Il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto legislativo di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva U.E.2016/343 sulla presunzione di innocenza dell’imputato, che presto sarà in vigore. L’argomento è di fondamentale importanzaperché riguarda i rapporti tra giustizia e informazione, due aspetti fondamentali in una società democratica, nel senso che l’amministrazione della giustizia deve essere sempre sottoposta ad un controllo sociale: infatti, la cronaca giudiziaria è strumento di controllo del popolo sulla giustizia, che è amministrata in suo nome, in forza dell’art. 101 Cost. Perciò, la giustizia deve essere una “casa di cristallo”, come è stata efficacemente descritta e la stampa è “il cane da guardia della democrazia”, come l’ha definita la Corte europea dei diritti dell’uomo. Purtroppo, si registrano troppo spesso anche fenomeni di degenerazione allorchè si innesta un circuito mediatico-giudiziario, una “grancassa mediatico-giudiziaria”, sempre in danno dell’ inquisito, presentato pubblicamente nel corso delle indagini come già colpevole solo perché colpito da un’ordinanza cautelare, in spregio della presunzione di innocenza da garantire all’imputato fino alla sentenza definitiva. Proprio per scongiurare tali degenerazioni, il legislatore, su sollecitazione europea, è intervenuto con l’intento di garantire meglio la presunzione di innocenza.
Ma in proposito il nostro Governo non ha le idee molto chiare perché le regole in materia sono state negli ultimi anni più volte ribaltate e rivoltate: prima la pubblicazione dell’ordinanza che applica misure cautelari si riteneva comunque vietata, poi con la riforma Orlando del 2017 diventò pubblicabile ma solo nel suo testo e fra poco la regola si invertirà perché non sarà più pubblicabile testualmente ma soltanto nel suo contenuto: una storia di ordinaria schizofrenia legislativa. Il nuovo divieto di pubblicazione del solo testo dell’ordinanza che applica misure cautelari personali, alla pari del testo dell’informazione di garanzia, opera fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare, per cui, fino a quel momento, non si potrà pubblicarne il testo ma rimane pubblicabile il contenuto. Si registra così un revirement solo apparente: l’ordinanza cautelare e l’informazione di garanzia saranno pubblicabili come liberamente interpretate dal cronista, riassunte o commentate sulla base dei soli atti delle indagini preliminari e quindi soltanto sull’ipotesi dell’accusa: insomma, forse il rimedio è peggiore del male che si voleva evitare e comunque non c’è nessun “bavaglio alla stampa”, anzi paradossalmente il cronista giudiziario, non vincolato dal testo, acquista maggiore libertà nell’esercizio della cronaca giudiziaria.
La Commissione Giustizia del Senato aveva invitato il Governo ad estendere il divieto di pubblicazione a tutte le misure cautelari personali e a “costituire un ragionevole argine alla sistematica violazione” del divieto di pubblicazione” e introducendo sanzioni per persone giuridiche, società e associazioni, cioè per gli editori. Il Governo ha accolto solo il primo suggerimento, estendendo il divieto a tutte le misure cautelari personali, ma non ha previsto sanzioni amministrative per le imprese giornalistiche.
Rimangono tuttavia molte perplessità. Anzitutto, se il divieto di pubblicazione dell’ordinanza cautelare mira a tutelare la presunzione d’innocenza dell’imputato – che vale fino alla sentenza definitiva – dovrebbe esserne ammessa la pubblicazione solo dopo la sua esecuzione (per evitare la fuga dell’indagato), ma vietata successivamente fino alla irrevocabilità della sentenza e non solo fino alla conclusione delle indagini preliminari o fino al termine dell’udienza preliminare. E poi non si comprende perché il divieto riguardi solo l’ordinanza che applica misure cautelari personali e non anche quelle reali o una misura interdittiva, altrettanto indicative della colpevolezza dell’imputato o addirittura la richiesta del P.M., che è ancora più improntata in senso accusatorio.
Ma, soprattutto, la violazione del divieto di pubblicazione resta punito con una contravvenzione che può essere estinta con il pagamento di un’oblazione di appena 129 euro: un incentivo alla pubblicazione di qualsiasi notizia, che sia pubblicabile o non pubblicabile.
Insomma, dall’Europa ci chiedono di rispettare la presunzione di innocenza ma in Italia si cambia tutto per non cambiare niente.
Ma quale presunzione di innocenza?
Il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto legislativo di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva U.E.2016/343 sulla presunzione di innocenza dell’imputato, che presto sarà in vigore. L’argomento è di fondamentale importanzaperché riguarda i rapporti tra giustizia e informazione, due aspetti fondamentali in una società democratica, nel senso che l’amministrazione della giustizia deve essere sempre sottoposta ad un controllo sociale: infatti, la cronaca giudiziaria è strumento di controllo del popolo sulla giustizia, che è amministrata in suo nome, in forza dell’art. 101 Cost. Perciò, la giustizia deve essere una “casa di cristallo”, come è stata efficacemente descritta e la stampa è “il cane da guardia della democrazia”, come l’ha definita la Corte europea dei diritti dell’uomo. Purtroppo, si registrano troppo spesso anche fenomeni di degenerazione allorchè si innesta un circuito mediatico-giudiziario, una “grancassa mediatico-giudiziaria”, sempre in danno dell’ inquisito, presentato pubblicamente nel corso delle indagini come già colpevole solo perché colpito da un’ordinanza cautelare, in spregio della presunzione di innocenza da garantire all’imputato fino alla sentenza definitiva. Proprio per scongiurare tali degenerazioni, il legislatore, su sollecitazione europea, è intervenuto con l’intento di garantire meglio la presunzione di innocenza.
Ma in proposito il nostro Governo non ha le idee molto chiare perché le regole in materia sono state negli ultimi anni più volte ribaltate e rivoltate: prima la pubblicazione dell’ordinanza che applica misure cautelari si riteneva comunque vietata, poi con la riforma Orlando del 2017 diventò pubblicabile ma solo nel suo testo e fra poco la regola si invertirà perché non sarà più pubblicabile testualmente ma soltanto nel suo contenuto: una storia di ordinaria schizofrenia legislativa. Il nuovo divieto di pubblicazione del solo testo dell’ordinanza che applica misure cautelari personali, alla pari del testo dell’informazione di garanzia, opera fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare, per cui, fino a quel momento, non si potrà pubblicarne il testo ma rimane pubblicabile il contenuto. Si registra così un revirement solo apparente: l’ordinanza cautelare e l’informazione di garanzia saranno pubblicabili come liberamente interpretate dal cronista, riassunte o commentate sulla base dei soli atti delle indagini preliminari e quindi soltanto sull’ipotesi dell’accusa: insomma, forse il rimedio è peggiore del male che si voleva evitare e comunque non c’è nessun “bavaglio alla stampa”, anzi paradossalmente il cronista giudiziario, non vincolato dal testo, acquista maggiore libertà nell’esercizio della cronaca giudiziaria.
La Commissione Giustizia del Senato aveva invitato il Governo ad estendere il divieto di pubblicazione a tutte le misure cautelari personali e a “costituire un ragionevole argine alla sistematica violazione” del divieto di pubblicazione” e introducendo sanzioni per persone giuridiche, società e associazioni, cioè per gli editori. Il Governo ha accolto solo il primo suggerimento, estendendo il divieto a tutte le misure cautelari personali, ma non ha previsto sanzioni amministrative per le imprese giornalistiche.
Rimangono tuttavia molte perplessità. Anzitutto, se il divieto di pubblicazione dell’ordinanza cautelare mira a tutelare la presunzione d’innocenza dell’imputato – che vale fino alla sentenza definitiva – dovrebbe esserne ammessa la pubblicazione solo dopo la sua esecuzione (per evitare la fuga dell’indagato), ma vietata successivamente fino alla irrevocabilità della sentenza e non solo fino alla conclusione delle indagini preliminari o fino al termine dell’udienza preliminare. E poi non si comprende perché il divieto riguardi solo l’ordinanza che applica misure cautelari personali e non anche quelle reali o una misura interdittiva, altrettanto indicative della colpevolezza dell’imputato o addirittura la richiesta del P.M., che è ancora più improntata in senso accusatorio.
Ma, soprattutto, la violazione del divieto di pubblicazione resta punito con una contravvenzione che può essere estinta con il pagamento di un’oblazione di appena 129 euro: un incentivo alla pubblicazione di qualsiasi notizia, che sia pubblicabile o non pubblicabile.
Insomma, dall’Europa ci chiedono di rispettare la presunzione di innocenza ma in Italia si cambia tutto per non cambiare niente.
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