I. La riflessione sulla mafia e sulle mafie, sulla prevenzione e sul contrasto di tali fenomeni, evoca immediatamente l’immagine del sistema di prevenzione patrimoniale, delle appendici sanzionatorie extraprocessuali che figurativamente si collocano su un binario parallelo che segue e accompagna il processo penale, rappresentando attualmente uno strumento generalizzato di contrasto alla criminalità lucrogenetica di straordinaria efficacia.
E’ invero indubbio che in tempi relativamente recenti si sia consolidata una giurisdizione autonoma, che condivide della giurisdizione penale soggetti, oggetti e finalità e mira a sopperire alla crisi di efficienza di quest’ultima comunemente avvertita.
II. Il sistema di prevenzione, unitariamente disciplinato dal d.lgs. n. 159 del 2011, emblematicamente denominato “Codice delle Leggi Antimafia e delle Misure di Prevenzione”, è essenzialmente diviso in due: alle primigenie misure di carattere personale sono state affiancate con la c.d. Legge Rognoni-La Torre del 1982 le misure di carattere patrimoniale.
Le misure personali importano limitazioni transitorie alla libertà personale, le misure patrimoniali intervengono sulla libertà di iniziativa economica e sul diritto di proprietà.
I due tipi di misura condividono il termine di riferimento essenziale, la pericolosità sociale del soggetto inciso, intesa quale probabilità che il medesimo ponga in essere in futuro attività delittuose e strutturata sulla sua inquadrabilità in determinate categorie soggettive, che hanno lo stesso valore che nel sistema penale hanno le fattispecie incriminatrici; per il resto, le due misure sono perfettamente autonome, a seguito delle riforme del 2008 e del 2009, che hanno determinato il passaggio del sistema di prevenzione dal principio di accessorietà della misura patrimoniale alla misura personale a quello della piena autonomia: lo sganciamento è iniziato introducendo il principio secondo cui le misure personali e patrimoniali possono essere richieste e applicate disgiuntamente, è proseguito prevedendo che il procedimento continui nei confronti degli eredi del proposto in caso di morte dello stesso o che, addirittura, inizi entro il termine di cinque anni dalla sua morte ed è terminato riconoscendo la possibilità che le misure patrimoniali vengano addirittura richieste e applicate indipendentemente dalla pericolosità sociale del soggetto al momento della richiesta di prevenzione.
Quest’ultimo tratto, la possibilità di applicare la misura non avendo alcun riferimento alla attualità della pericolosità, al fatto che il destinatario sia tale al momento del giudizio, che risulti in quel momento estremamente probabile che commetta in futuro fatti di reato, caratterizza oggi in maniera essenziale la confisca, la misura di prevenzione “regina”, provvedimento a carattere ablativo che implica la definitiva devoluzione allo Stato dei beni del soggetto.
Proprio lo sganciamento dalle misure personali, che intervengono sempre e comunque su una situazione di pericolo attuale, segna irrimediabilmente la natura e la ratio della confisca di prevenzione, allontanandola dal complessivo sistema in cui è inserita, solo nominalmente.
III. Accennando brevemente all’evoluzione legislativa in argomento, può osservarsi essenzialmente come le misure di prevenzione siano state introdotte nella legislazione postcostituzionale nel lontano 1956 e siano diventate, nel 1982, strumento privilegiato di contrasto alla accumulazione patrimoniale di sospetta provenienza, assumendo al contempo la connotazione di vessillo della lotta alla mafia: in quell’anno, lo stesso intervento legislativo che introduce nel Codice Penale l’art. 416 bis da luce alle misure patrimoniali e, soprattutto, prevede che le misure di vengano estese agli indiziati di appartenere alle associazioni mafiose.
L’intervento è senza dubbio alcuno straordinario: nell’emergenza di contrastare il fenomeno mafioso, si intuisce che lo stesso può essere efficacemente combattuto sottraendo ai soggetti in via attuale indiziati di appartenere alla mafia i beni illecitamente accumulati.
A differenza delle altre confische lato sensu penali, che presentano l’univoca caratteristica di richiedere un nesso tra il commesso reato e il bene confiscato, con la confisca di prevenzione si spezza tale tradizionale legame, potendosi sottrarre all’interessato ciò di cui non possa giustificare la legittima provenienza e risulti essere titolare o avere la disponibilità in valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o alla attività economica.
L’intuizione è fenomenale perché prende atto dell’essenza del fenomeno mafioso: lo strumento, dalle potenzialità straordinarie, elimina le risorse del crimine, in ottica specialpreventiva, e sottrae al tempo stesso alle consorterie mafiose la meta finale del loro agire, l’illecito arricchimento.
In quest’ottica, l’arretramento del quantum probatorio (bastando sufficienti indizi non occorre la prova dell’appartenenza mafiosa) viene giustificato dalla necessità di intervenire su situazioni di concreta e gravissima pericolosità, agendo su beni di rango costituzionale certamente secondario rispetto alla libertà personale.
IV. Questo formidabile sistema, condivisibile nella ratio, nella sostanza e nelle forme, appartiene tuttavia al passato, a ciò che è stato: sullo scenario appena descritto hanno invero impattato le riforme poste in essere nell’ultimo ventennio e lo sviluppo prepotente della prassi applicativa.
Occorre oggi prendere atto di come la confisca di prevenzione, pur ancora orientata anche a contrastare le associazioni di tipo mafioso, si discosti dall’essere puro e semplice strumento di contrasto alle consorterie mafiose e sia diventata la stampella di una giustizia penale che ha perso efficienza; in quest’ottica, si interviene, genericamente, sul possibile reo, prescindendo dalla specifica tipologia di delinquente. L’importante è che il crimine abbia pagato, abbia prodotto ricchezza.
Ciò è avvenuto disunendo l’aggressione patrimoniale dalla pericolosità, progressivamente ampliando a dismisura le categorie di soggetti destinatari, all’interno dei quali peraltro posizione preminente hanno assunto i cosiddetti pericolosi generici, abitualmente dediti a traffici delittuosi o che vivano abitualmente con i proventi di attività delittuose, sfumando sempre più nella prassi i presupposti applicativi. Si pensi all’interpretazione giurisprudenziale del concetto di appartenenza alla mafia, che riporta ad una situazione di contiguità pur in ipotesi di esclusione di partecipazione o di concorso esterno, o alla possibilità di giudicare in ottica prevenzionale appartenente un soggetto assolto nel giudizio penale.
L’analisi del sistema di prevenzione patrimoniale, pur tecnicamente ai confini della giurisdizione penale, dimostra come la crisi di efficienza della giustizia penale abbia determinato il ricorso a strumenti ablativi dei patrimoni illeciti in ottica punitiva e surrogatoria: si è inteso cioè privilegiare sanzioni slegate da rigorosi parametri probatori, esclusivamente finalizzate a sottrarre al soggetto passivo dell’accertamento il vantaggio ingenerato dalla possibile condotta illecita.
In questi termini, può individuarsi senza alcun dubbio il passaggio da un sistema incentrato sulla pericolosità del soggetto, da prevenire nella futura commissione di crimini, ad un sistema che, potendo da essa prescindere al momento dell’aggressione patrimoniale, è incentrato su una fictio iuris, la pericolosità della res, che palesa la finalità di colpire il cespite in ragione della sua formazione illecita. Sistema unicamente rivolto al fatto e al passato.
La confisca è in tal senso la manifestazione più emblematica di quel modello di “diritto penale moderno” votato all’efficienza contrastiva cui sembra tendere la politica criminale degli ultimi anni.
Abbandonata la logica specialpreventiva, la finalità perseguita dalla confisca deve dunque essere ricondotta alla repressione di illeciti penali già posti in essere, mediante la sottrazione in via definitiva al soggetto del frutto della sua attività illecita, in tal modo acquisendo natura giuridica di sanzione penale, volta genericamente a colpire la criminalità da profitto, ove nelle vie ordinarie lo Stato abbia fallito.
V. Tali affermazioni di carattere generalizzante trovano pieno riscontro nei numeri.
Ove si considerino le ultime statistiche fornite dal Ministero della Giustizia e, in particolare, i dati dal 2008 ad oggi, ci si avvede del fatto che, nonostante la prevalenza dei procedimenti iscritti nell’ultimo triennio riguardi l’area meridionale e l’area insulare, raggiungendo complessivamente il 64%:
- il numero totale dei procedimenti di prevenzione iscritti in Italia è raddoppiato tra il 2008 e il 2013;
- il numero dei procedimenti di prevenzione iscritti nel Nord Italia è quintuplicato tra il 2008 e il 2013;
- nell’ultimo triennio l’area settentrionale è in netto aumento percentuale rispetto al resto di Italia, raggiungendo il 27% delle iscrizioni;
- Milano e Bologna si collocano rispettivamente al quarto e al quinto posto in Italia per numero di nuovi procedimenti per distretto di corte di appello.
I numeri dimostrano come si sia registrata una crescita esponenziale dei procedimenti instaurati nelle regioni del Centro e del Nord Italia.
Il dato “territoriale” consente di rilevare, posto in relazione con le altre emergenze, come le misure di prevenzione siano diventate strumento generalizzato di lotta al crimine in qualunque luogo ed in qualunque forma commesso: ciò spiega l’aumento vertiginoso dei procedimenti di prevenzione sorti in zone che, pur attualmente non immuni da problematiche connesse alle organizzazioni di stampo mafioso, che sono anzi in crescita, sono comunque interessate da criminalità orientata a produrre reddito complessivamente intesa, nella quale la mafia si inserisce in maniera non fondante o esclusiva.
VI. Se a fronte di tali considerazioni non è revocabile in dubbio l’attuale appartenenza del diritto della prevenzione all’area del diritto penale, non può non porsi in evidenza come il procedimento di prevenzione, nella sostanza non normato e concepito a maglie larghe al fine di consentire improprie sovrapposizioni con il procedimento penale, rappresenti di quest’ultimo una sorta di “succedaneo deformalizzato”.
L’accertamento dei presupposti applicativi della confisca, che scontano, in sé stessi, un netto deficit di tassatività e fanno riferimento, diretto o indiretto, a illeciti penali, al contempo in gran parte richiedendo la sussistenza di elementi probatori solo indiziari o presuntivi, è affidato ad un procedimento probatorio semplificato e totalmente sganciato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova, in cui l’onere probatorio appare finanche invertito.
Procedimento in cui a mutare, ancora più significativamente, è la regola cardine del giudizio: l’evoluzione del sistema segna l’allontanamento dall’oltre ogni ragionevole dubbio, promanante dalla presunzione di innocenza, e l’approccio ad un giudizio fondato sul più probabile che non.
A fronte di aspetti di carattere generale, quali – a titolo non esaustivo – la formazione della prova ad opera della pubblica accusa mediante l’allegazione di elementi raccolti in segreto durante le indagini, un’udienza ordinariamente svolta senza la presenza del pubblico (salva espressa richiesta dell’interessato), la ordinaria impossibilità per il detenuto in luogo posto al di fuori della circoscrizione del giudice di partecipare all’udienza, la possibilità non ordinaria di assumere prove orali, la decisione resa in forma di decreto, si deve decisivamente rilevare come la natura giurisdizionale del procedimento di prevenzione debba invece necessariamente implicare il doveroso rispetto dei principi del giusto processo.
In realtà, avendo riferimento solo ad alcuni principali temi, può osservarsi come la valenza probatoria degli atti delle indagini, peraltro nella prassi strutturate sugli atti del procedimento penale cui accede il procedimento di prevenzione, la pressoché assoluta mancanza di garanzie difensive durante tale fase, la possibilità, riconosciuta al giudice, di procedere ad ulteriori indagini oltre a quelle già compiute dal pubblico ministero, i cui atti hanno valenza probatoria, e di disporre d’ufficio le misure del sequestro e della confisca avvicinino il procedimento di prevenzione patrimoniale ad un sistema fortemente inquisitorio.
Ciò senza considerare che, come accennato, il procedimento di prevenzione patrimoniale, che non prescinde affatto dal reato, ma unicamente dal suo accertamento, supera nettamente il principio del contraddittorio nella formazione della prova, il quale deve presiedere all’accertamento – diretto o indiretto – di fatti di rilevo penale.
Secondo tale prospettiva, il procedimento – o, più propriamente, processo – di prevenzione è sistema autonomo, perché afferma principi e regole fondamentali all’ordine processuale, nella grossolanità degli istituti e rifacendosi al procedimento di esecuzione, e definisce una giurisdizione indipendente rispetto ad ogni altra giurisdizione, ancorché affidata ai giudici ordinari, al fine di regolare fatti di rilievo penale in via del tutto svincolata dalle regole che presiedono all’accertamento e alla punizione dei reati.
E’ così che viene in rilievo la logica surrogatoria e indiziaria che attrae il sistema di prevenzione in quello punitivo, finendo le misure di prevenzione patrimoniali – e, in particolare, la confisca – per assumere la fisionomia di misure di sicurezza largamente generalizzate, tendenti a divenire sanzioni correlate ad un accertamento giudiziale semipieno di reati pregressi di natura molto eterogenea e oggi previsti in numero esorbitante.
VII. L’analisi che precede pone davanti ad una evidente truffa delle etichette, ad uno strumento parallelo a quello punitivo, del quale condivide la natura, congegnato in modo da colpire più agevolmente tutti quei reati per i quali il legislatore avverta un’esigenza di semplificazione accertativa: sistema neutralizzato dai principi del processo penale e dai canoni del giusto processo e rispetto al quale è indifferente il decorso del tempo, capace di resistere alla prescrizione del reato e finanche alla morte del reo presunto.
In questo senso, ogni riferimento a “mafia e mafie”, “prevenzione e contrasto”, impone necessariamente di confrontarsi con la realtà esistente, divisa tra mafia e mafie, fenomeni criminali ulteriori e diversi, contrasto e prevenzione, in senso stretto o solo nominalistico.
La moderna prevenzione non previene, punisce al di là e al di fuori del processo. Il processo di prevenzione propriamente è processo al di là del processo: strumento primario della moderna tendenza a perseguire effetti sanzionatori al di fuori delle regole e dei principi fondamentali del processo penale, in tensione con i principi costituzionali di legalità e presunzione di non colpevolezza.
In questa prospettiva, è indispensabile e non più rinviabile riattribuire al sistema di prevenzione credibilità, sostanza, coerenza ai principi e alle regole, prima che i “correttivi” arrivino – come spesso è successo – dalla giurisprudenza europea.
Un formidabile strumento di contrasto alla mafia, la confisca di prevenzione, risente oggi nel complesso dell’asservimento alla necessità di sopperire alle mancanze del processo penale: ma il procedimento di prevenzione è l’eccezione, non può a tale funzione, per definizione, essere piegato.
Occorre ritrovare coerenza con il nome e con la finalità di prevenire i fenomeni criminali, compito fondamentale dello Stato: si deve necessariamente guardare all’attualità del pericolo, alla tassativa individuazione dei soggetti pericolosi, alla definizione dei contorni di un procedimento applicativo adeguatamente normato.
Il sistema antimafia di prevenzione è stato invece oggi snaturato e di fatto depotenziato, minandosi la consistenza della complessiva strategia preventiva del fenomeno mafioso: è necessario avere il coraggio di fare il processo penale nel processo penale, seguendo le sue regole, di costruire un processo efficace, capace di raggiungere i suoi scopi al suo interno e che giudichi i fatti sulla base di prove, al di là di ogni ragionevole dubbio, di riportare la prevenzione antimafia alla propria naturale identità, giusta ed effettiva. Le attuali connotazioni della legislazione antimafia di prevenzione appaiono al contrario risentire delle attuali condizioni della legislazione penale, ipertroficamente espansa, ipernormata, inutilmente complicata, anche in ragione di ciò profondamente inefficiente.