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Quale presunzione di innocenza?

Finalmente dopo 74 anni la presunzione di innocenza dell’imputato, scritta nella Costituzione del 1947 e sollecitata dall’Europa già da cinque anni, diventa legge. E’ infatti stato approvato il decreto legislativo che recepisce e dà attuazione alla Direttiva 2016/343 dell’Unione europea. All’apparenza si tratta di una rivoluzione nei rapporti tra giustizia e informazione. Si prevede, infatti, che la diffusione di informazioni sui procedimenti penali “è consentita solo quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre rilevanti ragioni di interesse pubblico” e comunque le informazioni devono essere fornite “in modo da chiarire la fase in cui il procedimento pende e da assicurare, in ogni caso, il diritto della persona sottoposta a indagini e dell’imputato a non essere indicati come colpevoli fino a quando la colpevolezza non è stata accertata”.  È posto il “divieto di assegnare ai procedimenti pendenti denominazioni lesive della presunzione di innocenza”, come ad esempio “Mafia capitale”; così come è vietato alle autorità pubbliche di “indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta a indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili”. La violazione di queste prescrizioni comporta sanzioni penali e disciplinari, l’obbligo di risarcimento del danno e, su richiesta dell’interessato, il diritto di rettifica della dichiarazione, con le medesime modalità, entro 48 ore, salvo il diritto dell’indagato o imputato di rivolgersi al giudice civile per ottenere la pubblicazione con provvedimento d’urgenza. Riguardo all’informazione giudiziaria, si stabilisce che il procuratore della Repubblica “mantiene personalmente” i rapporti con gli organi di informazione “esclusivamente tramite comunicati ufficiali” oppure, “nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa”. Anche la forma dei provvedimenti giudiziari diversi dalle sentenze deve rispettare la presunzione di innocenza, perché si stabilisce che la persona sottoposta a indagini o l’imputato “non possono essere indicati come colpevoli fino a quando la colpevolezza non è stata accertata” in via definitiva. E anche nei provvedimenti che presuppongono la valutazione di prove, elementi di prova o indizi di colpevolezza (come ad esempio le ordinanze che applicano misure cautelari) il magistrato deve limitare i riferimenti alla colpevolezza dell’indagato o imputato alle “sole indicazioni necessarie a soddisfare i presupposti, i requisiti e le altre condizioni richieste dalla legge per l’adozione del provvedimento”. Sembrerebbe una rivoluzione copernicana, ma l’ordinamento giudiziario prevede già dal 2006 un regime molto più severo ma ignorato. È prescritto infatti che «il procuratore della Repubblica mantiene personalmente, ovvero tramite un magistrato dell’ufficio appositamente delegato, i rapporti con gli organi di informazione. Ogni informazione inerente alle attività della Procura della Repubblica deve essere fornita attribuendola in modo impersonale all’ufficio ed escludendo ogni riferimento ai magistrati assegnatari del procedimento. È fatto divieto ai magistrati della Procura della Repubblica di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione circa l’attività giudiziaria dell’ufficio. Il procuratore della Repubblica ha l’obbligo di segnalare al consiglio giudiziario per l’esercizio del potere di vigilanza e di sollecitazione dell’azione disciplinare, le condotte dei magistrati del suo ufficio che siano in contrasto col divieto fissato al comma 3» (art. 5 d.lgs. 20 febbraio 2006, n. 106, cit.). Ma allora, se la legge prevedeva già prima questi limiti, perché ripeterli? Semplicemente perché sono quotidianamente violati. E pensate voi davvero che d’ora in avanti cambierà qualcosa nei rapporti tra pubblici ministeri e organi di informazione?  Pensate sul serio che non assisteremo più ai processi mediatici? Credete che le sentenze dei giudici conteranno finalmente più delle indagini dei pubblici ministeri?

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