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Qualcosa non torna: a proposito della particolare tenuità del fatto.

1.                      E’ ormai “acquisito” il convincimento che una delle più significative novità della riforma Cartabia, con significative ricadute sistematiche, sia costituita dalla regola di giudizio (o ritenuta tale, lasciandosi privilegiare la tesi che le ricostruisce come indice prognostico dell’inutilità del dibattimento) dell’archiviazione e della sentenza di non luogo, senza trascurare le ricadute in tema di riapertura delle indagini (art. 414 c.p.p.) e di revoca della sentenza di non luogo (art. 434 c.p.p.).                                                                                                                                  

                       Pur essendo il parametro operativo delle due situazioni processuali omogeneo, invero, non sono poche le loro differenze.

            In un caso, il giudice, se non rigetta la richiesta del p.m., impone l’imputazione coatta, (archiviazione); in un altro, il giudice non accoglie la richiesta di rinvio a giudizio del p.m. e pronuncia sentenza di non luogo.

            In un caso, la persona offesa può fare opposizione: nell’altro caso, la persona offesa può solo interloquire nel corso dell’udienza preliminare ma, neppure nel caso in cui si sia costituita parte civile, può attivare uno strumento di controllo nei confronti della decisione di non luogo (salvo sollecitare il pubblico ministero ad appellare, ovvero ad attendere gli esiti dell’eventuale giudizio di appello avviato dalla procura).

            Va, altresì, considerato che le due decisioni potrebbero fare riferimenti a materiali investigativi, anche molto diversi.

2.                     Le nuove previsioni intersecano anche le questioni connesse alla decisione di archiviazione (art. 408 c.p.p.) e della sentenza di non luogo (art. 425 c.p.p.) relativamente all’operatività dell’art. 131 bis c.p. dove sono previste le situazioni che possono determinare decisioni della particolare tenuità del fatto.

                       Invero, la decisione di archiviazione e quella di non punibilità sembrano collocarsi ad un livello superiore a quello della previsione generale basata sulla ragionevole previsione di condanna.

            Invero, i presupposti delle due pronunce sono la sussistenza del fatto, la sua illiceità, e la responsabilità dell’indagato/imputato.

            Quello che difetta è la possibile applicazione della pena, pur restando il fatto offensivo.

            Va sottolineato che mentre le decisioni dibattimentali per la particolare tenuità del fatto comportano la confisca ed il risarcimento a favore della parte civile, simili previsioni non operano nella fase delle indagini preliminari.

            Ora la specificità di queste situazioni di “condanna” non dovrebbe pregiudicare, stante l’espressa previsione (art. 411, comma 2 bis, c.p.p.) e la ritenuta riconducibilità dell’art. 131 bis c.p. alla situazione di non punibilità, l’applicazione delle ipotesi di definizioni anticipata.

            Appare, tuttavia, di una certa evidenza una vasta disarmonia sistematica.

            Invero, in relazione ai riti c.d. premiali non mancano situazioni di scostamento degli esiti processuali, tra indagini e dibattimento, in quanto sono legati a scelte attivate dall’imputato ovvero concordate.

            Sarebbe da verificare, sotto quest’ultimo profilo, se la decisione di cui all’art. 131 bis c.p. sia suscettibile di conseguire anche ad un patteggiamento.

            Con molta probabilità, il dato è fortemente condizionato dalla scelta del legislatore di non etichettare la previsione di cui all’art. 131 bis c.p. come condizione di improcedibilità (secondo quanto previsto dalla disciplina del processo davanti al giudice di pace, dove peraltro i presupposti sono diversamente delineati ex art. 34 d. lgs. n. 274 del 2000).

            Il dato è frutto della riapertura del rapporto tra diritto penale sostanziale e diritto processuale, superando quella separatezza che si era determinata con la riforma processuale del 1988, soprattutto in relazione alle scelte premiali dei riti deflattivi.

            Una soluzione compromissoria, sul modello ipotizzato dalla riforma del processo penale della Repubblica di San Marino, potrebbe essere rappresentata dal riconoscimento della particolare tenuità come causa di improcedibilità nella fase delle indagini e come causa di non punibilità nella fase del giudizio.

3.                      Un profilo ulteriormente problematico è costituito dalle questioni degli interessi civili.

                      In termini generali, deve ritenersi che, potendo essere considerati i comportamenti post factum (previsione inserita dal d. lgs. n. 150 del 2022), restituzioni e risarcimenti potranno essere suscettibili di considerazione nelle decisioni di archiviazione e della sentenza di non luogo.

            Tuttavia, questi elementi, a differenza delle determinazioni con la sentenza dibattimentale, non sono oggetto di decisione né con l’archiviazione (art. 411 c.p.p.) né con la sentenza di non luogo (art. 425 c.p.p.), consolidando ulteriormente la differenza tra le determinazioni dibattimentali e quelle della fase procedimentale (indagini e udienza preliminare).

            Infatti, con la sentenza n. 173 del 2022 la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 538 c.p.p. nella parte in cui non prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131 bis c.p., decide sulla domanda per la restituzione e il risarcimento del danno proposta dalla parte civile a norma dell’art. 74 e segg. c.p.p.

            La previsione prospetta alcuni interrogativi connessi alla nuova disciplina dell’impugnazione per i soli interessi civili (art. 573, comma 1 bis, c.p.p.).

            Per un verso, si pone la questione del rapporto tra questa previsione e l’art. 600 c.p.p. dove sono regolare le impugnazioni per le decisioni del giudice di primo grado. Si prevede, infatti, che “quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice d’appello e la Corte di cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente che decide sulle questioni civili analizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite in sede civile”.

            Invero, il perdurante radicamento del termine le questioni della responsabilità indurrebbero a ritenere la competenza del giudice penale, ma la loro possibile “separazione” solleva qualche incertezza (probabilmente superabile in via interpretativa).

            La questione si prospetta più complessa nel caso in cui l’appello o il ricorso (dell’imputato o della parte civile) attengano solo agli interessi civili.

            Invero, dovrebbe ritenersi che in questo caso il processo debba proseguire solo in sede civile, con non pochi interrogativi in termini di funzionalità del sistema.

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