Il processo penale è uno strumento regolato dalla legge con il quale i giudici accertano se un fatto costituisce reato e se una persona lo ha o non l’ha commesso.
Tendenzialmente, regolato dai principi di progressione, non regressione e concentrazione, il relativo percorso è variamente governato dal legislatore.
Tuttavia, pur con le possibili numerose variabili normative, i processi storicamente si sono strutturati secondo due modelli, quello accusatorio, riconducibile alla Magna Charta e quello inquisitorio, riconducibile al processo canonico (religioso).
Nel tempo i due modelli si sono evoluti e hanno dato luogo a modelli misti, variamente composti.
I tratti del sistema inquisitorio puro sono individuati nell’identità del giudice con l’accusatore; nelle prove introdotte dall’accusa; nella presunzione di colpevolezza; nella carcerazione preventiva. Quelli del sistema accusatorio sono riconducibili alla distinzione tra accusatore e giudice; al diritto alla prova della difesa in condizioni di parità con l’accusa; alla libertà prima della condanna; alla presunzione di non colpevolezza.
Naturalmente questi elementi, considerati nella loro assolutezza, sono superati nelle attuali legislazioni, ma nella misura in cui sono declinati dalle leggi domestiche designano il modello di processo.
Oltre alla inevitabile evoluzione dei due modelli verso maggiori tutele dell’individuo determinata dall’evoluzione sociale, dalla cultura, dalle rivoluzioni (rinascimento e quella francese in particolare), resta il fatto che i modelli nella misura in cui regolano il rapporto tra l’autorità statale, tesa alla tutela della società, ed i diritti del singolo, sono condizionati oltre che dalla struttura ordinamentale, come si è venuta evolvendo, anche dalla storia di un paese, dalla sua società, dalla criminalità in essa presente.
Per queste considerazioni il processo penale, inevitabilmente, non è un elemento statico, ma dinamico, in tempi più vicini a noi, governati anche da Convenzioni internazionali e da Corti sovranazionali che fissano regole comuni in spazi che superano i confini dei singoli Stati.
Sotto tutti questi profili, così solo sommariamente delineati, l’Italia rappresenta un modello storico-evolutivo di quanto sin qui affermato.
Il modello processuale italiano risente della sua origine legata al Codice d’instruction criminelle, del 1808, francese, stante l’influenza avuta negli Stati italiani preunitari, con varie interferenze per effetto delle dominazioni (Austria, Borboni, Stato pontificio) che si sono succedute.
Comunque dal codice unitario (1865) e successivamente con i codici del 1913 e del 1930 l’impianto è rimasto quello napoleonico, anche in relazione alla struttura ordinamentale.
Sotto al profilo del modello, per valutare la sua natura, l’elemento essenziale consiste nell’individuare il luogo dove si forma la prova.
Nel modello accusatorio, la prova si forma nel contraddittorio e nell’oralità del dibattimento, in presenza di un giudice o di una giuria (non è fondamentale quest’ultimo elemento), con parità delle armi tra accusa e difesa.
Nel modello inquisitorio la prova si forma nella fase investigativa, formata dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero o da un giudice (istruttore), con modalità, a seconda di quanto detto, più o meno garantite per la difesa: il dibattimento, sempre necessario, recupera quasi solo quanto fatto nella fase precedente.
Il primo modello, pertanto, è monofasico. Il secondo bifasico: il primo momento è teso alla ricostruzione sommaria del fatto; il secondo alla sua rappresentazione.
Nel 1988, con il nuovo codice, l’Italia aveva scelto il modello accusatorio, declinato secondo la propria struttura ordinamentale e costituzionale.
Complice la criminalità organizzata questo impianto nel nostro Paese non ha tenuto a vantaggio della non dispersione delle prove assunte nelle indagini. In questo modo l’equilibrio tra la fase investigativa e quella dibattimentale si è progressivamente ridisegnato a favore di una visione inquisitoria, cui peraltro non sono estranei aspetti di tutela del diritto di difesa, sicché il ruolo del giudice è solo quello di completare il materiale d’accusa con la possibilità di una attività investigativa integrativa.
Se il primo modello, in fondo, è anche unitario nel suo schema e sviluppo, quello bifasico si struttura in percorsi differenziati, ove opera l’accordo delle parti alla definizione anticipata favorita da incentivi premiali e sconti di pena.
Come anticipato in esordio, oggi le questioni strutturali e normative del processo penale intersecano principi, direttive, decisioni derivanti da Convenzioni multinazionali, o operanti in aree geograficamente e culturalmente omogenee; da pronunce di Parlamenti sovranazionali, da decisioni delle Corti con giurisdizione interstatuale, in una logica multilivello oggetto nonché dal dialogo tra le Corti sovranazionali e le Corti domestiche.
Si determina così spesso un ampio riconoscimento di diritti individuali che tendono o cercano di omologare i sistemi processuali, nel contesto della reciproca fiducia tra gli Stati, in vista della cooperazione e della circolazione delle prove, dei provvedimenti, delle decisioni.
Questi atti disegnano un percorso in progress, teso a rendere più efficace la giustizia penale senza sacrificare – secondo una logica di proporzione e ragionevolezza – i diritti delle persone, senza distinzione delle nazioni, perché si tratta di tutelare l’individuo dovunque esso affronti il suo rapporto con l’autorità, soprattutto in materia penale dove è in gioco la sua dignità, ma soprattutto il suo bene più prezioso, la libertà.
* Testo della relazione tenuta all’Università Kultur di Istanbul nel simposio in memoria dei Professori Mesut e Bulent