Abstract.
“Bajrami forever”, tuonava giustamente un autorevole parere pubblicato su questa rivista durante i lavori di approvazione del testo della legge di conversione del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, che intendevano sfruttare l’occasione per stabilizzare lo status quo ante in materia di rinnovazione della prova a seguito di mutamento del giudice. Con l’approvazione della citata legge, il risultato della sintesi politica della volontà legislativa – come spesso accade quando si ricerca un compromesso in situazioni che compromessi non accettano – è quello di una norma che presta il fianco a molte critiche e solleva dubbi di legittimità costituzionale che paiono più che fondati.
Sommario: 1. Considerazioni introduttive. – 2. Il diritto alla rinnovazione della prova nella giurisprudenza. – 3. La soluzione di compromesso della “riforma Cartabia”. – 4. La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale quale “diritto condizionato”. – 5. L’inadeguatezza della nuova soluzione normativa. – 6. Le questioni sul diritto transitorio. – 7. In conclusione: quali possibili rimedi?
1. Considerazioni introduttive.
Oramai da troppo tempo era atteso un intervento del legislatore che arginasse la prassi, di matrice giurisprudenziale e avallata dalla Corte costituzionale, di soprassedere rispetto alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale a seguito del mutamento del giudice. Come è noto, infatti, le Sezioni Unite del Supremo Collegio, anche grazie al sostegno della Corte costituzionale, negli ultimi anni hanno smorzato l’operatività di tale obbligo alla luce del consueto snodarsi del dibattimento, che di regola si protrae per tempi lunghi che eliminano l’immediatezza della decisione e impongono al giudice una lettura dei verbali delle prove davanti a lui stesso assunte.
Il legislatore del 1988, puntando tutto sull’oralità e sull’immediatezza, nell’affermare – con l’art. 525, comma 2, c.p.p. – il principio di immutabilità del giudice e ponendovi a presidio una nullità assoluta, aveva implicitamente imposto la rinnovazione della prova in caso di mutamento della persona fisica del giudice monocratico o di sostituzione di uno dei componenti del collegio. È innegabile che, in seguito, nella modifica dell’art. 111 Cost., non si sia fatto alcun riferimento esplicito all’oralità, menzionandosi solo il contraddittorio; ma non vi è dubbio che la formazione della prova nel contraddittorio e la facoltà riconosciuta all’imputato di interrogare o di far interrogare, davanti al giudice, le persone che rendono dichiarazioni a suo carico rievochino implicitamente la necessità di un’assunzione orale della prova davanti al giudice che dovrà decidere nel merito dell’accusa.
2. Il diritto alla rinnovazione della prova nella giurisprudenza.
Pur a fronte di questo quadro normativo, l’ultimo approdo giurisprudenziale del massimo consesso della Corte di legittimità aveva affermato che «l’avvenuto mutamento della composizione del giudice attribuisce alle parti il diritto di chiedere, ai sensi degli artt. 468 e 493 c.p.p., sia prove nuove sia la rinnovazione di quelle assunte dal giudice diversamente composto, in quest’ultimo caso indicando specificamente le ragioni che impongano tale rinnovazione, ferma restando la valutazione del giudice, ai sensi degli artt. 190 e 495 c.p.p., anche sulla non manifesta superfluità della rinnovazione stessa»[1].
In buona sostanza, quello che – data la posta in gioco e la finalità del procedimento – era un diritto delle parti, dell’imputato e ancor prima del giudice, imposto dalla necessità di garantire l’identità tra il giudice che assume la prova e quello che decide, è stato degradato dalla giurisprudenza a mera aspettativa[2]. Tale ricostruzione è determinata dal fatto che, nel nuovo sistema delineato dalle Sezioni Unite, non solo è postulata una richiesta esplicita di rinnovazione della prova già assunta, ma le parti sono onerate dell’indicazione specifica delle ragioni che ne imporrebbero la rinnovazione, attribuendosi comunque al giudice il potere di decidere discrezionalmente sulla non manifesta superfluità della rinnovazione medesima. Ciò che vogliamo evidenziare è che, se dal dato normativo si rileva la necessità che il giudice che dovrà decidere assista alla formazione della prova a pena di nullità assoluta della sentenza, la giurisprudenza ha ammesso la possibilità contraria, attribuendo al giudice una valutazione sul merito della rinnovazione che in realtà il legislatore aveva inteso escludere[3]. E la stessa Corte costituzionale ha fatto da sponda ad un’interpretazione siffatta, considerato che il Giudice delle leggi, nel rigettare la questione di legittimità dell’art. 525 c.p.p., ha ritenuto «aperta per il legislatore la possibilità di introdurre ragionevoli eccezioni al principio dell’identità tra giudice avanti al quale è assunta la prova e giudice che decide, in funzione dell’esigenza, costituzionalmente rilevante, di salvaguardare l’efficienza dell’amministrazione della giustizia penale, in presenza di meccanismi “compensativi” funzionali all’altrettanto essenziale obiettivo della correttezza della decisione – come, ad esempio, la videoregistrazione delle prove dichiarative, quanto meno nei dibattimenti più articolati»[4].
3. La soluzione di compromesso della “riforma Cartabia”.
A fronte di un orientamento giurisprudenziale come quello sopra ricostruito[5], pacificamente in contrasto con il dato normativo se non con l’idea ispiratrice del sistema processuale, il legislatore è finalmente intervenuto in materia, riappropriandosi di quel potere di regolamentazione (id est del potere legislativo) che gli è proprio ed esclusivo; ma lo ha fatto, ancora una volta, con una soluzione di compromesso, che se è, anch’essa, propria del contesto in cui maturano le norme, sicuramente, però, non appaga, così come avremo modo di evidenziare.
Accogliendo il citato suggerimento della Corte costituzionale – che da sponda per la giurisprudenza di legittimità è divenuta trampolino per il legislatore – la “riforma Cartabia”, che si è caratterizzata per essere una riforma di sistema, ha introdotto, innanzitutto, una prima modifica sulle modalità di documentazione della prova orale.
Una specifica direttiva, contenuta nella legge delega[6], indicava, infatti, la necessità di «prevedere la registrazione audiovisiva […] della prova dichiarativa, salva la contingente indisponibilità degli strumenti necessari o degli ausiliari tecnici»[7]. Si è così previsto[8], in via generale, con una modifica all’art. 134, comma 1, c.p.p., che alla documentazione degli atti si proceda mediante verbale e, nei casi previsti dalla legge, anche mediante riproduzione audiovisiva o fonografica; più specificamente, poi, si è introdotta la previsione, con il nuovo art. 510, comma 2-bis, c.p.p., che nella fase dibattimentale l’esame dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici, delle parti private e delle persone indicate nell’art. 210 c.p.p., nonché gli atti di ricognizione e confronto, siano documentati anche con mezzi di riproduzione audiovisiva; una nuova modalità di documentazione, non esclusiva, che si aggiunge a quella ordinaria[9].
4. La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale quale “diritto condizionato”.
Il primo passo è stato quello di prevedere la registrazione audiovisiva quale sistema di documentazione della prova dichiarativa; il secondo passo, quindi, quello di costruire, sulla base del presupposto rappresentato dalla nuova modalità di documentazione, una per nulla convincente soluzione di compromesso tra il diritto assoluto alla rinnovazione delle precedenti prove in caso di mutamento del giudice, previsto implicitamente dall’art. 525 c.p.p., e la possibilità di rinnovazione dell’istruzione probatoria condizionata ad una valutazione del giudice sulla necessità, propugnata dalla giurisprudenza. Ebbene, se solo si considera che, come si è acutamente osservato, con l’art. 525 c.p.p. il legislatore avrebbe voluto ottenere qualcosa di più della rinnovazione, «mirando ad impedire ex ante che tale mutamento vi sia» dato che «la prova è un atto peculiare che non si può rinnovare con la certezza di ottenere i medesimi risultati»[10], la considerazione è una sola: si è cercato un compromesso in una situazione che già era di compromesso; il che, evidentemente, non può funzionare.
È così che, con riferimento alla condizione al cui verificarsi deve disporsi la rinnovazione, la riforma sostituisce un presupposto soggettivo e discrezionale come la valutazione del giudice – peraltro introdotto dalla giurisprudenza – con un inedito presupposto oggettivo costituito dall’avvenuta registrazione audiovisiva della prova già assunta nel dibattimento. Ognun vede, però, come sempre di diritto “condizionato” si tratti, mentre al mutamento del giudice il diritto alla rinnovazione dovrebbe conseguire quale diritto assoluto; e riteniamo che, nonostante la modifica legislativa, di un diritto assoluto non possa che continuare a parlarsi, proprio in ragione del fatto che la novella non ha intaccato direttamente il principio di immutabilità.
La riforma, infatti, non è intervenuta sull’art. 525, comma 2, c.p.p. ma è stata attuata attraverso un’integrazione dell’art. 495 c.p.p., disciplinante l’ammissione delle prove[11]. Il nuovo art. 495, comma 4-ter, c.p.p. dispone, infatti, che, se il giudice muta[12] nel corso del dibattimento, a richiesta della parte che vi ha interesse deve procedersi nuovamente all’esame delle persone che hanno già reso dichiarazioni nel medesimo dibattimento nel contraddittorio con la persona nei cui confronti tali dichiarazioni saranno utilizzate, a meno che il precedente esame sia stato documentato integralmente mediante mezzi di riproduzione audiovisiva. In quest’ultimo caso, infatti, la parte non vanta più il diritto alla rinnovazione che può comunque essere disposta qualora il giudice la ritenga necessaria, a seguito di istanza o di ufficio, sulla base di specifiche esigenze.
La scelta, in buona sostanza, è caduta su un meccanismo inverso rispetto a quello già noto contenuto nell’art. 190-bis c.p.p.[13]: in tale previsione, infatti, al mutare del giudice la regola è la riammissione dell’esame solo nel caso in cui questo riguardi «fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni»; nell’art. 495, comma 4-ter, c.p.p., invece, la rinnovazione, in caso di mancata registrazione audiovisiva della prima prova, rappresenta la soluzione obbligata.
Si è sostenuto che il meccanismo adottato non sia pienamente conforme alla delega, che pareva aprire a scenari più ampi. La direttiva contenuta nell’art. 1, comma 11, lett. d), l. 27 settembre 2021, n. 134, prevedeva che il delegato avrebbe dovuto stabilire nella «ipotesi di mutamento del giudice o di uno o più componenti del collegio»: a) che «il giudice disponga, a richiesta di parte, la riassunzione della prova dichiarativa già assunta»; b) che «quando la prova dichiarativa è stata verbalizzata tramite videoregistrazione, nel dibattimento svolto innanzi al giudice diverso o al collegio diversamente composto, nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate, il giudice disponga la riassunzione della prova solo quando lo ritenga necessario sulla base di specifiche esigenze». Il decreto legislativo, invece, stravolge un po’ i termini e prevede che «se il giudice muta nel corso del dibattimento, la parte che vi ha interesse ha diritto di ottenere l’esame delle persone che hanno già reso dichiarazioni nel medesimo dibattimento nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate, salvo che il precedente esame sia stato documentato integralmente mediante mezzi di riproduzione audiovisiva. In ogni caso, la rinnovazione dell’esame può essere disposta quando il giudice lo ritenga necessario sulla base di specifiche esigenze».
La non corrispondenza della delega rispetto alla soluzione normativa adottata è stata argomentata sul presupposto che la prima affermasse un diritto assoluto alla rinnovazione a richiesta di parte e una discrezionalità del giudice, legata a specifiche esigenze, nel concederla di ufficio nei casi in cui la prova avesse formato oggetto di documentazione audio-visiva; mentre la seconda avrebbe condizionato il diritto alla rinnovazione alla modalità di documentazione della prova, dovendosi comprendere se nel riferimento ad «ogni caso» sia da ritenersi inclusa anche l’istanza di parte[14].
Tale ricostruzione, aderente alla littera legis oltre che auspicabile, potrebbe essere superata sulla base della intentio legis per come manifestata dalla Commissione Lattanzi che individuò il criterio di delega. Nella relazione della Commissione, infatti, si legge che, «fermo il diritto delle parti di chiedere[15] la rinnovazione della prova orale ad ogni mutamento di composizione del giudice, la situazione oggi affermatasi, a seguito del consolidato indirizzo dettato dalle Sezioni Unite nel caso Bajrami, sarebbe significativamente migliorata dalla possibilità, per il giudice, di visionare la videoregistrazione e di disporre successivamente la rinnovazione della prova solo se sussistono specifici motivi».
In buona sostanza, stando alle parole della Commissione, i criteri di delega a) e b) starebbero sullo stesso piano compenetrandosi tra loro, come regola e deroga: nulla di diverso rispetto all’impostazione adottata in ultima analisi dal legislatore delegato. Circostanza che, tra l’altro, soccorrerebbe in aiuto nell’esegesi del nuovo art. 495, comma 4, c.p.p. laddove si fa riferimento alla «parte che vi ha interesse»: l’interesse in questione, infatti, non pare essere un aspetto ulteriore che il giudice deve valutare discrezionalmente, ad esempio con una prognosi di utilizzo della prova[16], bensì il risvolto della richiesta di parte, capace da sola di far sorgere il diritto alla rinnovazione nell’ipotesi di prova non documentata audiovisivamente ovvero, alla ricorrenza di tale documentazione, insieme all’esistenza di «specifiche esigenze». Riteniamo, infatti, che la novella legislativa abbia proprio l’effetto di escludere una valutazione discrezionale del giudice nell’ipotesi di rinnovazione pura della prova già assunta e non videoregistrata[17], in contrasto con l’impostazione adottata dalla Suprema Corte[18].
5. L’inadeguatezza della nuova soluzione normativa.
Si è già detto che la soluzione normativa non può ritenersi condivisibile: di fatto la nuova previsione annulla il principio di immediatezza introducendo un’ “audio-video-immediatezza” (che è invece mediata, per definizione, dal mezzo di documentazione), trasformando così il “contraddittorio per la prova”, che regolamenta la fase dibattimentale in attuazione di una previsione costituzionale, in un “contraddittorio sulla prova”, che non è sicuramente idoneo a soddisfare quella “partecipazione al dibattimento” che l’art. 525, comma 2, c.p.p. impone, a pena di nullità assoluta, per la deliberazione della sentenza.
La “partecipazione al dibattimento” del giudice è, infatti, “esperienza del dibattimento”, ovvero una conoscenza diretta, personalmente acquisita per avervi preso parte, della fase di assunzione della prova, che non può essere surrogata dalla eventuale visione di una videoregistrazione, che la riforma mantiene per giunta incerta nell’an, nel quomodo e nel quando: ciò che, nell’ottica delle garanzie, lascia molti dubbi all’interprete.
Senza considerare gli effetti che la persistenza dell’art. 525, comma 2, c.p.p. continua a determinare, quale norma che introduce una nullità assoluta in caso di pronuncia della sentenza da parte di un giudice diverso da quello che ha partecipato al dibattimento (id est: all’assunzione della prova) nonostante la nuova previsione dell’art. 495, comma 4, c.p.p.
Se anche ci si dovesse spingere fino a ritenere che la disponibilità di una registrazione audiovisiva possa attribuire immediatezza alla prova, le conseguenze sul piano della nullità della sentenza in caso di mutamento del giudice sarebbero le medesime: la nullità prevista dall’art. 525, comma 2, c.p.p. – che rimane vigente per volere del legislatore che non ha abrogato o modificato la disposizione de qua – è, infatti, a regime assoluto, sicché in riferimento ad essa non può configurarsi alcuna sanatoria per il raggiungimento dello scopo. D’altronde, il legislatore è intervenuto per porre fine ad una giurisprudenza che progressivamente di tale nullità aveva fatto strame, erodendo il diritto alla rinnovazione e cercando di superare il principio di immediatezza con uno stravolgimento del dato normativo.
In caso di mutamento del giudice, infatti, l’unica soluzione appare quella della rinnovazione dell’istruzione, che non può essere considerata come un intralcio allo svolgimento del processo, ma come lo strumento attraverso il quale garantire l’immediatezza, che è principio epistemologico fondante il sistema processuale penale. E se la rinnovazione comporta un allungamento dei tempi processuali, per risolvere il problema è necessario porre il focus sulla ragione che impone la rinnovazione e sulla causa che la determina, cercando di neutralizzare la causa non l’effetto. Se in una prospettiva teorica il dato appare irrilevante, è, invece, fondamentale osservare come la maggior parte dei mutamenti del giudice sia da attribuire a cause non eccezionali, ma fisiologiche, quali il trasferimento in altra sede o il cambio di ruolo: situazioni che, potendo essere previste per tempo, possono portare ad una pianificazione delle attività in ragione dell’abbandono dell’ufficio, limitando al massimo l’apertura di nuovi procedimenti e garantendo la chiusura di quelli nei quali l’istruzione dibattimentale è già iniziata[19].
6. Le questioni sul diritto transitorio.
Comunque, piaccia o non piaccia, la scelta del legislatore è fatta. Si potrà discutere della sua bontà o meno, ma è evidente che la Corte costituzionale, per averne indirettamente suggerito i tratti di fondo[20], non potrà che ritenerla non in contrasto con la Costituzione. Dubbi su tale conformità, però, sorgono ben più netti in riferimento alla disposizione che introduce il regime transitorio del nuovo diritto condizionato alla rinnovazione di cui all’art. 495, comma 4-ter, c.p.p.
Inizialmente, nel d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, le modifiche all’art. 495 c.p.p. non erano coperte da norma di diritto transitorio: circostanza dalla quale emergeva chiaro e forte l’intento della riforma di superare immediatamente l’interpretazione giurisprudenziale. Non a caso, infatti, considerata la necessità di un adeguamento strutturale estremamente significativo per organizzare i servizi di registrazione audiovisiva e la conservazione dei supporti informatici, la modalità di documentazione rappresentata dalla ripresa audiovisiva avrebbe dovuto trovare applicazione, in virtù dell’originaria previsione dell’art. 94 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, decorso un anno dall’entrata in vigore della nuova normativa. Pertanto, essendo la regola di cui all’art. 495, comma 4-ter, c.p.p. immediatamente operativa e non potendosi da subito procedere alle registrazioni audiovisive delle prove orali, l’effetto era quello di un netto – e più che giustificato – superamento delle affermazioni delle Sezioni Unite Bajrami.
Senonché, il d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, ha inizialmente differito l’entrata in vigore della riforma e la l. 30 dicembre 2022, n. 199, che lo ha convertito, ha modificato il citato art. 94 del decreto delegato ed inserito altresì un nuovo art. 93-bis, rubricato “Disposizioni transitorie in materia di mutamento del giudice nel corso del dibattimento”. Le conseguenze delle modifiche sono palesi: da un lato, il riformato art. 94 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, ha ridotto a sei mesi dall’entrata in vigore del decreto il termine di entrata in vigore della norma sulla documentazione audio-visiva delle prove orali, che risulta quindi fissato al 30 giugno 2023; dall’altro, l’art. 93-bis dello stesso decreto ha stabilito una regola di diritto transitorio per l’entrata in vigore dell’art. 495, comma 4-ter, c.p.p., prevedendo che tale disposizione, «come introdotta dal presente decreto, non si applica quando è chiesta la rinnovazione dell’esame di una persona che ha reso le precedenti dichiarazioni in data anteriore al 1° gennaio 2023»: Bajrami forever[21], dunque.
Questa soluzione, però, presenta numerosi profili di criticità.
Si tratta, innanzitutto, di una previsione che tradisce lo spirito della riforma perché frutto di un’impostazione errata: nella relazione all’emendamento governativo che ha poi portato alla norma transitoria definitiva[22] si legge, infatti, che «secondo le intenzioni del legislatore, stante lo stretto collegamento logico» tra l’art. 510, comma 2-bis, c.p.p. e l’art. 495, comma 4-ter, c.p.p., quest’ultima norma avrebbe dovuto intendersi condizionata all’entrata in vigore della prima. Una petizione di principio ingiustificata, se solo si considera che la stessa relazione afferma che le modifiche all’art. 495 c.p.p. avrebbero «inteso ribadire la centralità nel processo penale dei principi di oralità ed immediatezza, stabilendo il diritto della parte che vi ha interesse» alla rinnovazione: se trattasi di principi centrali, come sarebbe possibile attendere oltre per la loro affermazione?
Senza considerare che la relazione che accompagnava la proposta di introduzione della norma transitoria affermava che con essa si sarebbe evitato «il rischio di una indiscriminata rinnovazione di dibattimenti penali a causa della attuale indisponibilità da parte di tutti gli uffici giudiziari dei sistemi di videoregistrazione e, dunque, di quella ragionevole deroga al principio di immediatezza, costituita dalla messa a disposizione del nuovo giudice della videoregistrazione dell’esame, e non solo dei verbali delle dichiarazioni rese in quella sede».
Non si comprende come, in attesa di quella che è considerata una «ragionevole deroga al principio di immediatezza», possa ritenersi indiscriminata la rinnovazione: se quella introdotta dall’art. 495, comma 4-ter, c.p.p. è, infatti, una “ragionevole deroga”, ciò significa che qualsiasi altra deroga è irragionevole e come tale deve portare all’applicazione della regola dell’immediatezza, che solo la rinnovazione può attuare. Il nuovo art. 495, comma 4-ter, c.p.p., infatti, non ha il valore di introdurre il diritto alla rinnovazione, che su base normativa è l’unica soluzione per evitare la nullità della sentenza stabilita dall’art. 525, comma 2, c.p.p., ma solo quello di delimitare tale diritto[23].
Ancora più seria è la considerazione della situazione normativa determinata dall’art. 93-bis, per effetto del quale sussistono ben tre differenti regimi in ordine alla rinnovazione dell’esame delle persone che hanno già reso dichiarazioni nel medesimo dibattimento.
Il primo è quello del passato, relativo alla rinnovazione dell’esame di una persona che ha reso le precedenti dichiarazioni in data anteriore al 1° gennaio 2023: in questo caso si applica, per diritto vivente, il principio fissato dalle Sezioni Unite, che postula la richiesta motivata di parte e la valutazione discrezionale del giudice.
Il secondo regime è quello del presente, relativo alle dichiarazioni rese in data compresa tra il 1° gennaio 2023 e il 29 giugno 2023: non sussistendo l’obbligo di documentazione con mezzi di riproduzione audiovisiva si applicherà il principio opposto a quello fissato dalle Sezioni Unite, e quindi la rinnovazione sarà pressoché automatica.
Il terzo, infine, è del futuro e concerne la rinnovazione dell’istruzione dopo il 30 giugno 2023, una volta che l’intero sistema sia entrato a regime con l’obbligo di documentazione con mezzi di riproduzione audiovisiva, fatta salva la loro contingente indisponibilità: in questi casi il principio sarà quello della necessaria rinnovazione, salva la documentazione integrale mediante mezzi di riproduzione audiovisiva.
È innegabile che la scelta abbia rappresentato un punto di incontro tra la politica e le pressioni della magistratura organizzata e che, quindi, rappresenti una soluzione di compromesso. Ma non essendo possibile individuare una convincente ratio distinguendi fra i diversi regimi, in particolare tra il primo e il secondo, si tratta di un compromesso non del tutto ragionevole.
7. In conclusione: quali possibili rimedi?
Dobbiamo chiederci, a questo punto, quali rimedi siano esperibili dalle parti che invochino il proprio diritto alla rinnovazione dell’esame e si trovino nella spiacevole situazione di dover sottostare all’applicazione di un principio giurisprudenziale che il legislatore ha fatto salvo sino al 31 dicembre 2022.
Astrattamente, la parte potrebbe chiedere al nuovo giudice di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 93-bis del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. Questa disposizione, come è noto, non era prevista nel testo originario del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, ma è stata introdotta soltanto dalla legge di conversione, che ha inserito l’art. 5-decies. Pacifica la possibilità per la legge di conversione di introdurre emendamenti al decreto da convertire, permane pur sempre l’obbligo costituzionale di rispettare la necessaria omogeneità del decreto legge.
Sul punto, risulta tuttavia arduo dimostrare un eventuale vizio del d.l. n. 162 del 2022, posto che la giurisprudenza costituzionale è da tempo assestata sulla legittimità di decreti legge a contenuto plurimo, purché sussista «l’osservanza della ratio dominante l’intervento normativo d’urgenza»[24]. Inoltre occorre sempre ricordare come il sindacato di costituzionalità rimanga «circoscritto ai casi in cui la rottura del nesso tra la situazione di necessità ed urgenza che il Governo mira a fronteggiare e la singola disposizione del decreto-legge risulti evidente, così da connotare quest’ultima come “totalmente “estranea” o addirittura “intrusa”, analogamente a quanto avviene con riguardo alle norme aggiunte dalla legge di conversione»[25]. Il requisito della “evidente assenza” dei presupposti, pur criticato in dottrina[26], risulta ormai costantemente seguito dalla giurisprudenza costituzionale e non si profila all’orizzonte alcun revirement.
Scartata dunque la possibilità di percorrere la strada dell’incostituzionalità per violazione dell’art. 77 Cost., rimarrebbe comunque da saggiare l’ipotesi della violazione dell’art. 3, comma 1, Cost.
Difatti, la norma di diritto transitorio introduce un regime differenziato meno favorevole rispetto alle prove dichiarative assunte prima del 1° gennaio 2023, senza che tuttavia vi sia alcuna convincente giustificazione.
Tutto ciò non può che suscitare forti dubbi di compatibilità con l’art. 3, comma 1, Cost., perché si trattano in maniera diversa situazioni uguali violando la regola di giustizia sostanziale sottesa alla disposizione costituzionale[27]. Il legislatore, infatti, è tenuto a «non violare le regole della logica, che costituisce un limite giuridico all’esercizio di ogni attività discrezionale: con la conseguenza di considerare invalida la legge che disponga trattamenti differenziati per determinate categorie di rapporti allorché dallo stesso suo testo o da altre disposizioni ad esso collegate risulti l’inesistenza delle peculiarità dei rapporti regolati (…) o pure quando tali peculiarità appaiono prima facie prive di ogni carattere di ragionevolezza»[28].
La questione, in questa prospettiva, sarebbe ben diversa da quelle reiteratamente respinte dalla Corte costituzionale, perché il rinvio dell’entrata in vigore del nuovo comma 4-ter dell’art. 495 c.p.p. non rappresenterebbe affatto una “ragionevole eccezione” «al principio dell’identità tra giudice avanti al quale è assunta la prova e giudice che decide, in funzione dell’esigenza, costituzionalmente rilevante, di salvaguardare l’efficienza dell’amministrazione della giustizia penale»[29]. Rappresenta, al contrario, l’espressione di una generica necessità ed urgenza di «consentire una più razionale programmazione degli interventi organizzativi di supporto alla riforma», come recita la premessa del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, che non parrebbe di per sé costituire una giustificazione sufficiente proprio alla luce di quella giurisprudenza costituzionale. Né è possibile comprendere la ratio della distinzione in rapporto all’esigenza di approntare le necessarie misure organizzative volte a garantire la disponibilità da parte di tutti gli uffici giudiziari dei sistemi di videoregistrazione, posto che il termine di entrata in vigore della norma sulla documentazione audio-visiva delle prove orali, come in precedenza osservato, è ulteriormente posticipato al 30 giugno 2023. Situazioni uguali, dunque, sono trattate in modo diverso.
Una eventuale decisione di accoglimento da parte della Corte costituzionale avrebbe così come effetto quello di rimuovere il limite temporale di applicabilità del comma 4-ter, consentendone la più piena espansione e facendo venir meno, una volta per tutte, l’ultrattività della “regola Bajrami”.
Sarebbe la giusta occasione per ripristinare l’ordine fissato nell’art. 101, comma 2, Cost.: al legislatore il compito di formare la legge, al giudice quello di applicarla senza disfare ciò che il primo ha fatto[30]. Non sarebbe poco.
[1] Il riferimento va a Cass., Sez. Un., 30 maggio 2019, n. 41736, Bajrami, in Cass. pen., 2020, 1061, con nota di Galluccio Mezio, Sezioni unite e ideale accusatorio: una relazione in crisi, e di Caligaris, Quando l’immediatezza soccombe all’efficienza: un discutibile (ma annunciato) sviluppo giurisprudenziale in tema di rinnovazione del dibattimento per mutamento del giudice.
[2] Come si vedrà, in funzione del meccanismo delineato dal Supremo Consesso, la parte si trova a godere di una situazione giuridica soggettiva attiva che impone di attendere la maturazione di una situazione giuridica favorevole che ancora non si è concretizzata e che si concretizzerà solo a seguito di una decisione favorevole del giudice, non in conseguenza di un automatismo.
[3] Siamo convinti, infatti, che la valutazione del giudice, pur dovuta, ai sensi dell’art. 190 c.p.p. attenga all’ammissione della prova e non alla sua rinnovazione, come invece ritenuto dalle Sezioni Unite Bajrami. Ciò che non esclude che una rinnovazione possa essere negata qualora sulla base delle precedenti dichiarazioni la prova appaia irrilevante, ma che impone la rinnovazione anche sulle medesime circostanze qualora richiesta dalla parte. Nello stesso senso cfr. Bronzo, La “riforma Cartabia” e la razionalizzazione dei tempi processuali nella fase dibattimentale, in Cass. pen., 2022, p. 1318-1319, che descrive anche una serie di ipotesi, non dimenticando di osservare che «nei casi in cui però il giudice dichiari inammissibile la prova orale richiesta dalla parte nel dibattimento rinnovato, l’acquisizione tramite lettura del verbale del primo esame non dovrebbe essere consentita».
[4] In questo senso cfr. Corte cost. 20 maggio 2019, n. 132. La Corte, in precedenza, si era già pronunciata più volte sul tema dichiarando la non fondatezza o l’inammissibilità della questione sollevata: cfr. Corte cost. 7 giugno 2010, n. 205; Corte cost. 29 luglio 2008, n. 318; Corte cost. 9 marzo 2007, n. 67; Corte cost. 13 dicembre 2004, n. 418; Corte cost. 12 marzo 2003, n. 73; Corte cost. 27 febbraio 2002, n. 59; Corte cost. 3 dicembre 2001, n. 431 e n. 397; Corte cost. 3 febbraio 1994, n. 17.
[5] In dottrina, sul tema, cfr. De Caro, La Corte costituzionale chiama, le Sezioni Unite rispondono: il triste declino del principio di immediatezza, in Dir. pen e proc., 2020, 293; Ferrua, Il sacrificio dell’oralità nel nome della ragionevole durata: i gratuiti suggerimenti della Corte costituzionale al legislatore, in Arch. pen. web, 2019, n. 2; Mazza, Il sarto costituzionale e la veste stracciata del codice di procedura penale, in Arch. pen. web, 2019, n. 2; Negri, La Corte costituzionale mira a squilibrare il “giusto processo” sulla giostra dei bilanciamenti, in Arch. pen. web, 2019, n. 2; Spangher, Sentenza Bajrami, il nuovo dibattimento nel solco delle divisioni, in Guida al dir., 2019, n. 47, 13; Id., Bajrami: contraddittorio versus oralità, in www.dirittodidifesa.eu.
[6] La delega era prevista dall’art. 1, comma 8, lett. a), l. 27 settembre 2021, n. 134.
[7] La scelta di tale modalità di documentazione è stata estesa dallo stesso delegante anche all’acquisizione dell’interrogatorio o di talune dichiarazioni durante le fasi precedenti. La nuova disposizione, inoltre, dettata in materia di giudizio, trova applicazione, mediante richiami, anche in relazione a differenti contesti nei quali però si formi «un mezzo dimostrativo fisiologicamente idoneo a supportare la decisione sulla regiudicanda»: ciò che accade, ad esempio, nell’assunzione di prove dichiarative nell’ambito del giudizio abbreviato, a norma dell’art. 441, commi 5 e 6, c.p.p., sebbene essa avvenga nelle forme previste per l’udienza preliminare; ovvero in riferimento alle prove assunte in sede di incidente probatorio, che, in ragione di urgenza e irripetibilità, se non di particolare tutela del testimone, si pongono maggiormente in contrasto con i principi di immediatezza ed oralità.
[8] L’attuazione della delega è avvenuta con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.
[9] Data l’attuale disponibilità di tecnologie che consentono la riproduzione del compimento di un atto che non sia solamente cartacea, la nuova previsione, nell’ottica della riforma, è dichiaratamente finalizzata ad evitare che la documentazione stessa appiattisca o sottragga valore euristico alla prova. In argomento, volendo, cfr. Chelo, Saldi intenti di razionalizzazione e timidi tentativi di recupero delle garanzie nel giudizio “secondo Cartabia”, in Dir. pen. e proc., 2023, 172 ss.
[10] In questo senso cfr. Conti, Mutamento del giudice e rinnovazione del dibattimento: variazioni in tema di diritto alla prova, in Dir. pen. e proc., 2003, 742. La prospettiva è ripresa anche da Bronzo, La “riforma Cartabia” e la razionalizzazione dei tempi processuali nella fase dibattimentale, in Cass. pen., 2022, 1322.
[11] Ciò anche in ragione della necessaria ripetizione della sequela di operazioni che preludono alla rinnovazione dell’esame, seppur a richiesta di parte, nel caso di mutamento del giudice.
[12] Così come la delega contemplava l’ipotesi «di mutamento del giudice o di uno o più componenti del collegio», la disposizione che le ha dato attuazione appare testualmente neutra («se il giudice muta») per essere applicabile anche al giudizio di fronte al giudice monocratico, in ragione del richiamo operato dagli artt. 549 e 555 c.p.p.
[13] La soluzione adottata, infatti, intende superare, sia nelle premesse che negli esiti, l’impostazione delle Sezioni Unite Bajrami e del d.d.l. Bonafede che intendeva tradurre in norma positiva proprio il predetto approdo giurisprudenziale attraverso un’applicazione generalizzata del criterio ammissivo speciale che l’art. 190-bis c.p.p. detta per i procedimenti di criminalità organizzata: così Bronzo, La “riforma Cartabia” e la razionalizzazione dei tempi processuali nella fase dibattimentale, in www.dirittodidifesa.eu.
[14] In argomento cfr. Ludovici, Il “nuovo” giudizio di primo grado, in Aa. Vv., La riforma Cartabia, Pacini, 2022, 523; Spangher, Bajrami forever, in questa rivista, 2022, n. 3, 459.
[15] La relazione contiene uno specifico riferimento al «diritto di chiedere» e non al «diritto di ottenere», quasi ad escludere, ancora una volta, qualsiasi automatismo; vero, però, che la formula legislativa adottata utilizza il congiuntivo presente «disponga» e non «possa disporre».
[16] D’altronde, a questa conclusione deve giungersi anche attraverso l’interpretazione della formula «saranno utilizzate» contenuta nella disposizione: conclusione alla quale giunge anche Ludovici, Il “nuovo” giudizio di primo grado, in Aa. Vv., La riforma Cartabia, cit., 513, il quale osserva come «la declinazione del verbo riflessivo al futuro semplice abbia una funzione meramente suppositivo-epistemica», profilando la sola probabilità astratta che la prova sia utilizzata. Ovviamente, con riferimento alle parti private, deve trattarsi di una prova pertinente rispetto al capo di accusa che le coinvolge direttamente.
[17] In tal senso, cfr. anche Bronzo, La “riforma Cartabia” e la razionalizzazione dei tempi processuali nella fase dibattimentale, in Cass. pen., 2022, 1318.
[18] D’altronde, non curandosi del principio di immediatezza, le Sezioni Unite Bajrami hanno affermato una sorta di presunzione di manifesta superfluità della riaudizione nei casi in cui la parte abbia richiesto la mera ripetizione dell’esame, da svolgersi sulle medesime circostanze.
[19] Una presa di coscienza della realtà dei fatti si rinviene, d’altronde, nella Relazione finale e proposte di emendamenti al d.d.l. A.C. 2435, del 24 maggio 2021, della citata Commissione Lattanzi, in www.gnewsonline.it, 30. La Commissione ha ribadito unanimemente la necessità che si agisca sulle situazioni di mutamento del giudice, «determinate spesso (seppur non esclusivamente) dal trasferimento dei magistrati interno all’ufficio o da un ufficio all’altro»; la soluzione vaticinata dalla Commissione è quella, condivisibile, di «istituire regole ordinamentali che riducano gli effetti più evidenti e prevedibili di un trasferimento di ufficio»: risultano, infatti, già «previsti spazi organizzativi – tanto da norme primarie che secondarie – per ridurre le disfunzioni collegate al mutamento del giudice; se utilizzati in modo rigoroso ridurrebbero la rilevanza del problema».
[20] In questo senso cfr. anche Spangher, Bajrami forever, cit., 458, che parla di «alcune indicazioni strutturali» date al legislatore dai giudici della Consulta. In argomento cfr. anche Daniele, Le “ragionevoli deroghe” all’oralità in caso di mutamento del collegio giudicante: l’arduo compito assegnato dalla Corte costituzionale al legislatore, in Giur. Cost., 2019, 1551.
[21] Per questa presa di coscienza cfr. Spangher, Bajrami forever, cit., 457 ss.
[22] Si tratta della nota del Ministero della giustizia, Ufficio legislativo, in data 28 novembre 2022.
[23] Quindi, a rigor di logica, quand’anche la norma dovesse applicarsi a chi ha reso dichiarazioni «in data anteriore al 1° gennaio 2024» ciò comporterebbe l’impossibilità di applicare la deroga in relazione alle prove videoregistrate, non certo la regola della rinnovazione, che, nonostante il contrario parere della giurisprudenza, vive di vita propria discendendo dall’art. 525, comma 2, c.p.p.
[24] Corte cost., 18 gennaio 2022, n. 8, punto 6.1 del Considerato in diritto.
[25] Ibidem.
[26] Si v., tra i molti, Celotto – Di Benedetto, Commento all’art. 77, in Bifulco – Celotto – Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, vol. II, Torino, 2006, 1518 s., i quali lamentano come «il significato della clausola generale “casi straordinari di necessità ed urgenza” è stato, negli anni, completamente snaturato, in forza di una interpretazione estensiva o – addirittura – super-estensiva del presupposto legittimante», avallata «dalla dottrina, in quanto la prassi – a tal fine – si è avvalsa non poco delle “condiscendenti elaborazioni dei costituzionalisti”: è stato, infatti, proprio il contributo degli studiosi a spalancare le porte all’abuso, fornendo argomentazioni eccellenti per una interpretazione “lassista” della locuzione costituzionale».
[27] Cfr. Barile, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1984, 75.
[28] Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1962, 837.
[29] Corte cost. 20 maggio 2019, n. 132, punto 3.2 del Considerato in diritto.
[30] Come peraltro avvertito persino in ambienti di common law: King v. Burnwell, 576 U.S. (2015): «In a democracy, the power to make the law rests with those chosen by the people. Our role is more confined – “to say what the law is”. Marbury v. Madison, 1 Cranch 137, 177 (1803). That is easier in some cases than in others. But in every case we must respect the role of the Legislature, and take care not to undo what it has done». Sul tema, più ampiamente, sia consentito il rimando a Betzu, Diritto giurisprudenziale versus occasionalismo giurisprudenziale, in Dir. pub., 2017, f. 1, 42 ss