Vincenzo Giordano*
L’ingente quantità tra disposizione e norme: le Sezioni Unite confermano i criteri gurisprudenziali. Nota a prima lettura di Cass. Sez. Un., 30 gennaio 2020 (dep. 12 maggio 2020), n.14722.
Cass. Sez. Un., 30 gennaio 2020 (dep. 12 maggio 2020), n.14722
- A distanza di circa otto anni, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono tornate a pronunciarsi sui parametri per ritenere configurata l’aggravante dell’ingente quantità, prevista dall’art. 80 co. 2 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
La questione assume una evidente rilevanza effettuale, vista l’incidenza ponderale della circostanza aggravante in questione sul surplus sanzionatorio.
Il quesito rimesso all’organo di nomofilachia, tuttavia, assume un interesse specifico perché la sezione rimettente non chiede alle Sezioni Unite di dirimere un contrasto interpretativo avente ad oggetto una disposizione normativa, bensì di valutare l’attuale validità dei criteri determinati dalle Sezioni Unite n. 36258 del 24 maggio 2012, Biondi, per l’individuazione della soglia oltre la quale è configurabile la circostanza aggravante dell’ingente quantità e, con specifico riferimento alle c.d. droghe leggere, di dichiarare se tale soglia resti fissata in 2 kg di principio attivo.
Illustreremo di seguito la questione rimessa alle Sezioni Unite ed il percorso argomentativo adoperato dalla Corte per sancire l’attuale validità dei criteri individuati nalla sent. Biondi, per limitarci poi a qualche osservazione a primissima lettura, in particolare attinente al rapporto con il principio di legalità di un simile meccanismo, riservando ad un secondo momento una più approfondita riflessione.
- Con ordinanza del 10 settembre 2019 (dep. 19 settembre 2019), n. 38635, la quarta Sezione penale della Corte di Cassazione ha investito le Sezioni Unite della seguente questione di diritto: «Se, con riferimento alle c.d. ‘droghe leggere’, la modifica del sistema tabellare realizzata per effetto del d.l. 20 marzo 2014 n. 36 convertito con modificazioni nella legge 16 maggio 2014, n. 79, imponga una nuova verifica in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’applicazione della circostanza aggravante di ingente quantità, in considerazione dell’accresciuto tasso di modulazione normativa, oppure mantengano validità, per effetto della espressa reintroduzione della nozione di quantità massima detenibile, ai sensi del comma 1 bis dell’art. 75 d.P.R. 309 del 1990 e ss.mm.ii., i criteri basati sul rapporto tra quantità di principio attivo e valore massimo tabellarmente detenibile di cui alla sentenza delle SS.UU. n. 36258 del 24 maggio 2012, Biondi, Rv. 253150».
Come noto, la sent. SS.UU. n. 36258/2012[1], all’esito di un articolato iter motivazionale (apparentemente) improntato al canone di interpretazione conforme al principio costituzionale di determinatezza e al rispetto di ineludibili esigenze di ragionevolezza, aveva stabilito che l’aggravante dell’ingente quantità «non è di norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2000 volte il valore massimo in milligrammi (valore-soglia), determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice del merito, quando tale quantità sia superata».
Nell’ordinanza di rimessione si legge come il principio di diritto appena riportato fosse riferibile ad un quadro normativo «affatto diverso dall’attuale, ossia in epoca antecedente alla nota sentenza della Corte Costituzionale n.32/2014, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge Fini-Giovanardi».
Atteso il mutamento dell’assetto legislativo in materia di traffico illecito di stupefacenti, è necessario interrogarsi, secondo i giudici remittenti, sulla persistente validità dei criteri individuati dalle SS.UU..
Ebbene, sul punto si sono confrontati due orientamenti.
Per un primo indirizzo[2], l’attuale rimodulazione dello schema sanzionatorio, con la reviviscenza della distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, nonché con la configurazione di un reato autonomo per l’ipotesi del fatto di lieve entità, ha determinato un quadro normativo del tutto differente rispetto a quello con il quale si erano in passato confrontate le Sezioni Unite, cosicché appare difficilmente conciliabile un criterio aritmetico fisso con “l’accresciuto tasso di modulazione normativa”.
Per un secondo orientamento, invece, per effetto dell’espressa reintroduzione della nozione di quantità massima detenibile ai sensi del co. 1-bis dell’arti. 75 D.P. R. n. 309/1990, come modificato dalla l. 16 maggio 2014 n. 79, di conversione, con modif., del d.l. 20 marzo 2014 n. 36, mantengono validità i criteri enunciati dalla sent. SS.UU. n. 36258/2012,basati sul rapporto tra quantità di principio attivo e valore massimo tabellarmente detenibile, al fine di verificare la sussistenza della circostanza aggravante dell’ingente quantità[3].
Ciò premesso, la quarta Sezione chiedeva dunque alle Sezioni Unite di pronunciarsi sulla persistente vigenza del criterio aritmetico individuato nel 2012 dalle Sezioni Unite, con un quesito che assume quasi il valore di una richiesta di interpretazione autentica.
- Nel rispondere al quesito, le Sezioni Unite muovono da una ricostruzione storica della giurisprudenza di legittimità relativa all’aggravante dell’ingente quantità ed al relativo quadro normativo in materia di stupefacenti.
Ed invero, la sent. SS.UU. n. 36258/2012 aveva posto fine ad un contrasto interpretativo sorto nella giurisprudenza di legittimità dopo le statuizioni rese sempre dalle Sezioni Unite con la sent. n. 17 del 21 giugno 2000, Primavera, in cui era stato affermato il principio secondo cui la circostanza aggravante speciale dell’ingente quantità ricorre ogni qual volta «il quantitativo di sostanza oggetto di imputazione, pur non raggiungendo valori massimi, sia tale da creare condizioni di agevolazione del consumo nei riguardi di un rilevante numero di tossicofili, secondo l’apprezzamento del giudice di merito che, vivendo la realtà sociale del comprensorio territoriale nel quale opera, è da ritenersi in grado di apprezzare specificamente la ricorrenza di tale circostanza».
Attraverso un simile parametro, si cercava di superare l’incerta nozione di “saturazione di un mercato illecito”, in precedenza invalsa nella giurisprudenza di merito, facendo leva sulla conoscenza del giudice del proprio territorio, affidandosi, in questo modo, impropriamente alle cognizioni empiriche dell’organo giudicante.
La giurisprudenza successiva per lungo tempo si è conformata al dictum delle Sezioni Unite, senza che l’entrata vigore nel 2006 della l. cd. Fini – Giovanardi, con la parificazione tra droghe leggere e pesanti, modificasse in alcun modo il già indicato orientamento.
Com’è noto, la legge in questione aveva attribuito ad un decreto del Ministro della salute (d.m. 11 aprile 2006) e all’elenco ad esso allegato il compito di fissare i limiti quantitativi massimi delle sostanze stupefacenti e psicotrope riferibili ad un uso personale esclusivo, con conseguente irrilevanza penale della condotta.
È soltanto nel 2010[4] che vengono mosse le prime critiche alla sent. SS.UU. n.17/2000, giudicata foriera di intollerabili distinzioni territoriali, di opinabilità di valutazioni e di violazione del canone di determinatezza della fattispecie penale.
Le ineludibili esigenze di oggettività e uniformità condussero la sesta Sezione penale a privilegiare i dati derivanti dall’esperienza giudiziaria della Corte di Cassazione, la quale poteva usufruire di una rappresentazione casistica nazionale, grazie alla quale si stabilì come, ai fini del riconoscimento della circostanza aggravante dell’ingente quantità, non potessero definirsi tali i quantitativi di droghe pesanti o leggere che, sulla base di una percentuale media di principio attivo per tipo di sostanza, siano rispettivamente al di sotto dei limiti di 2 kg o 50 kg.
Si giunse ad una simile soluzione valorizzando il criterio dei possibili fruitori finali, avulso dal mercato territoriale, ed il dato ponderale relativo allo stupefacente, considerato in relazione alla qualità della sostanza e specificato in relazione al grado di purezza.
Stante, tuttavia, la presenza di una copiosa giurisprudenza di legittimità che ancora si conformava ai dettami della sent. SS.UU. n.17/2000, si rese necessario un nuovo intervento delle Sezioni Unite, culminato appunto nella SS.UU. n. 36258/2012.
Nella suddetta sentenza l’organo di nomofilachia ritenne di dover rinvenire una soluzione coerente con il sottosistema normativo in materia di stupefacenti, valorizzando così il citato dato normativo di cui all’art. 73 co. 1-bis del d.P.R. n. 309/1990, il quale rinviava ad un decreto del Ministro della Salute l’individuazione, per ogni sostanza stupefacente, di una soglia massima di principio attivo detenibile, generata dalla moltiplicazione del valore della dose media singola, espresso in milligrammi, per un fattore moltiplicatore, variabile in base alle caratteristiche di ogni sostanza.
Per esigenze di simmetria normativa e di coerenza teleologica, le Sezioni Unite deducevano la necessità di individuare anche un limite quantitativo per la determinazione del concetto di ingente quantità.
Di conseguenza, assumendo come riferimento il valore soglia previsto dalla tabella allegata al decreto ministeriale dell’11 aprile 2006, le Sezioni Unite ritennero di individuare, attraverso l’analisi dei dati empirici relativi al traffico di sostanze stupefacenti a disposizione del Massimario della Corte, il limite di 2000 volte il valore soglia espresso in milligrammi di principio attivo detenibile per ogni sostanza stupefacente (750 mg per la cocaina, 250 mg per l’eroina, 1000 mg per l’hashish e la marijuana).
A detta della Corte una simile operazione, a carattere empirico e suscettibile di modifiche e adeguamenti nel corso del tempo, soddisfa esigenze di proporzionalità, ragionevolezza ed equità, non usurpando alcuna funzione legislativa, in quanto non si tratta di un automatismo sanzionatorio, potendo il giudice del merito valorizzare taluni tratti distintivi del caso concreto per escludere, nonostante il superamento della soglia, l’applicazione della circostanza aggravante.
I principi espressi dalle Sezioni Unite nella sent. n. 36258/2012 sono stati repentinamente messi in discussione all’indomani della nota sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2014, con la quale è stata dichiarata illegittima la legge “Fini – Giovanardi” per eccesso di delega, con conseguente reviviscenza della precedente disciplina.
Ciononostante, il legislatore è nuovamente intervenuto con il d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito con l. 16 marzo 2014, n. 79, il quale ha modificato gli artt. 13 e 14 d.P..R n. 309/1990, ripristinando la distinzione normativa tra droghe leggere e pesanti.
La disciplina in precedenza contenuta nel già citato art. 73 co. 1-bis è stata trasposta nell’art. 75, senza che, tuttavia, sia stata prevista alcuna modifica sostanziale; ed invero, ai fini dell’accertamento della destinazione ad uso esclusivamente personale deve tenersi conto del dato oggettivo del superamento dei limiti massimi di principio attivo indicati con decreto emanato dal Ministro della salute.
Con apposita disciplina transitoria, infine, il d.l. n. 36/2014 ha previsto la perdurante efficacia del decreto del Ministro della salute del 2006.
Il mutamento del quadro normativo ha generato il contrasto giurisprudenziale segnalato in apertura del presente commento, cosicché, per l’ennesima volta, la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite.
- Le Sezioni Unite ribadiscono la validità dei criteri individuati nella sent. SS.UU. n. 36258/2012, aderendo così al secondo degli orientamenti esposti.
Il punto nodale del percorso motivazionale della sentenza riguarda la confutazione del presupposto su cui si fonda il primo orientamento, rimasto minoritario, ossia una asserita correlazione tra il mutamento del quadro legislativo scaturito con la sent. della Corte Cost. n.32/2014 ed il sistema tabellare introdotto dalla c.d. legge Fini – Giovanardi.
Fin dal 1954, infatti, secondo la Corte, la materia degli stupefacenti è stata caratterizzata da un sistema tabellare, sul quale non ha minimamente inciso la cd. legge Fini – Giovanardi, la quale si è limitata ad unificare la risposta sanzionatoria verso le condotte aventi ad oggetto droghe leggere o pesanti.
Ed infatti, in alcun modo la promulgazione della suddetta legge aveva influenzato giurisprudenza successiva alla sent. SS.UU. n.17/2000.
Sul punto, tuttavia, le Sezioni Unite decidono di dirimere un equivoco ritenuto spesso presente nelle decisioni della giurisprudenza di legittimità, ovvero la confusione del sistema tabellare disciplinato dagli artt. 13 e 14 d.P.R. n. 309/1990, con il sottosistema concernente l’individuazione dei limiti quantitativi massimi delle sostanze stupefacenti e psicotrope riferibili ad un uso esclusivamente personale.
Nel dettaglio, le tabelle individuate dagli artt. 13 e 14 concernono esclusivamente l’individuazione delle sostanze vietate; l’elenco, invece, allegato al decreto ministeriale previsto dall’art. 73 co. 1 bis nel testo introdotto dalla legge cd. Fini – Giovanardi, ed oggi traslato nell’art. 75, assume la diversa funzione relativa all’indicazione normativa della quantità massima di principio attivo detenibile per uso personale.
Come già anticipato, anche a seguito del d.l. n. 36/2014 tale sistema tabellare è rimasto invariato, avendo il legislatore addirittura previsto la reviviscenza degli atti amministrativi adottati ai sensi del d.P.R. n. 309/1990 fino alla data di pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale.
Esclusa, pertanto, la presunta rimodulazione normativa, almeno ai fini della circostanza aggravante dell’ingente quantità, le Sezioni Unite escludono la conseguenza che l’orientamento minoritario deduceva, ossia l’inammissibilità di un sistema aritmetico di integrazione dell’aggravante.
La base sostanziale e formale della sent. SS.UU. n. 36258/2012, quindi, è rimasta invariata, motivo per il quale non sorgono motivi validi per porre in discussione i criteri ivi individuati.
Ciò statuito, la Corte affronta l’ulteriore questione concernente l’individuazione dei fattori della moltiplicazione il cui prodotto determina il confine inferiore dell’ingente quantità nelle ipotesi concernenti le droghe leggere.
La problematica è sorta perché le SS.UU. n. 36258/2012 indicavano un valore soglia per le droghe leggere pari a 1.000 mg, traendolo erroneamente dal citato elenco allegato al d.m. 11 aprile 2006, che moltiplicato per 2000 fornisce il parametro dei 2 kg necessari per realizzare un ingente quantità rispetto alle droghe leggere.
Ed invero, il d.m. 4 agosto 2006 aveva individuato proprio in 1.000 mg il valore soglia di THC; tuttavia, tale decreto è stato annullato per motivi formali dal TAR Lazio con sent. n. 2487 del 21 marzo 2007. Di conseguenza, la disciplina anteriore, che fissava tale valore in 500 mg, era tornata in vigore, senza che le Sezioni Unite potessero prevederlo.
Le Sezioni Unite ritengono, tuttavia, irrilevante l’errore nel testo della sent. . SS.UU. n. 36258/2012.
Secondo la Corte, infatti, la sentenza individua in primis la quantità definita ingente e soltanto dopo declina i fattori della moltiplicazione. Pertanto, l’errore di lettura dei dati del d.m. 11 aprile 2006 non inficia la conclusione cui erano giunte le Sezioni Unite nel 2012, e ciò che oggi deve essere corretto sono soltanto i fattori del calcolo.
In altri termini, «il risultato aderente all’esito dell’indagine induttiva delle Sezioni Unite cristallizzato nella sentenza Biondi è che la soglia minima perché si possa intendere ingente una quantità di droga leggera e di 2 kg di principio attivo».
Un simile ragionamento, tuttavia, appare fortemente problematico non solo perché sembra dequalificare del tutto il procedimento ermeneutico in favore del risultato, ma anche perché soltanto la stabilità dei fattori, ed in particolare del moltiplicatore, consente di raggiungere l’agognata stabilità delle decisioni giudiziarie, soprattutto qualora variasse taluno degli indicatori delle tabelle ministeriali[5].
All’esito delle motivazioni, le Sezioni Unite ritengono necessario fornire una precisazione relativa alla definizione della dose soglia come quantitativo di principio attivo che può essere detenuto in un solo giorno; tale precisazione si rende necessaria per fornire un criterio di ausilio al giudice di merito nella sua residua discrezionalità valutativa.
In particolare, secondo la Corte, la figura giuridica della “dose media giornaliera”, a seguito del referendum popolare del 1993, è del tutto estranea al nostro sistema normativo. Ad oggi la figura fondamentale è quella della dose media singola, intesa come quantità di principio attivo per singola soluzione idonea a produrre in un soggetto assuntore un effetto stupefacente e psicotropo.
A questa si affianca la figura della dose soglia, vale a dire la quantità massima detenibile, la quale è data dall’incremento della dose media singola in base a un moltiplicatore variabile in relazione alle caratteristiche di ciascuna sostanza.
Ed è proprio la dose soglia che individua la quantità massima detenibile e prescinde dalla frequenza delle assunzioni, motivo per il quale è tollerabile, diversamente da quanto sostenuto in alcune sentenze di legittimità, un accumulo per più giorni destinato all’uso personale.
- Alla pronuncia in commento va riconosciuto l’indiscutibile merito di aver garantito un’uniformità degli orientamenti giurisprudenziali, attraverso la declinazione di un parametro chiaro e preciso, stabilizzando un precedente giurisprudenziale anche al cospetto di un mutato quadro legislativo.
Eppure, proprio il merito si trasforma nel maggiore dei limiti di questa sentenza.
Ed invero, la Corte ha sacrificato sull’altare del principio della prevedibilità delle decisioni giudiziarie, oggi molto di moda, il principio di legalità, nei suoi due versanti della riserva di legge e della determinatezza.
In dottrina[6], in sede di commento dell’ordinanza di remissione, era stata invocata la possibilità che la Corte sollevasse una questione di legittimità costituzionale dell’art. 80 d.P.R. n. 309/1990, così come interpretato dal diritto vivente, per contrasto con l’art. 25 co.2 Cost.
Non si ignora come ad un simile incidente di costituzionalità, in caso di esito positivo, consegua una declaratoria secca di incostituzionalità dell’art. 80, che avrebbe effetti notevoli su tutti i processi in corso e sulle decisioni passate.
Si addiviene a tale conclusione anche perché l’orientamento minoritario non era stato in grado di elaborare alcun criterio alternativo per accertare la sussistenza dell’ingente quantità.
Ciononostante, ad apparire fortemente problematica è proprio l’impostazione per la quale, in presenza di un dato normativo monco, possa sopperire una giurisprudenza sostanzialmente creatrice, in nome della stabilità delle decisioni giudiziarie.
La necessità di una precostituzione della regola giuridica, che possa dimostrarsi accettabile ex ante e non al termine dell’argomentazione del giudice, impone la ricerca di limiti diversi, capaci di garantire una declinazione congiunta delle rationes del principio di legalità, in particolare della separazione dei poteri e della libertà di autodeterminazione del singolo.
Nella dinamica penalistica, fuori dal testo vi sono soltanto arbitrio e violenza. Il testo delimita l’ambito della punibilità, individua i presupposti di operatività della pena, autorizza la lesione di un bene di rango costituzionale, quale la libertà personale.
Sono tre i paradigmi costituzionali che impongono una diversa considerazione del testo: il principio di legalità, il suo corollario della determinatezza[7], e il principio di frammentarietà.
Il testo deve essere previsto dall’organo parlamentare, detentore della sovranità popolare e luogo in cui si manifesta la dialettica tra maggioranza e minoranza; deve essere preciso, chiaro, espresso attraverso il medesimo linguaggio del cittadino; ed il legislatore deve ritagliare determinate modalità di aggressione al bene giuridico.
Nell’impostazione giuridica sottesa, invece, all’operazione elaborata dalla Sezioni Unite, debitrice, sotto tale profilo, di orientamenti europei, il principio di legalità non esige più che sia il legislatore a definire i confini della fattispecie penale: la legalità sub specie determinatezza perde di consistenza e confluisce nella generica istanza di prevedibilità delle decisioni giudiziarie. Il baricentro penale si sposta dalla disposizione alla norma, dal testo al contesto, dalla precisione alla ricezione, dalla legge al giudice.
A parere di chi scrive, tuttavia, seppur meritevoli di considerazione, i principi di accessibilità della fattispecie penale e di prevedibilità della decisione giudiziaria, intanto assumono un valore, in quanto siano in primis rispettati i principi costituzionali relativi alla disposizione normativa, quali determinazione, tassatività e riconoscibilità.
In particolare, quest’ultimo principio, individuato dalla Corte Costituzionale nella storica sentenza n.364/1988 quale trait d’union tra il principio di legalità ed il principio di personalità della responsabilità penale, trova il proprio referente nella disposizione legislativa e non nella norma quale prodotto dell’atto ermeneutico.
Ed allora le legittime istanze di prevedibilità delle decisioni giudiziarie devono trovare tutela soltanto a condizione che sia primariamente rispettata l’esigenza democratica sottostante al principio di legalità formale. Perché senza disposizione, non vi può essere alcuna norma valida.
Di conseguenza, l’unica soluzione che consente di coniugare legalità e prevedibilità è quella di una modifica normativa dell’art. 80 d.P.R. n.309/1990, che indichi almeno un parametro di riferimento per la valutazione del giudice.
* Giudice presso il Tribunale di Pavia; Dottore di ricerca presso l’Università degli studi di Napoli Federico II.
[1] Per un commento v. A. Chibelli, La “ingente quantità” di stupefacenti: la “storia senza fine” di un’aggravante al bivio tra legalità in the books e legalità in action, in Dir. pen. cont. – Riv. Trim., n. 2/2017, p. 149 ss.
[2] Il leading case è individuato in Cass. Pen., Sez. III, n. 25176 del 21 maggio 2014.
[3] Da ultimo, Cass. Pen., Sez. IV, n. 35671 del 18 giugno 2019.
[4] Con la sent. Cass. Pen., Sez. VI, n. 20119 del 2 marzo 2010.
[5] In tal senso C. Bray, Le Sezioni unite stabiliscono in 2 kg di principio attivo il valore oltre cui è integrata l’aggravante dell’ingente quantità di droghe “Leggere”. Law in action o vulnus alla riserva di legge penale?, in www.sistemapenale.it, 18 maggio 2020.
[6] Il riferimento è a C. Bray, La sopravvivenza dell’aggravante di “ingente quantità” di sostanza stupefacente ex art. 80 co. 2 D.P.R. N. 309/1990 rimessa al vaglio delle Sezioni Unite, in www.sistemapenale.it, 28 gennaio 2020.
[7] Per una magistrale analisi del principio, v. per tutti S. Moccia, La promessa non mantenuta. Ruolo e prospettive del principio di determinatezza/tassatività nel sistema penale italiano, Napoli 2001, p. 1 ss.
L’ingente quantità tra disposizione e norme: le Sezioni Unite confermano i criteri gurisprudenziali
Vincenzo Giordano*
L’ingente quantità tra disposizione e norme: le Sezioni Unite confermano i criteri gurisprudenziali. Nota a prima lettura di Cass. Sez. Un., 30 gennaio 2020 (dep. 12 maggio 2020), n.14722.
Cass. Sez. Un., 30 gennaio 2020 (dep. 12 maggio 2020), n.14722
La questione assume una evidente rilevanza effettuale, vista l’incidenza ponderale della circostanza aggravante in questione sul surplus sanzionatorio.
Il quesito rimesso all’organo di nomofilachia, tuttavia, assume un interesse specifico perché la sezione rimettente non chiede alle Sezioni Unite di dirimere un contrasto interpretativo avente ad oggetto una disposizione normativa, bensì di valutare l’attuale validità dei criteri determinati dalle Sezioni Unite n. 36258 del 24 maggio 2012, Biondi, per l’individuazione della soglia oltre la quale è configurabile la circostanza aggravante dell’ingente quantità e, con specifico riferimento alle c.d. droghe leggere, di dichiarare se tale soglia resti fissata in 2 kg di principio attivo.
Illustreremo di seguito la questione rimessa alle Sezioni Unite ed il percorso argomentativo adoperato dalla Corte per sancire l’attuale validità dei criteri individuati nalla sent. Biondi, per limitarci poi a qualche osservazione a primissima lettura, in particolare attinente al rapporto con il principio di legalità di un simile meccanismo, riservando ad un secondo momento una più approfondita riflessione.
Come noto, la sent. SS.UU. n. 36258/2012[1], all’esito di un articolato iter motivazionale (apparentemente) improntato al canone di interpretazione conforme al principio costituzionale di determinatezza e al rispetto di ineludibili esigenze di ragionevolezza, aveva stabilito che l’aggravante dell’ingente quantità «non è di norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2000 volte il valore massimo in milligrammi (valore-soglia), determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice del merito, quando tale quantità sia superata».
Nell’ordinanza di rimessione si legge come il principio di diritto appena riportato fosse riferibile ad un quadro normativo «affatto diverso dall’attuale, ossia in epoca antecedente alla nota sentenza della Corte Costituzionale n.32/2014, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge Fini-Giovanardi».
Atteso il mutamento dell’assetto legislativo in materia di traffico illecito di stupefacenti, è necessario interrogarsi, secondo i giudici remittenti, sulla persistente validità dei criteri individuati dalle SS.UU..
Ebbene, sul punto si sono confrontati due orientamenti.
Per un primo indirizzo[2], l’attuale rimodulazione dello schema sanzionatorio, con la reviviscenza della distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, nonché con la configurazione di un reato autonomo per l’ipotesi del fatto di lieve entità, ha determinato un quadro normativo del tutto differente rispetto a quello con il quale si erano in passato confrontate le Sezioni Unite, cosicché appare difficilmente conciliabile un criterio aritmetico fisso con “l’accresciuto tasso di modulazione normativa”.
Per un secondo orientamento, invece, per effetto dell’espressa reintroduzione della nozione di quantità massima detenibile ai sensi del co. 1-bis dell’arti. 75 D.P. R. n. 309/1990, come modificato dalla l. 16 maggio 2014 n. 79, di conversione, con modif., del d.l. 20 marzo 2014 n. 36, mantengono validità i criteri enunciati dalla sent. SS.UU. n. 36258/2012,basati sul rapporto tra quantità di principio attivo e valore massimo tabellarmente detenibile, al fine di verificare la sussistenza della circostanza aggravante dell’ingente quantità[3].
Ciò premesso, la quarta Sezione chiedeva dunque alle Sezioni Unite di pronunciarsi sulla persistente vigenza del criterio aritmetico individuato nel 2012 dalle Sezioni Unite, con un quesito che assume quasi il valore di una richiesta di interpretazione autentica.
Ed invero, la sent. SS.UU. n. 36258/2012 aveva posto fine ad un contrasto interpretativo sorto nella giurisprudenza di legittimità dopo le statuizioni rese sempre dalle Sezioni Unite con la sent. n. 17 del 21 giugno 2000, Primavera, in cui era stato affermato il principio secondo cui la circostanza aggravante speciale dell’ingente quantità ricorre ogni qual volta «il quantitativo di sostanza oggetto di imputazione, pur non raggiungendo valori massimi, sia tale da creare condizioni di agevolazione del consumo nei riguardi di un rilevante numero di tossicofili, secondo l’apprezzamento del giudice di merito che, vivendo la realtà sociale del comprensorio territoriale nel quale opera, è da ritenersi in grado di apprezzare specificamente la ricorrenza di tale circostanza».
Attraverso un simile parametro, si cercava di superare l’incerta nozione di “saturazione di un mercato illecito”, in precedenza invalsa nella giurisprudenza di merito, facendo leva sulla conoscenza del giudice del proprio territorio, affidandosi, in questo modo, impropriamente alle cognizioni empiriche dell’organo giudicante.
La giurisprudenza successiva per lungo tempo si è conformata al dictum delle Sezioni Unite, senza che l’entrata vigore nel 2006 della l. cd. Fini – Giovanardi, con la parificazione tra droghe leggere e pesanti, modificasse in alcun modo il già indicato orientamento.
Com’è noto, la legge in questione aveva attribuito ad un decreto del Ministro della salute (d.m. 11 aprile 2006) e all’elenco ad esso allegato il compito di fissare i limiti quantitativi massimi delle sostanze stupefacenti e psicotrope riferibili ad un uso personale esclusivo, con conseguente irrilevanza penale della condotta.
È soltanto nel 2010[4] che vengono mosse le prime critiche alla sent. SS.UU. n.17/2000, giudicata foriera di intollerabili distinzioni territoriali, di opinabilità di valutazioni e di violazione del canone di determinatezza della fattispecie penale.
Le ineludibili esigenze di oggettività e uniformità condussero la sesta Sezione penale a privilegiare i dati derivanti dall’esperienza giudiziaria della Corte di Cassazione, la quale poteva usufruire di una rappresentazione casistica nazionale, grazie alla quale si stabilì come, ai fini del riconoscimento della circostanza aggravante dell’ingente quantità, non potessero definirsi tali i quantitativi di droghe pesanti o leggere che, sulla base di una percentuale media di principio attivo per tipo di sostanza, siano rispettivamente al di sotto dei limiti di 2 kg o 50 kg.
Si giunse ad una simile soluzione valorizzando il criterio dei possibili fruitori finali, avulso dal mercato territoriale, ed il dato ponderale relativo allo stupefacente, considerato in relazione alla qualità della sostanza e specificato in relazione al grado di purezza.
Stante, tuttavia, la presenza di una copiosa giurisprudenza di legittimità che ancora si conformava ai dettami della sent. SS.UU. n.17/2000, si rese necessario un nuovo intervento delle Sezioni Unite, culminato appunto nella SS.UU. n. 36258/2012.
Nella suddetta sentenza l’organo di nomofilachia ritenne di dover rinvenire una soluzione coerente con il sottosistema normativo in materia di stupefacenti, valorizzando così il citato dato normativo di cui all’art. 73 co. 1-bis del d.P.R. n. 309/1990, il quale rinviava ad un decreto del Ministro della Salute l’individuazione, per ogni sostanza stupefacente, di una soglia massima di principio attivo detenibile, generata dalla moltiplicazione del valore della dose media singola, espresso in milligrammi, per un fattore moltiplicatore, variabile in base alle caratteristiche di ogni sostanza.
Per esigenze di simmetria normativa e di coerenza teleologica, le Sezioni Unite deducevano la necessità di individuare anche un limite quantitativo per la determinazione del concetto di ingente quantità.
Di conseguenza, assumendo come riferimento il valore soglia previsto dalla tabella allegata al decreto ministeriale dell’11 aprile 2006, le Sezioni Unite ritennero di individuare, attraverso l’analisi dei dati empirici relativi al traffico di sostanze stupefacenti a disposizione del Massimario della Corte, il limite di 2000 volte il valore soglia espresso in milligrammi di principio attivo detenibile per ogni sostanza stupefacente (750 mg per la cocaina, 250 mg per l’eroina, 1000 mg per l’hashish e la marijuana).
A detta della Corte una simile operazione, a carattere empirico e suscettibile di modifiche e adeguamenti nel corso del tempo, soddisfa esigenze di proporzionalità, ragionevolezza ed equità, non usurpando alcuna funzione legislativa, in quanto non si tratta di un automatismo sanzionatorio, potendo il giudice del merito valorizzare taluni tratti distintivi del caso concreto per escludere, nonostante il superamento della soglia, l’applicazione della circostanza aggravante.
I principi espressi dalle Sezioni Unite nella sent. n. 36258/2012 sono stati repentinamente messi in discussione all’indomani della nota sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2014, con la quale è stata dichiarata illegittima la legge “Fini – Giovanardi” per eccesso di delega, con conseguente reviviscenza della precedente disciplina.
Ciononostante, il legislatore è nuovamente intervenuto con il d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito con l. 16 marzo 2014, n. 79, il quale ha modificato gli artt. 13 e 14 d.P..R n. 309/1990, ripristinando la distinzione normativa tra droghe leggere e pesanti.
La disciplina in precedenza contenuta nel già citato art. 73 co. 1-bis è stata trasposta nell’art. 75, senza che, tuttavia, sia stata prevista alcuna modifica sostanziale; ed invero, ai fini dell’accertamento della destinazione ad uso esclusivamente personale deve tenersi conto del dato oggettivo del superamento dei limiti massimi di principio attivo indicati con decreto emanato dal Ministro della salute.
Con apposita disciplina transitoria, infine, il d.l. n. 36/2014 ha previsto la perdurante efficacia del decreto del Ministro della salute del 2006.
Il mutamento del quadro normativo ha generato il contrasto giurisprudenziale segnalato in apertura del presente commento, cosicché, per l’ennesima volta, la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite.
Il punto nodale del percorso motivazionale della sentenza riguarda la confutazione del presupposto su cui si fonda il primo orientamento, rimasto minoritario, ossia una asserita correlazione tra il mutamento del quadro legislativo scaturito con la sent. della Corte Cost. n.32/2014 ed il sistema tabellare introdotto dalla c.d. legge Fini – Giovanardi.
Fin dal 1954, infatti, secondo la Corte, la materia degli stupefacenti è stata caratterizzata da un sistema tabellare, sul quale non ha minimamente inciso la cd. legge Fini – Giovanardi, la quale si è limitata ad unificare la risposta sanzionatoria verso le condotte aventi ad oggetto droghe leggere o pesanti.
Ed infatti, in alcun modo la promulgazione della suddetta legge aveva influenzato giurisprudenza successiva alla sent. SS.UU. n.17/2000.
Sul punto, tuttavia, le Sezioni Unite decidono di dirimere un equivoco ritenuto spesso presente nelle decisioni della giurisprudenza di legittimità, ovvero la confusione del sistema tabellare disciplinato dagli artt. 13 e 14 d.P.R. n. 309/1990, con il sottosistema concernente l’individuazione dei limiti quantitativi massimi delle sostanze stupefacenti e psicotrope riferibili ad un uso esclusivamente personale.
Nel dettaglio, le tabelle individuate dagli artt. 13 e 14 concernono esclusivamente l’individuazione delle sostanze vietate; l’elenco, invece, allegato al decreto ministeriale previsto dall’art. 73 co. 1 bis nel testo introdotto dalla legge cd. Fini – Giovanardi, ed oggi traslato nell’art. 75, assume la diversa funzione relativa all’indicazione normativa della quantità massima di principio attivo detenibile per uso personale.
Come già anticipato, anche a seguito del d.l. n. 36/2014 tale sistema tabellare è rimasto invariato, avendo il legislatore addirittura previsto la reviviscenza degli atti amministrativi adottati ai sensi del d.P.R. n. 309/1990 fino alla data di pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale.
Esclusa, pertanto, la presunta rimodulazione normativa, almeno ai fini della circostanza aggravante dell’ingente quantità, le Sezioni Unite escludono la conseguenza che l’orientamento minoritario deduceva, ossia l’inammissibilità di un sistema aritmetico di integrazione dell’aggravante.
La base sostanziale e formale della sent. SS.UU. n. 36258/2012, quindi, è rimasta invariata, motivo per il quale non sorgono motivi validi per porre in discussione i criteri ivi individuati.
Ciò statuito, la Corte affronta l’ulteriore questione concernente l’individuazione dei fattori della moltiplicazione il cui prodotto determina il confine inferiore dell’ingente quantità nelle ipotesi concernenti le droghe leggere.
La problematica è sorta perché le SS.UU. n. 36258/2012 indicavano un valore soglia per le droghe leggere pari a 1.000 mg, traendolo erroneamente dal citato elenco allegato al d.m. 11 aprile 2006, che moltiplicato per 2000 fornisce il parametro dei 2 kg necessari per realizzare un ingente quantità rispetto alle droghe leggere.
Ed invero, il d.m. 4 agosto 2006 aveva individuato proprio in 1.000 mg il valore soglia di THC; tuttavia, tale decreto è stato annullato per motivi formali dal TAR Lazio con sent. n. 2487 del 21 marzo 2007. Di conseguenza, la disciplina anteriore, che fissava tale valore in 500 mg, era tornata in vigore, senza che le Sezioni Unite potessero prevederlo.
Le Sezioni Unite ritengono, tuttavia, irrilevante l’errore nel testo della sent. . SS.UU. n. 36258/2012.
Secondo la Corte, infatti, la sentenza individua in primis la quantità definita ingente e soltanto dopo declina i fattori della moltiplicazione. Pertanto, l’errore di lettura dei dati del d.m. 11 aprile 2006 non inficia la conclusione cui erano giunte le Sezioni Unite nel 2012, e ciò che oggi deve essere corretto sono soltanto i fattori del calcolo.
In altri termini, «il risultato aderente all’esito dell’indagine induttiva delle Sezioni Unite cristallizzato nella sentenza Biondi è che la soglia minima perché si possa intendere ingente una quantità di droga leggera e di 2 kg di principio attivo».
Un simile ragionamento, tuttavia, appare fortemente problematico non solo perché sembra dequalificare del tutto il procedimento ermeneutico in favore del risultato, ma anche perché soltanto la stabilità dei fattori, ed in particolare del moltiplicatore, consente di raggiungere l’agognata stabilità delle decisioni giudiziarie, soprattutto qualora variasse taluno degli indicatori delle tabelle ministeriali[5].
All’esito delle motivazioni, le Sezioni Unite ritengono necessario fornire una precisazione relativa alla definizione della dose soglia come quantitativo di principio attivo che può essere detenuto in un solo giorno; tale precisazione si rende necessaria per fornire un criterio di ausilio al giudice di merito nella sua residua discrezionalità valutativa.
In particolare, secondo la Corte, la figura giuridica della “dose media giornaliera”, a seguito del referendum popolare del 1993, è del tutto estranea al nostro sistema normativo. Ad oggi la figura fondamentale è quella della dose media singola, intesa come quantità di principio attivo per singola soluzione idonea a produrre in un soggetto assuntore un effetto stupefacente e psicotropo.
A questa si affianca la figura della dose soglia, vale a dire la quantità massima detenibile, la quale è data dall’incremento della dose media singola in base a un moltiplicatore variabile in relazione alle caratteristiche di ciascuna sostanza.
Ed è proprio la dose soglia che individua la quantità massima detenibile e prescinde dalla frequenza delle assunzioni, motivo per il quale è tollerabile, diversamente da quanto sostenuto in alcune sentenze di legittimità, un accumulo per più giorni destinato all’uso personale.
Eppure, proprio il merito si trasforma nel maggiore dei limiti di questa sentenza.
Ed invero, la Corte ha sacrificato sull’altare del principio della prevedibilità delle decisioni giudiziarie, oggi molto di moda, il principio di legalità, nei suoi due versanti della riserva di legge e della determinatezza.
In dottrina[6], in sede di commento dell’ordinanza di remissione, era stata invocata la possibilità che la Corte sollevasse una questione di legittimità costituzionale dell’art. 80 d.P.R. n. 309/1990, così come interpretato dal diritto vivente, per contrasto con l’art. 25 co.2 Cost.
Non si ignora come ad un simile incidente di costituzionalità, in caso di esito positivo, consegua una declaratoria secca di incostituzionalità dell’art. 80, che avrebbe effetti notevoli su tutti i processi in corso e sulle decisioni passate.
Si addiviene a tale conclusione anche perché l’orientamento minoritario non era stato in grado di elaborare alcun criterio alternativo per accertare la sussistenza dell’ingente quantità.
Ciononostante, ad apparire fortemente problematica è proprio l’impostazione per la quale, in presenza di un dato normativo monco, possa sopperire una giurisprudenza sostanzialmente creatrice, in nome della stabilità delle decisioni giudiziarie.
La necessità di una precostituzione della regola giuridica, che possa dimostrarsi accettabile ex ante e non al termine dell’argomentazione del giudice, impone la ricerca di limiti diversi, capaci di garantire una declinazione congiunta delle rationes del principio di legalità, in particolare della separazione dei poteri e della libertà di autodeterminazione del singolo.
Nella dinamica penalistica, fuori dal testo vi sono soltanto arbitrio e violenza. Il testo delimita l’ambito della punibilità, individua i presupposti di operatività della pena, autorizza la lesione di un bene di rango costituzionale, quale la libertà personale.
Sono tre i paradigmi costituzionali che impongono una diversa considerazione del testo: il principio di legalità, il suo corollario della determinatezza[7], e il principio di frammentarietà.
Il testo deve essere previsto dall’organo parlamentare, detentore della sovranità popolare e luogo in cui si manifesta la dialettica tra maggioranza e minoranza; deve essere preciso, chiaro, espresso attraverso il medesimo linguaggio del cittadino; ed il legislatore deve ritagliare determinate modalità di aggressione al bene giuridico.
Nell’impostazione giuridica sottesa, invece, all’operazione elaborata dalla Sezioni Unite, debitrice, sotto tale profilo, di orientamenti europei, il principio di legalità non esige più che sia il legislatore a definire i confini della fattispecie penale: la legalità sub specie determinatezza perde di consistenza e confluisce nella generica istanza di prevedibilità delle decisioni giudiziarie. Il baricentro penale si sposta dalla disposizione alla norma, dal testo al contesto, dalla precisione alla ricezione, dalla legge al giudice.
A parere di chi scrive, tuttavia, seppur meritevoli di considerazione, i principi di accessibilità della fattispecie penale e di prevedibilità della decisione giudiziaria, intanto assumono un valore, in quanto siano in primis rispettati i principi costituzionali relativi alla disposizione normativa, quali determinazione, tassatività e riconoscibilità.
In particolare, quest’ultimo principio, individuato dalla Corte Costituzionale nella storica sentenza n.364/1988 quale trait d’union tra il principio di legalità ed il principio di personalità della responsabilità penale, trova il proprio referente nella disposizione legislativa e non nella norma quale prodotto dell’atto ermeneutico.
Ed allora le legittime istanze di prevedibilità delle decisioni giudiziarie devono trovare tutela soltanto a condizione che sia primariamente rispettata l’esigenza democratica sottostante al principio di legalità formale. Perché senza disposizione, non vi può essere alcuna norma valida.
Di conseguenza, l’unica soluzione che consente di coniugare legalità e prevedibilità è quella di una modifica normativa dell’art. 80 d.P.R. n.309/1990, che indichi almeno un parametro di riferimento per la valutazione del giudice.
* Giudice presso il Tribunale di Pavia; Dottore di ricerca presso l’Università degli studi di Napoli Federico II.
[1] Per un commento v. A. Chibelli, La “ingente quantità” di stupefacenti: la “storia senza fine” di un’aggravante al bivio tra legalità in the books e legalità in action, in Dir. pen. cont. – Riv. Trim., n. 2/2017, p. 149 ss.
[2] Il leading case è individuato in Cass. Pen., Sez. III, n. 25176 del 21 maggio 2014.
[3] Da ultimo, Cass. Pen., Sez. IV, n. 35671 del 18 giugno 2019.
[4] Con la sent. Cass. Pen., Sez. VI, n. 20119 del 2 marzo 2010.
[5] In tal senso C. Bray, Le Sezioni unite stabiliscono in 2 kg di principio attivo il valore oltre cui è integrata l’aggravante dell’ingente quantità di droghe “Leggere”. Law in action o vulnus alla riserva di legge penale?, in www.sistemapenale.it, 18 maggio 2020.
[6] Il riferimento è a C. Bray, La sopravvivenza dell’aggravante di “ingente quantità” di sostanza stupefacente ex art. 80 co. 2 D.P.R. N. 309/1990 rimessa al vaglio delle Sezioni Unite, in www.sistemapenale.it, 28 gennaio 2020.
[7] Per una magistrale analisi del principio, v. per tutti S. Moccia, La promessa non mantenuta. Ruolo e prospettive del principio di determinatezza/tassatività nel sistema penale italiano, Napoli 2001, p. 1 ss.
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