La sentenza in commento, definendo un processo in materia di lesioni personali colpose aggravato dalla violazione di norme antinfortunistiche (fatto commesso il 2 luglio 2013) ha rigettato il ricorso della società Metroquadro s.r.l., dichiarata dai giudici di merito responsabile dell’illecito amministrativo di cui all’art.25-septies, comma 3, del d.lgs.8 giugno 2001, n.231 e condannata alla sanzione pecuniaria di giustizia, benchè cancellata dal registro delle imprese in data 3 ottobre 2018.
La Sezione quarta si pone in consapevole contrasto con quanto deciso dalla Sezione seconda (sentenza n.41082 del 10/09/2019, Starco), secondo cui “In tema di responsabilità da reato degli enti, l’estinzione fisiologica e non fraudolenta dell’ente (nella specie cancellazione della società a seguito di chiusura della procedura fallimentare) determina l’estinzione dell’illecito previsto dal d.lgs.8 giugno 2001, n.231, ricorrendo un caso assimilabile alla morte dell’imputato”, ed afferma invece il seguente principio di diritto: ”La cancellazione dal registro delle imprese della società alla quale si contesti (nel processo penale che si celebra anche nei confronti di persone fisiche imputate di lesioni colpose con violazione della disciplina antinfortunistica) la violazione dell’art.25-septies, comma 3, del d.lgs.8 giugno 2001, n.231, in relazione al reato di cui all’art.590 cod.pen., che si assume commesso nell’interesse ed a vantaggio dell’ente, non determina l’estinzione dell’illecito alla stessa addebitato”, pur comportando certamente un problema di soddisfacimento del relativo credito.
In sintesi le argomentazioni delle due pronunce.
Secondo la sentenza “Starco”, richiamato preliminarmente l’art.35 del d.lgs.n.231 del 2001 che estende all’ente le disposizioni relative all’imputato, nel caso in cui si verifichi l’estinzione fisiologica e non fraudolenta dell’ente (correlata, nella specie, alla chiusura della procedura fallimentare), si verte in un caso assimilabile a quello della morte dell’imputato, evento che inibisce la prosecuzione del processo. Tale interpretazione è comprovata dal fatto che il testo legislativo regolamenta solo le vicende riguardanti la trasformazione dell’ente, la sua fusione o scissione (art.70 d.lgs.cit.), ma non la sua estinzione, da trattarsi dunque applicando la regola del processo penale richiamata dall’art.35. Donde la impossibilità di “importare” nel processo a carico dell’ente il principio espresso dalla giurisprudenza civile, secondo cui la cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese determina un fenomeno successorio in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono ma si trasferiscono ai soci, che ne rispondono limitatamente o illimitatamente a secondo del regime giuridico dei debiti sociali cui sono soggetti “pendente societate” (Cass.Civ., Sez.5, ordinanza n.13386 del 17/05/2019, Rv.653738; Cass.Civ., Sez.3, ordinanza n.20840 del 21/08/2018, Rv.650423). Ciò perché il trasferimento dei rapporti obbligatori in capo ai soci riconosciuto dalla giurisprudenza civile è correlato alla necessità di tutelare l’interesse dei soggetti privati che vantano ancora pretese nei confronti dell’ente; di contro, la natura pubblica del processo a carico della società previsto dal d.lgs.n.231 del 2001 è incompatibile con l’estinzione non fraudolenta dell’ente, ovvero con la cancellazione dal registro delle imprese, che consegue fisiologicamente alla chiusura della procedura fallimentare, producendo tale evento l’estinzione della persona giuridica “accusata” e l’impossibilità della prosecuzione del processo nei suoi confronti, eccetto il caso di cancellazione “patologica” che imporrà la valutazione del comportamento fraudolento degli autori.
La sentenza “Metroquadro” non condivide il parallelo estinzione dell’ente/morte della persona fisica. Premesse le disposizioni della legge n.231 del 2001 in materia di trasformazione, fusione e scissione dell’ente (artt.28 e segg.), ritiene che il silenzio serbato invece dal legislatore circa le vicende estintive dell’ente non consente detto accostamento per i seguenti motivi: a) il numerus clausus, non estensibile, delle cause estintive dei reati; b) la espressa previsione legislativa delle cause di estinzione degli illeciti contenuta nell’art.8, comma 2, del d.lgs. in esame, riguardante l’amnistia, e nell’art.67, riguardante i due soli casi in cui può essere pronunciata sentenza di non doversi procedere quando il reato dal quale dipende l’illecito amministrativo dell’ente è prescritto e quando la sanzione è estinta per prescrizione; c) il pacifico principio di diritto secondo cui “In tema di responsabilità da reato degli enti, il fallimento della persona giuridica non determina l’estinzione dell’illecito amministrativo previsto dal d.lgs.n.231 del 2001” (Sez.Un., n.11170 del 25/09/2014, Uniland Spa ed altro, Rv.263682), che comporterebbe una irragionevole disparità di trattamento con una estinzione conseguente alla cancellazione della società; d) la considerazione che il rinvio operato dal legislatore alle disposizioni processuali relative all’imputato all’art.35 si conclude con l’inciso “in quanto applicabili”.
La decisione della Sezione quarta appare giuridicamente corretta, conforme al dettato normativo e pertanto preferibile, per le considerazioni che seguono.
– Innanzi tutto, come è stato autorevolmente affermato (Sez.Un., n.38343 del 24/04/2014, Rv.261112, Espenhahn ed altri), il sistema normativo introdotto dal d.lgs.n.231 del 2001, coniugando i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo, configura un “tertium genus” di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza (c.d. colpa di organizzazione della persona giuridica”). A tale conclusione le Sezioni Unite sono pervenute richiamando il dibattito dottrinale e giurisprudenziale sul tema riguardante la natura di tale sistema sanzionatorio, che ha visto contrapposte le tesi della natura amministrativa della responsabilità e la tesi penalistica ed il delinearsi di un terzo indirizzo che, in un più ampio quadro di sistema punitivo, coniuga i tratti essenziali del sistema penale e di quello amministrativo. Con l’adesione a questa ultima tesi il Supremo Consesso ha escluso la violazione del principio costituzionale della responsabilità per fatto proprio affermando che il reato commesso dal soggetto inserito nella compagine dell’ente, in vista del perseguimento dell’interesse o del vantaggio di questo, è sicuramente qualificabile come “proprio” anche della persona giuridica, in forza del rapporto di immedesimazione organica che lega il primo alla seconda; ha escluso altresì la violazione del principio di colpevolezza, principio da considerarsi tuttavia alla stregua delle peculiarità della fattispecie, in cui il rimprovero riguarda l’ente e non il soggetto che per esso ha agito.
– In secondo luogo, la responsabilità da reato non riguarda le imprese individuali, ma unicamente le società, quali soggetti giuridici autonomi, dotati di un proprio patrimonio e formalmente distinti dalle persone fisiche che le compongono (in tal senso argomenta da Sez.6, n.451200 del 16/02/2021, Rv.282291 in fattispecie riguardante l’illecito di una società unipersonale a responsabilità limitata).
– La pretesa dello Stato, stante il rilievo pubblicistico degli interessi perseguiti nel processo penale, se deve necessariamente fermarsi in caso di morte dell’imputato/ persona fisica, va invece soddisfatta nel caso di accertata responsabilità dell’ente, qualora venga comminata una sanzione pecuniaria compatibile con la cancellazione/estinzione dell’ente medesimo, con l’ovvia esclusione delle sanzioni interdittive che presuppongono che l’ente sia ancora in vita ed operativo. Ciò perché il sistema sanzionatorio previsto per gli enti dal d.lgs.n.231 del 2001 esula dagli schemi tradizionali del diritto penale “nucleare”, che prevede pene principali, pene accessorie e misure di sicurezza, in quanto tende a stabilire uno stretto rapporto funzionale tra la responsabilità accertata e la sanzione da applicare. Tale conclusione è del resto in linea con quanto previsto dall’art.19, commi 1 e 2, d.lgs.n.231/2001 riguardante l’applicazione obbligatoria della confisca del prezzo o del profitto del reato, una volta accertata la responsabilità della persona fisica per il reato contestato. In tale ambito si inserisce la sentenza delle Sezioni Unite Civili “Uniland” – correttamente richiamata dalla Quarta Sezione Penale che verrebbe contraddetta da una soluzione differente rispetto a quella in commento – secondo cui “il fallimento non è normativamente previsto quale causa estintiva dell’illecito dell’ente e non è possibile assimilare il fallimento della società alla morte del reo perché una società in stato di dissesto, non può dirsi estinta”. Nel caso in esame l’estinzione è avvenuta ma la responsabilità patrimoniale per i debiti dovuta a condotte pregresse, atteso l’interesse pubblico sotteso, segue i principi dell’art.2495 cod.civ.
– Nessun dubbio poi che la condotta illecita dell’ente sia coeva al reato contestato agli imputati e quindi risalga ad epoca precedente la cancellazione. Anzi pare più pertinente far risalire la “colpa d’organizzazione” ad un momento storicamente antecedente rispetto al reato di lesioni colpose (di cui si è occupata la sentenza “Metroquadro”) ed in genere al reato presupposto, dal momento che il legislatore ha imposto agli enti l’obbligo di adottare le cautele necessarie a prevenire la commissione di alcuni reati, predisponendo accorgimenti di carattere gestionale ed organizzativo, che trovano la loro sintesi esplicativa nel documenti di valutazione dei rischi e delle misure atte a contrastarli.
Il fondamento normativo di questa considerazione riposa nell’art.6 del d.lgs.n.231 laddove si legge che l’ente non risponde se prova che l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi. A fronte dell’onere dimostrativo della commissione del reato da parte di persona che rivesta una delle qualità di cui all’art.5 del d.lgs.citato, che grava sull’accusa, l’ente ha ampia facoltà di fornire la prova liberatoria di una regolamentazione interna idonea e niente afaftto carente.
Possono sintetizzarsi le seguenti conclusioni.
Trattandosi di una responsabilità “sui generis” e di un illecito “da reato” e non “costituente reato” che grava su un soggetto giuridico dotato di autonomia patrimoniale – tanto da comportare, in caso di positivo accertamento, le sanzioni peculiari previste dalla legge e non le sanzioni penali codificate – pur nel rispetto del principio della personalità della responsabilità penale di cui all’art.27 della Costituzione, non pare applicabile il conseguente corollario dell’estinzione del reato per morte dell’imputato di cui all’art.150 cod.pen.
Piuttosto – richiamate le motivazioni della sentenza in commento – debbono essere applicati i principi civilistici che governano la successione dei diritti dei danneggiati/creditori.
Nessun dubbio che in caso di morte dell’imputato, persona fisica, i successori a titolo universale rispondono, iure hereditatis, delle obbligazioni nascenti da reato, salvo, ovviamente, il caso di rinuncia all’eredità o di accettazione con beneficio di inventario.
Nel caso di società, la materia è regolata dall’art. 2495 del codice civile
Secondo l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità, per quanto di interesse in questa sede, i principi di diritto da applicare – e che la Sezione quarta ha applicato – sono i seguenti: la liquidazione deve ritenersi compiuta e la società estinta con la cancellazione dal registro delle imprese, anche qualora rimangano creditori insoddisfatti; qualora all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda in venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno successorio.
Ne consegue che con riferimento alle obbligazioni, queste si trasferiscono ai soci che ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione ovvero illimitatamente, a seconda che “pendente societate” essi fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali (così Sez.Un.Civ. sentenza n.6070 del 12 marzo 2013).
Il debito sorto prima della cancellazione, corrispondente alla sanzione irrogata dal giudice di merito e correlata all’illecito “da reato” permane e dovrà, ove possibile, essere onorato dai soci in base ai principi su richiamati.
Illecito dell’ente ex lege 231 del 2001. Permane la sanzione pecuniaria in caso di cancellazione della società
La sentenza in commento, definendo un processo in materia di lesioni personali colpose aggravato dalla violazione di norme antinfortunistiche (fatto commesso il 2 luglio 2013) ha rigettato il ricorso della società Metroquadro s.r.l., dichiarata dai giudici di merito responsabile dell’illecito amministrativo di cui all’art.25-septies, comma 3, del d.lgs.8 giugno 2001, n.231 e condannata alla sanzione pecuniaria di giustizia, benchè cancellata dal registro delle imprese in data 3 ottobre 2018.
La Sezione quarta si pone in consapevole contrasto con quanto deciso dalla Sezione seconda (sentenza n.41082 del 10/09/2019, Starco), secondo cui “In tema di responsabilità da reato degli enti, l’estinzione fisiologica e non fraudolenta dell’ente (nella specie cancellazione della società a seguito di chiusura della procedura fallimentare) determina l’estinzione dell’illecito previsto dal d.lgs.8 giugno 2001, n.231, ricorrendo un caso assimilabile alla morte dell’imputato”, ed afferma invece il seguente principio di diritto: ”La cancellazione dal registro delle imprese della società alla quale si contesti (nel processo penale che si celebra anche nei confronti di persone fisiche imputate di lesioni colpose con violazione della disciplina antinfortunistica) la violazione dell’art.25-septies, comma 3, del d.lgs.8 giugno 2001, n.231, in relazione al reato di cui all’art.590 cod.pen., che si assume commesso nell’interesse ed a vantaggio dell’ente, non determina l’estinzione dell’illecito alla stessa addebitato”, pur comportando certamente un problema di soddisfacimento del relativo credito.
In sintesi le argomentazioni delle due pronunce.
Secondo la sentenza “Starco”, richiamato preliminarmente l’art.35 del d.lgs.n.231 del 2001 che estende all’ente le disposizioni relative all’imputato, nel caso in cui si verifichi l’estinzione fisiologica e non fraudolenta dell’ente (correlata, nella specie, alla chiusura della procedura fallimentare), si verte in un caso assimilabile a quello della morte dell’imputato, evento che inibisce la prosecuzione del processo. Tale interpretazione è comprovata dal fatto che il testo legislativo regolamenta solo le vicende riguardanti la trasformazione dell’ente, la sua fusione o scissione (art.70 d.lgs.cit.), ma non la sua estinzione, da trattarsi dunque applicando la regola del processo penale richiamata dall’art.35. Donde la impossibilità di “importare” nel processo a carico dell’ente il principio espresso dalla giurisprudenza civile, secondo cui la cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese determina un fenomeno successorio in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono ma si trasferiscono ai soci, che ne rispondono limitatamente o illimitatamente a secondo del regime giuridico dei debiti sociali cui sono soggetti “pendente societate” (Cass.Civ., Sez.5, ordinanza n.13386 del 17/05/2019, Rv.653738; Cass.Civ., Sez.3, ordinanza n.20840 del 21/08/2018, Rv.650423). Ciò perché il trasferimento dei rapporti obbligatori in capo ai soci riconosciuto dalla giurisprudenza civile è correlato alla necessità di tutelare l’interesse dei soggetti privati che vantano ancora pretese nei confronti dell’ente; di contro, la natura pubblica del processo a carico della società previsto dal d.lgs.n.231 del 2001 è incompatibile con l’estinzione non fraudolenta dell’ente, ovvero con la cancellazione dal registro delle imprese, che consegue fisiologicamente alla chiusura della procedura fallimentare, producendo tale evento l’estinzione della persona giuridica “accusata” e l’impossibilità della prosecuzione del processo nei suoi confronti, eccetto il caso di cancellazione “patologica” che imporrà la valutazione del comportamento fraudolento degli autori.
La sentenza “Metroquadro” non condivide il parallelo estinzione dell’ente/morte della persona fisica. Premesse le disposizioni della legge n.231 del 2001 in materia di trasformazione, fusione e scissione dell’ente (artt.28 e segg.), ritiene che il silenzio serbato invece dal legislatore circa le vicende estintive dell’ente non consente detto accostamento per i seguenti motivi: a) il numerus clausus, non estensibile, delle cause estintive dei reati; b) la espressa previsione legislativa delle cause di estinzione degli illeciti contenuta nell’art.8, comma 2, del d.lgs. in esame, riguardante l’amnistia, e nell’art.67, riguardante i due soli casi in cui può essere pronunciata sentenza di non doversi procedere quando il reato dal quale dipende l’illecito amministrativo dell’ente è prescritto e quando la sanzione è estinta per prescrizione; c) il pacifico principio di diritto secondo cui “In tema di responsabilità da reato degli enti, il fallimento della persona giuridica non determina l’estinzione dell’illecito amministrativo previsto dal d.lgs.n.231 del 2001” (Sez.Un., n.11170 del 25/09/2014, Uniland Spa ed altro, Rv.263682), che comporterebbe una irragionevole disparità di trattamento con una estinzione conseguente alla cancellazione della società; d) la considerazione che il rinvio operato dal legislatore alle disposizioni processuali relative all’imputato all’art.35 si conclude con l’inciso “in quanto applicabili”.
La decisione della Sezione quarta appare giuridicamente corretta, conforme al dettato normativo e pertanto preferibile, per le considerazioni che seguono.
– Innanzi tutto, come è stato autorevolmente affermato (Sez.Un., n.38343 del 24/04/2014, Rv.261112, Espenhahn ed altri), il sistema normativo introdotto dal d.lgs.n.231 del 2001, coniugando i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo, configura un “tertium genus” di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza (c.d. colpa di organizzazione della persona giuridica”). A tale conclusione le Sezioni Unite sono pervenute richiamando il dibattito dottrinale e giurisprudenziale sul tema riguardante la natura di tale sistema sanzionatorio, che ha visto contrapposte le tesi della natura amministrativa della responsabilità e la tesi penalistica ed il delinearsi di un terzo indirizzo che, in un più ampio quadro di sistema punitivo, coniuga i tratti essenziali del sistema penale e di quello amministrativo. Con l’adesione a questa ultima tesi il Supremo Consesso ha escluso la violazione del principio costituzionale della responsabilità per fatto proprio affermando che il reato commesso dal soggetto inserito nella compagine dell’ente, in vista del perseguimento dell’interesse o del vantaggio di questo, è sicuramente qualificabile come “proprio” anche della persona giuridica, in forza del rapporto di immedesimazione organica che lega il primo alla seconda; ha escluso altresì la violazione del principio di colpevolezza, principio da considerarsi tuttavia alla stregua delle peculiarità della fattispecie, in cui il rimprovero riguarda l’ente e non il soggetto che per esso ha agito.
– In secondo luogo, la responsabilità da reato non riguarda le imprese individuali, ma unicamente le società, quali soggetti giuridici autonomi, dotati di un proprio patrimonio e formalmente distinti dalle persone fisiche che le compongono (in tal senso argomenta da Sez.6, n.451200 del 16/02/2021, Rv.282291 in fattispecie riguardante l’illecito di una società unipersonale a responsabilità limitata).
– La pretesa dello Stato, stante il rilievo pubblicistico degli interessi perseguiti nel processo penale, se deve necessariamente fermarsi in caso di morte dell’imputato/ persona fisica, va invece soddisfatta nel caso di accertata responsabilità dell’ente, qualora venga comminata una sanzione pecuniaria compatibile con la cancellazione/estinzione dell’ente medesimo, con l’ovvia esclusione delle sanzioni interdittive che presuppongono che l’ente sia ancora in vita ed operativo. Ciò perché il sistema sanzionatorio previsto per gli enti dal d.lgs.n.231 del 2001 esula dagli schemi tradizionali del diritto penale “nucleare”, che prevede pene principali, pene accessorie e misure di sicurezza, in quanto tende a stabilire uno stretto rapporto funzionale tra la responsabilità accertata e la sanzione da applicare. Tale conclusione è del resto in linea con quanto previsto dall’art.19, commi 1 e 2, d.lgs.n.231/2001 riguardante l’applicazione obbligatoria della confisca del prezzo o del profitto del reato, una volta accertata la responsabilità della persona fisica per il reato contestato. In tale ambito si inserisce la sentenza delle Sezioni Unite Civili “Uniland” – correttamente richiamata dalla Quarta Sezione Penale che verrebbe contraddetta da una soluzione differente rispetto a quella in commento – secondo cui “il fallimento non è normativamente previsto quale causa estintiva dell’illecito dell’ente e non è possibile assimilare il fallimento della società alla morte del reo perché una società in stato di dissesto, non può dirsi estinta”. Nel caso in esame l’estinzione è avvenuta ma la responsabilità patrimoniale per i debiti dovuta a condotte pregresse, atteso l’interesse pubblico sotteso, segue i principi dell’art.2495 cod.civ.
– Nessun dubbio poi che la condotta illecita dell’ente sia coeva al reato contestato agli imputati e quindi risalga ad epoca precedente la cancellazione. Anzi pare più pertinente far risalire la “colpa d’organizzazione” ad un momento storicamente antecedente rispetto al reato di lesioni colpose (di cui si è occupata la sentenza “Metroquadro”) ed in genere al reato presupposto, dal momento che il legislatore ha imposto agli enti l’obbligo di adottare le cautele necessarie a prevenire la commissione di alcuni reati, predisponendo accorgimenti di carattere gestionale ed organizzativo, che trovano la loro sintesi esplicativa nel documenti di valutazione dei rischi e delle misure atte a contrastarli.
Il fondamento normativo di questa considerazione riposa nell’art.6 del d.lgs.n.231 laddove si legge che l’ente non risponde se prova che l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi. A fronte dell’onere dimostrativo della commissione del reato da parte di persona che rivesta una delle qualità di cui all’art.5 del d.lgs.citato, che grava sull’accusa, l’ente ha ampia facoltà di fornire la prova liberatoria di una regolamentazione interna idonea e niente afaftto carente.
Possono sintetizzarsi le seguenti conclusioni.
Trattandosi di una responsabilità “sui generis” e di un illecito “da reato” e non “costituente reato” che grava su un soggetto giuridico dotato di autonomia patrimoniale – tanto da comportare, in caso di positivo accertamento, le sanzioni peculiari previste dalla legge e non le sanzioni penali codificate – pur nel rispetto del principio della personalità della responsabilità penale di cui all’art.27 della Costituzione, non pare applicabile il conseguente corollario dell’estinzione del reato per morte dell’imputato di cui all’art.150 cod.pen.
Piuttosto – richiamate le motivazioni della sentenza in commento – debbono essere applicati i principi civilistici che governano la successione dei diritti dei danneggiati/creditori.
Nessun dubbio che in caso di morte dell’imputato, persona fisica, i successori a titolo universale rispondono, iure hereditatis, delle obbligazioni nascenti da reato, salvo, ovviamente, il caso di rinuncia all’eredità o di accettazione con beneficio di inventario.
Nel caso di società, la materia è regolata dall’art. 2495 del codice civile
Secondo l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità, per quanto di interesse in questa sede, i principi di diritto da applicare – e che la Sezione quarta ha applicato – sono i seguenti: la liquidazione deve ritenersi compiuta e la società estinta con la cancellazione dal registro delle imprese, anche qualora rimangano creditori insoddisfatti; qualora all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda in venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno successorio.
Ne consegue che con riferimento alle obbligazioni, queste si trasferiscono ai soci che ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione ovvero illimitatamente, a seconda che “pendente societate” essi fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali (così Sez.Un.Civ. sentenza n.6070 del 12 marzo 2013).
Il debito sorto prima della cancellazione, corrispondente alla sanzione irrogata dal giudice di merito e correlata all’illecito “da reato” permane e dovrà, ove possibile, essere onorato dai soci in base ai principi su richiamati.
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