alla parte civile, il cui interesse ad adeguare il contenuto degli atti a delle regole differenti va ritenuto meritevole di tutela; dall’ altro il principio di certezza delle regole processuali da applicare, nonché dei diritti che medio tempore sono maturati, evitando in tal modo di dare la stura ad eventuali disparità di trattamento.

Invero, tale interesse risulterebbe leso ogniqualvolta la parte civile si trovi a dover affrontare un giudizio basato su regole diverse[44], e quindi con una fisionomia differente. Circostanza che si verificherebbe nel caso de quo, posto che mentre il vaglio di ammissibilità dell’impugnazione è di competenza del giudice penale ed è effettuato sulla base di regole penalistiche, invece il procedimento dinnanzi al giudice civile è svolto sulla base di regole civilistiche.

Analogamente a quanto sostenuto in chiave critica con riferimento a quanto asserito dalla dottrina che si è espressa nello stesso senso di questa giurisprudenza, va osservato che la parte vedrebbe comunque mutato il regime giuridico in corso di causa, in palese contraddizione con i principi di affidamento e di prevedibilità.

4. La soluzione prospettata dalle S.S.U.U. della Corte di Cassazione

La Quinta Sezione della Cassazione[45], a fronte del contrasto delineatosi sul punto, ha rimesso alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618, comma 1, cod. proc. pen. il seguente quesito “se l’art 573, co. 1- bis, cod. proc. pen., si applichi a tutte le impugnazioni per i soli interessi civili pendenti alla data del 30 dicembre 2022 o alle sole impugnazioni proposte avverso le sentenze pronunciate a decorrere dalla suddetta data”. Le Sezioni Unite[46] hanno affermato di non condividere alcuno dei due orientamenti. Ciò in quanto nessuno dei due ha adeguatamente valorizzato il mutato quadro normativo alla luce del combinato disposto del co. 1-bis dell’art. 573 cod. proc. pen. e dell’art. 78 co. 1 lett. d) cod. proc. pen.

Invero, nel dirimere il contrasto concernente l’applicabilità della prima disposizione novellata, non si può sottacere l’importanza della modifica della seconda. Opinando diversamente non si comprenderebbe la specificazione in quest’ultima della necessaria indicazione delle ragioni della domanda “agli effetti civili”.

Pertanto la modifica de quo va collegata all’art. 78 co. 1 lett. d), nel senso che la parte impugnante deve necessariamente essere a conoscenza del fatto che il giudizio di impugnazione per i soli interessi civili sarà trasferito dinanzi al giudice civile e, quindi, tale evenienza dovrà essere contemplata dalla parte impugnante sin dal momento della redazione dell’atto di costituzione di parte civile, così che la stessa potrà strutturare le ragioni della domanda in conformità con quanto statuito dal rito civile.

In particolare, la Suprema Corte si è discostata dal primo orientamento, favorevole all’immediata applicabilità del co.1-bis dell’art. 573 cod. proc. pen., per aver trascurato due elementi rilevanti, che si desumono dal combinato disposto del co. 1-bis e dell’art. 78 cod. proc. pen. novellato, ovvero il cambiamento rappresentato dal trasferimento della competenza al giudice civile e l’affidamento riproposto dall’impugnante sul precedente quadro normativo. Né può dirsi che il sol fatto che tale orientamento sostenga che già prima della riforma si riteneva che l’accertamento dell’illecito, ai fini delle statuizioni sul risarcimento del danno, da parte del giudice penale avesse natura civilistica non giustifica la mancata valorizzazione da parte di tale orientamento di questi due dati. Ciò in quanto nel caso in cui l’impugnazione dei soli aspetti civili di una sentenza di condanna passata in giudicato la responsabilità penale dell’imputato può formare oggetto di accertamento.

A tale inconveniente, secondo le Sezioni Unite, si può porre rimedio individuando l’actus al quale far riferimento per vagliare l’applicabilità del co. 1-bis dell’art. 573 cod. proc. pen. nell’atto di costituzione di parte civile. È, quindi, questo atto che rappresenta la linea di discrimen tra l’applicazione della vecchia disciplina e quella nuova.

Né, secondo le Sezioni Unite, vale richiamare a sostengo dell’immediata applicabilità del nuovo comma quelle sentenze delle S.S.U.U che si sono espresse nel senso di ammettere, in mancanza di una disciplina transitoria, l’immediata applicabilità della nuova disciplina. Ciò in quanto si tratta di casi che non pregiudicano le aspettative dell’impugnante, a differenza di quanto si verifica nel caso de quo.

Quanto all’orientamento che sostiene l’applicabilità differita del nuovo comma dell’art. 573 cod. proc. pen. le Sezioni Unite evidenziano che, sebbene tale orientamento abbia valorizzato l’importanza del principio di affidamento dell’impugnante, lo ha limitato impropriamente. Invero, le Sezioni Unite sottolineano che tale orientamento non ha comunque tenuto in considerazione l’impatto che siffatta conclusione possa avere sui collegati requisiti di redazione dell’atto di costituzione di parte civile. Da ciò ne conseguirebbe una netta cesura tra il giudizio di impugnazione dinanzi al giudice penale e il giudizio che poi prosegue dinanzi a quello civile.

Le Sezioni Unite si è detto individuano nel deposito dell’atto di costituzione di parte civile l’actus al quale far riferimento per l’applicabilità del comma novellato.

Ebbene, le impugnazioni il cui atto di costituzione di parte civile è stato già depositato in epoca anteriore al 30 dicembre 2022 saranno soggette al regime normativo sussistente ante riforma, mentre quelle il cui deposito dell’atto di costituzione non è ancora avvenuto nella predetta data saranno assoggettate alla nuova normativa.

In nuce, le Sezioni Unite hanno enunciato il seguente principio di diritto: “l’art. 573, comma 1-bis, cod. proc. pen. si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, quale data di entrata in vigore della citata disposizione”.

La sentenza in oggetto rappresenta un vero e proprio punto di svolta, chiarendo in maniera definitiva una questione che ha generato numerose incertezze e divergenze tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, eliminando le ambiguità interpretative insorte.

La Corte di Cassazione, con una motivazione rigorosa e ben articolata, ha, infatti, delineato i confini dell’applicabilità della norma innovata, valorizzando a tal uopo il principio di affidamento della parte impugnante, nonché il principio di prevedibilità. Con ciò assicurando non solo una maggiore tutela dei diritti delle parti coinvolte, ma anche una desiderata chiarezza nell’interpretazione delle norme processuali.

Non può, quindi, che condividersi a pieno l’iter argomentativo sviluppato dalle Sezioni Unite, soprattutto in virtù della solidità argomentativa e della coerenza giuridica nell’individuare quale actus che segna la linea di confine in merito all’applicabilità o meno della nuova normativa il deposito dell’atto di costituzione di parte civile.

In tal modo, infatti, può dirsi valorizzata l’innovazione legislativa, che, alla luce del combinato disposto del co. 1-bis dell’art. 573 cod. proc. pen. e dell’art. 78 co. 1 lett. d) cod. proc. pen., pone chiaramente l’attenzione sugli effetti civili della domanda.


[1] S.S.U.U., sent. n. 38481 del 2023.

[2] Con la locuzione “parte civile” si fa riferimento al soggetto titolare della pretesa risarcitoria cagionata dal reato. Invero, quest’ultimo, oltre a provocare la lesione del bene-interesse giuridicamente tutelato dalla fattispecie normativa, può provocare altresì un danno economico (c.d. danno patrimoniale) o anche non economico (c.d. danno non patrimoniale).

[3] Cfr. Cass. sent. n.12599/1998; Cass., Sez. V., sent. n. 648/1999, Rosati, Rv. 279490-01; Cass. Sez. VI, sent. n. 32705/2014, Coccia, Rv. 260325-01; Cass., Sez. III, sent. n. 23940 del 2020, secondo cui “in tema di costituzione di parte civile, l’indicazione delle ragioni che giustificano la domanda risarcitoria è funzionale esclusivamente all’individuazione della pretesa fatta valere in giudizio, non essendo necessaria un’esposizione analitica della causa petendi, sicché per soddisfare i requisiti di cui all’art. 78, lett. d) cod. proc. pen., è sufficiente il mero richiamo al capo di imputazione descrittivo del fatto, allorquando il nesso tra reato contestato e la pretesa risarcitoria azionata risulti con immediatezza”.

Sul punto si è pronunciata anche Cass., Sez. V, sent. n. 22034/2013, la quale ha affermato che “se detta condizione non si verifica, come nelle ipotesi di reato di pericolo o quando il danneggiato non si identifichi nella persona offesa, sarà necessaria una più approfondita analisi delle ragioni legittimanti la richiesta”. In questo senso, si veda anche A. Pennisi, Art. 78 c.p.p., in AA.VV., Commentario Breve al codice di procedura penale, Wolters Kluvers, 2020, p. 275, il quale ha osservato che: “la condizione d’ammissibilità della costituzione di parte civile e la correlata domanda di risarcimento del danno derivante da reato sono rispettate se l’esposizione della vicenda sia svolta con riferimento a quanto, in punto di fatto, risulti dal capo d’imputazionee se la legittimazione soggettiva si ricavi, oltre che da espressa indicazione, dalla coincidenza certa tra la persona offesa dal reato contestato all’imputato e il proponente dell’istanza di condanna di quest’ultimo per gli effetti civili”. In senso contrario, E. M. Mancuso, La parte civile, il responsabile civile e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria, in AA.VV. Trattato di procedura penale – I soggetti e atti, Wolters Kluvers, 2009, p. 554, secondo il quale “è da criticare, in quest’ottica, l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità che reputa sufficiente a integrare il requisito menzionato dalla lett. d) il mero richiamo al capo di imputazione descrittivo del fatto, poiché esso nulla consente in termini di valutazione prognostica circa il fumus della legittimazione”.

[4] Cfr. Cass. Pen., sez. III, sent. 11/01/2023, n.7625, la quale ha definito la locuzione “agli effetti civili” come “un riferimento scontato dato che la parte civile non poteva interloquire sui profili strettamente penalistici”.

[5] Sul punto, si veda la Relazione sulle modifiche alla costituzione di parte civile, come risultanti dalla Riforma Cartabia, proposta dall’Osservatorio della Giustizia penale del Tribunale di Teramo secondo cui a seguito della modifica normativa sussiste l’obbligo a carico del danneggiato “di una maggiore puntualità e precisionenella formulazione delle domande restitutorie e risarcitorie e della chiara argomentazione in ordine al loro fondamento in termini civilistici. Di talché, è conseguenziale ritenere che tale domanda debba essere posta come autosufficiente e completa anche al fine dell’eventuale spostamento in sede civile”.

[6] Cfr. Cass., Sez. II, sent. n. 8723 del 07/05/1966, Schiavo, Rv. 205872-01, la quale ha affermato che “cosicché ai fini dell’ammissibilità della costituzione non sarà più sufficiente fare riferimento all’avvenuta commissione di un reato, bensì sarà necessario richiamare le ragioni in forza delle quali si pretende che dal reato siano scaturite conseguenze pregiudizievoli nonché il titolo che legittima a far valere la pretesa”.

[7] Cfr. D. Giorgiadi, Le Sezioni Unite sui requisiti per la costituzione di parte civile dopo la riforma Cartabia: non basta il richiamo al capo d’imputazione, ma è necessario uniformarsi alle forme per la domanda nel giudizio civile, in Giurisprudenza Penale, il quale ha affermato che “la modifica dell’art. 78 comma 1 lett. d) cod. proc. pen. ad opera della c.d. Riforma Cartabia non può restare indifferente ai fini della spiegazione del significato del nuovo comma 1-bis dell’art. 573 cod. proc. pen., al quale offre, invece, un necessario completamento, ed assume, anzi, un rilievo decisivo proprio agli effetti della risoluzione del contrasto giurisprudenziale su cui le Sezioni Unite sono chiamate ad intervenire”.

[8] Cfr. Relazione illustrativa al testo definitivo del d.lgs. n. 150/2022.

[9] Cfr. Relazione dell’Ufficio del Massimario del 5/01/2023 n. 2; Relazione illustrativa al testo definitivo del d.lgs. n. 150/2022, inSist. Pen., 20ottobre2022, p. 163,secondo cui: “è necessariorestringere l’oggetto di accertamento al solo diritto del danneggiato al risarcimento del danno, dopo lo spartiacque del giudicato. È pertanto ragionevole attribuire il compito di decidere al giudice civile, in una situazione in cui devono essere verificati gli estremi della responsabilità civile, senza poter accertare nemmeno incidentalmente gli estremi della responsabilità penale”. Sul punto, anche M. Gialuz, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della Riforma Cartabia. Profili processuali, in Sist. Pen. 2 novembre 2022, p.75; M. Bontempelli, Verso una trattazione efficiente delle impugnazioni penali per i soli interessi civili, in Sist. Pen. 23 Maggio 2023; G. Gatta, M. Gialuz, Riforma Cartabia, Le modifiche al sistema penale, Volume secondo, Nuove dinamiche del procedimento penale a cura di T. Bene, M. Bontempelli, L. Luparia, 2024.

[10] Le parole “i soli” sono state sostituite dalle parole “gli” dall’art. 33, comma 1, lett. a), n.1), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n.150, a decorrere dal 30 dicembre 2022 ex art. 99 bis del medesimo decreto, così come modificato dall’art. 6 del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, nella L.30 dicembre 2022, n. 199.

[11] Cfr. Cass., Sez. V., sent. 21/01/1997, n. 3096, la quale ha osservato che “il riferimento all’art. 573 cod. proc. pen. alla “trattazione” dell’impugnazione per i soli interessi civili con le forme ordinarie del processo penale riguarda ogni rituale modalità di trattazione del procedimento penale di impugnazione che risulti inderogabilmente vincolata alla tipologia cui appartenga il provvedimento impugnato ed alle conseguenti modalità di trattazione del procedimento di primo grado”.

[12] Cfr. R. Bricchetti, L’impugnazione per i soli interessi civili: il nuovo comma 1- bis dell’art. 573 c.p.p., in Sistema Penale; Corte Cost. 12 luglio 2019, sent. n. 176, in Dir. Pen. cont. 24 settembre 2019, con nota B. Monzillo, la Corte Costituzionale “salva” l’art. 576 c.p.p.: legittima la facoltà per la parte civile di impugnare il proscioglimento ai soli effetti civili; Corte Cost. 29 gennaio 2016, sent. n. 12, con nota di L. Mattarese, La Corte Costituzionale sul divieto di decidere sulla responsabilità civile in caso di assoluzione per vizio di mente, in Dir. Pen. Cont., 8 febbraio 2016 secondo cui trattasi di “principio che trova la sua ratio nelle esigenze di interesse pubblico, connesse all’accertamento dei reati e alla rapida definizione dei processi e che ha quale naturale implicazione quella per cui l’azione civile, ove esercitata all’interno del processo penale, è destinata a subire tutte le conseguenze e gli adattamenti derivanti dalla funzione e struttura di questo processo”.

[13] In conformità al disposto normativo di cui all’art. 573 co. 1-bis cod. proc. pen., il comma 1-bis dell’art. 578 cod. proc. pen., rubricato “Decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione e nel caso di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione”, dispone che “Quando nei confronti dell’imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, e in ogni caso di impugnazione della sentenza anche per gli interessi civili, il giudice d’Appello e la Corte di Cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, nel dichiarare improcedibile l’azione penale per il superamento dei termini di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 344 bis cod. proc. pen., rinviano per la prosecuzione al giudice o alla sezione civile competente nello stesso grado, che decidono sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile”.

[14] Cass., sent. n. 38482/2023.

[15] L’art. 622 cod. proc. pen. rubricato “Annullamento della sentenza ai soli effetti civili” prevede che “Fermi gli effetti penali della sentenza, la Corte di Cassazione, se ne annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l’azione civile ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell’imputato, rinvia quando occorre al giudice civile competente per valore in grado di appello, anche se l’annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile”.

[16] Cfr. Cass. civ., Sez. III, sent. n. 30496 del 18/10/2022, Rv. 666267-01; Cass. civ., Sez. III, sent. n. 8997 del 21/03/2022, Rv. 664579-03; Cass. civ., Sez. III, sent. n. 517 del 15/01/2020, Rv. 656811-01; Cass. civ., sent. n. 16916 del 25/06/2019, Rv. 654433-01.

[17] Cfr. Cass. S.S.U.U., sent. n. 2265 del 28/01/2022, Cremonini, Rv. 281228-01; Cass., Sez. III, sent. n. 15182 del 20/06/2017, Rv. 644747-01; Cass., Sez. III, sent. n. 22570 del 25/09/2018; nello stesso senso Cass. civ., Sez. III, ord. n. 4978 del 16 febbraio 2023, la quale ha espressamente ribadito che il giudizio di rinvio non può che originare da un atto di riassunzione della parte interessata, in armonia con i principi che governano il processo civile,rilevando che “costituisce principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità che il giudizio di rinvio instauratosi a seguito di annullamento, da parte della Corte di Cassazione, della sentenza d’Appello non si pone in parallelo con alcun precedente grado del processo, ma ne costituisce, per converso, fase del tutto nuova ed autonoma, ulteriore e successivo momento del giudizio (c.d. iudicium rescissorium), funzionale all’emanazione di una sentenza che non si sostituisce ad alcuna precedente pronuncia (né di primo, né di secondo grado), riformandola o modificandola, ma statuisce, direttamente e per la prima volta, sulle domande proposte dalle parti (come implicitamente confermato dal disposto dell’art. 391 cod. proc. civ., a mente del quale all’ipotesi di omessa, tempestiva riassunzione del giudizio non consegue il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, bensì la sua inefficacia). Anche la mancata riassunzione del giudizio di rinvio determina, ai sensi dell’art. 393 cod. proc. civ., l’estinzione non solo di quel giudizio, ma dell’intero processo, con la conseguente caducazione di tutte le sentenze emesse nel corso dello stesso, eccettuate quelle già coperte dal giudicato (in quanto non impugnate), restando inapplicabile al giudizio di rinvio l’art. 338 cod. proc. civ., che regola gli effetti dell’estinzione del procedimento di impugnazione”.

[18] Cfr. Cass. Pen., Sez. IV, sent. n. 11516 del 26/01/2023.

[19] Cfr. Cass. pen., Sez. IV, sent. n. 11516 del 26 gennaio 2023; nello stesso senso, M. Toriello, Riforma “Cartabia” ed impugnazioni per i soli interessi civili: le Sezioni Unite sulle non immediate applicabilità dell’art. 573, comma 1-bis, cod. proc. pen. in Sistema Penale

[20] Secondo la Relazione illustrativa “è necessario restringere l’oggetto di accertamento al solo diritto del danneggiato al risarcimento del danno, dopo lo spartiacque del giudicato. È pertanto ragionevole attribuire il compito di decidere al giudice civile, in una situazione in cui devono essere verificati gli estremi della responsabilità civile, senza poter accertare nemmeno incidentalmente gli estremi della responsabilità penale”.

[21] Sul punto cfr. Corte Cost., sent. n. 182 del 2021; Cass., Sez. IV, sent. n. 37193 del 15/09/2022, Ciccarelli, Rv. 28739-0; Cass., Sez. II, sent. n. 11808 del 14/01/2022, Restaino, Rv. 283377-01.

[22] Cfr. sul punto Marandola, in Spanger, p. 93 e ss.

[23] Cfr. Cass., Sez. II, sent. n. 11808 del 14/1/2022, Rv. 283377; in tal senso anche Cass., Sez. II, ord. n. 11279/2023.

[24] L’art. 533 cod. proc. pen. rubricato “condanna dell’imputato”, dispone che il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio.

[25] A. Nappi, Petizioni di principio sull’art. 573 comma 1-bis cod. proc. pen., in Giustizia Insieme.

[26] L’art. 116 cod. proc. civ. dispone che “il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti. Il giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno a norma dell’articolo seguente, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo”.

[27] Cass., Sez. II, sent. del 24/02/2004, n. 3642.

[28] Sul punto cfr. Cass. civ., Sez. III, sent. 7 maggio 2021, n. 12164; Cass. civ., Sez. III, sent. 25 giugno 2019, n. 16893.

[29] Cfr. A. Nappi, Nuova guida al codice di procedura penalewww.guidanappi.it, §79.2.

[30] Cfr. Bontempelli, Verso una trattazione efficiente delle impugnazioni penali per i soli interessi civili, in Sistema Penale 23 maggio 2023; Nappi, Petizioni di principio sull’art. 573 co. 1 bis cod. proc. pen., in Giustizia Insieme, 25/09/ 2023.

[31] Cfr. De Marzo, Della Sorte Delle impugnazioni penali ai soli effetti civili: a proposito del nuovo art. 573 co.1-bis cod. proc. pen., in Foro News 22/01/2023.

[32] Citterio, Pensieri spazi sul nuovo giudizio penale di appello, in Giustizia Insieme, 13/01/2022.

[33] Cfr. Cass. S.S.U.U., sent. 29 marzo 2007, Lista, la quale ha operato una rilevante distinzione tra modifiche legislative che attengono alla categoria del “regime delle impugnazioni” (nelle quali rientrano le modifiche legislative relative alla facoltà di impugnazione, alla sua estensione, ai modi ed ai termini per esercitarla) e modifiche legislative che, invece, si riferiscono al procedimento di impugnazione. Secondo tale orientamento “ai fini dell’individuazione del regime applicabile in materia di impugnazioni, allorché si succedono nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato, con disposizioni transitorie, il passaggio dall’una all’altra, l’applicazione del principio tempus regit actum impone di fare riferimento al momento di emissione del provvedimento impugnato e non già a quello della proposizione dell’impugnazione”.

[34] Cfr. Sezioni Unite Lista, cit.

[35] Cfr. Biondi, la Riforma Cartabia e le impugnazioni, le prime questioni di diritto intertemporale sull’applicabilità dell’art. 573 co. 1 bis cod. proc. pen., ai giudizi in corso, in Sistema Penale 10/01/2023.

[36] Giova precisare che il giudice naturale è colui che è competente secondo quanto previsto dalla legge sulla base di criteri previgenti alla questione insorta.

[37] Cfr. Cass., Sez. IV, sent. del 24/01/2023 n. 2854, Colonna, Rv. 284012-01; Cass., Sez. II, sent. del 16/03/2023 n. 11279; Cass., Sez. II, sent del 16/2/2023 n. 6690, Seno, Rv. 284216-01; Cass., Sez. IV del 25/01/2023 n. 10392, Iacopino; Cass., Sez. IV, sent. del 17/01/2023 n. 8483; Cass., Sez. III, sent. del 11/01/2023 n. 7625, Ambu, Rv. 28428-01.

[38] Cfr. Cass., Sez. V, sent. del 20/01/2023 n. 3990, Sangiorgi, Rv. 284019-01; Cass., Sez. VI, sent. del 27/01/2023 n. 12072, Codognola; Cass., Sez. V, sent. del 16/01/2023 n. 4902, Isgrò, Rv. 284121-01; Cass., Sez. V, sent. del 23/02/2023 n. 20381, Tosoni; Cass., Sez. V, sent. del 20/012023 n. 3990, Razzaboni, Rv. 284019-01; Cass., Sez. V, sent. del 16/01/2023 n. 4902, Cucinotta, Rv. 284121-01.

[39] Cfr. S.S.U.U., sent. n. 27614 del 29/3/2007, Lista, Rv. 236537, secondo cui “per l’individuazione del momento in cui il giudizio d’impugnazione deve essere governato dalla lex superveniens deve farsi riferimento alla pronuncia dell’atto impugnato e non alla presentazione dell’impugnazione, posto che solo rispetto al tempus del suo perfezionamento possono essere apprezzati la facoltà di impugnazione, la sua estensione, i modi e i termini per esercitarla. Tale principio incide sulle aspettative di tutela che il titolare del diritto di impugnazione aveva in tale momento e quindi ha ad oggetto il caso in cui si discute sulla sussistenza stessa del diritto a impugnare”.

[40] L’art. 11 disp. prel. c.c. dispone che “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.

[41] In tal senso si veda Cass., Sez. VI, sent. del 14/02/2019 n. 10260, Cesi, Rv. 275201; nello stesso senso; Cass., Sez. V, sent. del 15/11/2021 n. 380, dep. 2022, Rv. 282528. In senso contrario, Cass., Sez. V, sent. del 16/04/2021 n. 15666, secondo cui “la validità degli atti è regolata dalla vigente al momento della loro formazione”.

[42] Cfr. S.S.U.U. sent. n. 11586/2021; S.S.U.U. sent. n. 13539/2020; S.S.U.U. sent. n. 3464/2017.

[43] L’art. 24 Cost. al comma secondo dispone che “la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”.

[44] Il riferimento è, tra gli altri, al tema del nesso eziologico tra la condotta e l’evento di danno che il giudice civile ricostruisce non in base al criterio dell’alto grado di probabilità logica, ma il base al criterio causale del più probabile che non.

[45] Cass., Sez. V, ord. n. 8149 del 2023.

[46] Cfr. S.S.U.U., sent. n. 38481 del 2023.

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