Cass., sez. III, 22 aprile 2021 (dep. 1 luglio 2021), n. 25334, Marini, Presidente, Rosi, Relatore, Tocci, P.m. (concl. diff.)
1. Il caso
La vicenda concerneva il reato di cui all’art. 81 cpv. c.p., art. 600-ter c.p., comma 1, n. 1 e comma 3 compiuto dall’imputato, il quale produceva materiale pornografico realizzando e divulgando in rete immagini della minorenne, con la quale egli aveva istaurato una relazione intima. I giudici di merito consideravano integrata la fattispecie incriminatrice nella sua formulazione “ratione temporis”, ritenendo sussistente la condotta di utilizzazione della minore quindicenne per realizzare immagini pedopornografiche, dovendosi considerare non rilevante che la minore avesse acconsentito sia alla realizzazione delle immagini sia alla loro parziale cessione.
Dopo una doppia conforme di condanna, l’imputato tenta la strada del ricorso per Cassazione.
2. Il tema della decisione: viene messo in discussione l’obiter dictum delle Sezioni unite del 2018
I Giudici di legittimità affrontano innanzitutto la problematica posta con il primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente ha lamentato l’erronea applicazione della fattispecie di cui all’art. 600-ter c.p., da parte della Corte di Appello di Roma in contrasto con l’interpretazione data alla fattispecie incriminatrice con la sentenza delle Sezioni Unite n. 51815 del 31 maggio 2018 (Cass., sez. un., 31 maggio 2018, n. 51585, in Cass. pen., 2019, p. 587; sulla decisione, cfr., ex plurimis Natalini, Pedopornografia: non è più necessario accertare il pericolo concreto di diffusione del materiale, in Guida dir., 2019, 11, 72; B. Romano, La pornografia minorile nella (nuova) lettura delle Sezioni Unite: dal pericolo concreto al reato di danno, in Cass. pen., 2019, 2, 587; Ubaldi, Produzione di materiale pedopornografico: ai fini della punibilità non serve più l’accertamento in concreto del pericolo di diffusione, in Dir. Giust., 16 novembre 2018).
Il Supremo Collegio, nel 2018, aveva individuato nella condotta di “utilizzazione” del minore il discrimine per individuare l’area di penale rilevanza dell’attività di produzione di materiale pedo-pornografico.
Occorre segnalare come, con tale decisione, le Sezioni Unite, nel ricostruire l’evoluzione normativa della fattispecie incriminatrice, avevano stabilito il principio secondo cui, ai fini della integrazione del reato di produzione di materiale pedopornografico, ex art. 600-ter c.p., comma 1, non fosse richiesto l’accertamento del concreto pericolo di diffusione di detto materiale, in considerazione dello sviluppo tecnologico che ha reso ormai “potenzialmente diffusiva qualsiasi produzione di immagini o video” (cfr. Cass., sez. un., 31 maggio 2018, n. 51815, cit.).
Siffatta interpretazione avrebbe potuto favorire un’applicazione eccessivamente espansiva della norma incriminatrice per quelle condotte rientranti “nell’ambito dell’autonomia privata sessuale”, ossia in riferimento alla pedopornografia c.d. domestica, ed ha individuato in tale dizione le rappresentazioni pornografiche nelle quali risultino coinvolti minori che abbiano raggiunto la soglia del consenso agli atti sessuali, sempre che tale materiale pedopornografico sia stato prodotto e posseduto con il consenso di tali minori e risulti destinato ad esclusivo loro uso privato. In tale contesto, nel considerare le situazioni in cui vengono prodotte rappresentazioni pedopornografiche che vedono coinvolti minori ultraquattordicenni, il Collegio ha concluso che è la condotta di utilizzazione del minore a circoscrivere l’area del penalmente rilevante, in quanto presuppone la ricorrenza di un differenziale di potere tra soggetto che realizza le immagini e il minore rappresentato (sul punto, in maniera analitica, cfr. Bianchi, Produzione di materiale pedo-pornografico: il nuovo principio di diritto delle Sezioni unite, in Arch. pen., 2019, 1, 20; Galante, Le Sezioni unite in tema di pedopornografica: escluso il pericolo di diffusione, in Dir. pen. proc., 2019, 964; Giordano, L’evoluzione giurisprudenziale del reato di pornografia minorile, in Dir. pen. proc., 2019, 1726; B. Romano, La pornografia minorile nella (nuova) lettura delle Sezione unite: dal pericolo concreto al reato di danno, cit., 610).
L’apparente “apertura” delle Sezioni Unite, a nostro avviso, sarebbe probabilmente a dir poco pericolosa: sembrerebbe di intravvedervi una sorta di luce verde alla produzione, ma anche alla cessione del materiale prodotto, che poco o nulla si coordina con il generale divieto di produzione, diffusione, cessione e persino detenzione di immagini o video ritraenti minori coinvolti in atti sessuali. Ecco perché i dubbi, raccolti dalla giurisprudenza successiva al 2018, sono sfociati in alcune sentenze con le quali si è posto l’accento sulla diffusione, che continuerebbe ad essere illecita.
Così lo spartiacque tra lecito e penalmente rilevante viene individuato nella finalità “privata” del video o delle immagini. In altre occasioni, invece, si è discusso delle refluenze in termini di responsabilità nel caso di materiale etero o autoprodotto, pervenendo poi alla conclusione che il minore di quattordici anni non può, comunque, prestare un valido consenso né alla produzione, né alla cessione del materiale pornografico che lo ritrae. A ciò si aggiunga che il legislatore nazionale non ha disciplinato in alcun modo l’ipotesi della “produzione domestica” ad uso privato di immagini e video pornografici riguardanti soggetti minori di età.
In una successiva pronuncia (Cass., sez. III, 21 novembre 2019, n. 5522 in Sist. pen. 4 dicembre 2020, con osservazioni di Rosani, Cessione di immagini pedopornografiche autoprodotte (“selfie”): la Cassazione rivede la propria lettura dell’art. 600-ter c.p.) la giurisprudenza di legittimità ha affrontato una questione simile a quella oggetto del presente ricorso e, pur considerando i principi affermati dal menzionato arresto delle Sezioni Unite, ha concluso che nel caso sottoposto al suo esame il materiale pornografico, pur prodotto con il consenso del minore ultraquattordicenne, non era stato limitato esclusivamente all’uso privato del produttore, posto che questi aveva provveduto a divulgarlo ad un terzo (sul punto, si veda Cristiana Taccardi, La Cassazione di fronte al difficile inquadramento normativo del sexting (secondario) a cavallo tra le norme in materia di pornografia minorile e la nuova fattispecie di diffusione illecita di immagini e video sessualmente espliciti, in Riv. it. med. leg., 2020, 3, 1621).
Tale decisione ha stabilito come la sussistenza del reato presupposto di produzione di materiale pedopornografico non sarebbe necessaria ai fini dell’integrazione dei reati di divulgazione, diffusione e cessione, e quindi non avrebbe rilevanza il fatto che la produzione di tale materiale possa risultare scriminata per essere una realizzazione pedopornografica ad uso privato del tutto lecita, con ciò implicitamente suggerendo l’impossibilità per il minore ultraquattordicenne di prestare un valido consenso alla cessione o diffusione del materiale a persone diverse dai protagonisti dell’attività sessuale ivi riprodotta.
Tra l’altro, non è certamente trascurabile la seguente considerazione, ovvero che il legislatore nazionale non abbia ritenuto di esercitare la facoltà prevista dall’art. 8 par. 3 della direttiva 2011/93/EU, che consentiva di stabilire come l’incriminazione della produzione e del possesso di materiale pedopornografico non fosse applicabile ai casi in cui tale materiale coinvolga minori che abbiano raggiunto l’età del consenso sessuale e che lo stesso “sia prodotto e posseduto con il consenso di tali minori e unicamente a uso privato delle persone coinvolte, purché l’atto non implichi alcun abuso” (cfr. il § 4.1 del considerato in fatto della sentenza in commento).
Tale mancata previsione legislativa non può essere interpretata quale implicita voluntas di rimettere all’interpretazione giurisprudenziale la decisione in relazione agli specifici casi. L’interpretazione della fattispecie incriminatrice deve, perciò, restare ancorata ad un’attenta esegesi della fattispecie alla luce del bene protetto, il quale pare non possa essere limitato alla “autonomia sessuale” dei minori ultraquattordicenni, individuata nell’arresto delle Sezioni Unite del 2018.
Da queste considerazioni, muove il Collegio sostenendo come non sia possibile risolvere la questione di diritto sottoposta al suo scrutinio senza mettere in discussione l’obiter dictum contenuto nella decisione delle Sezioni Unite del 2018 che concludeva per la liceità di immagini o video, attinenti la sfera sessuale di minori, prodotti nell’ambito di un rapporto interpersonale frutto di libera scelta.
Nel caso che ha originato la rimessione, la ricostruzione effettuata dai giudici del merito non chiarisce se la relazione tra l’adulto e la minore all’epoca dei fatti manifestasse l’esistenza di “quel differenziale di potere tra soggetto che realizza le immagini e il minore rappresentato”, idoneo ad integrare la fattispecie contestata di produzione di materiale pedopornografico secondo l’interpretazione fornita dalle Sezioni Unite.
D’altra parte, qualora si postuli addirittura la liceità del materiale prodotto nell’ambito di tale relazione, risulta necessario anche esaminare se possa essere ritenuto integrato il reato di cui all’art. 600-ter c.p., comma 3, quanto alla successiva diffusione dei video e delle foto relative ai rapporti sessuali avuti con la minorenne, qualora venga anche affermata la possibilità di manifestare il consenso da parte della minore alla produzione, ovvero alla produzione ed alla cessione quale scriminante.
Su tale aspetto, nella sentenza oggetto di commento, i Giudici di legittimità svolgono alcune interessanti argomentazioni. Sostengono chiaramente come non sia possibile ritenere che il consenso del minore ultraquattordicenne alla riproduzione in immagini o filmati dell’attività sessuale svolta abbia valore scriminante per l’adulto che tali materiali abbia prodotto, essendo tale consenso sintomatico della sua attitudine ad essere oggetto di manipolazioni.
Questa interpretazione, a nostro avviso, potrebbe risultare in contrasto con le Sezioni Unite, laddove non tenga conto della necessità di verificare l’esistenza o meno di un rapporto paritario tra la minore e l’adulto e, quindi, affermando, nella sostanza, la non configurabilità della scriminante del consenso nella pedopornografia c.d. domestica prodotta nell’ambito di una relazione affettiva intercorsa tra un minore di quattordici anni ed un adulto e, quindi, la rilevanza penale di tale materiale pedopornografico.
Appare condivisibile sostenere come il consenso all’atto sessuale prestato dal minore ultraquattordicenne non includa affatto il consenso alla riproduzione in immagini digitali, o di altro tipo, dell’attività a connotazione sessuale posta in essere dal minore stesso nell’ambito della sua autonomia sessuale. Vieppiù, occorre dubitare che il minore possa essere ritenuto in grado di prestare un valido consenso alla documentazione della propria vita sessuale, né che il legislatore abbia provveduto a delimitare con precisione i confini di una possibile liceità di tale documentazione, facendosi carico di una riflessione circa i rischi di diffusività della documentazione digitale e la necessaria consapevolezza di tali rischi che dovrebbe essere connessa alla maturità raggiunta dall’ultraquattordicenne.
In conclusione, il Collegio, in disaccordo con quanto già stabilito dalla Suprema Corte nella sua più autorevole composizione, è del parere che non si possa riconoscere in capo ad un minorenne, neppure se ultraquattordicenne, la capacità a prestare il consenso alla diffusione di tale materiale pedopornografico, ovvero alla sua cessione da parte di terzi, siano essi pure identificabili nel partner coinvolto nell’attività di tipo sessuale riprodotta nel materiale stesso, proprio in considerazione dei rilievi già svolti in tema di interesse protetto dalle disposizioni incriminatrici e della tutela del “superiore interesse del minore”, quale ricavabile dagli strumenti sovranazionali.
3. La questione devoluta alle Sezioni unite
Per la rilevanza della questione e la ravvisabilità del dissenso con il principio estrapolato dalla decisione delle Sezioni Unite 51815 del 2018, la Corte di Cassazione Sez. III penale ha ritenuto necessario rimettere nuovamente al Supremo Collegio la questione giuridica “se il reato di cui all’art. 600-ter, c.p., comma 1, n. 1, risulti escluso nell’ipotesi in cui il materiale pedopornografico sia prodotto, ad esclusivo uso privato delle persone coinvolte, con il consenso di persona minore, che abbia compiuto gli anni quattordici, in relazione ad atti sessuali compiuti nel contesto di una relazione affettiva con persona minorenne che abbia la capacità di prestare un valido consenso agli atti sessuali, ovvero con persona maggiorenne”.
L’udienza è fissata per il 28 ottobre 2021 e il relatore designato è il Consigliere Sarno.