Massima: E’ costituzionalmente illegittimo l’art. 79, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, nella parte in cui non consente al cittadino di uno Stato non aderente all’Unione europea di presentare, a pena di inammissibilità, una dichiarazione sostitutiva di certificazione sui redditi prodotti all’estero, qualora dimostri – nei termini sopra illustrati, ossia provando di aver compiuto tutto quanto esigibile secondo correttezza e diligenza – l’impossibilità di produrre la richiesta documentazione.
Sommario: 1. La disciplina dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato per lo straniero non appartenente all’Unione europea – 2. L’intervento additivo della Consulta sulla normativa preesistente.
1.La disciplina dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato per lo straniero non appartenente all’Unione europea
Per il cittadino extra comunitario che intenda avvalersi del patrocinio a spese dello Stato, la domanda di ammissione esige un requisito specifico, indicato nell’art. 79 comma 2 del d.P.R. n. 115 del 2002 che consiste nel supportare l’autodichiarazione di cui all’art. 79 lett. c) con una certificazione dell’autorità consolare competente, che attesti la veridicità di quanto autocertificato.
E’ ormai consolidata la giurisprudenza, capeggiata da un importante intervento della Consulta [1], nel ritenere che il contenuto di detta certificazione da parte dell’autorità consolare non debba essere una mera dichiarazione di stile, corredata da tanto di timbri consolari ma una vera e propria relazione che asseveri la verità di quanto autocertificato dall’interessato sulla base di determinati elementi, rispetto ai quali il magistrato potrà attivare eventuali controlli. Ne consegue che l’autorità consolare, al fine di un’attestazione utile all’interessato, non può limitarsi a raffrontare l’autocertificazione con i dati di cui eventualmente disponga ma, in conformità al principio di leale collaborazione tra stati, ha l’onere di verificare nel merito il contenuto dell’autocertificazione indicando gli accertamenti eseguiti[2].
L’obbligo di allegazione della predetta certificazione consolare viene attenuato con la previsione di una facoltà in capo allo straniero detenuto di depositarla nei venti giorni successivi (art. 94 comma 3) e, a prescindere dallo stato detentivo, in caso di impossibilità a produrla, di sostituirla con una ulteriore dichiarazione sostitutiva di certificazione (art. 94 comma 2). Secondo i giudici della Consulta tale ultima previsione – che consente allo straniero l’alternativa di una produzione di una dichiarazione sostitutiva di certificazione, in caso di impossibilità di ottenerla dall’autorità consolare – riguarderebbe specificamente il processo penale, stante la collocazione dell’art. 94 co. 2 (che detta facoltà contempla) sotto il titolo II del d.P.R. n. 115 del 2002 che introduce, per l’appunto, le “disposizioni particolari sul patrocinio a spese dello Stato nel processo penale”; di qui, la pronuncia additiva che ivi si commenta.
Quanto all’impossibilità di produrre la certificazione, si è precisato che, ove emerga una situazione organizzativa ed operativa degli uffici dell’autorità consolare pienamente compatibile con l’attribuzione ad essi della causa del ritardo, è assolutamente al di fuori del nostro ordinamento esigere dal richiedente l’onere della prova sullo specifico disservizio pubblico e interpretare l’impossibilità di cui all’art. 94 co. 2 del d.P.R. n. 115 del 2002 in modo da addebitare al singolo cittadino un’oggettiva responsabilità per le carenze della pubblica amministrazione del paese d’origine[3]. Inoltre, i giudici di legittimità, meglio esplicitando il contenuto delle norme richiamate, hanno ulteriormente chiarito come, nei casi di impossibilità ad allegare la certificazione dell’autorità consolare, la mancata produzione della stessa all’istanza di ammissione non è motivo di inammissibilità della domanda, fatto salvo il potere di revoca del decreto di ammissione se la certificazione non viene prodotta entro il termine previsto dall’art. 94 comma terzo d.P.R. n. 115 del 2002 ovvero se non venga documentata la ragione della sua mancata allegazione, ex art. 94 comma 2 o dell’allegazione tardiva[4].
2.L’intervento additivo della Consulta sulla normativa preesistente.
Al fine di apprezzare l’intervento additivo della Corte costituzionale nella pronuncia in questione, occorre assumere la diversa e più severa prospettiva della collocazione di alcune norme all’interno del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115. Vale a dire, se l’art. 94 co. 2 del predetto d.P.R., che facoltizza lo straniero instante, in caso di impossibilità a produrre la certificazione consolare sui propri redditi, a depositare una sorta di autocertificazione, fa parte del titolo II che individua al suo interno tutte quelle “disposizioni particolari sul patrocinio a spese dello Stato nel processo penale”, e se l’art. 94 co. 2 non è richiamato dall’art. 79 n. 2 nella parte in cui obbliga lo straniero non appartenente all’Unione di munirsi della certificazione consolare, negli altri ambiti giurisdizionali l’art. 94 co. 2 non può trovare applicazione.
Di qui l’esigenza dei giudici della Consulta di intervenire in modo additivo per riportare il contenuto dell’art. 94 co. 2 nell’ambito dell’art. 79 n. 2, norma quest’ultima collocata sotto il titolo I delle disposizioni generali sul patrocinio a spese dello Stato nel processo, civile, penale, amministrativo, contabile e tributario.
La prospettiva della Consulta è ragionevole in una lettura squisitamente restrittiva e letterale delle norme che compongono la disciplina del patrocinio a spese dello Stato.
In buona sostanza, stando all’interpretazione della Corte costituzionale, l’art. 94 co. 2, collocandosi sotto un titolo che riguarda soltanto il processo penale, non può ritenersi applicabile ad una norma, quale è l’art. 79 compresa tra le disposizioni generali nel processo, civile, penale, amministrativo, contabile e tributario.
In questa prospettiva, la presente pronuncia additiva certamente è benvenuta perché equipara, in modo espresso, situazioni che, altrimenti, sarebbero andate incontro a provvedimenti contrastanti ossia di stranieri extracomunitari che se subivano un processo penale potevano ovviare alla certificazione consolare con un’autocertificazione, in caso di impossibilità a produrre quella del consolato ma se intentavano un processo civile si trovavano esposti al rischio di non poter accedere al beneficio, se non fossero riusciti ad ottenerla.
Ora, sebbene non possa che guardarsi con favore all’intervento in questione, non può non osservarsi, tuttavia, che, al di là del pronunciamento della Consulta, già la precedente l. 134 del 2001 nonché la giurisprudenza al seguito avevano in qualche modo e per grandi linee uniformato la disciplina del patrocinio a spese dello Stato per tutti gli ambiti giurisdizionali, ferma restando la collocazione talora un po’ confusa che il legislatore ha compiuto nella trasposizione all’interno del corpo del d.P.R. n. 115 del 2002 delle norme in materia.
Non va dimenticato, infatti, che la vera legge di riforma dell’istituto del patrocinio a spese dello Stato è opera della legge 29 marzo 2001 n. 134, sulla quale il d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 (propriamente appellato testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), al di là delle apparenze, ha apportato solo qualche ritocco.
E’ alla legge n. 134 del 2001 che va riconosciuto il merito di aver esteso il beneficio agli altri ambiti giurisdizionali, oltre a quello penale e civile; la medesima legge nella regolamentazione della disciplina ha dettato delle disposizioni uniche che poi all’atto di essere trasposte nel corpo del d.P.R. n. 115 del 2002 sono state catalogate sotto capi e titoli distinti e distintamente titolati.
Pur tuttavia, molte delle norme poste sotto un capo sono state pacificamente estese dai giudici di merito ad ambiti giurisdizionali diversi da quello sotto il quale sono state collocate.
La medesima giurisprudenza testé annoverata non ha mai precisato l’ambito giurisdizionale di validità della pronuncia che andava a rendere: i giudici di legittimità hanno, da ultimo, ribadito il principio generale in virtù del quale al fine dell’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, l’imputato cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione Europea può dimostrare la sussistenza del requisito patrimoniale con la relativa autocertificazione che va a sostituire la certificazione consolare[5], senza alcuna specificazione dell’ambito processuale.
Le modalità di impugnazione del decreto di pagamento del difensore di persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato, del decreto di ammissione al beneficio e del decreto di revoca sembrano essere le medesime sia nell’ambito del processo penale che in quello civile, amministrativo, contabile e tributario e ciò al di là della collocazione all’interno del testo unico delle singole disposizioni che detti gravami disciplinano.
Ciò a voler dire che la Corte costituzionale ha avuto il pregio di chiarire e rendere maggiormente intellegibile un richiamo normativo, in questo caso l’art. 94 co. 2, che logicamente poteva ritenersi già valevole negli altri ambiti giurisdizionali oltre a quello penale.
[1]Si tratta di Corte cost., 1° giugno 1995, n. 219, in Giur.it., 1996, I, 297, che ha statuito l’illegittimità della disposizione di cui all’art. 5, comma 5, l. n. 217 del 1990 (ora abrogata), limitatamente all’inciso “per quanto a conoscenza della autorità consolare”, con nota di ALGOSTINO, Il diritto di difesa dello straniero non abbiente: una legislazione incerta e inadeguata rispetto ai nuovi flussi migratori.
[2]Cfr., da ultima, Sez. IV, 4 dicembre 2012, n. 2828, in C.E.D. Cass., n. 254964.
[3]In tal senso, Sez. IV, 5 novembre 2008, n. 3615, in Cass.pen. 2010, 1067 in una fattispecie in cui la Corte ha annullato l’ordinanza che aveva revocato il decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, per tardività nella produzione della certificazione consolare
[4]In senso unanime, v., Sez. IV, 26 febbraio 2009 n. 21999, in Cass.pen. 2011, p. 660; Sez. IV, 15 gennaio 2009 n. 17003, in C.E.D. Cass., n. 243477; Sez. IV, 28 ottobre 2008 n. 43312, , ivi, n. 242035.
[5]V., Sez. IV, 8 febbraio 2018, n. n.8617, in Dir.giust. 2018, 23 febbraio; Sez. IV, 8 novembre 2017, n. 53557, ivi 2017, 28 novembre.