La legge 28 febbraio 2020, n. 8, “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 161, recante modifiche urgenti alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni”, interviene sulla c.d. riforma Orlando (D.lgs. n. 116 del 2017) in materia di intercettazioni e contiene disposizioni relative all’entrata in vigore della riforma stessa posticipata al 1° maggio 2020.
Nel delineato contesto, il legislatore ha introdotto l’inedita disciplina della c.d. pesca a strascico mediante il captatore informatico anche per reati comuni, novella che ha non poco animato i dissidi delle forze politiche e dei protagonisti della giurisdizione penale in fase di conversione in legge della c.d. riforma delle intercettazioni.
- Dopo essere stato approvato dal Senato con questione di fiducia il 20 febbraio (A.S. 1659), il disegno di legge di conversione del D. l. 30 dicembre 2019 n. 161 è stato approvato anche dalla Camera dei Deputati il 27 febbraio (A.C. 2394), e convertito in legge con un emendamento interamente sostitutivo che ha recepito le modifiche approvate dalla Commissione Giustizia del Senato, su cui era stata posta analoga questione di fiducia (in limine rispetto al 28 febbraio 2020, termine di scadenza di conversione del provvedimento)[1].
Una prima importante novità è la proroga al 1° maggio 2020 del termine a partire dal quale la riforma della disciplina delle intercettazioni – introdotta dal decreto legislativo n. 216 del 2017 (c.d. riforma Orlando) – troverà applicazione. È specificato, al riguardo, che la riforma si applicherà solo ai procedimenti penali iscritti dal 1° maggio 2020: per tutti i procedimenti in corso, dunque, continuerà ad applicarsi la disciplina attuale.
Nella relazione illustrativa che correda il disegno di legge di conversione della novella in esame, si precisa che tale proroga si rende necessaria per l’esigenza, diffusa su gran parte del territorio nazionale, di completare l’avviata opera di adeguamento strutturale ed organizzativo presso tutti gli uffici delle procure della Repubblica alle nuove disposizioni e di calibrare tali attività in funzione delle modifiche al Decreto legislativo n. 216 del 2017, introdotte dal decreto legge in esame[2].
In particolare il rinvio è risultato necessario per consentire agli uffici giudiziari una migliore predisposizione degli aspetti organizzativi connessi con l’avvio della digitalizzazione del sistema documentale e del software delle intercettazioni predisposto dal Ministero della giustizia e consentirebbe inoltre al Ministero di verificare ulteriori fabbisogni anche formativi per gli uffici.
Sempre in previsione dell’attuazione del processo penale telematico, il comma 6 dell’art. 2 del D.l. n. 161/19, contiene norme di nuovo conio disponendo, che con decreto del Ministero della giustizia, da adottarsi previo accertamento della funzionalità dei servizi di comunicazione, sono stabilite modalità e termini a decorrere dai quali il deposito degli atti e dei provvedimenti relativi alle intercettazioni debba essere eseguito esclusivamente in forma telematica.
- Senza entrare in questa sede nel merito di tutte le importanti modifiche di sistema introdotte con la riforma delle intercettazioni[3], ci occuperemo nello specifico della speciale disciplina dettata dall’art. 270, 1° co., bis c.p.p., recante un’inedita regolamentazione giuridica dell’uso del captatore informatico quale mezzo di ricerca della prova nel processo penale[4].
L’articolo 2, comma 1, lett. c), e comma 7, del D.l. 161/19 nel testo originario approdato alla Camera in sede di conversione, intervenendo sull’art. 266, comma 2 bis, nonché sull’art. 6 del D. Lgs. 116/2017, estendeva la disciplina in materia di intercettazioni con mezzi tradizionali o captatore valevole per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione anche a quelli commessi da incaricati di pubblico servizio.
Con la modifica ad opera dell’art. 2, comma 1, lett. d), dell’art. 267, comma 2 bis, c.p.p. si prevedeva che, per tutti i reati di cui all’art. 266, comma 2 bis, c.p.p. il giudice con il decreto autorizzativo delle intercettazioni con captatore non dovesse indicare i luoghi e il tempo dell’attivazione del microfono.
Nell’ impianto normativo della c.d. riforma delle intercettazioni (D. l. 161/19) si delineava dunque un regime in base al quale, nei procedimenti per i delitti di cui all’art. 51, co. 3 bis e 3 quater c.p.p. e per i delitti commessi dai pubblici ufficiali o dagli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, le intercettazioni tra presenti fossero “sempre” consentite, sia col captatore, sia con strumenti tradizionali, anche nei luoghi di privata dimora (art. 614 c.p.), pur in assenza di fondati motivi per ritenere che ivi sia in atto l’attività criminosa, senza necessità – nel caso di intercettazioni con captatore – di indicare i luoghi e il tempo in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono.
Il testo approdato alla Camera, intervenendo sul comma 2 bis dell’art. 267 c.p.p., in tema di intercettazioni disposte in caso di urgenza dal pubblico ministero con l’uso del captatore, superando il mancato coordinamento con la L. n. 3/19, prevedeva che il pm, in caso d’urgenza, potesse disporre, con decreto motivato, le intercettazioni tra presenti mediante captatore, oltre che per i reati di cui all’art. 51, co. 3 bis e 3 quater, anche per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione, indicando le ragioni che rendono indispensabile il ricorso all’uso di tale strumento e le ragioni di urgenza che rendono impossibile attendere il provvedimento del giudice.
Nel corso del procedimento di conversione in legge, l’art. 2, co. 1, lett. g), n. 1 del D.l. 161/2019, ha interamente riformulato il comma 1 bis dell’art. 270 c.p.p. introdotto dalla c.d. riforma Orlando, disponendo che: “Fermo restando quanto previsto dal comma 1, i risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile possono essere utilizzati anche per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione, se compresi tra quelli indicati dall’art. 266, comma 2 bis” (e cioè per i reati di cui all’art. 51, co. 3 bis e 3 quater c.p.p. e per i delitti dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione, per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell’art. 4 c.p.p.).
Le innovazioni testuali, già nel testo approdato alla Camera in sede di conversione, davano luogo ad incertezze interpretative perché “non è chiaro se lo speciale regime di utilizzabilità previsto dal novellato art. 270, co. 1 bis c.p.p. si riferisca alla prova di reati diversi da quelli per cui è stata autorizzata l’intercettazione valevole nello stesso procedimento oppure in procedimenti diversi”[5].
Nella relazione illustrativa al disegno di legge di conversione, emerge che si è intervenuti sull’art. 270 c.p.p. “con una rimodulazione, anche alla luce della recentissima sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione[6], della norma limitativa delle possibilità di utilizzazione delle intercettazioni captate tramite captatore informatico per la prova di reati diversi da quelli per i quali l’intercettazione era stata autorizzata” .
Sembra, dunque, in coerenza con il regime meno rigoroso previsto per l’uso del captatore in relazione ai reati di cui all’art. 266, co. 2 bis c.p.p., che il legislatore abbia voluto assicurare che le intercettazioni, con riferimento a questi ultimi delitti, siano sempre utilizzabili, anche se non collegati ex art. 12 c.p.p. a quelli per cui l’intercettazione è stata autorizzata.
Ed invero, poiché l’art. 270, co. 1 bis c.p.p. fa espresso riferimento alle sole intercettazioni tra presenti effettuate con captatore, si avrebbe che, per i reati di cui agli artt. 51, co. 3 bis e 3 quater c.p.p. e per quelli contro la pubblica amministrazione, il regime di utilizzabilità valevole per le intercettazioni, telefoniche e tra presenti, svolte con mezzi tradizionali sarebbe irragionevolmente più rigoroso, in quanto soggetto alla regola di cui all’art. 270, co. 1 c.p.p., in base alla quale difetterebbero le condizioni per utilizzare, in procedimento diverso, le intercettazioni per i reati contro la pubblica amministrazione, non essendo per la quasi totalità di essi (fa eccezione, ad esempio, la corruzione in atti giudiziari aggravata) previsto l’arresto obbligatorio in flagranza.
In virtù della perdurante presenza, nel testo dell’art. 270, co. 1 bis, della locuzione “reati diversi” e non “diversi procedimenti”, nonché del richiamo operato dall’art. 270, co. 2 c.p.p., che regola le modalità di acquisizione delle intercettazioni in un diverso procedimento, al comma 1 e non anche al comma 1 bis, residuano margini per ritenere che quest’ultimo rechi la disciplina dell’utilizzabilità delle intercettazioni nell’ambito dello stesso procedimento[7].
Nel delineato contesto, la formulazione dell’art. 270, co. 1 bis c.p.p. in sede di conversione del disegno di legge approdato alla Camera, determinava per l’interprete l’oggettiva difficoltà di stabilire se la regola in esso posta fosse riferibile all’utilizzazione delle intercettazioni con captatore per reati di cui all’art. 266, co. 2 bis, c.p.p. nello stesso o in diverso procedimento.
- L’art. 2, comma 1, lett. g), n. 01) della Legge 28 febbraio 2020, n. 7 ha significativamente modificato il testo dell’art. 270, co. 1, c.p.p., che senza risolvere i profili di criticità in sede di ermeneutica iuris posti dai primi commentatori del testo della riforma in sede di conversione[8], introduce un diverso e più ampio regime di utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni nei procedimenti diversi cosi’ disciplinata: “I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino rilevanti e indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza[c.p.p. 380]e dei reati di cui all’articolo 266, comma 1”.
La norma di nuovo conio prevede dunque l’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni telefoniche e ambientali “tradizionali” nell’ambito di procedimenti diversi non più soltanto nei confronti dei reati per cui sia previsto l’arresto obbligatorio in flagranza ma anche per tutti i reati indicati nell’art. 266 comma 1 c.p.p., purché tali risultati siano «rilevanti e indispensabili» per il loro accertamento (art. 2 comma 1 lett. g) n. 1).
Non sfuggono all’interprete attento i profili di rilevante criticità, soprattutto con riguardo al difetto di coordinamento in chiave sistematica del comma 1 dell’art. 270 c.p.p., con il nuovo testo dell’art. 270, 1° co., bis c.p.p.: “Fermo restando quanto previsto dal comma 1, i risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile possono essere utilizzati anche per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione qualora risultino indispensabili per l’accertamento dei delitti indicati dall’articolo 266, comma 2-bis”.
Ed invero la novella prevista dall’art. 270, 1° co., bis c.p.p., al netto del rafforzamento dei parametri probatori di utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni con captatore informatico non solo attraverso il mero rinvio al genus dei reati previsti dall’art. 266, comma 2 bis, c.p.p., ma specificamente prevedendo che anche in questo caso tali risultati «risultino indispensabili» per il loro accertamento (art. 2 comma 1 lett. g) n.1 cpv. 1bis), introduce tuttavia uno specifico regime di applicazione del trojan di Stato nelle indagini penali.
Previo rafforzamento dell’onere motivazionale previsto dall’art. 267 comma 1 c.p.p. per delitti diversi da quelli di cui all’articolo 51, 3° co., bis e 3° co., quater c.p.p. e dai delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, per l’utilizzo del trojan di Stato nel domicilio privato sono previste ipotesi diverse:
- In generale, si può utilizzare il captatore nelle intercettazioni tra presenti che avvengano nel domicilio solo se vi è fondato motivo di ritenere che in tali luoghi si stia svolgendo l’attività criminosa (comma 2 dell’art. 266 c.p.p.);
- In via d’eccezione, quando si procedere per i delitti di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, l’uso del captatore per intercettare comunicazioni tra presenti che avvengano nel domicilio è sempre consentito (comma 2- bis, art. 266 c.p.p.);
- In via di ulteriore eccezione, quando si procede per un delitto dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la p.a. con pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni, l’uso del captatore è consentito solo “previa indicazione delle ragioni che ne giustificano l’utilizzo anche nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale”
- La formulazione dell’art. 270, co. 1 bis c.p.p. non consente di pervenire a soluzioni ermeneutiche certe, determinando per l’interprete l’oggettiva difficoltà di stabilire se la regola in esso posta sia riferibile all’utilizzazione delle intercettazioni con captatore per reati di cui all’art. 266, co. 2 bis, c.p.p. nello stesso o in diverso procedimento, permanendo dubbi interpretativi nella versione definitiva del testo di legge entrato in vigore il 1° marzo 2020.
Se il regime di utilizzabilità di cui all’art. 270, co. 1 bis fosse riferibile ai procedimenti diversi, sarebbe necessario un migliore coordinamento di detta disposizione con quella di cui al comma 1, che rimarrebbe applicabile a tutte le altre forme di intercettazioni con mezzi tradizionali, nonché con il comma 2 che, in tema di regole applicabili per l’acquisizione delle intercettazioni in un diverso procedimento, rinvia solo all’ipotesi di cui al primo comma e non anche al comma 1 bis.
Per il caso in cui, invece, si prevedesse che il regime di utilizzabilità delle intercettazioni di cui all’art. 270, co. 1 bis c.p.p. riguardi il medesimo procedimento, sarebbe necessario indicare se rilevi o meno il collegamento ai sensi dell’art. 12 c.p.p. tra i reati di cui all’art. 266 bis c.p.p e quelli per cui sono state autorizzate le intercettazioni.
In ogni caso sarebbe auspicabile una specifica riforma dell’intera disciplina della utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti diversi, apparendo peraltro ormai largamente inadeguato il riferimento ai reati per cui è obbligatorio l’arresto in flagranza.
A seguito delle numerose modifiche apportate nel tempo all’art. 380, co. 2, c.p.p., il catalogo dei reati per cui l’arresto in flagranza è obbligatorio non risponde più al criterio della maggiore gravità delle condotte, risultando piuttosto ispirato al principio della maggiore evidenza della situazione di flagranza .
In quest’ottica non trova giustificazione, ad esempio, l’inclusione nell’art. 380 c.p.p. dei reati di furto aggravato e di ricettazione aggravata e non di riciclaggio, ovvero dei reati di cui all’art. 572 e 612 bis c.p. e non dei più gravi reati di lesioni gravi o gravissime o di omicidio preterintenzionale.
Soprattutto per effetto dell’ampliamento che la nozione di procedimento diverso ha assunto nel diritto vivente a seguito della sentenza n. 51/2020 delle Sezioni Unite e della conseguente estensione dell’ambito di applicabilità dell’art. 270 c.p.p., il richiamo da parte di quest’ultimo ai reati di cui all’art. 380 c.p.p. determina, sul piano della utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi, soluzioni palesemente irrazionali e non più rispondenti all’originaria ratio di limitare l’uso delle stesse per l’accertamento dei reati più gravi[9].
Più in generale la tecnica legislativa per relationem lascia emergere incongruenze derivanti da difetti di coordinamento, in quanto per alcune delle fattispecie per cui l’arresto in flagranza è obbligatorio i limiti edittali di cui all’art. 266, 1° co., non risultano raggiunti.
Si pensi al delitto di promozione o direzione delle associazioni segrete previsto dall’art. 1, L. 25.1.1982, n. 17 oppure ad un tentativo di furto aggravato ex art. 625, nn. 1 e 2, c.p.: in tali ipotesi si arriva all’assurdo di consentire l’acquisizione di risultati d’intercettazione di altro procedimento, quando non viene ammessa l’intercettazione nell’ambito dello stesso.
Per altro verso, l’avere ancorato l’operatività della disciplina di cui all’art. 270, 1° co., al titolo di reato pone degli interrogativi in ordine alla sua modifica nel corso del procedimento ovvero a fronte della contestazione di un fatto nuovo o diverso.
Si pensi al caso in cui il reato originariamente non rientrante nelle ipotesi che consentono l’operatività dell’art. 270, 1° co., venga modificato, a seguito di una diversa qualificazione giuridica conseguente o non ad una modifica del fatto ovvero alla contestazione di un fatto nuovo, in un titolo di reato che consenta la «trasmigrazione probatoria» dei risultati dell’intercettazione compiuta in un diverso procedimento.
Profili di criticità si avrebbero anche nell’ipotesi inversa in cui in origine il reato consente l’operatività dell’art. 270, 1° co., per poi in seguito pervenire ad una derubricazione dello stesso in una di quelle fattispecie che non consentono l’utilizzo del risultato d’intercettazione di altro procedimento.
[1] Legge 28 febbraio 2020, n. 8, in Gazzetta Ufficiale., S.G. n. 51 del 1marzo 2020, Supp. Ord. n. 10.
[2] Il CSM, nel parere reso al Ministro della giustizia ed approvato in data 13 febbraio 2020, ha evidenziato l’esigenza di un ulteriore “differimento dell’efficacia delle nuove disposizioni di almeno tre mesi”.
[3] Spangher, Sicurezza, dignità e identità personale, in Dir. Pen e Proc., 2019, 11, 1567.
[4] Antinucci, Il virus informatico nel processo penale, Roma, 2018, 59; per la specifica applicazione del captatore informatico ai delitti contro la pubblica amministrazione cfr. Rampioni, Captatore informatico e delitti dei pubblici ufficiali contro la p.a. Le Sezioni unite civili riconoscono, in modo erroneo, la immediata applicabilità della legge cd. “Spazzacorrotti”, in Arch. Pen., 2020, 1,76.
[5] Cfr. parere del CSM in nota n.1.
[6] Sezioni Unite 28.11.19, n. 51, Cavallo, in C.E.D. 277395.
[7] Cfr. Pestelli, Intercettazioni: tutte le modifiche apportate in sede di conversione, in Quot. Giur., 2.02.2020.
[8] Cfr. nota 1.
[9] Santalucia, Il diritto alla riservatezza nella nuova disciplina delle intercettazioni, Note a margine del d. l. n. 161 del 2019, in Sistema pen., 2020, n. 1, 58.
Possibili le intercettazioni “a strascico” attraverso l’uso del captatore informatico per i reati comuni?
La legge 28 febbraio 2020, n. 8, “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 161, recante modifiche urgenti alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni”, interviene sulla c.d. riforma Orlando (D.lgs. n. 116 del 2017) in materia di intercettazioni e contiene disposizioni relative all’entrata in vigore della riforma stessa posticipata al 1° maggio 2020.
Nel delineato contesto, il legislatore ha introdotto l’inedita disciplina della c.d. pesca a strascico mediante il captatore informatico anche per reati comuni, novella che ha non poco animato i dissidi delle forze politiche e dei protagonisti della giurisdizione penale in fase di conversione in legge della c.d. riforma delle intercettazioni.
Una prima importante novità è la proroga al 1° maggio 2020 del termine a partire dal quale la riforma della disciplina delle intercettazioni – introdotta dal decreto legislativo n. 216 del 2017 (c.d. riforma Orlando) – troverà applicazione. È specificato, al riguardo, che la riforma si applicherà solo ai procedimenti penali iscritti dal 1° maggio 2020: per tutti i procedimenti in corso, dunque, continuerà ad applicarsi la disciplina attuale.
Nella relazione illustrativa che correda il disegno di legge di conversione della novella in esame, si precisa che tale proroga si rende necessaria per l’esigenza, diffusa su gran parte del territorio nazionale, di completare l’avviata opera di adeguamento strutturale ed organizzativo presso tutti gli uffici delle procure della Repubblica alle nuove disposizioni e di calibrare tali attività in funzione delle modifiche al Decreto legislativo n. 216 del 2017, introdotte dal decreto legge in esame[2].
In particolare il rinvio è risultato necessario per consentire agli uffici giudiziari una migliore predisposizione degli aspetti organizzativi connessi con l’avvio della digitalizzazione del sistema documentale e del software delle intercettazioni predisposto dal Ministero della giustizia e consentirebbe inoltre al Ministero di verificare ulteriori fabbisogni anche formativi per gli uffici.
Sempre in previsione dell’attuazione del processo penale telematico, il comma 6 dell’art. 2 del D.l. n. 161/19, contiene norme di nuovo conio disponendo, che con decreto del Ministero della giustizia, da adottarsi previo accertamento della funzionalità dei servizi di comunicazione, sono stabilite modalità e termini a decorrere dai quali il deposito degli atti e dei provvedimenti relativi alle intercettazioni debba essere eseguito esclusivamente in forma telematica.
L’articolo 2, comma 1, lett. c), e comma 7, del D.l. 161/19 nel testo originario approdato alla Camera in sede di conversione, intervenendo sull’art. 266, comma 2 bis, nonché sull’art. 6 del D. Lgs. 116/2017, estendeva la disciplina in materia di intercettazioni con mezzi tradizionali o captatore valevole per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione anche a quelli commessi da incaricati di pubblico servizio.
Con la modifica ad opera dell’art. 2, comma 1, lett. d), dell’art. 267, comma 2 bis, c.p.p. si prevedeva che, per tutti i reati di cui all’art. 266, comma 2 bis, c.p.p. il giudice con il decreto autorizzativo delle intercettazioni con captatore non dovesse indicare i luoghi e il tempo dell’attivazione del microfono.
Nell’ impianto normativo della c.d. riforma delle intercettazioni (D. l. 161/19) si delineava dunque un regime in base al quale, nei procedimenti per i delitti di cui all’art. 51, co. 3 bis e 3 quater c.p.p. e per i delitti commessi dai pubblici ufficiali o dagli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, le intercettazioni tra presenti fossero “sempre” consentite, sia col captatore, sia con strumenti tradizionali, anche nei luoghi di privata dimora (art. 614 c.p.), pur in assenza di fondati motivi per ritenere che ivi sia in atto l’attività criminosa, senza necessità – nel caso di intercettazioni con captatore – di indicare i luoghi e il tempo in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono.
Il testo approdato alla Camera, intervenendo sul comma 2 bis dell’art. 267 c.p.p., in tema di intercettazioni disposte in caso di urgenza dal pubblico ministero con l’uso del captatore, superando il mancato coordinamento con la L. n. 3/19, prevedeva che il pm, in caso d’urgenza, potesse disporre, con decreto motivato, le intercettazioni tra presenti mediante captatore, oltre che per i reati di cui all’art. 51, co. 3 bis e 3 quater, anche per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione, indicando le ragioni che rendono indispensabile il ricorso all’uso di tale strumento e le ragioni di urgenza che rendono impossibile attendere il provvedimento del giudice.
Nel corso del procedimento di conversione in legge, l’art. 2, co. 1, lett. g), n. 1 del D.l. 161/2019, ha interamente riformulato il comma 1 bis dell’art. 270 c.p.p. introdotto dalla c.d. riforma Orlando, disponendo che: “Fermo restando quanto previsto dal comma 1, i risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile possono essere utilizzati anche per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione, se compresi tra quelli indicati dall’art. 266, comma 2 bis” (e cioè per i reati di cui all’art. 51, co. 3 bis e 3 quater c.p.p. e per i delitti dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione, per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell’art. 4 c.p.p.).
Le innovazioni testuali, già nel testo approdato alla Camera in sede di conversione, davano luogo ad incertezze interpretative perché “non è chiaro se lo speciale regime di utilizzabilità previsto dal novellato art. 270, co. 1 bis c.p.p. si riferisca alla prova di reati diversi da quelli per cui è stata autorizzata l’intercettazione valevole nello stesso procedimento oppure in procedimenti diversi”[5].
Nella relazione illustrativa al disegno di legge di conversione, emerge che si è intervenuti sull’art. 270 c.p.p. “con una rimodulazione, anche alla luce della recentissima sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione[6], della norma limitativa delle possibilità di utilizzazione delle intercettazioni captate tramite captatore informatico per la prova di reati diversi da quelli per i quali l’intercettazione era stata autorizzata” .
Sembra, dunque, in coerenza con il regime meno rigoroso previsto per l’uso del captatore in relazione ai reati di cui all’art. 266, co. 2 bis c.p.p., che il legislatore abbia voluto assicurare che le intercettazioni, con riferimento a questi ultimi delitti, siano sempre utilizzabili, anche se non collegati ex art. 12 c.p.p. a quelli per cui l’intercettazione è stata autorizzata.
Ed invero, poiché l’art. 270, co. 1 bis c.p.p. fa espresso riferimento alle sole intercettazioni tra presenti effettuate con captatore, si avrebbe che, per i reati di cui agli artt. 51, co. 3 bis e 3 quater c.p.p. e per quelli contro la pubblica amministrazione, il regime di utilizzabilità valevole per le intercettazioni, telefoniche e tra presenti, svolte con mezzi tradizionali sarebbe irragionevolmente più rigoroso, in quanto soggetto alla regola di cui all’art. 270, co. 1 c.p.p., in base alla quale difetterebbero le condizioni per utilizzare, in procedimento diverso, le intercettazioni per i reati contro la pubblica amministrazione, non essendo per la quasi totalità di essi (fa eccezione, ad esempio, la corruzione in atti giudiziari aggravata) previsto l’arresto obbligatorio in flagranza.
In virtù della perdurante presenza, nel testo dell’art. 270, co. 1 bis, della locuzione “reati diversi” e non “diversi procedimenti”, nonché del richiamo operato dall’art. 270, co. 2 c.p.p., che regola le modalità di acquisizione delle intercettazioni in un diverso procedimento, al comma 1 e non anche al comma 1 bis, residuano margini per ritenere che quest’ultimo rechi la disciplina dell’utilizzabilità delle intercettazioni nell’ambito dello stesso procedimento[7].
Nel delineato contesto, la formulazione dell’art. 270, co. 1 bis c.p.p. in sede di conversione del disegno di legge approdato alla Camera, determinava per l’interprete l’oggettiva difficoltà di stabilire se la regola in esso posta fosse riferibile all’utilizzazione delle intercettazioni con captatore per reati di cui all’art. 266, co. 2 bis, c.p.p. nello stesso o in diverso procedimento.
La norma di nuovo conio prevede dunque l’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni telefoniche e ambientali “tradizionali” nell’ambito di procedimenti diversi non più soltanto nei confronti dei reati per cui sia previsto l’arresto obbligatorio in flagranza ma anche per tutti i reati indicati nell’art. 266 comma 1 c.p.p., purché tali risultati siano «rilevanti e indispensabili» per il loro accertamento (art. 2 comma 1 lett. g) n. 1).
Non sfuggono all’interprete attento i profili di rilevante criticità, soprattutto con riguardo al difetto di coordinamento in chiave sistematica del comma 1 dell’art. 270 c.p.p., con il nuovo testo dell’art. 270, 1° co., bis c.p.p.: “Fermo restando quanto previsto dal comma 1, i risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile possono essere utilizzati anche per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione qualora risultino indispensabili per l’accertamento dei delitti indicati dall’articolo 266, comma 2-bis”.
Ed invero la novella prevista dall’art. 270, 1° co., bis c.p.p., al netto del rafforzamento dei parametri probatori di utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni con captatore informatico non solo attraverso il mero rinvio al genus dei reati previsti dall’art. 266, comma 2 bis, c.p.p., ma specificamente prevedendo che anche in questo caso tali risultati «risultino indispensabili» per il loro accertamento (art. 2 comma 1 lett. g) n.1 cpv. 1bis), introduce tuttavia uno specifico regime di applicazione del trojan di Stato nelle indagini penali.
Previo rafforzamento dell’onere motivazionale previsto dall’art. 267 comma 1 c.p.p. per delitti diversi da quelli di cui all’articolo 51, 3° co., bis e 3° co., quater c.p.p. e dai delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, per l’utilizzo del trojan di Stato nel domicilio privato sono previste ipotesi diverse:
Se il regime di utilizzabilità di cui all’art. 270, co. 1 bis fosse riferibile ai procedimenti diversi, sarebbe necessario un migliore coordinamento di detta disposizione con quella di cui al comma 1, che rimarrebbe applicabile a tutte le altre forme di intercettazioni con mezzi tradizionali, nonché con il comma 2 che, in tema di regole applicabili per l’acquisizione delle intercettazioni in un diverso procedimento, rinvia solo all’ipotesi di cui al primo comma e non anche al comma 1 bis.
Per il caso in cui, invece, si prevedesse che il regime di utilizzabilità delle intercettazioni di cui all’art. 270, co. 1 bis c.p.p. riguardi il medesimo procedimento, sarebbe necessario indicare se rilevi o meno il collegamento ai sensi dell’art. 12 c.p.p. tra i reati di cui all’art. 266 bis c.p.p e quelli per cui sono state autorizzate le intercettazioni.
In ogni caso sarebbe auspicabile una specifica riforma dell’intera disciplina della utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti diversi, apparendo peraltro ormai largamente inadeguato il riferimento ai reati per cui è obbligatorio l’arresto in flagranza.
A seguito delle numerose modifiche apportate nel tempo all’art. 380, co. 2, c.p.p., il catalogo dei reati per cui l’arresto in flagranza è obbligatorio non risponde più al criterio della maggiore gravità delle condotte, risultando piuttosto ispirato al principio della maggiore evidenza della situazione di flagranza .
In quest’ottica non trova giustificazione, ad esempio, l’inclusione nell’art. 380 c.p.p. dei reati di furto aggravato e di ricettazione aggravata e non di riciclaggio, ovvero dei reati di cui all’art. 572 e 612 bis c.p. e non dei più gravi reati di lesioni gravi o gravissime o di omicidio preterintenzionale.
Soprattutto per effetto dell’ampliamento che la nozione di procedimento diverso ha assunto nel diritto vivente a seguito della sentenza n. 51/2020 delle Sezioni Unite e della conseguente estensione dell’ambito di applicabilità dell’art. 270 c.p.p., il richiamo da parte di quest’ultimo ai reati di cui all’art. 380 c.p.p. determina, sul piano della utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi, soluzioni palesemente irrazionali e non più rispondenti all’originaria ratio di limitare l’uso delle stesse per l’accertamento dei reati più gravi[9].
Più in generale la tecnica legislativa per relationem lascia emergere incongruenze derivanti da difetti di coordinamento, in quanto per alcune delle fattispecie per cui l’arresto in flagranza è obbligatorio i limiti edittali di cui all’art. 266, 1° co., non risultano raggiunti.
Si pensi al delitto di promozione o direzione delle associazioni segrete previsto dall’art. 1, L. 25.1.1982, n. 17 oppure ad un tentativo di furto aggravato ex art. 625, nn. 1 e 2, c.p.: in tali ipotesi si arriva all’assurdo di consentire l’acquisizione di risultati d’intercettazione di altro procedimento, quando non viene ammessa l’intercettazione nell’ambito dello stesso.
Per altro verso, l’avere ancorato l’operatività della disciplina di cui all’art. 270, 1° co., al titolo di reato pone degli interrogativi in ordine alla sua modifica nel corso del procedimento ovvero a fronte della contestazione di un fatto nuovo o diverso.
Si pensi al caso in cui il reato originariamente non rientrante nelle ipotesi che consentono l’operatività dell’art. 270, 1° co., venga modificato, a seguito di una diversa qualificazione giuridica conseguente o non ad una modifica del fatto ovvero alla contestazione di un fatto nuovo, in un titolo di reato che consenta la «trasmigrazione probatoria» dei risultati dell’intercettazione compiuta in un diverso procedimento.
Profili di criticità si avrebbero anche nell’ipotesi inversa in cui in origine il reato consente l’operatività dell’art. 270, 1° co., per poi in seguito pervenire ad una derubricazione dello stesso in una di quelle fattispecie che non consentono l’utilizzo del risultato d’intercettazione di altro procedimento.
[1] Legge 28 febbraio 2020, n. 8, in Gazzetta Ufficiale., S.G. n. 51 del 1marzo 2020, Supp. Ord. n. 10.
[2] Il CSM, nel parere reso al Ministro della giustizia ed approvato in data 13 febbraio 2020, ha evidenziato l’esigenza di un ulteriore “differimento dell’efficacia delle nuove disposizioni di almeno tre mesi”.
[3] Spangher, Sicurezza, dignità e identità personale, in Dir. Pen e Proc., 2019, 11, 1567.
[4] Antinucci, Il virus informatico nel processo penale, Roma, 2018, 59; per la specifica applicazione del captatore informatico ai delitti contro la pubblica amministrazione cfr. Rampioni, Captatore informatico e delitti dei pubblici ufficiali contro la p.a. Le Sezioni unite civili riconoscono, in modo erroneo, la immediata applicabilità della legge cd. “Spazzacorrotti”, in Arch. Pen., 2020, 1,76.
[5] Cfr. parere del CSM in nota n.1.
[6] Sezioni Unite 28.11.19, n. 51, Cavallo, in C.E.D. 277395.
[7] Cfr. Pestelli, Intercettazioni: tutte le modifiche apportate in sede di conversione, in Quot. Giur., 2.02.2020.
[8] Cfr. nota 1.
[9] Santalucia, Il diritto alla riservatezza nella nuova disciplina delle intercettazioni, Note a margine del d. l. n. 161 del 2019, in Sistema pen., 2020, n. 1, 58.
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