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Pacchetto Nordio: timidi ma significativi segnali di cambio di prospettiva 

1. Negli scorsi giorni il Guardasigilli ha presentato in Consiglio dei ministri, che l’ha condiviso, un disegno di legge intestato “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento giudiziario.

Interpretazione autentica dell’articolo 9 della legge 10 aprile 1951 n. 287” che è ora all’esame del Senato, anche se prima sembrava destinato alla Camera dei deputati.

Il provvedimento consta di 8 articoli. 

2. In particolare con l’art. 1 viene, da un lato, abrogato l’art 323 c.p. ove è disciplinato il reato di abuso di ufficio ed è effettuato il relativo coordinamento normativo con gli altri articoli che lo richiamano;  dall’altro viene riformulato e coordinato con altre previsioni l’art 346 bis c.p. dove è regolato il traffico di influenze.

In tal modo, il legislatore ritiene che l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio che ha avviato numerose indagini sfociate in archiviazioni ed assoluzioni può essere adeguatamente compensato dal mantenimento della complessiva disciplina esistente in materia di lotta alla corruzione in relazione alla quale anche la riformata disciplina del traffico di influenze, con l’elevazione del minimo della pena unitamente all’arsenale amministrativo, è in grado di far fronte alla emergenza dei fenomeni corruttivi e di deviazione della corretta amministrazione della cosa pubblica.

Giova ricordare il largo consenso che accompagna nei pubblici amministratori questa riforma pur non escludendosi in sede parlamentare di apportare i necessari correttivi anche alla luce delle indicazioni che dovessero pervenire dagli organismi europei e sovranazionali in ossequio agli impegni assunti dall’Italia con la sottoscrizione di alcune convenzioni. 

3. Con l’art. 2 vengono introdotte alcune significative modifiche al codice di procedura penale.

In primo luogo, sono modificati gli artt. 114 comma 2 bis, 116 comma 1, 268 commi 2 bis e 6.

Con interventi chirurgici su queste norme si punta ad escludere la diffusione, nelle diverse modalità ivi indicate, del contenuto  delle intercettazioni riguardanti i soggetti diversi dalle parti circoscrivendo le stesse a quelle riprodotte dal giudice nella motivazione del provvedimento.

La previsione si ricollega a quanto già previsto dal comma 2 quater dell’art. 292 c.p.p. in relazione alla motivazione del provvedimento che applica una misura cautelare ove si fa riferimento ai brani essenziali.

Viene fatta salva l’indispensabilità per la compiuta esposizione degli elementi rilevanti. 

La previsione allarga il limite alla diffusione circoscrivendolo alle parti e ai loro difensori.

La formulazione tecnica “parti” oltre ad escludere i soggetti processuali fa naturalmente riferimento anche agli organi di informazione (giornalisti).

Si tratta dell’ennesimo tentativo teso a limitare la diffusione dei contenuto delle intercettazioni relativamente ad elementi ritenuti processualmente non rilevanti e che attengono alla sfera privata dei soggetti estranei alle indagini. Ancora una volta tuttavia mancano adeguate sanzioni essendo le attuali del tutto incapaci di indurre al rispetto di quanto si vorrebbe fosse osservato. 

Allo stato, quindi, non si interviene sui presupposti e sulle modalità tecniche delle captazioni, rinviate ad  un provvedimento successivo, ma solo sulla diffusione delle stesse.

4. Un altro profilo oggetto dell’intervento riformatore ha riguardato l’art 369 c.p.p.

Con la lett. m), nn. 1e 2 dell’art. 2 si sono previste delle modifiche all’informazione di garanzia in relazione al suo contenuto, per un verso sganciando l’avviso dal momento (esclusivo) legato al compimento di un atto che richiede la presenza del difensore, per un altro inserendo la necessita di precisare seppur sommariamente il fatto per il quale si procede ribadendo i limiti del contenuto delle intercettazioni, nonché precisando che la notificazione sarà effettuata dalla polizia giudiziaria assicurando la riservatezza del destinatario. 

5. L’aspetto forse più rilevante del ddl è costituito dall’intervento sui profili procedurali della applicazione delle misure cautelari.

Due i capisaldi della novella: la collegialità  per l’applicazione della custodia cautelare in carcere (anche in caso di aggravamento della misura nonché in caso di applicazione di una misura di sicurezza detentiva: artt. 313, comma 2, 328 comma 1 quater, 299 comma 4 cpp) e la possibilità dell’interrogatorio anticipato (che si svolgerà con le modalità di cui agli artt. 64 e 65 c.p.p.) rispetto all’applicazione della misura.

Il primo profilo, scontando la mancanza di un numero adeguato di giudici poste le situazioni di incompatibilità che inevitabilmente si determinerebbero, ai sensi dell’art. 8, è differito di due anni per consentire il necessario espletamento del reclutamento straordinario di magistrati  (art. 8 in relazione agli artt. 3, 4 e 5).

Resta quindi allo stato da considerare le situazioni che richiedono il contraddittorio  anticipato. 

Ai sensi di quanto interpolato con il comma 1 quater dell’art 291 c.p.p., dopo aver confermato la previsione dell’interrogatorio anticipato di cui all’art 289 comma 2 c.p.p. relativamente all’applicazione della misura interdittiva, la riforma  esclude l’anticipazione in presenza delle esigenze cautelari di cui alle lett a) e b) dell’art. 274 c.p.p., nonché a quella di cui alla lett c)  prima parte, della stessa norma, ulteriormente estesa ad altre gravi situazioni delittuose.

Si tratta di situazioni nelle quali le esigenze cautelari sono totalmente o parzialmente presunte.

Restano pertanto suscettibili di interrogatorio anticipato le situazioni di reiterazione di reati della stessa specie con i relativi limiti di pena per la misura applicabile. 

Si tratta, a ben vedere, delle ipotesi per le quali si era celebrato il referendum che tuttavia non aveva raggiunto il quorum. 

Con le modifiche di cui ai commi 1 quinquies ed 1 octies vengono regolati i profili procedurali relativi ai tempi ed al contenuto dell’invito a presentarsi anche in relazione al deposito degli atti, nonché delle conseguenze della mancata presentazione.

Con le modifiche introdotte dall’art 292 c.p.p. è previsto il coordinamento del contenuto dell’ordinanza in relazione all’interrogatorio anticipato e con le modifiche all’art 294 c.p.p. il coordinamento dell’interrogatorio anticipato con le situazioni nelle quali  continua ad essere svolto il contraddittorio posticipato. 

Non sono pochi i problemi che questa nuova procedura prospetta.

È evidente  che la possibilità di procedere all’interrogatorio anticipato nei limiti indicati non sia possibile in presenza di una delle esigenze di cui alle lett. a) e b) dell’art 274 c.p.p.

Dovrebbe essere consentito al giudice richiesto della  misura del carcere di concedere gli arresti domiciliari e le altre misure.

Sembrerebbe che indagato svolga l’interrogatorio anticipato in stato di libertà. 

Non è chiaro se il giudice debba sempre procedere all’interrogatorio ovvero solo nel caso in cui valuti la possibilità della sua applicazione.

Quid iuris in caso di  richiesta di attenuazione del carcere ovvero di arresti domiciliari disposti invece del carcere?

Il conservato riesame pone problemi in caso di doppia conforme in quanto disposta collegialmente, nonché quelli relativi al rischio di confessioni e di collaborazioni effettuate per evitare la misura cautelare inframuraria. 

6. Un punto altamente qualificante della riforma è costituito dalla modifica dell’art. 593, comma 2 c.p.p. ove si prevede che il pubblico ministero non possa appellare le sentenze di  proscioglimento per i reati di cui all’art. 550, nn. 1 e 2, c.p.p.

Si tratta di una disposizione che seppur limitata ai reati di competenza del giudice monocratico, ancorché ampliata dalla riforma Cartabia, completa la già prevista esclusione della legittimazione ad appellare del pubblico ministero le sentenze del giudice di pace (previsione ritenuta legittima dalla Corte costituzionale: Corte cost. 42/2009).

Si è invero da subito prospettata l’ipotesi della declaratoria di incostituzionalità richiamando il precedente della legge Pecorella e della sentenza n. 27 del 2007.

Va però detto che proprio nella motivazione di quella decisione nel dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 593 c.p.p., da un lato si evidenziava come l’esclusione fosse operante globalmente relativamente alle sentenze di proscioglimento e dall’altro non poteva escludersi una diversa valutazione nel caso in cui l’esclusione fosse circoscritta a situazioni di minor allarme sociale.

E deve essere comunque sottolineato che si tratta di una novità significativa considerate le possibili decisioni (tra le quali la particolare tenuità del fatto) che vengono sottratte all’appello del pubblico ministero. 

La riforma non tocca la disciplina del rito abbreviato e le decisioni di non doversi procedere emesse nell’udienza preliminare e nell’udienza predibattimentale.

Si ricorderà che la commissione Lattanzi aveva già escluso in senso ampio la legittimazione del p.m. ad appellare le sentenze di proscioglimento, seppur raccordandola alla tassatività dei motivi di appello dell’imputato (già previsti come specifici).

Deve comunque ritenersi che il percorso che porta alla generale inappellabilità da parte del p.m. delle sentenze di proscioglimento sia tracciata.

La Cartabia peraltro ridimensiona la rinnovazione probatoria nell’appello del p.m. (ove attivabile). 

7. Pur nella frammentarietà  dell’intervento riformatore è possibile trarre qualche riflessione, se non proprio di sistema, certamente di indicazione della finalità perseguita dal legislatore.

L’ambito dell’intervento, prevalentemente incentrato  nella fase delle indagini preliminari (esclusa cioè  la questione della legittimazione del pubblico ministero) si incentra sul rafforzamento del ruolo del giudice cercando di evitare le situazioni patologiche  più evidenti di lesione dei diritti personali in relazione a situazioni non necessitate dalle attività di accertamento sia dei soggetti sottoposti a procedimento penale sia di soggetti del tutto estranei.

Il profilo significativo della riforma è legato, come detto, alla fascia medio bassa della criminalità e in questo contesto ad alcune posizioni soggettive (colletti bianchi e persone  omologabili).

Il segnale politico è quello di una visione, seppur timida, di recupero delle tutele individuali, senza pregiudicare l’accertamento dei reati ma marcando comunque una inversione di tendenza. 

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