Il sistema delle misure cautelari nel mandato d’arresto europeo. La tutela delle libertà personale nelle procedure di consegna,
di Guido Colaiacovo, Cedam, 2019.
1. Il tema affrontato nel contributo monografico recensito è quello, cruciale, della tutela della libertà personale nella fase cautelare del mandato d’arresto europeo, riguardato alla luce dei principi dettati dalla decisione quadro n. 584 del 13 giugno 2002 del Consiglio europeo, che ha sancito il superamento del previgente apparato estradizionale attraverso l’adozione di un sistema improntato al mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie.
Poiché tale innovazione trae fondamento dall’esigenza di conferire maggiore rapidità ed efficacia alle procedure di consegna della persona richiesta da uno Stato all’altro all’interno dell’Unione, il fuoco dell’indagine sviluppata dall’Autore dello studio si coglie nella verifica degli esiti del bilanciamento tra detta esigenza e la tutela della libertà personale, di primario rilievo costituzionale e convenzionale.
2. L’opera è suddivisa in tre parti. La prima si apre con una disamina circa la posizione della persona nell’ordinamento giuridico dello Stato, dalla quale è possibile ricavare due diverse concezioni di libertà personale: l’una di stampo autoritario, come si desume dal sistema del Codice Rocco del 1930; l’altra di matrice antropocentrica, imposta dall’art.13 Cost. e recepita dal codice vigente. A tal proposito, l’Autore non lesina dubbi sull’effettività operativa dell’assetto vigente, date le soventi riforme che, dal 1988 in avanti, si sono rese necessarie per contrastare imperfezioni tecniche e forti controspinte securitarie in materia di cautele processuali penali.
Dopo una rassegna delle garanzie che la costituzione e le fonti sovranazionali apprestano all’individuo, viene analizzata la tutela della libertà personale ante iudicium nel codice di rito, delineando i tratti fondamentali della disciplina ordinaria delle misure cautelari. Siffatto rilievo è di preminente importanza nell’economia dell’opera, in quanto il paragone con la posizione dell’imputato nel procedimento ordinario rappresenta il grimaldello attraverso cui l’Autore esamina lo status di colui che è coinvolto nel procedimento di cooperazione giudiziaria in seno ad un mandato d’arresto europeo.
Successivamente viene affrontato sotto il profilo storico il fenomeno delle procedure di consegna partendo dalla condizione dell’estradando nel tardo ottocento, fino a giungere alla decisione quadro.
In particolare, viene mostrato come l’istituto dell’estradizione – che nei primi codici dell’Italia unita aveva carattere prevalentemente politico ed amministrativo – abbia lentamente assunto sembianze giurisdizionali, attraverso il progressivo riconoscimento di tutele fondamentali in capo all’individuo richiesto in consegna, tali da renderlo soggetto titolare di diritti e non oggetto di un rapporto politico tra Stati.
Il lavoro prosegue delineando i tratti identificativi dell’euromandato, siccome resi espliciti dalla decisione quadro: dialogo diretto tra le autorità giudiziarie, attenuazione del principio della doppia incriminazione e drastica riduzione dei motivi di rifiuto della consegna (in uno con cadenze procedimentali volte a ridurre i tempi della decisione). In questo frangente, si evince che il rapporto non sempre pacifico tra i contenuti della decisione quadro e le garanzie costituzionali (e pattizie) avrebbero reso l’istituto in rassegna, quanto meno in un primo momento, difficile da gestire sul piano pratico – operativo.
Pertanto, il contributo analizza il tema della libertà personale e dei diritti del ricercato all’interno della decisione quadro.
Così come messo in risalto, l’euromandato rappresenta un sistema di stampo securitario, nel quale l’applicazione della misura cautelare sembra essere l’opzione prevalente. Tra le righe della trattazione è formulato, quindi, l’auspicio che il legislatore nazionale vada temperando le asperità che tale regime presenta, valorizzando i presidi costituzionali della libertà personale e del diritto di difesa, tanto più che la decisione quadro non preclude l’applicazione di norme costituzionali interne sul giusto processo.
In conclusione della prima parte, l’Autore rileva come l’art. 2 della decisione quadro consenta di spiccare l’euromandato anche per perseguire fatti bagatellari, tanto nella sua accezione processuale, quanto in quella esecutiva. In primo luogo, si osserva l’incongruenza con la ratio originaria della cooperazione giudiziaria tra Stati che si evince dai lavori preparatori: dare i natali ad uno strumento di contrasto a gravi forme di criminalità transnazionale, ed impedire ad autori di gravi reati di allontanarsi utilmente dal territorio nazionale per sottrarsi alle conseguenze giudiziarie. In secondo luogo, si evidenzia il rischio che la persona subisca una sproporzionata applicazione di misure restrittive, pur prodromiche ad una richiesta di arresto e di consegna.
La seconda parte è quella più corposa ed affronta in chiave critica l’applicazione delle misure cautelari nel mandato d’arresto europeo. La disamina si snoda a partire da una classificazione gerarchica delle norme applicabili. In tale ambito, assumono rilevanza primaria le disposizioni della legge di recepimento (n. 69 del 22 aprile 2005), preposte a regolare direttamente la materia; in via subordinata, ed ove compatibili, le norme del libro IV del codice di rito; in via ulteriormente gradata, in ipotesi di lacune non diversamente colmabili, altre previsioni del codice di rito ovvero di leggi complementari.
L’Autore ha, inoltre, cura di premettere che l’incidente cautelare rappresenta solo una parte del più ampio procedimento finalizzato alla decisione sulla richiesta di cooperazione giudiziaria inoltrata dallo Stato membro di emissione; il quale consta di tre fasi: l’instaurazione, la cognizione (ove l’autorità giudiziaria valuta i presupposti per l’accoglimento della richiesta) e l’eventuale esecuzione (in caso di pronuncia positiva).
Dunque, il segmento cautelare, sebbene segua peculiari regole, non può considerarsi autonomo rispetto al procedimento principale, bensì deve ritenersi ancillare.
Ma ciò che nella monografia è segnalato come il primo vero cambiamento rispetto alla disciplina dell’estradizione è il ruolo assegnato a ciascuno dei soggetti coinvolti nel procedimento de libertate. In ossequio all’intenzione di giurisdizionalizzare le procedure – e contestualmente di sopprimere il fattore politico – si assiste ad un ridimensionamento delle prerogative del Ministro della Giustizia. Quest’ultimo viene spogliato del potere decisionale sul merito della consegna – così come di ogni altro potere di iniziativa nell’alveo cautelare -, assumendo un ruolo di raccordo tra gli Stati coinvolti e di assistenza amministrativa dell’autorità giudiziaria: tale potere è accordato, invece, alla Corte d’appello, quale organo giurisdizionale, appunto, deputato a gestire le procedure di consegna.
Qui lo snodo principale dell’analisi riguarda ancora una volta il grado di salvaguardia dei diritti della persona richiesta in consegna. Dopo aver ribadito la ratio del mandato d’arresto europeo – ossia quella di accelerare le procedure e ridurre i casi di rifiuto della traditio – si argomenta criticamente da parte dell’Autore che tali finalità giammai possono essere perseguite mediante un’illegittima compressione della libertà della persona e dei suoi diritti difensivi. Ne deriva che l’autorità giudiziaria – nell’applicare la misura – dovrà trovare il punto di equilibrio tra i meccanismi di semplificazione che l’euromandato offre e la tutela dell’individuo richiesto in consegna.
Il contributo argomenta in maniera inequivoca che l’emissione di un mandato d’arresto europeo non postula l’automatica applicazione di una misura cautelare, che – al contrario – potrà essere adottata soltanto laddove, all’esito di una verifica giudiziale, sia ritenuta necessaria (in congruenza con il criterio di stretta necessità che connota il nostro sistema processuale nel segmento delle restrizioni ante iudicium). Dunque, ancora una volta l’Autore pone l’accento sulla tutela della libertà personale quale controlimite oltre il quale la necessità di cooperazione tra Stati non può spingersi.
Siffatto rilievo non è privo di risvolti pratici, atteso che nel sistema in verifica, perché possa applicarsi una misura cautelare, non è necessaria la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen.. Come disposto dall’art. 12 della decisione quadro, infatti, il giudizio de libertate è principalmente diretto a scongiurare il pericolo che il soggetto si allontani dal territorio dello Stato o si renda irreperibile (esigenza corrispondente al pericolo di fuga di cui all’art. 274, comma 1 lett. b, cod. proc. pen.).
Per inciso, nell’opera viene in rilievo la problematica attinente alla possibilità di spiccare il mandato d’arresto europeo contro imputati e condannati minorenni. In questo contesto è segnalato l’art.18 lett. i) della decisione quadro, il quale precluderebbe l’emissione del titolo cautelare. Tuttavia, si chiarisce che il rifiuto non dipende in via esclusiva dall’età della persona richiesta in consegna, ma anche da altri elementi, come la contemporanea sussistenza di un processo rieducativo o un trattamento carcerario nello stato membro di emissione. Pertanto, obliterato il radicale divieto di applicazione di una misura cautelare, al giudice è affidato il compito di valutare con la massima prudenza la misura adeguata al caso concreto; ciò al fine di evitare una lesione dei diritti fondamentali del minore.
In seguito vengono descritte le due modalità attraverso le quali si dà impulso all’applicazione della misura cautelare: la trasmissione diretta dell’euromandato e l’arresto a seguito della segnalazione nel Sistema informativo Shengen.
In ordine alla prima modalità, è cruciale il passaggio in cui viene evidenziato l’obbligo in capo all’autorità giudiziaria di motivare adeguatamente la sussistenza del pericolo di fuga e le ragioni che portano ad escludere l’idoneità di misure meno afflittive. In particolare, la violazione delle suddette regole sulla motivazione comporta la nullità dell’ordinanza rilevabile d’ufficio (ai sensi dell’art. 292 cod. proc. pen.). A giustificare la severità di tale regime è ancora una volta l’importanza del bene in gioco, ossia la libertà personale.
Inoltre viene affrontato l’interessante problema dell’applicabilità nell’ambito del MAE degli artt. 295 e 296 cod. proc. pen. che regolano la latitanza, laddove gli inquirenti non riescano ad individuare il ricercato. La pronuncia dell’autorità giudiziaria – si osserva – deve essere di non luogo a provvedere: qualora il soggetto non si trovi all’interno del territorio italiano, la domanda dello Stato membro di emissione risulta destituita di fondamento. Dunque, il decreto emesso – pur riconoscendo sostanziale qualità di latitante a colui che volontariamente si sia sottratto al provvedimento coercitivo – non comporterà l’applicazione del regime codicistico finalizzato alla prosecuzione del processo a suo carico. Diverso è il caso in cui il catturato infranga successivamente il vincolo: lo status di evaso è, infatti, equiparato tout court a quello del latitante ai sensi dell’art. 296, comma 5, cod. proc. pen..
Un’attenzione particolare viene dedicata al tema dell’audizione della persona richiesta in consegna. Segnatamente, si affronta il quesito relativo alla possibilità di sanzionare l’omissione o il ritardo nel procedervi alla stregua di quanto disposto dal codice di rito per l’interrogatorio di garanzia, cioè con l’estinzione della misura ex art. 302 cod. proc. pen.. Viene all’uopo chiarito, ventilandosi una soluzione affermativa, che l’audizione del richiesto in consegna presenta la medesima ratio dell’interrogatorio ex art. 294 cod. proc. pen.: assicurare il contraddittorio tra l’autorità giudiziaria e il soggetto che subisce una restrizione della libertà personale. In proposito si prospetta che contestare tale assunto equivarrebbe a depotenziare l’istituto dell’audizione, eliminando del tutto le garanzie della persona richiesta in consegna, già significativamente compresse.
In seguito, il lavoro investe le vicende successive all’applicazione della misura cautelare, nelle quali è centrale il problema dei relativi termini di durata. Si rileva, al riguardo, come l’art. 21 della legge di recepimento limiti la perentorietà dei termini per la decisione – decorsi i quali la persona ricercata è posta in libertà – al solo giudizio d’appello, mentre nulla è disposto per quanto attiene al giudizio di Cassazione o a quello di rinvio. Esclusa, quindi, la praticabilità dell’applicazione analogica di norme disciplinanti il decorso dei termini delle misure cautelari nei giudizi menzionati, si accusa un vulnus all’art. 13 comma 5 Cost., il quale dispone che è la legge a dover stabilire i limiti massimi della carcerazione preventiva. Vi è più, si ribadisce che quest’ultima garanzia costituzionale non può essere posta in bilanciamento con esigenze squisitamente processuali di collaborazione giudiziaria tra Stati.
Il capitolo IV, conclusivo della seconda parte, si occupa delle impugnazioni. Dopo un previo arresto sulle origini della previsione del ricorso per cassazione (sin da subito individuato nell’intento di dare attuazione all’art.111 comma 7 Cost.), l’analisi si dirige sull’individuazione dei soggetti legittimati ad esperire tale mezzo di impugnazione avverso le decisioni de libertate assunte nell’ambito dell’euromandato. Successivamente, nell’elencazione dei provvedimenti impugnabili, ci si interroga sull’inclusione nel perimetro di essi della pronuncia ex art. 17, comma 2, l. n. 69 del 2005, che dispone che: << La decisione deve essere emessa entro il termine di sessanta giorni dall’esecuzione della misura cautelare di cui agli articoli 9 e 13. Ove, per cause di forza maggiore, sia ravvisata l’impossibilità di rispettare tali termini il Presidente della Corte di appello informa dei motivi il Ministro della giustizia, che ne dà comunicazione allo Stato richiedente, anche tramite l’Eurojust. In questo caso i termini possono essere prorogati di trenta giorni>>. Qui, l’Autore, in maniera originale, distaccandosi da quanto ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, assume che il suddetto provvedimento possa essere impugnato, in quanto la proroga dei termini per la decisione rappresenta l’esercizio di un potere discrezionale della Corte d’appello, atteso che la norma non prevede un obbligo, bensì una facoltà di proroga; donde sussiste un concreto interesse alla verifica che tale potere discrezionale sia utilizzato correttamente. Inoltre, l’impugnazione potrebbe riguardare l’insussistenza delle cause di forza maggiore, presupposto previsto dall’art. 17 comma 2 per la proroga della decisione.
Un ulteriore rilievo critico viene messo in luce considerando l’ipotesi in cui la Suprema Corte accolga la doglianza circa l’illegittimità del provvedimento cautelare, e pertanto annulli con rinvio. Il problema riguarda la mancanza di un termine perentorio che, stabilito a pena di perdita di efficacia della misura, investa la trasmissione degli atti al giudice del rinvio. Considerando che i termini per la decisione di quest’ultimo decorrono proprio dalla ricezione degli atti, l’Autore paventa il rischio che tempi morti comportino lo slittamento del suddetto dies a quo. Ciò non può che ripercuotersi in maniera deteriore sulla persona richiesta in consegna, che rimarrà in vinculis in forza di un provvedimento viziato. Da qui, l’auspicio di un intervento del legislatore.
Prima di concludere il tema delle impugnazioni, viene posta l’attenzione sulla diversità di trattamento riservato alla persona richiesta in consegna – alla quale è consentito il solo mezzo del ricorso in cassazione per violazione di legge – rispetto al soggetto sottoposto ad una misura cautelare nel procedimento ordinario, il quale può ricorrere ai più efficaci mezzi del riesame e dell’appello cautelare. Dal tenore della trattazione, tuttavia, si evince che le esigenze di celerità e semplificazione di cui è informato l’intero sistema dell’euromandato – ed il principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie – giustificherebbero siffatta differenza nei regimi d’impugnazione, scongiurando una lesione dell’art. 3 Cost.
Nella terza ed ultima parte del contributo si affrontano sostanzialmente due questioni: le conseguenze che comporta l’applicazione delle misure cautelari e la riparazione per ingiusta detenzione.
Anche in questa fase emerge l’intento di esaminare il grado di tutela della libertà personale nell’euromandato, effettuando un confronto con le discipline che parallelamente investono l’imputato nel procedimento ordinario e l’estradando. Infatti, viene messo in risalto il problema dell’incidenza della detenzione subita all’estero sul computo dei termini massimi della custodia cautelare, invocando – in ossequio ai dicta sul punto della Corte Costituzionale – una parità di trattamento tra i diversi casi di limitazione della libertà (che si tratti di detenzione subita in Italia, all’estero in seno ad un procedimento di estradizione ovvero nella procedura dell’euromandato).
3. Vale conclusivamente osservare come la monografia risulti un valido strumento di approfondimento – utile sia sul piano teorico che su quello pratico – di una materia, quale quella dell’euromandato, densa di spunti problematici quanto mai attuali, vista la progressiva armonizzazione dei sistemi giuridici dei paesi dell’Unione Europea.