Con la sentenza n. 16570 depositata il 19 aprile 2023, la Corte di cassazione ritorna sul tema del mutamento del regime di procedibilità previsto per alcune ipotesi criminose dal decreto legislativo n. 150/2022 (c.d. riforma “Cartabia”); è ormai noto che, ove per i reati dapprima procedibili d’ufficio e poi divenuti procedibili a querela in base alla novella legislativa non sussistesse sin dal principio una manifestazione di volontà di punizione del colpevole proveniente dalla vittima, quest’ultima avrebbe potuto sporgere querela nel termine di tre mesi dall’entrata in vigore della nuova normativa (e cioè fino all’ormai spirato termine del 30 marzo 2023).
La Corte di legittimità si è dunque interrogata sul significato della persistenza della costituzione di parte civile, già compiuta dalla persona offesa danneggiata, e sul senso delle conclusioni scritte presentate in udienza. Giova infatti domandarsi se queste condotte contengano la manifestazione di volontà orientata alla punizione del colpevole, in ossequio a quanto richiesto dagli artt. 120 ss. c.p. e 336 ss. c.p.p., e dunque possano essere valorizzate nel caso in cui una modifica legislativa ne abbia “riaperto” il termine di legge.
Dal combinato disposto delle richiamate norme, si trae infatti la generale regola per cui la persona offesa, ove intenda sporgere querela, deve farlo entro tre mesi dalla conoscenza del fatto-reato, mediante una “dichiarazione”, orale o scritta, «nella quale, personalmente o a mezzo di procuratore speciale […] manifesta la volontà che si proceda in ordine a un fatto previsto dalla legge come reato».
La giurisprudenza ha costantemente affermato la natura deformalizzata della dichiarazione, la quale non richiede formule sacramentali e può essere espressa con locuzioni lessicali tali da manifestare in maniera chiara l’intenzione di procedere penalmente avverso il colpevole. Ha anche chiarito che, nel caso di dubbio sui costrutti linguistici utilizzati, occorre applicare il principio del favor querelae, per cui l’interprete deve ritenere che il dichiarante abbia inteso chiedere la punizione del reo (Cass. sez. IV, 10 novembre 2020, n. 34737; Cass. sez. V, 18 giugno 2015, dep 2016, n. 2293, CED 266258).
Molteplici infatti sono gli arresti giurisprudenziali che depongono in tal senso.
È stato ad esempio assegnato il significato di querela alle seguenti dichiarazioni: a) la volontà di sporgere “denuncia-querela”, trasfusa nel verbale di denuncia e firmata dal denunciante (Cass. sez. IV, 30 gennaio 2020, n. 10789, CED 278654; Cass. sez. IV, 7 novembre 2019, dep. 2020, n. 3733, CED 278034); b) la palesata volontà o la riserva di costituirsi parte civile nell’instaurando procedimento (Cass. sez. II, 5 dicembre 2019, dep. 2020, n. 5193; Cass. sez. V, 6 dicembre 2013, n. 15691, dep. 2014, CED 260557); c) la richiesta urgente di adottare provvedimenti contro la persona denunciata (Cass. sez. V, 29 gennaio 2019, n. 18267, CED 275912); d) la richiesta di essere informato nel caso di istanza di archiviazione, al fine di presentare rituale opposizione (Cass. sez. V, 12 ottobre 2021, n. 2665, CED 282648); e) l’espressa qualificazione dell’atto depositato dalla persona offesa come “denuncia-querela” (Cass. sez. V, ord. 15 febbraio 2016, n. 15166, CED 266722; Cass. sez. V, 5 dicembre 2013, dep. 2014, n. 1710, CED 258682).
Detto altrimenti, può essere intesa quale valida querela la tempestiva dichiarazione dalla quale emerga in maniera più o meno univoca, la richiesta del dichiarante all’autorità giudiziaria di irrogare la sanzione penale nei confronti del querelato. Giova comunque immediatamente evidenziare che, sebbene non richieda particolari forme o specifici contenuti lessicali, la querela deve esprimersi mediante una “dichiarazione”,orale o scritta, esternata dalla persona offesa o dal suo procuratore speciale, e pertanto non può essere ritenuto parificabile ad una querela un “comportamento” della persona o del suo procuratore; nelle forme del comportamento significativo possono invece esprimersi la rinuncia alla querela e la remissione della stessa ai sensi degli artt. 124 co. 2 e 3, e 152 co. 2, c.p.
È appena il caso di soggiungere che, con riferimento alla riserva di costituzione di parte civile o alla immediata esternazione di tale intento, l’espressione evoca chiaramente la manifestazione di volontà punitiva, atteso che quest’ultima costituisce il presupposto logico-giuridico della pretesa civilistica; non si può in altri termini pensare di costituirsi parte civile, così come non ci si può efficacemente riservare la relativa scelta, se intanto non si sia convinti di voler perseguire penalmente il reo.
Purtuttavia, con un recente filone giurisprudenziale, la Corte di legittimità ha espresso il principio per cui, nel caso di mutamento del regime di procedibilità – da procedibilità d’ufficio a procedibilità a querela -, può ritenersi manifestazione di volontà di punizione del colpevole anche la persistenza della precedente costituzione di parte civile durante il decorso del lasso temporale ex art. 124 c.p. (Cass. sez. IV, 9 febbraio 2023, n. 7878).
La sentenza qui in commento si incanala in questo filone ermeneutico ribadendo quanto sopra esposto e aggiungendo, ad onor del vero, anche un ulteriore cenno sulla rilevanza delle conclusioni di parte civile. La Corte, infatti, si esprime nel senso che «non ricorre […] il difetto della querela richiesta dall’art. 3 d.lgs. n. 150 del 2022, perché, in relazione al reato per cui si procede, sono rimaste ferme alcune costituzioni di parte civile e una delle parti civili ha anche presentato le sue conclusioni in udienza» (pag. 6 della sentenza).
Aggiunge poco dopo che «la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa, non richiedendo formule particolari, può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione, e, quindi, può essere riconosciuta anche nell’atto con il quale la persona offesa si costituisce parte civile, nonché nella persistenza di tale costituzione nei successivi gradi di giudizio, con la conseguenza che i precisati atti e comportamenti possono ritenersi equivalenti ad una querela nel caso in cui la proposizione di quest’ultima sia divenuta necessaria per disposizioni normative sopravvenute nel corso del giudizio» (Cass. sez. II, 5 dicembre 2019, n. 5193, CED 277801; Cass. sez. un., 21 giugno 2018, n. 40150; Cass. sez. V, 19 ottobre 2001, n. 43478, CED 220259).
Pare a chi scrive che tali statuizioni vadano maneggiate con cautela e adattate attentamente ai casi concreti; un utilizzo poco ponderato dei predetti principi rischia di giustificare la considerazione, in termini di querela, del mero comportamento, che “dichiarazione” non è.
Occorre forse distinguere le ipotesi più rilevanti e ricorrenti, restando nel solco delle fattispecie analizzate dal giudice nomofilattico.
Il primo caso è quello in cui nel procedimento penale non sia stata sporta inizialmente una querela e, avviato il procedimento, si sia giunti – sempre in assenza di querela – in dibattimento, nel quale la persona offesa danneggiata si sia costituita parte civile nelle forme e nei termini di legge (ma, ovviamente, ben oltre il termine di tre mesi dalla conoscenza del reato); dopo la costituzione di parte civile, ampiamente scaduti i tre mesi dalla conoscenza del reato, sia intervenuta una normativa che abbia reso il reato procedibile a querela. In questo caso, una asettica applicazione del principio espresso dalla suprema Corte indurrebbe a sostenere che la sola “persistenza” della costituzione di parte civile possa significare l’espressione della più volte richiamata volontà di punizione. Chi scrive osserva che tale argomentare sfugge alla prescrizione normativa, in quanto assegna rilievo dirimente ad un comportamento e non ad una dichiarazione (in giurisprudenza, Cass. sez. IV, 5 dicembre 2018, n. 7532, CED 275128; v. in dottrina, L. Norcio, sub art. 336, in Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda e G. Spangher, Ipsoa, 2023, t. II, pp. 1564 s.).
Diversamente, allorquando la dichiarazione di costituzione di parte civile avvenga esattamente nell’ambito dei tre mesi dalla data in cui la novella legislativa abbia alleggerito il regime di procedibilità. In questo caso, infatti, è possibile valorizzare la “dichiarazione” di costituzione di parte civile, la quale, provenendo dalla persona offesa, presuppone limpidamente l’intenzione di quest’ultima di procedere avverso l’imputato (nello stesso senso la giurisprudenza di legittimità, v. Cass. sez. II, 3 maggio 2011, n. 19077; cfr. anche le più risalenti pronunce Cass. 21 settembre 1992, Porcellana, CED 192135 e Cass. 11 gennaio 1984, Accogli, CED 163559).
Stesso ragionamento può essere svolto nel caso in cui, non ancora decorsi i tre mesi per la proposizione della querela, in uno dei gradi di giudizio, il procuratore speciale della parte civile abbia dichiarato a verbale o per iscritto, in nome e per conto del suo assistito, di voler proseguire nell’azione penale; o egli abbia rassegnato le conclusioni, circostanza che, coincidendo con l’istanza finale volta alla declaratoria di responsabilità dell’imputato, pure contiene inequivocabilmente la volontà della persona offesa che il procedimento vada avanti e si concluda con l’irrogazione di una sanzione penale.