Segnaliamo la Sentenza n. 2 del 12 gennaio 2023, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 4, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), nella parte in cui include i telefoni cellulari tra gli apparati di comunicazione radiotrasmittente di cui il questore può vietare, in tutto o in parte, il possesso o l’utilizzo.
Pubblichiamo di seguito il comunicato stampa.
Nei confronti di persone già condannate per delitti non colposi, e abitualmente dedite, per la loro condotta, alla commissione di reati, il questore non può autonomamente disporre la misura di prevenzione consistente nel divieto di possedere o utilizzare telefoni cellulari. Trattandosi di un provvedimento che incide sulla libertà di comunicazione, l’autorità di pubblica sicurezza può farne proposta, ma la decisione spetta all’autorità giudiziaria, come prevede l’art. 15 della Costituzione. È quindi costituzionalmente illegittima la disposizione del codice delle leggi antimafia nella parte in cui, secondo l’interpretazione della Corte di cassazione, include i telefoni cellulari nella nozione di «apparato di comunicazione radiotrasmittente» di cui il questore può vietare – con l’avviso orale “rafforzato” – il possesso o l’utilizzo.
Lo stabilisce la sentenza n. 2 del 2023 (redattore Nicolò Zanon), in risposta alle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte di cassazione e dal Tribunale di Sassari. La sentenza afferma che le limitazioni relative all’uso di un determinato mezzo non necessariamente si convertono in restrizioni al diritto fondamentale che l’impiego di quel mezzo consenta di soddisfare. Riconosce, tuttavia, che nello specifico caso in esame la disciplina restrittiva relativa al telefono cellulare – considerata l’universale
diffusione attuale di questo strumento, in ogni ambito della vita lavorativa, familiare e personale – «finisce per penetrare all’interno del nucleo essenziale del diritto, determinando evidenti ricadute restrittive sulla libertà tutelata dalla Costituzione». Per questa ragione, come appunto richiede l’articolo 15 della Costituzione, la decisione non può che spettare all’autorità giudiziaria.