Con un tratto di penna, il legislatore ha risolto il conflitto giurisprudenziale e dottrinale formatosi in merito alla c.d. depenalizzazione del peculato dell’albergatore, prevedendo che l’art. 4 co. 1 ter, d.lgs. 23/2011 si applichi anche ai fatti illeciti consumati prima del 19 maggio 2020. Di seguito il testo della norma, introdotta nel decreto-legge n. 146 del 2021 dalla relativa legge di conversione (L. 17 dicembre 2021, n. 215, in G.U. 20 dicembre 2021, n. 301):
Articolo 5 quinquies, d.l. 21 ottobre 2021, n. 146
Interpretazione autentica del comma 1-ter dell’articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23.
1 – Il comma 1-ter dell’articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, ai sensi del quale si attribuisce la qualifica di responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno al gestore della struttura ricettiva con diritto di rivalsa sui soggetti passivi e si definisce la relativa disciplina sanzionatoria, si intende applicabile anche ai casi verificatisi prima del 19 maggio 2020.
1 – Occorre premettere che, secondo il tradizionale orientamento giurisprudenziale, il gestore di una struttura ricettiva assumeva – quanto all’incasso e al successivo versamento dell’imposta di soggiorno corrisposta dagli ospiti – la qualifica pubblicistica di agente contabile, ciò che consentiva di ritenere integrato in capo all’agente il maneggio di denaro pubblico (poiché incaricato di pubblico servizio), come tale destinato al successivo versamento nelle casse della pubblica amministrazione locale, sicché il mancato trasferimento di quelle somme nel patrimonio della pubblica amministrazione nel termine sancito dalla normativa di settore configurava il delitto di peculato ex art. 314 c.p. (ex multis, Cass. sez. VI, 21 giugno 2019, n. 27707).
In seguito all’entrata in vigore del c.d. decreto rilancio (cfr. art. 180 co. 3, decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34), che ha mutato la qualifica del gestore di struttura ricettiva da agente contabile a responsabile di imposta, la condotta di chi trattenga il denaro ricevuto dai clienti a titolo di imposta di soggiorno non è più suscettibile di configurare il delitto di peculato, poiché il titolare della struttura risponde dell’obbligo di versamento con denaro proprio e quindi non maneggia più denaro altrui connotato dalla vocazione pubblicistica; viene invece prevista, per l’inadempimento tributario, l’applicazione di sanzioni amministrative.
Se, dunque, per i fatti successivi all’entrata in vigore del decreto rilancio è incontroversa la rilevanza soltanto amministrativa del mancato pagamento, si è assistito a una disputa ermeneutica circa la possibilità di ritenere depenalizzato il c.d. peculato dell’albergatore anche per i fatti pregressi.
L’orientamento granitico sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità, avversato da una parte della giurisprudenza di merito e dalla dottrina prevalente (M. Gambardella, Il decreto rilancio e la degradazione della condotta di omesso versamento dell’imposta di soggiorno da peculato a illecito amministrativo, in questa rivista, 1° giugno 2020), ha optato per la perdurante rilevanza penale – ai sensi dell’art. 314 cit. – della condotta appropriativa, in applicazione del noto criterio “strutturale” secondo il quale si assiste a una reale modifica mediata della norma incriminatrice rilevante ai sensi dell’art. 2 co. 2 c.p. (abolitio criminis) soltanto quando il legislatore abbia modificato una norma extrapenale integrativa del precetto (in tal senso, Cass. sez. VI, 28 settembre 2020, n. 30227). Sul punto, come sostenuto in dottrina, possono dirsi norme realmente integratrici ai fini della successione mediata le sole norme definitorie e quelle richiamate da una norma penale in bianco, non invece le norme di rilievo indiretto in quanto comunque “evocate” da elementi normativi della fattispecie astratta (G. L. Gatta, Omesso versamento della tassa di soggiorno da parte dell’albergatore e peculato, abolitio criminis dopo il “decreto rilancio”?, in Sist. pen., 5 ottobre 2020).
La qualifica di agente contabile (esclusa per il futuro) sarebbe rimasta in capo al soggetto agente per i fatti pregressi, poiché la norma modificativa (art. 180 del decreto rilancio) incide solo in via indiretta sulla fattispecie astratta, non essendo regolata la predetta qualifica né da una norma definitoria né da una norma integratrice richiamata dalla fattispecie criminosa (volendo, sui termini del contrasto, F. Lombardi, Imposta di soggiorno e peculato dell’albergatore tra abolitio criminis e irrilevanza del fatto, in Giur. pen., 2020, 12)
2 – Si è assistito, all’esito di alcune vicende giudiziarie che vedevano coinvolti imputati per fatti di peculato consumati prima del 19 maggio 2020, a prospettazioni di incostituzionalità della norma nella parte in cui non escludeva il rilievo penale di quelle condotte pregresse.
Dette censure di incostituzionalità, a parere di chi scrive, non coglievano nel segno, tenuto conto che gli strumenti adottabili dal legislatore a tale scopo sarebbero stati in astratto due: o il legislatore avrebbe potuto espressamente prevedere la retroattività della norma che ha attribuito la qualifica di responsabile di imposta in capo al gestore della struttura ricettiva, o egli avrebbe potuto prevedere l’irrilevanza penale delle condotte astrattamente configuranti il menzionato delitto di peculato, laddove compiute dall’albergatore.
Se la prima scelta rientra nella esclusiva discrezionalità del legislatore, non potendo l’organo giurisdizionale invadere questo ambito riservato di competenza, la seconda scelta avrebbe plausibilmente rischiato di porsi essa stessa in attrito con i principi fondamentali nella misura in cui avrebbe disegnato un perimetro di impunità ad personam, poiché destinato a operare specificamente per la figura del gestore di struttura ricettiva a fronte di un delitto (il peculato) di perdurante vigenza e a fronte della sussistenza in capo al gestore (per i fatti pregressi) della qualifica pubblicistica.
Tutti i menzionati dubbi esegetici sono stati sopiti dall’art. 5 quinquies del d.l. 146/2021, introdotto in sede di conversione dalla legge n. 215/2021.
La norma, salutata con favore dai primi commentatori (G. Amarelli, Peculato dell’albergatore: il legislatore chiarisce la retroattività della depenalizzazione del 2020, in Sist. pen., 1° febbraio 2022), ha infatti reso applicabile la qualifica di responsabile di imposta dell’albergatore ai «casi verificatisi prima del 19 maggio 2020».
Questa scelta ha certamente il merito di ricondurre a equità, anche sul piano temporale, le prescrizioni normative applicabili ai gestori delle strutture ricettive quanto al loro dovere di far confluire nel patrimonio comunale l’imposta di soggiorno, eliminando fastidiose disparità di trattamento derivanti da sfumature lessicali e da sofisticati criteri ermeneutici che, pur nella loro innegabile rilevanza dogmatica, appaiono inafferrabili nel pratico svolgersi della vita imprenditoriale; il rischio cioè (ormai debitamente fugato) sarebbe stato quello di innescare la ritrosia al trattamento rieducativo in capo a chi avesse commesso un fatto di peculato di tale specie e si fosse visto attingere da sanzione penale, a fronte di condotte sostanzialmente analoghe (si tratta pur sempre di mancato versamento di denaro derivante dall’incasso dell’imposta di soggiorno) compiute da altri dopo l’entrata in vigore del decreto rilancio, che invece sfuggono alla pretesa punitiva.
3 – Ciò che invece non aggrada è l’uso improprio della categoria dell’interpretazione autentica, che regge la rubrica della norma introdotta (“Interpretazione autentica del comma 1-ter dell’articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23”).
L’interpretazione autentica è quello strumento normativo (una nuova disposizione) mediante il quale il legislatore interviene a chiarire il significato di un’altra disposizione che, intanto, non sia apparsa agevolmente comprensibile e abbia dato adito a dispute ermeneutiche (per tutti, R. Bin. – G. Pitruzzella, Diritto pubblico, Giappichelli, 2006, p. 249).
Nel caso di specie sarebbe corretto riferirsi all’interpretazione autentica ove si rinvenisse nella norma di rilievo un frammento lessicale disciplinante i fatti pregressi o, comunque, il profilo cronologico, che, per la scarsa chiarezza, necessitasse di un intervento esplicativo da parte del legislatore. Così non è stato: non si rinviene nell’art. 4 co. 1 ter cit. (e neppure a monte nell’art. 180 co. 3 cit.) alcun riferimento dubbio alla regolazione dei fatti pregressi, sicché, in assenza di dubbi, non trova senso fornire un’interpretazione autentica, in quanto priva del proprio naturale oggetto.
L’introduzione della norma di “interpretazione autentica” nel d.l. 146/2021 possiede più la parvenza – per dirla con una nota espressione campana – della “pezza a colore”.
Il legislatore, ritenendo erroneamente (poiché impedito dalle categorie penalistiche) di aver eliminato la rilevanza penale del peculato dell’albergatore sia per il futuro che per il passato, non si è espresso, al momento della redazione dell’art. 180 co. 3 del decreto rilancio, con riguardo ai fatti pregressi.
Successivamente, essendosi avveduto del caos interpretativo innescato – dovuto non tanto all’esistenza di una norma dubbia quanto alla mai sopita diatriba sul corretto uso del criterio strutturale tra gli interpreti – ha inteso risolverlo con l’introduzione di quella disposizione integrativa mancante nella normativa di riferimento, che prevedesse la retroattività della novella in deroga all’art. 11 delle Preleggi.
La norma che il legislatore appella “di interpretazione autentica” è nient’altro che una norma ordinaria che aggiunge nel testo del d.l. 23/2011 ciò che il legislatore aveva dimenticato di introdurre nell’art. 180 co. 3 d.l. 34/2020, vale a dire la retroattività della norma modificativa della qualifica soggettiva dell’albergatore.
IN MATERIA VEDI ANCHE: Il “decreto rilancio” e la degradazione della condotta di omesso versamento dell’imposta di soggiorno da peculato a illecito amministrativo