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L’incostituzionalità “prospettata” dell’ergastolo ostativo

 

decreto Corte cost., Ordinanza n. 97:2021

Corte cost., Ordinanza n. 97/2021 (ud. 23 marzo 2021 – dec. 15 aprile 2021 – dep. 11 maggio 2021)

Presidente Coraggio – Redattore Zanon

Sommario: 1. Dal comunicato stampa alle motivazioni della Corte. – 2. La “nuova” tecnica del rinvio. – 3. L’ergastolo: da pena perpetua a sanzione “attenuabile”. – 4. L’ergastolo ostativo e la disciplina dei permessi premio. – 5. Ergastolo ostativo e liberazione condizionale.

 

1. Dal comunicato stampa alle motivazioni della Corte.

 

Avevo brevemente commentato su questa Rivista, lo stesso giorno della decisione, l’ordinanza della Corte costituzionale dello scorso 15 aprile con la quale la stessa aveva esaminato le questioni di legittimità sollevate dalla Corte di cassazione sul regime applicabile ai condannati alla pena dell’ergastolo per reati di mafia e di contesto mafioso che non abbiano collaborato con la giustizia e che chiedano l’accesso alla liberazione condizionale[1].

All’oscuro della motivazione, sapevamo dall’Ufficio stampa della Corte soltanto che il Collegio aveva anzitutto rilevato che la vigente disciplina del cosiddetto ergastolo ostativo preclude in modo assoluto, a chi non abbia utilmente collaborato con la giustizia, la possibilità di accedere al procedimento per chiedere la liberazione condizionale, anche quando il suo ravvedimento risulti sicuro. E che la Corte aveva conseguentemente osservato che tale disciplina ostativa, facendo della collaborazione l’unico modo per il condannato di recuperare la libertà, è in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Dunque, è incostituzionale.

Ma la Corte, piuttosto che adottare una decisione lineare ed immediata, per la delicatezza della materia trattata, risultava avere rinviato la trattazione delle questioni a maggio 2022, come emergeva dal richiamato Comunicato stampa, «per consentire al legislatore gli interventi che tengano conto sia della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso, e delle relative regole penitenziarie, sia della necessità di preservare il valore della collaborazione con la giustizia in questi casi».

La soluzione adottata non mi convinceva, anche alla luce dell’esperienza (negativa) legata al c.d. caso Cappato, quando la Corte aveva sospeso il giudizio per un anno in attesa di un intervento legislativo poi non arrivato. E mi sembrava tipica di certe cattive abitudini del nostro Paese, nel quale si preferisce spesso non decidere o comunque rinviare il giudizio, soprattutto in materie “scottanti” e nelle quali, ad applicare la Costituzione, si rischia di essere etichettati come garantisti o, peggio, fiancheggiatori.

 

2. La “nuova” tecnica del rinvio

Ora, con il deposito in Cancelleria intervenuto il giorno 11 maggio 2021, abbiamo la conferma che la Corte, facendo leva sui propri poteri di gestione del processo costituzionale, ha rinviato il giudizio in corso e fissato una nuova discussione delle questioni di legittimità costituzionale in esame all’udienza del 10 maggio 2022, con conseguente contestuale sospensione del giudizio a quo.

Dunque, ancora per un anno, se il legislatore non farà (come presumibile…) nulla, il nostro ordinamento manterrà integra una disposizione incostituzionale.

Con il beneplacito della Corte che avrebbe dovuto vigilare sulla sua incostituzionalità, per asserite «esigenze di collaborazione istituzionale» che imporrebbero di dare al Parlamento un congruo tempo per affrontare la materia: «spetta in primo luogo al legislatore, infatti, ricercare il punto di equilibrio tra i diversi argomenti in campo, anche alla luce delle ragioni di incompatibilità con la Costituzione attualmente esibite dalla normativa censurata; mentre compito di questa Corte sarà quello di verificare ex post la conformità a Costituzione delle decisioni effettivamente assunte».

Con questi precedenti, temo si rischi, ogni qualvolta la materia trattata sia delicata o scottante, di prendere tempo e fissare termini al legislatore. Tanto più che la Corte ha ormai teorizzato tale “tecnica” del rinvio qualificandola tecnica processuale dell’incostituzionalità “prospettata”[2].

Meno male che, in passato, la Corte ha dimostrato maggiore coraggio. Mi limito a ricordare, nella sola materia del diritto penale sostanziale, il fondamentale ruolo che hanno avuto le decisioni della Corte costituzionale[3]. Si pensi che il legislatore ordinario è stato a lungo del tutto incapace di adeguarsi agli artt. 39 e 40 della Costituzione e che la Corte costituzionale è dovuta, più volte, intervenire, in materia di sciopero, serrata e boicottaggio, sugli artt. 502 ss. Ma si ricordino (tra gli altri) anche gli interventi in materia di: delitti contro la personalità internazionale dello Stato (artt. 271 ss.); delitti contro l’amministrazione della giustizia (artt. 376 e 384); vilipendio della religione dello Stato (art. 402) e turbamento di funzioni religiose del culto cattolico (art. 405); istigazione a disobbedire alle leggi (art. 415); adulterio e concubinato (artt. 559 ss.); plagio (art. 603); furto d’uso (art. 626, comma 1, n. 1); mendicità (art. 670); ubriachezza (art. 688, comma 2); possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli (art. 707) e possesso ingiustificato di valori (art. 708).

 

3. L’ergastolo: da pena perpetua a sanzione “attenuabile”

Tornando al tema centrale della ordinanza della Corte in commento, basti qui considerare che, scomparsa la pena di morte[4], oggi la pena più severa prevista nel nostro ordinamento è l’ergastolo, cioè in astratto la pena perpetua, scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati (nel gergo carcerario si diceva: “fine pena mai”)[5]. Anche per l’ergastolo si sono sollevati dubbi e perplessità, soprattutto in séguito alla sottolineatura del finalismo rieducativo della pena, ad opera dell’art. 27 Cost. Le pene, infatti, devono tendere alla rieducazione del condannato e non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità.

Tuttavia, diversamente da quanto lascia presupporre l’art. 22 c.p., oggi l’ergastolano può essere ammesso alla liberazione condizionale dopo aver scontato almeno 26 anni di pena (art. 176, comma 3, c.p.) ed al regime di semilibertà dopo aver espiato almeno 20 anni (art. 50, comma 5, l. 26.7.1975, n. 354). Inoltre, gli possono essere concessi permessi premio dopo l’espiazione di almeno dieci anni (art. 30-ter, l. 26.7.1975, n. 354), nonché la liberazione anticipata (art. 54, comma 4, l. 26.7.1975, n. 354). Naturalmente, gli istituti di cui si è detto sono utilizzabili nella misura in cui il condannato ha mostrato prova costante di buona condotta e di ravvedimento in vista di un effettivo recupero sociale, e spetterà al giudice accertare di volta in volta se sussistano in concreto i presupposti ai fini della concessione dei benefici. Ma l’applicazione pratica degli istituti sopra citati fa scolorire il carattere fisso, rigido e perpetuo dell’ergastolo. Dunque, sembrano essere superabili i dubbi di legittimità costituzionale e l’eventuale rinuncia all’ergastolo può essere solo motivata da opzioni politiche tout court o di politica criminale, in senso più ristretto.

A ciò si aggiunga che, in ogni caso, l’ergastolo non può più applicarsi ai minorenni, in virtù della dichiarazione di parziale l’illegittimità costituzionale degli artt. 17 e 22 c.p., ad opera di C. cost. 168/1994[6].

 

4. L’ergastolo ostativo e la disciplina dei permessi premio

Problemi di legittimità costituzionale, invece, può porre, ed ha effettivamente già posto, il c.d. ergastolo ostativo. Infatti, ai sensi dell’art. 4-bis, l. 26.7.1975, n. 354, i condannati per reati gravi (come ad esempio terrorismo, associazione mafiosa, sequestro a scopo di estorsione o associazione per traffico di stupefacenti) possono usufruire dei benefici e delle misure alternative al carcere sopra richiamate solo nel caso in cui collaborino con la giustizia ai sensi dell’art. 58-ter, l. 26.7.1975, n. 354. Ove ciò non avvenga, nei loro confronti l’ergastolo diviene dunque una pena perpetua, lasciando emergere significativi dubbi di compatibilità con il dettato costituzionale.

In proposito, la Grande Camera della Corte EDU, il 7.10.2019, ha dichiarato irricevibile il ricorso presentato dal Governo italiano avverso C. EDU, Sez. I, 13.6.2019, Viola c. Italia, che aveva dichiarato non conforme all’art. 3 CEDU la disciplina italiana sull’ergastolo “ostativo” in quanto trattamento inumano e degradante[7]. Sul punto si è poi pronunziata C. cost. 4.12.2019, n. 253[8], dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1, l. 26.7.1975, n. 354, nella parte in cui non prevedeva la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità della partecipazione all’associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata, sempre che il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo. Dunque, in virtù della pronuncia della Corte costituzionale, la presunzione di “pericolosità sociale” del detenuto non collaborante non è più assoluta ma diventa relativa e può essere superata dal magistrato di sorveglianza, la cui valutazione caso per caso deve basarsi sulle relazioni delle istituzioni penitenziarie, nonché sulle informazioni e i pareri di varie autorità, dalla Procura antimafia o antiterrorismo al competente Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica.

 

6. Ergastolo ostativo e liberazione condizionale

È sulla scia del quadro sin qui succintamente tratteggiato che la Corte di cassazione, prima sezione penale, con ordinanza del 3 giugno 2020, e depositata il 18 giugno 2020 (r.o. n. 100 del 2020), aveva sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4-bis, comma 1, e 58-ter, l. 26.7.1975, n. 354, nonché dell’art. 2 del decreto-legge 13.5.1991, n. 152, convertito, con modificazioni, nella legge 12.7.1991, n. 203, nella parte in cui escludono che possa essere ammesso alla liberazione condizionale il condannato all’ergastolo, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis c.p., ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, che non abbia collaborato con la giustizia.

Ebbene, la Corte costituzionale, con una motivazione puntuale e convincente, alla quale per ragioni di sintesi rinvio, spiega in quali termini l’ergastolo è costituzionalmente ammissibile e quali siano le argomentazioni – in parte sopra anticipate – in base alle quali l’ergastolo ostativo è da ritenersi in contrasto con la Costituzione.

Il punto centrale mi sembra il seguente: «ciò non significa affatto svalutare il rilievo e utilità della collaborazione, intesa come libera e meditata decisione di dimostrare l’avvenuta rottura con l’ambiente criminale, e che certamente mantiene il proprio positivo valore, riconosciuto dalla legislazione premiale vigente, qui non in discussione. Significa, invece, negarne la compatibilità con la Costituzione se e in quanto essa risulti l’unica possibile strada, a disposizione del condannato all’ergastolo, per accedere alla liberazione condizionale». Infatti, l’assolutezza della presunzione si basa su una generalizzazione, che può essere contraddetta «dalla formulazione di allegazioni contrarie che ne smentiscono il presupposto, e che, appunto, devono poter essere oggetto di specifica e individualizzante valutazione da parte della magistratura di sorveglianza, particolarmente nel caso in cui il detenuto abbia affrontato un lungo percorso carcerario, come accade per i condannati a pena perpetua».

Dunque, l’accoglimento delle questioni di illegittimità – diversamente da quanto ritenuto da certa stampa preconcetta –  non implicherebbe, di per sé, una risposta positiva alla domanda di accesso al beneficio, ma modificherebbe la disciplina applicabile da parte del Tribunale di sorveglianza, che dovrebbe estendere al merito l’esame del caso.

Ciò invece avrebbe dovuto dare coraggio alla Corte. Ed invece, la Corte ha “sospeso” il giudizio, sperando che la patata bollente la esca dal fuoco il Parlamento, con una sorta di “scaricabarile” (o di gioco del fiammifero) che, temo, porterà la pedina al punto di partenza, come nel gioco dell’oca.

Ma il gioco pesa sulle spalle di molte persone reali, a leggere la memoria dell’associazione Antigone per i diritti e le garanzie nel sistema penale, depositata nel corso del giudizio davanti alla Corte costituzionale: con la crescente incidenza percentuale dei condannati all’ergastolo rispetto al novero complessivo dei detenuti in Italia; nella maggior parte, di condannati per reati “ostativi” (1.250 persone, dunque il 70 per cento circa del gruppo di riferimento).

Qualcuno dovrà dire a queste persone di attendere (almeno) un altro anno, ma che la norma che li mantiene in carcere è incostituzionale. Se fossimo in presenza di arte, parleremmo di teatro dell’assurdo costruito intorno alla condizione dell’attesa: di Aspettando Godot di Samuel Beckett.

Ma qui, per citare Dante, «si fa di giustizia orribil arte»[9].

 

[1] B. Romano, Ergastolo ostativo e liberazione condizionale: la Corte costituzionale decide di non decidere, in questa Rivista, 15 aprile 2021.

[2] Così, testualmente, la Relazione sull’attività della Corte costituzionale nel 2020, 13, in www.cortecostituzionale.it. Per osservazioni critiche sul “rinvio” al legislatore, proprio in relazione a Corte cost. 97/2021, E. Dolcini, L’ordinanza della Corte costituzionale n. 97 del 2021: eufonie, dissonanze, prospettive inquietanti, in Sistema penale, 25 maggio 2021.

[3] B. Romano, Diritto penale, parte generale, 4ª ed., Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2020, 94 ss. Per le decisioni richiamate nel testo, basti il rinvio a www.cortecostituzionale.it, ove si possono rintracciare anche le relative note dottrinali a commento.

[4] Come è noto, nello schema originario del codice penale la pena di morte o pena capitale (eseguita mediante fucilazione) rappresentava la sanzione più grave prevista per taluni delitti (cfr. l’art. 21 c.p., oggi da ritenersi abrogato).

Senonché, la pena di morte era stata abrogata (ma con fonte ordinaria), per quanto atteneva alle disposizioni del codice penale, dall’art. 1, d.lg.lgt. 10.8.1944, n. 224, in base al quale, quando «è comminata la pena di morte, in luogo di questa si applica la pena dell’ergastolo», e per i delitti previsti da leggi speciali diverse da quelle militari di guerra, dall’art. 1, d.lg. 22.1.1948, n. 21 (sebbene la pena di morte fosse stata reintrodotta, per taluni gravi delitti, ad es., dal d.lg.lgt. 10.5.1945, n. 234).

Il divieto della pena di morte era stato poi sancito dall’art. 27, comma 4, Cost., pur con una significativa eccezione («Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra»). Peraltro, l’art. 1, comma 1, l. 13.10.1994, n. 589, aveva stabilito che, «per i delitti previsti dal codice penale militare di guerra, la pena di morte è abolita ed è sostituita dalla pena massima prevista dal codice penale»: ma trattandosi di legge ordinaria, una eventuale reintroduzione sarebbe potuta avvenire con una diversa fonte ordinaria.

Da ultimo, però, l’art. 1, l. cost. 2.10.2007, n. 1, ha abrogato, nel comma 4 dell’art. 27 Cost., l’inciso finale «, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra». Con la conseguenza che nel nostro Paese oggi vige un divieto assoluto, e costituzionalmente sancito, di ricorrere alla pena di morte, in linea, del resto, con la tendenza a livello europeo e internazionale all’eliminazione della pena capitale (si pensi al secondo protocollo facoltativo al Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici sull’abolizione della pena di morte, ratificato con l. 9.12.1994, n. 734) e con lo stesso Statuto della Corte penale internazionale (che non prevede il ricorso alla pena di morte: cfr. l’art. 77).

[5] Per interessanti riflessioni sull’ergastolo, in prospettiva non esclusivamente giuridica, cfr. E. Fassone, Fine pena: ora, Sellerio editore, Palermo, 2015.

[6] Anche per tale sentenza si rinvia al menzionato sito della Corte costituzionale.

[7] In dottrina al riguardo, tra gli altri, E. Dolcini, L’ergastolo ostativo non tende alla rieducazione del condannato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, 1500 ss.; Id., Dalla Corte EDU una nuova condanna per l’Italia: l’ergastolo ostativo contraddice il principio di umanità della pena, ivi, 2019, 925 ss.; G.M. Flick, Ergastolo ostativo: contraddizioni e acrobazie”, ivi, 2017, 1505 ss.; G. Neppi Modona, Ergastolo ostativo: profili di incostituzionalità e di incompatibilità convenzionale, ivi, 2017, 1509 ss.; D. Galliani, Ponti, non muri. In attesa di Strasburgo, qualche ulteriore riflessione sull’ergastolo ostativo, ivi, 2018, 1156 ss.

[8] Sulla sentenza (che si può leggere in www.cortecostituzionale.it), cfr., tra gli altri: M. Ruotolo, Reati ostativi e permessi premio. Le conseguenze della sent. n. 253 del 2019 della Corte costituzionale, in Sistema penale, 12.12.2019; S. Bernardi, Sull’incompatibilità con la Costituzione della presunzione assoluta di pericolosità dei condannati per reati ostativi che non collaborano con la giustizia: in margine a Corte cost. sentenza del 23 ottobre 2019 (dep. 4 dicembre 2019), n. 253, in www.associazionedeicostituzionalisti.osservatorio.it, 2020, n. 2; M. Bortolato, Il futuro rientro nella società non può essere negato a chi non collabora, ma la strada è ancora lunga, in Diritto penale e processo, 2020, 632; R. De Vito, Mancata collaborazione e permessi premio: cade il muro della presunzione assoluta, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, 349; G. Dodaro, L’onere di collaborazione con la giustizia per l’accesso ai permessi premio ‘ex’ art. 4-bis, comma 1, ord. penit. di fronte alla Costituzione, ivi, 2020, 259; M.R. Donnarumma, La funzione rieducativa della pena e l’ergastolo “ostativo”, in www.giurisprudenzapenale.com, 2020; M. Pelissero, Permessi premio e reati ostativi. Condizioni, limiti e potenzialità di sviluppo della sent. 253/2019 della Corte costituzionale, in La legislazione penale, 30.3.2020.

[9] D. Alighieri, Divina Commedia. Inferno, Canto XIV: «Indi venimmo al fine ove si parte lo secondo giron dal terzo, e dove si vede di giustizia orribil arte».

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