Il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale ha reso noto il Rapporto sul regime speciale ex art. 41 bis o.p. Il precedente era stato pubblicato nel febbraio del 2019.
In un periodo in cui, per la protesta di un singolo detenuto – Alfredo Cospito, in sciopero della fame contro il regime detentivo speciale – finalmente si parla di carcere e di 41 bis, è utile ed opportuno leggere i dati della sola istituzione che può accedere ed accertare la realtà nei reparti di detenzione speciale.
Le informazioni contenute nel Rapporto sono molto interessanti, alcune sconcertanti.
Un primo dato, strettamente numerico è che 250 delle 740 persone sottoposte al regime speciale, stanno eseguendo una condanna ad una pena temporanea.
Non è inoltre una eccezione che le persone scarcerate tornino alla libertà direttamente dal regime speciale, quindi, sino all’ultimo giorno di espiazione sono per costoro sospese le regole del trattamento e il giorno dopo ritornano alla vita sociale, senza tappe intermedie. Il Rapporto sottolinea che la «“sospensione delle regole del trattamento” si traduce troppo spesso in ‘sospensione del trattamento’ tout court›› ‹‹E che il passo tra ‘sospensione del trattamento’ e abbandono della finalità costituzionale di una pena che sempre deve tendere alla rieducazione è molto breve››.
Tra le rivelazioni sconcertanti del Rapporto è l’esistenza di un regime di ulteriore specialità nel regime speciale, si può dire un “41 bis al quadrato”, nominato “area riservata”. In tali luoghi di sospensione dello Stato di Diritto sono recluse 35 persone, in applicazione dell’articolo 32 del Regolamento di esecuzione dell’Ordinamento penitenziario, quindi formalmente per “ragioni di cautela”, in realtà perché ‹‹figure ritenute apicali dell’organizzazione criminale di appartenenza››; ma ancor più inquietante è che la stessa sorte sia riservata anche ad altri detenuti giacché ‹‹per evitare la violazione formale delle norme che regolano l’istituto dell’isolamento, viene collocata nell’area riservata anche una seconda persona detenuta, sempre in regime speciale, che non avrebbe titolo a starvi ma che svolge una funzione ‘di compagnia’ nei momenti di socialità binaria e durante i passeggi: soluzione che determina l’applicazione di un regime particolare del tutto ingiustificato a una seconda persona oltre a quella destinataria della specifica cautela››
Cosa più grave, tale regime di maggior separazione con una socialità ancor più limitata, risulta sottratto alla possibilità di ricorso al magistrato di sorveglianza.
La Relazione sottolinea che ‹‹questa sorta di climax ascendente di specialità rischia di estendere a dismisura l’area di coloro che sono sottoposti al regime speciale, che di fatto diviene destinato a figure ‘più ordinarie’ di appartenenti alle organizzazioni criminali››
A tal proposito tra le considerazioni generali, non meno significative, viene segnalato che negli ultimi dieci anni il numero dei detenuti in regime speciale è sostanzialmente invariato, con casi di applicazione ultraventennale. La sospensione delle regole del trattamento, con i suoi tratti di norma eccezionale, sembra così divenuta endemica ed anzi talmente cronica da generare “aree riservate” perché non basta più solo il 41 bis.
La Relazione è dettagliata anche sulle condizioni della detenzione, in merito alle quali ‹‹il Garante nazionale ha riscontrato condizioni materiali e scelte edilizie che, per la loro configurazione, possono comportare una ricaduta sulle capacità psico-fisiche delle persone ristrette, rischiando di assumere di fatto una connotazione di ‘pena corporale’››.
La privazione di luce naturale, la presenza ossessiva di sbarre, l’assenza di ogni elemento naturale o vitale anche nei casi in cui non vi siano ragioni di sicurezza, vengono definiti nella Relazione caratterizzati da ‹‹claustrofilia››, ma essendo ricorrenti e costanti denunciano una precisa scelta “menomante” delle persone ristrette.
Esemplare il fatto che nell’unica sezione femminile vi siano detenute non alfabetizzate senza che l’amministrazione, pur sollecitata dal Garante, abbia ritenuto di farsene carico ‹‹dimenticando che proprio l’istruzione è la prima base di una possibile rieducazione sociale››
La Relazione ha il merito di evidenziare le innumerevoli limitazioni quotidiane imposte ai reclusi ‹‹non strettamente funzionali alle esigenze di prevenzione dei collegamenti interni ed esterni con la criminalità organizzata››.
Un dato particolarmente significativo riguarda ‹‹la persistente volontà dell’Amministrazione penitenziaria di ricorrere contro ogni accoglimento da parte della Magistratura di sorveglianza della richiesta formulata da una persona detenuta: anche quando si tratti di questioni su cui già la Corte costituzionale si sia pronunciata in casi analoghi e pienamente in linea con la richiesta prodotta›› disponendo la sospensione dell’esecutività delle ordinanze e, laddove le decisioni della Corte Costituzionale siano insuperabili, il DAP produce circolari e introduce divieti aggiuntivi che servono solo a complicare la vita dei detenuti.
Valga a significativo esempio ‹‹l’iniziativa assunta alcuni anni fa dall’allora direttore dell’Istituto di Spoleto, volta a generalizzare a tutte le persone detenute ristrette nel regime speciale quanto la Magistratura di sorveglianza aveva accettato in tutti i reclami giurisdizionali relativi a uno specifico tema e prodotti ormai da più di due terzi di tali persone, è stata oggetto di censura da parte dell’Amministrazione centrale, richiamando alla necessità di reiterare caso per caso il provvedimento››.
Questo atteggiamento oltre ad essere illogico, non trova spazio in un sistema costituzionalmente orientato.
Una delle scoperte sconcertanti, infine, riguarda l’esistenza di soggetti che, dopo avere espiato la pena in 41 bis, si vedono applicare la misura di sicurezza nelle stesse condizioni e negli stessi reparti, seppur rinominati formalmente “Case di lavoro”, ‹‹in un contesto in cui la materialità della giornata si svolge in modo strutturalmente identico a quello delle persone detenute e non internate in tale regime, con l’aggravante dell’indeterminatezza della fine non solo dell’applicazione del regime speciale, ma anche della misura di sicurezza in sé››.
La Relazione si conclude con l’auspicio, necessariamente diretto ai Giudici del Tribunale di Sorveglianza di Roma, affinché ‹‹esercitino, ove necessario, i poteri di revoca o di non reiterazione della misura, indipendentemente dai reati per i quali le persone sono condannate o di cui sono accusate››.
Si raccomanda, nelle conclusioni:
- che non si protragga il regime speciale previsto dall’articolo 41-bis co. 2 o.p. fino al termine dell’esecuzione di una pena temporanea e che, al contrario, qualora nel periodo previsto per un eventuale rinnovo sia compreso il termine dell’esecuzione penale, si eviti la reiterazione dando così la possibilità all’Amministrazione penitenziaria di progettare percorsi che gradualmente accompagnino alla dimissione, utili al positivo reinserimento sociale nonché maggiormente efficaci per la tutela della sicurezza esterna;
- che siano abolite tutte le “aree riservate”;
- che gli ambienti permettano il passaggio di aria e luce naturale;
- che siano rimosse le schermature delle finestre;
- che i cortili consentano la profondità dello sguardo e la vista di elementi naturali;
Con buona pace di certe trasmissioni,
- che sia avviato con urgenza un percorso di alfabetizzazione e istruzione di base per coloro che ne fanno richiesta, nel rispetto del diritto allo studio garantito a tutti, affidato a docenti, così come previsto dall’Ordinamento penitenziario, nel rispetto delle esigenze di sicurezza del regime speciale;
E addirittura, per favorire il diritto allo studio
- che siano adottati dei lettori di libri elettronici – in modalità ovviamente offline facilmente e scrupolosamente ‘chiusa’ – e che sia l’Amministrazione a provvedere all’inserimento in essi di libri o testi, così consentendo un maggiore accesso alla lettura e allo studio in condizioni di assoluta sicurezza, anche superiore a quella del persistente controllo visivo di ogni pagina da parte degli operatori;
- che sia consentito l’accesso ai giornali;
- che si elabori una nuova circolare sulle modalità di attuazione del regime speciale previsto dall’articolo 41-bis co.2 o.p. con una impostazione di linee-guida generali in luogo di previsioni di dettaglio che, come rilevato, difettano di esaustività e si prestano a interpretazioni distorsive rispetto alla finalità preventiva della norma. Che tale circolare determini:
a) l’adeguamento delle previsioni alle pronunce della Corte costituzionale relative alle facoltà di cottura dei cibi, di comunicazione e di scambio di oggetti tra persone appartenenti allo stesso gruppo di socialità;
b) l’adeguamento della previsione relativa ai tempi di permanenza all’aperto alle pronunce della Corte di cassazione, stabilendo con chiarezza che: in tutte le sezioni di regime speciale ex articolo 41-bis o.p. siano garantite a ogni persona detenuta due ore di permanenza all’aria aperta, salvo i casi previsti dall’articolo 16 comma 3 r.e. e nelle modalità procedurali previste dall’articolo 10 comma 1 o.p. per ciascuna persona detenuta nei confronti della quale tale eccezionale e temporalmente limitata riduzione debba essere adottata; che l’eventuale riduzione non sia mai posta in contrapposizione con la possibilità di accedere alle ore di socialità o di svolgimento di altra attività normativamente consentita;
c) l’esclusione di misure inerenti la vita quotidiana non strettamente funzionali alle esigenze di prevenzione dei collegamenti interni ed esterni con la criminalità organizzata, quali quelle sopra indicate;
d) l’ampliamento delle possibilità di esercizio del diritto all’informazione con l’esclusione dei limiti orari all’uso dell’apparecchio televisivo e dei limiti alla ricezione della stampa nazionale, come indicato nella Raccomandazione 8;
e) la previsione di modalità di attuazione dei programmi trattamentali individualizzati previsti dall’articolo 13 o.p., comprensivi quantomeno di attività di studio e di formazione al lavoro;
f) l’ampliamento della possibilità di comunicazione con i propri familiari, in condizioni di sicurezza, ma in numero e forme tali da garantire la continuità delle relazioni affettive.
Inoltre, il Garante nazionale raccomanda che
- sia considerevolmente limitato l’esercizio dell’opposizione alle decisioni del magistrato di sorveglianza in accoglimento di reclami proposti ex articolo 35-bis o.p. e ancor più limitato il ricorso alla possibilità sospensiva dell’esecuzione delle relative ordinanze, in caso di opposizione;
- che per ogni persona internata sottoposta alla misura della sicurezza della “Casa di lavoro” sia pianificato un progetto individuale nell’ambito del quale si inserisce il lavoro, nella prospettiva del rientro della persona stessa nella comunità sociale.
Va infine segnalato uno specifico rilievo relativo ‹‹al valore simbolico della persona ristretta in relazione al ruolo esercitato nell’organizzazione criminale di appartenenza a detrimento della finalità propria di tale regime racchiusa nella possibilità effettiva di produrre comunicazione, informazione o anche ordini alle organizzazioni stesse. Questo scivolamento simbolico è e deve rimanere del tutto esterno non solo all’esercizio della doverosa funzione penale, ma anche all’individuazione delle forme in cui la sanzione penale viene eseguita e soprattutto al rischio di cedere a criteri di legittimità consensuale nel dare effettività alle sanzioni stesse, piuttosto che a criteri di mera aderenza a principi di legalità e di pieno rispetto di diritti fondamentali della persona››.
Sembra un buon punto di partenza per costruire un momento di confronto e discussione sul 41 bis.