1. Il manuale dei professori Manna e Sereni non è destinato solo, come ovvio, alla preparazione dell’esame universitario, ma vuol essere una base di partenza anche per lo studio volto al superamento dell’abilitazione forense e del concorso in magistratura. Questa finalità che anima il volume è ben espressa anche nel sottotitolo: “Teoria e prassi”, una sorta di luogo di incontro fra la visione accademica tipica del manuale e quella “pratica”, cioè attenta all’applicazione delle norme. La letteratura manualistica è un terreno fortemente competitivo in cui, oltre ai manuali accademici riferibili alle varie scuole del diritto penale, vi sono testi scritti da operatori pratici, per lo più magistrati, ove, all’attenzione minuziosa per la casistica giurisprudenziale, non si affianca, però sovente, il rigore sistematico dovuto alla formazione accademica. Questo volume è in netta antitesi con questa visione perché un diritto penale orientato soltanto alla prassi, all’attenzione per la sua applicazione risulterebbe artificiale e, allo stesso tempo, pericoloso, soprattutto per le derive illiberali. L’applicazione deve essere invece sempre preceduta e guidata da solidi agganci ai principi costituzionali ed alla cultura delle garanzie. L’attenzione per i principi costituzionali e per la giurisprudenza sovranazionale costituisce, infatti, un tratto costante nell’elaborazione di questo manuale.
2. A livello di teoria generale del reato, si mantiene fede al modello quadripartito nella ricostruzione della struttura del reato, la cui giustificazione è dovuta alla prospettiva (di politica criminale) di voler sottrarre la (non) punibilità alla discrezionalità legislativa e sottoporla alle indicazioni più stringenti derivanti dalla Costituzione.
Si considera la duplice posizione del dolo e della colpa, anche se l’esposizione di tali tematiche è tutta anticipata a livello di fatto tipico, così pure per la preterintenzione. Alla classica obiezione per cui la collocazione del dolo nel fatto porterebbe una soggettivizzazione del fatto tipico si replica, nuovamente coniugando teoria e prassi, infatti: “questo genere di problemi applicativi non sembra dipendere dalla collocazione dogmatica del dolo se nel fatto tipico o nell’ambito della sola colpevolezza. Invero, e a rigor di logica, il dolo, al pari del resto della colpa e della preterintenzione, è in primo luogo uno degli elementi costitutivi fondamentali del fatto tipico, il che non implica affatto che l’elemento psicologico debba venir appiattito sulla dimensione oggettiva della fattispecie criminosa (condotta nella sua componente oggettiva, nesso di causalità ed evento). Un simile appiattimento è da considerare infatti un’errata applicazione della teoria dovuta a esigenze, non sempre bene intese, di semplificazione probatoria” (p. 233).
In particolare l’esposizione sul dolo si concentra sul tema del dolo eventuale, analizzando, in maniera piuttosto analitica, la pronuncia delle S.U. ThyssenKrupp, concludendo per la necessità di introdurre una terza forma di colpevolezza a metà fra dolo e colpa. In merito alla colpa, viene trattata in maniera analitica la scomposizione della colpa nelle sue varie sotto-sfaccettature (medica e stradale).
L’esposizione delle tematiche avviene secondo un modello moderato di costruzione separata dei tipi di reato, ritenendo comunque che questa soluzione oltre che utile ai fini didattici, sia preferibile anche a livello scientifico non correndo il rischio di soggettivizzare il fatto tipico.
Nell’antigiuridicità, oltre all’esposizione delle cause di giustificazione, ci si sofferma sul tema delle scriminanti atipiche, della scriminante medica e di quella sportiva, oltre che sulle tematiche del fine vita.
Nell’ambito della colpevolezza è estremamente rilevante la parte relativa ai rapporti fra colpevolezza e prevenzione e in particolare all’istituto dell’imputabilità, laddove – in una visione personalistica della colpevolezza – sono ritenute incostituzionali tutte le forme di fictiones juris.
3. Le forme di manifestazione del reato si segnalano per una molto accurata disamina del concorso esterno in associazione di tipo mafioso e dello scambio elettorale politico mafioso, mentre in tema di delitto tentato si offre una ricostruzione che riconduce nell’art. 56 Cp. l’idoneità (a base totale), l’inizio dell’esecuzione e l’univocità come prova del dolo della fattispecie consumata.
La terza parte, relativa alla pena, dimostra grande sensibilità nei confronti delle garanzie, per altro già emersa nelle pagine che precedono. Un esempio è la trattazione del problema del sovraffollamento carcerario e dell’ergastolo ostativo. Degno di giustificato approfondimento è il tema delle pene sostitutive, introdotte dalla riforma Cartabia.
Si tratta per gli autori di una riforma sicuramente lodevole per gli effetti di deflazione della popolazione carceraria che si propone, e che forse comporterà anche, per il giudice della cognizione penale, un cambio di paradigma culturale, da giudice principalmente del reato a giudice anche della pena con cognizione piena: della pena, cioè, che deve essere in concreto scontata dal condannato. “Il principale elemento che potrebbe limitare l’operatività della riforma, non si può che ribadire l’inopportunità della scelta operata dal legislatore delegante di non includere nel novero delle nuove pene anche un affidamento in prova sostitutivo. Vi è il concreto rischio, infatti, essendo le pene sostitutive immediatamente esecutive e non sospendibili, in quanto non sostituibili con misure alternative, che i condannati preferiscano rinviare per anni il momento in cui saranno sottoposti a sanzione, negando il consenso all’ applicazione delle nuove pene sostitutive, e sperando che i tempi di attesa dei cc.dd. liberi sospesi si allunghino sempre più, questo anche in considerazione del fatto che l’affidamento in prova al servizio sociale è misura meno afflittiva sia della semilibertà sostitutiva che della detenzione domiciliare sostitutiva” (p. 539).
Estremamente critico è il giudizio sulle misure di sicurezza, ritenute un duplicato della sanzione principale, anche se mancano indicazioni in chiave di riforma in senso integralmente risocializzante, pur salutando con favore l’introduzione delle REMS. Particolare attenzione viene poi riservata alla confisca, anzi alle confische (moderne), visto che l’istituto ha perso la sua unitarietà. La commisurazione della pena viene distinta in commisurazione in senso lato (le circostanze del reato) e in senso stretto (artt. 132, 133 Cp.). Nella prima viene data particolare attenzione alla recidiva ed al bilanciamento delle circostanze, con tutti i profili di legittimità costituzionale presenti ed affrontati dalla Corte costituzionale; nell’ambito della seconda, cioè la commisurazione “intraedittale”, si denuncia il “vuoto dei fini” dell’art. 133, tentando di ricostruirne il significato con una interpretazione costituzionalmente conforme. L’attenzione alla prassi fa in modo che il manuale dedichi molta attenzione alle misure di prevenzione, personali e patrimoniali, con specifico riguardo alla interpretazione costituzionalmente e soprattutto convenzionalmente conforme.
4. Di estremo interesse è il capitolo conclusivo su “II presente e il futuro del diritto penale: la giustizia riparativa; le commissioni per la riconciliazione nel diritto penale internazionale”. Tra i tanti temi degni di interesse quello attualmente più discusso, introdotto dalla riforma Cartabia, riguarda la giustizia riparativa, indagata in una prospettiva comparata fino all’analisi della fattispecie vigente. Assai approfondita è l’analisi sul significato teorico e politico-criminale della giustizia riparativa in rapporto alla teoria della pena, in cui si conclude nel senso che si tratti di “una sorta di nuovo umanesimo penale, che si distanzierebbe in maniera profonda rispetto agli strumenti “arcaici” del diritto penale che sinora conosciamo, anche se un tale giudizio rischia in effetti di risultare troppo ottimista. Ad ogni buon conto, non c’è dubbio che con l’ingresso della giustizia riparativa nel sistema penale siamo di fronte ad una più avanzata realizzazione del principio di cui all’art. 27, 3° comma, Cost., nel segno della “rieducazione” intesa come risocializzazione del condannato. Tuttavia, anche una riforma cosi significativa dovrà inevitabilmente fare i conti col persistere di atteggiamenti emotivi e irrazionali nella collettività che ne potranno ostacolare una piena attuazione” (p. 717).
In conclusione, il manuale è una summa di cultura giuridica e di sensibilità per le garanzie, senza mai cadere nello sterile nozionismo.