Adelmo Manna, Corso di diritto penale. Parte Generale- 5°, Milano, Wolters Kluwer- Cedam, 2020 e Manuale di diritto penale, Parte Generale, Milano, Giuffré Francis Lefebvre, 2020.
Il Prof. Manna ha consegnato alle stampe, per Wolters Kluwer- Cedam, la quinta edizione riveduta, arricchita e aggiornata, alla luce delle recenti acquisizioni della dottrina e della giurisprudenza, anche di rango costituzionale e sovranazionale, del suo Corso di diritto penale.
Questa volta, alla redazione del volume hanno contribuito anche brillanti allievi del Professore e, in particolare, Eleonora Addante, Francesca Pia Bisceglia, Giulia Cicolella, Vittoria Piera D’Agostino, Mattia Di Florio, Marcello Oreste Di Giuseppe, Pierluigi Guercia, Pierpaolo Guglielmi, Daniele Labianca, Francesco Pio Lasalvia, Domenica Loredana Novia, Giovanni Luca Perdonò, Vito Plantamura e Giandomenico Salcuni, nonché ha collaborato il Prof. Alì Abukar Hayo.
Nell’analizzare il vasto giro d’orizzonte compiuto dal Prof. Manna insieme ai suoi collaboratori intorno al diritto penale, procederemo in modo rapsodico, segnalando le tematiche maggiormente significative tra quelle affrontate e gli spunti più originali e innovativi che emergono dall’indagine.
Il volume si caratterizza per un’ampia introduzione volta, non tanto e non solo a presentare il contenuto dell’opera, ma anche ad esprimere talune riflessioni sull’Accademia e sulla direzione che sta imboccando.
Sono riflessioni a tratti amare di un Docente che non condivide il modello universitario che si starebbe affermando dove il titolo di Professore verrebbe agognato, più che per suggellare una carriera dedicata alla ricerca scientifica, per sfruttarne l’indotto sul piano professionale.
Ciò non significa, beninteso, visto che il Prof. Manna ha svolto sino a poco tempo fa sia la professione di Avvocato, che quella di Professore Universitario, non riconoscere da parte sua la benefica tendenza a promuovere una figura moderna di Professore Universitario il quale, allontanandosi dallo stereotipo dell’intellettuale puro, dedito pressoché esclusivamente all’attività speculativa, venga reclutato anche tra le file di professionisti di alto profilo, i quali, pur forti di un solido bagaglio culturale, sappiano fornire il loro contributo all’evoluzione della materia ed alla formazione dei discenti tramandando anche le acquisizioni maturate tramite l’esperienza sul campo.
Un professore, insomma, all’ “ anglosassone”, funzionale ad un’epoca in cui occorre fondere l’approccio scientifico con quello pratico onde evitare di produrre una classe docente inidonea ad allevare studenti pronti a competere su di un mercato del lavoro concorrenziale, che esige duttilità e capacità di orientamento nell’agone della vita e non solo nell’empireo dei concetti.
Non manca poi una preoccupata presa d’atto dell’inarrestabile processo di erosione del principio di legalità in favore del c.d. diritto vivente e della giurisprudenza c.d. giuscreativa, che costituisce ormai un dato di comune esperienza.
Il monopolio del Parlamento viene infatti progressivamente espropriato, non solo dal potere esecutivo, ma anche da una magistratura incline ad affermare il suo ruolo di fonte del diritto e, quindi, di autentico e unico potere legittimato nel nostro Paese, autoproclamatosi autentico depositario dell’etica pubblica ( almeno a parole, nei fatti la questione risulta, soprattutto di recente, molto diversa).
Esaminando gli argomenti esplorati nell’opera, tra le novità di questa edizione campeggia subito una disamina del principio di proporzionalità della pena sviluppata alla luce della recente evoluzione della giurisprudenza costituzionale, che, sin dalla sentenza n. 236 del 2016, ha inteso tale direttiva, non più in ossequio ad un’ideologia retribuzionista – implicante una valutazione formale della congruità della sanzione attraverso un esame comparativo tra fattispecie affini, al fine di verificare la coerenza interna al sistema nella graduazione delle risposte sanzionatorie- bensì, in linea con un approccio utilitarista, volto a saggiare l’adeguatezza del mezzo rispetto allo scopo perseguito in base a iter argomentativi intrisi di valutazioni sostanziali, che si servono della tecnica del bilanciamento, allo scopo di accertare l’uso ragionevole della sanzione.
In simile prospettiva, la Consulta ha progressivamente adottato il principio di proporzionalità della pena, in guisa di autonomo parametro di costituzionalità, sganciato dalla logica del tertium comparationis, ex art. 3 Cost.
Il Giudice delle leggi, in arresti successivi, ha addirittura ritenuto di svincolare anche l’individuazione del trattamento sanzionatorio di rimpiazzo di un’unica soluzione costituzionalmente doverosa, in grado di sostituirsi a quella dichiarata illegittima, da individuarsi in una norma avente identica struttura e ratio ( le c.d. rime obbligate).
Nella parte dedicata all’analisi dei corollari del principio di legalità, merita di essere segnalata l’illustrazione dei pronunciamenti della Consulta del 2019 in materia di prostituzione, con cui, da un lato, si è affermata la legittimità di una tecnica di redazione normativa – tipica della legge Merlin- per “ clausole generali”, suscettibili di essere agevolmente riempite di contenuto attraverso l’ordinaria attività interpretativa, dall’altro, si è sottolineato, sempre da parte della Consulta, come i divieti penali di favoreggiamento e reclutamento della prostituzione, enucleati nella legge Merlin, anche laddove il mercimonio del proprio corpo sia libero e volontario, risultino lesivi del principio di offensività.
In effetti, si discuteva se la legge Merlin, nella parte in cui punisce il reclutamento e il favoreggiamento della prostituzione di ragazze che, lungi dall’essere costrette all’esercizio del mestiere più antico del mondo, scelgono liberamente, spontaneamente e scevre dal qualunque condizionamento, di dedicarsi alla professione delle “ accompagnatrici”, al cospetto dell’evoluzione dei costumi, fosse ancora compatibile con i principi ricavabili dal tessuto connettivo delle disposizioni costituzionali, interpretati in senso dinamico, in modo da adeguarne l’estensione e il significato alle trasformazioni della società e di qui la critica del Prof. Manna alle sentenze di rigetto della Consulta, espressione ancora del c.d. paternalismo penale.
Nell’affrontare il tema dell’offensività, l’A. non manca, altresì, di riferirsi alla circostanza aggravante, introdotta dalla l.n. 115 del 2016, del “ negazionismo”.
Il Prof. Manna, anche rievocando il senso dello slogan coniato all’indomani degli attacchi al periodico satirico francese Charlie Hebdo, Je suis Charlie!, critica la scelta del legislatore, ritenendo che, per quanto odiose, tutte le opinioni ( come quelle che negano la Shoah, il genocidio, i crimini di guerra o contro l’umanità) dovrebbero risultare esenti da qualsiasi reazione penale, pena la violazione dell’art. 21 della Costituzione, che infatti pone come limite espresso solo il buon costume, e dello stesso principio di offensività, essendo in effetti sfuggente l’obiettività giuridica degna di tutela posta a fondamento dell’incriminazione.
La tematica è certamente controversa ed esposta a valutazioni influenzate dagli orientamenti politici e culturali, ma crediamo che la scelta del legislatore non possa essere censurata in via assoluta ed inappellabile, perché, è inutile negarlo, le parole sono “ pietre”, per cui si potrebbe pensare, in via mediana, quantomeno a rimedi extra- penali..
Comunque, i dubbi permangono e, quindi, è importante discuterne, da qualunque parte ci si intenda collocare.
Procedendo sempre con andatura “ rapsodica”, degni di nota sono i paragrafi dedicati al principio di laicità del diritto penale, dove l’A., abiurando, giustamente, qualsiasi contaminazione tra “ etica”, “ religione” e diritto penale, compie un vasto giro d’orizzonte intorno alla giurisprudenza della Corte Costituzionale che ha giustamente riscritto e in gran parte soprattutto cancellato i divieti enucleati nella legge sulla PMA, esempio effettivamente paradigmatico di legislazione dalla spiccata connotazione “ confessionale”, anche se l’opera della Corte non può dirsi, allo stato, ancora conclusa.
Merita, inoltre, di essere segnalato tra le novità di questa edizione, il sottoparagrafo dedicato all’analisi della legge Cirinnà – n. 76 del 2016- che ha introdotto la disciplina che regola le unioni dello stesso sesso, sostanzialmente equiparando il rapporto coniugale a quello tra “ le parti di un’unione civile”. Ci si sofferma, in particolare, sul tardivo adeguamento – ad opera del d.lgs. n. 6 del 2017-, del versante penale alle novità immesse su quello civile, con specifico riferimento alle numerose norme contenenti riferimenti alle nozioni di “ famiglia”, “ matrimonio”, “ coniugi”, “ congiunti”
Degno di speciale menzione risulta altresì il quinto capitolo, dove si tratta della vincolatività del precedente giurisprudenziale e ove l’A., ancorché osservi come il modello di common law sia non facilmente compatibile con il nostro assetto costituzionale ( pur se nel nostro effettivamente è stata introdotta in Cassazione la vincolatività relativa), sottolinea come Strasburgo sospinga ormai, anche da noi, all’elaborazione di una teoria del precedente vincolante, quale soluzione normativa davvero idonea a garantire, non tanto la stabilità delle decisioni giudiziali, quanto, soprattutto, la loro “ prevedibilità”, a garanzia di “ libere scelte d’azione”.
Il tutto a patto, soggiungiamo noi, di inserire paletti talmente stretti da evitare che ad una democrazia parlamentare se ne sostituisca una giudiziaria, in cui la magistratura, anziché mera “ consumatrice” di leggi emanate dal Parlamento eletto, si arroghi essa stessa il diritto di enucleare norme le legge.
Un manuale di attualità, come si coglie bene nelle parti dedicate ai limiti temporali e personali della legge penale ove si trattano, rispettivamente, la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 4 bis Ord. penit., laddove ritenuto applicabile in via retroattiva ai reati ivi inseriti dalla legge c.d. Spazzacorrotti, e le autorizzazioni a procedere emesse dal Senato nei confronti di Matteo Salvini nei casi Gregoretti e Diciotti. A tale ultimo proposito, al di là degli orientamenti politici di ciascuno e dell’approccio che si ritiene “ eticamente” e “ politicamente” più corretto al tema dell’immigrazione, crediamo sia decisamente collegata all’orientamento politico dominante allo stato, l’autorizzazione volta a consentire il processo a carico dell’On. Salvini, che infatti fu negata con il precedente governo. A ciò si aggiunga che Il tutto, un’accusa di sequestro di persona non risulta così certa e indiscutibile, essendosi limitato l’On. Salvini a vietare lo sbarco nei porti italiani, incidendo, così, solo in parte sulla libertà personale, potendosi i migranti muoversi almeno all’interno dell’imbarcazione, pur se molti risultarono affetti da scabbia e quindi necessitata a scendere a terra.
L’intenzione di condurre l’indagine collegati all’attualità si coglie, altresì, nel capitolo incentrato sul soggetto attivo del reato, dove ci si sofferma a lungo sulla responsabilità degli enti, trattando delle recenti innovazioni che hanno toccato la disciplina, delle modalità di accertamento processuale dell’illecito dell’ente, nonché di questioni procedurali di evidente delicatezza e attualità, quali il problema dell’obbligatorietà dell’azione penale a carico della persona giuridica e la possibilità di costituirsi parte civile nei suoi riguardi.
Altro elemento di assoluta novità lo si scorge allorché viene esaminata la “ colpa penale”, nella misura in cui l’A. non manca di intrattenersi sulla legge Gelli- Bianco, in materia di colpa medica, alla luce dell’importante intervento chiarificatore circa la portata della novella operato dalla sentenza delle SS. UU. Mariotti. Il Prof. Manna critica gli approdi a cui sono pervenute le SS.UU. nella misura in cui sono giunte ad un risultato opposto a quello di aumentare le garanzie per la classe medica; garanzie che il Decreto Balduzzi non era riuscito pienamente ad assicurare e che, proprio per tale ragione, aveva indotto il legislatore ad intervenire ancora, evidentemente invano.
Adesso, solo gli adempimenti imperfetti e non anche, come nella vigenza del Decreto Balduzzi, anche quelli inopportuni, sono esclusi dall’area d’incidenza del diritto penale; inoltre, la Corte non ha colto l’invito della dottrina a correggere, in via interpretativa, il difetto della legge, che circoscrive la clausola di non punibilità alla sola colpa per imperizia, sfruttando l’elasticità dei confini del concetto di imperizia e osservando come comportamenti trascurati e avventati possano rientrare in questo ambito se realizzati nel contesto di attività professionali. Resta, irrisolto, il problema di un’esatta definizione della colpa grave, aggravato dal fatto che non è semplice trasformare un elemento relativo al quantum di colpevolezza e, dunque, di rimprovero, ad uno che, invece, definisce l’an della responsabilità
Molto interessante, è inoltre lo spazio dedicata al processo ai componenti la commissione “ grandi rischi”, a seguito del terremoto dell’Aquila. L’A., dopo avere ripercorso le tappe del procedimento, ha ritenuto come l’impostazione accusatoria avrebbe potuto incontrare migliore fortuna ove si fosse appuntata sulla mancanza, da parte dei membri della Commissione Grandi rischi, di un’adeguata valutazione della vulnerabilità del patrimonio edilizio della città, mentre, circa la non prevedibilità degli eventi sismici, avere condannato definitivamente solo lo “ speaker” della protezione civile ha tutto il sapore di “ capro espiatorio”.
Il volume si sofferma anche sulle figure, di recente introduzione, dell’omicidio e delle lesioni colpose stradali, indicative di un diritto penale securitario e repressivo, che accetta di stravolgere i principi basici su cui si dovrebbe edificare ( quale quello di proporzionalità della pena in astratto), pur di appagare la “ sete” di vendetta sociale, alimentata da un’informazione, a nostro parere, populista e demagogica.
Degne di specifica menzione, in ragione della loro estrema attualità, le trattazioni relative alle responsabilità dell’internet provider, alla c.d. legittima difesa presunta, introdotta dalla l.n. 36 del 2019, per il cui tramite si è inteso, in modo illusorio, eliminare qualsiasi margine di valutazione in capo al giudice circa la sussistenza di un rapporto di proporzione tra aggressione e reazione, nel caso in cui l’offesa avvenga in ambito domiciliare. A tale ultimo riguardo, l’A. segnala, appunto, come l’auspicato obiettivo politico di evitare il “ processo” a carico di chi invoca tale scriminante non sia stato – e del resto non poteva in alcun modo essere- raggiunto, giacché, comunque, l’Autorità giudiziaria, come in qualsiasi altro caso, dovrà verificare se i requisiti della “ nuova” causa di giustificazione si siano o meno integrati.
Sempre a riprova di come la trattazione sia stata sviluppata al passo con l’attualità, l’ A. non manca di occuparsi del delitto di tortura, enucleato nel novellato art. 613- bis c.p., passando in rassegna una serie di processi balzati agli onori delle cronache nazionali ( il G 8 di Genova, il caso Cucchi ecc.) a cui, a suo avviso, si attagliava il concetto di tortura, elaborato in sede ONU e poi recepito in Italia.
Il problema del delitto di tortura, ad avviso dell’A., soffre di due criticità, la previsione di un reato comune e non, invece, proprio e la pretesa di almeno due condotte criminose.
Il Prof. Manna non tralascia, poi, di illustrare gli affaire Contrada – e i suoi “ fratelli minori”- e Cappato.
Nel primo caso criticando la reazione della giurisprudenza italiana al dictum della CEDU che, da un lato, aveva sancito la natura giurisprudenziale dell’istituto del “ concorso esterno”, dall’altro dimostrava un respiro generale: conclusioni, entrambe respinte dalla Cassazione, non ritenendo, ma a torto, la sentenza Contrada estendibile ai “ fratelli minori”, non reputando assimilabile la pronuncia della CEDU ad una “ sentenza pilota”, ma, appunto, non tenendo conto che per la CEDU tutte le sue sentenze sono applicabili negli Stati membri ed, infine, negando al concorso esterno la natura di “ création prétorienne”.
Nel secondo caso, ripercorrendo il duplice arresto della Consulta, per il cui tramite è stata finalmente ritagliata una zona di liceità per chi aiuta a procurarsi la morte un soggetto affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze psicologiche e fisiche, che trovi assolutamente intollerabili, che sia tenuto in vita da dispositivi artificiali – requisito, questo, troppo restrittivo perché diependente dal caso concreto- anche di nutrizione, e che però conservi la capacità di autodeterminarsi in ordine alle scelte di fine vita.
Ovviamente, poi, l’A. affronta con spirito critico la nuova causa di sospensione della prescrizione introdotta dalla “ riforma” Bonafede che paralizza l’efficacia del decorso del tempo dopo la sentenza di primo grado, convertendosi in un sostanziale blocco dell’istituto. Il Prof. Manna evidenzia infatti la macroscopica illegittimità costituzionale della previsione, che introduce la figura dell’ “ eterno imputato” e trasforma il processo in una sorta di “ ergastolo procedurale”, anche se non risulta agevole quando far “ scattare” il problema della rilevanza.
La parte sulla pena è in generale pregna di novità come quando si esamina l’istituto della messa alla prova per gli adulti di cui al nuovo art. 168- bis c.p., ossia la nuova causa di non punibilità della collaborazione nei delitti contro la PA, ovvero gli inasprimenti previsti sempre nella c.d. Spazzacorrotti in materia di pene accessorie nei reati contro la PA, ovvero ancora i recenti approdi della Consulta in tema di ergastolo ostativo, laddove si evidenzia anche come la Corte costituzionale stia fungendo, in questo clima politica di oscurantismo giudiziario, da “ contro potere”, intenzionato ad arginare, ove possibile, le derive populiste e repressive del legislatore e in voga nella prassi giudiziaria.
Ancora da segnalare il capitolo dedicato al c.d. diritto penale amministrativo e alle misure di prevenzione, comparti caratterizzati da un’evidente “ frode delle etichette”, giacché, come messo in luce dall’A., a fronte della chiara natura penale di tali ambiti – in cui si discute dei medesimi beni e interessi colpiti delle pene propriamente intese-, si esclude l’applicabilità di una serie di fondamentali garanzie congenite al diritto penale formalmente inteso, celandosi dietro il fragile schermo di classificazioni formali e artifici dialettici volti a dimostrare l’eterogeneità di simili ambiti rispetto all’autentico ius criminale. Va, tuttavia, rilevato con preoccupazione che, per quanto riguarda, almeno, le misure di prevenzione, sia la giurisprudenza nazionale, che quella sovranazionale, sono ancora convinte nel considerarle sanzioni extra- penali ( amministrative, o, da ultimo, persino civili).
Sempre nel 2020, il Prof. Manna, con il contributo dei suoi allievi e collaboratori, l’Avv. Marcello Oreste di Giuseppe, i Dottori Mattia Di Florio e Daniele Labianca, ha pubblicato per Giuffré, Francis Lefebvre, altro Manuale, pensato e calibrato appositamente per i candidati al concorso in magistratura.
Si tratta di un’opera aggiornata con la normativa emergenziale connesse alla diffusione del Covid- 19 e con la decisione della Corte internazionale penale dell’Aja sul caso dei due Marò.
Il volume si caratterizza, non soltanto per un’attenta ricostruzione della dottrina afferente l’intera gamma degli istituti penalistici, ma, soprattutto ( e da qui il taglio pensato per i candidati al concorso in magistratura), per la presenza di appositi Focus di giurisprudenza finalizzati a fornire l’illustrazione degli orientamenti più attuali emersi nella prassi.
Per il tramite di tali richiami all’elaborazione della Corte di cassazione, il lettore, oltre ad acquisire la preparazione necessaria per affrontare le prove a cui intende sottoporsi, ha l’occasione di apprendere come si articola il ragionamento giuridico nel diritto vivente e in quale forma anche linguistica viene declinato.