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Protocollo 16 Cedu: il dialogo tra le Corti tra perplessità e fiducia

 

Protocollo n. 16 alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali

1.

E’ attualmente in discussione davanti alle Commissioni parlamentari riunite di Affari esteri e Giustizia della Camera dei Deputati il d.d.l. di autorizzazione alla ratifica ed esecuzione dei Protocolli n. 15 (24 giugno 2013) e n. 16 (2 ottobre 2013) alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

La loro lettura va integrata con il Rapporto esplicativo, come interpretato ed applicato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, con l’ultima versione del Regolamento adottato dalla stessa il 9 settembre 2019, in cui è stato introdotto il Capitolo X sui pareri consultivi secondo il Protocollo n. 16 alla Convenzione, con le linee direttrici sull’introduzione e il perseguimento della procedura del parere consultivo previsto dal Protocollo n. 16 alla Convenzione approvato dalla Corte in sede primaria del 18 settembre 2017.

Se il nucleo dell’art. 15 è costituito dalla riduzione del tempo per presentare i ricorsi alla Corte edu (4 mesi invece degli attuali 6), le tematiche sottese al Protocollo 16 risultano più complesse, essendo finalizzate – come emerge dal Preambolo – ad estendere la competenza della Corte ad emettere pareri consultivi così da permettere alla stessa Corte di interagire maggiormente con le autorità nazionali consolidando in tal modo l’attuazione della Convenzione, conformemente al principio di sussidiarietà

Il Protocollo 16, già operativo per i 14 Stati che vi hanno aderito (art. 8, comma 1),  con facoltà per gli altri Stati di successive adesioni (art. 8, comma 2), prevede che le più Alte giurisdizioni indicate, ai sensi dell’art. 10, da ciascun Paese, con facoltà di successive modificazioni, possano presentare alla Corte “richieste di pareri consultivi su questioni di principio relative all’interpretazione o all’applicazione dei diritti e delle libertà definite dalla Convenzione o dai suoi protocolli (art. 1, comma 1), limitatamente alla causa pendente dinnanzi ad essa (art. 1, comma 2), motivando la richiesta e producendo gli elementi pertinenti che ineriscono al suo contesto giuridico e fattuale (art. 1, comma 3).

La decisione sulla richiesta di parere è attribuita – ai sensi dell’art. 2 – ad un collegio di cinque giudici della Grande Camera che decide se accogliere la richiesta. Qualora la richiesta non sia motivatamente rigettata, la Grande Camera emetterà il parere consultivo. Il comma 2 dell’art. 4 prevede la dissenting opinion su tutto o su parte del parere.

Il comma 3 dell’art. 2 e l’art. 3 definiscono la composizione del Collegio e della Grande Camera e l’art. 7 le formalità della ratifica, accettazione e approvazione da parte dei singoli Stati.

Esclusa la possibilità per gli stati di introdurre “riserve” (art. 9), chiarito che l’accordo non modifica le previsioni della Convenzione europea, che le sue disposizioni integrano la Convenzione, che resta invariata e che quindi va integralmente osservata, deve ritenersi, invece, possibile di denuncia dell’accordo.

2.

L’elemento centrale – il vero e proprio nocciolo duro – della previsione è costituito dall’art. 5 ove si precisa che i pareri consultivi non sono vincolanti, restando la giurisdizione interna libera di seguire o meno quanto stabilito nel parere; che la parte richiedente può indicare circostanze idonee a connotare di urgenza l’esame da parte della Corte; e dall’art. 4 ove si precisa che i pareri consultivi sono motivati (art. 4, comma 1), sono pubblicati (art. 4, comma 4) e sono trasmessi all’autorità giudiziaria che li ha richiesti e allo Stato al quale appartiene questa autorità (art. 4, comma 3).

In ogni caso, le parti in causa davanti alla giurisdizione interna potranno adire la Corte che, tuttavia, potrà dichiarare irricevibili le questioni già definite nel parere consultivo. Resta fermo che l’interpretazione della Convenzione e dei suoi protocolli contenuta nei pareri consultivi è analoga negli effetti agli elementi interpretativi fatti propri dalla Corte nelle sue sentenze o nelle sue decisioni.

Va sottolineato come dai provvedimenti integrativi richiamati in esordio emergano ulteriori elementi non esplicitati dal Protocollo. Si prevede così che i singoli Stati possano rendere obbligatoria la procedura; che la stessa possa essere ritirata dalla giurisdizione che l’ha presentata; che se la domanda è accettata, la procedura sospesa, non può essere ripresa se non dopo il ricevimento e la traduzione nella lingua del Paese richiedente del parere espresso dalla Corte; che la giurisdizione richiedente deve informare la Corte sui seguiti riservati al suo parere se applicati nella procedura interna, comunicare la copia della sentenza della decisione assunta nel caso di specie.

Il d.d.l. di autorizzazione alla ratifica individua le Alte giurisdizioni nella Cassazione, nel Consiglio di Stato, nella Corte di conti. Il mancato riferimento alla Corte costituzionale, è ritenuto riconducibile alla facoltà della Corte costituzionale di provvedere con proprie disposizioni all’applicazione del Protocollo stante quanto previsto dalla l. n. 87 del 1953 che detta le “Norme sulla costituzione e funzionamento della Corte costituzionale”.

3.

Collocata quale tipologia a parte tra il rinvio pregiudiziale e la questione di legittimità costituzionale, la procedura di cui al Protocollo 16 sottende questioni di notevole rilievo e quindi di diversa prospettazione.

Non casualmente la riferita procedura di ratifica in Parlamento sta attraversando una fase di stallo.

A prescindere dalla necessità di definire le regole processuali interne alla richiesta di parere, tra le quali si collocano quelle legate ai poteri d’ufficio, e a quelli delle parti, alle modalità della sospensione e alla sua durata, solo per citare quelle di impatto più immediato, la questione di fondo tocca inevitabilmente il rapporto tra le giurisdizione (domestiche e sovranazionali) nonché, seppure in modo meno diretto, anche quelli con il legislatore.

E’ indubitabile che il Protocollo 16, concepito con finalità deflattive del grande carico pendente presso la Corte edu, inevitabilmente finisce per rafforzare i poteri della Corte, secondo il principio di sussidiarietà.

Del resto, il ruolo della giurisprudenza della Corte si è notevolmente rafforzato e consolidato, come è chiaramente emerso dal ruolo riconosciuto alle sue decisioni dalle famose sentenze gemelle e dalla conseguente necessità di interpretazioni convenzionalmente orientate.

Invero, lo strumento del parere consultivo, al quale non mancano peraltro i connotati della forza vincolante, seppur attenuata, se non deve essere letto come elemento di costituzione di una giurisdizione “superiore”, con le criticità già evidenziate dalle difficoltà del rapporto tra Unione europea e Corte europea dei diritti dell’uomo, nonché nel rapporto tra Corte costituzionale e Corte dei diritti fondamentali dell’Unione europea, declinati da C. cost. n. 269 del 2017, può essere valutato nella logica del dialogo fra le Corti, e per la parte italiana, come tappa di quel processo già evidenziatosi nella vicenda Taricco e nell’orientamento della Corte costituzionale con la sentenza n. 49 del 2015, in relazione al consolidamento della giurisprudenza della Corte edu.

 

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