Per la Consulta è illegittimo il tasso minimo di 250 euro al giorno previsto dalla legge per la conversione delle pene detentive in pecuniarie in quanto trasforma la possibilità di sostituire il carcere con la pena pecuniaria in un privilegio per i condannati abbienti.
Lo ha affermato la Corte costituzionale nella sentenza n.28 (redattore Francesco Viganò), con la quale ha dichiarato parzialmente incostituzionale l’articolo 53, secondo comma, della legge n. 689 del 1981, per violazione dei principi di eguaglianza e finalità rieducativa della pena.
La Corte, in particolare, ha ritenuto che ai 250 euro debbano essere sostituiti i 75 euro già previsti dalla normativa in materia di decreto penale di condanna, fermo restando l’attuale limite massimo giornaliero di 2.500 euro.
Viene peraltro evidenziato come il Parlamento abbia recentemente delegato il Governo a modificare la disciplina della sostituzione della pena detentiva, sicché il legislatore avrà, nella sua discrezionalità, modo di individuare soluzioni diverse e, in ipotesi, ancor più aderenti ai principi costituzionali definiti nella sentenza.
La norma censurata prevede che il giudice può sostituire le pene detentive non superiori a sei mesi con una pena pecuniaria, il cui ammontare si ottiene moltiplicando i giorni della pena da sostituire per un importo a carico dell’imputato, stabilito tenendo conto delle sue condizioni economiche.
Importo che però, nella formulazione dichiarata incostituzionale, non può essere inferiore a 250 euro al giorno.
La Consulta ha rilevato che, se l’impatto di pene detentive della stessa durata è, in linea di principio, uguale per tutti i condannati, non altrettanto può dirsi per le pene pecuniarie.
Nella prospettiva di un’eguaglianza “sostanziale” e non solo “formale”, allora, la sentenza sottolinea la necessità che il giudice possa sempre adeguare la pena pecuniaria alle reali condizioni economiche del reo, per evitare che risulti sproporzionatamente gravosa.
Un coefficiente di conversione quale quello dichiarato illegittimo, rileva la Consulta, ha determinato nella prassi dei Tribunali, una drastica compressione della sostituzione della pena pecuniaria, che è invece uno strumento prezioso per evitare che, per un reato di modesta gravità, si finisca in carcere, con effetti più criminogeni che risocializzanti.
La Corte ha concluso che solo una disciplina della pena pecuniaria in grado di garantirne una misura proporzionata alla gravità del reato e alle condizioni economiche del reo, nonché la sua effettiva riscossione, può costituire una seria alternativa alla pena detentiva, così come di fatto accade in molti altri Paesi.