L’appello riformato
di Antonella Marandola
L’appello è storicamente l’anello “debole” della catena processuale e per questo oggetto di valutazioni diverse e controverse, sia sotto il profilo della sua necessaria presenza, sia sotto l’aspetto più strettamente legato al suo ruolo.
Per essendo ritenuto spesso incompatibile, sia con il modello inquisitorio, sia con quello accusatorio, ha, tuttavia, dimostrato una notevole vivacità e capacità di “resistenza”, adeguandosi, di volta in volta, alle situazioni teoriche che si venivano prospettando,
Oltre che coinvolto “”in sé” in questo dibattito di opinioni contrapposte, l’appello ha visto – in relazione alla sua conservata presenza- modificare gli elementi che ne compongono la struttura: legittimazione soggettiva e oggettiva, poteri cognitivi e rinnovazione, potere delle parti e d’ufficio, poteri decisori, rapporti con la fase precedente e con quelle successive, sia in relazione alla progressione, sia alla regressione.
Conseguentemente, il giudizio di secondo grado – non senza commistioni- resta sospeso tra una logica ispirata al “nuovo giudizio” e quella legata alla funzione di controllo.
Entro questi scenari si articola l’analisi della monografia di Antonella Marandola “L’appello riformato”. Sull’onda lunga dei lavori della Commissione Canzio, che ha recuperato l’elaborazione in materia della Commissione Riccio, nel contesto di una riscrittura della fase delle impugnazioni, il legislatore con alcune mirate modifiche è intervenuto ridelineando il ruolo del giudizio di secondo grado.
Il lavoro analizza il significato delle diverse modifiche introdotte e ricompone il mosaico collocandole nella trama che lo ispira.
Lungi dal trattarsi di aggiustamenti ispirati da una logica di mero riposizionamento e di semplice riscrittura, i nuovi testi ridefiniscono –secondo l’Autrice- il giudizio di secondo grado secondo una precisa impostazione ispirata da una logica di controllo fortemente radicata nella riforma della specificità dei motivi e della rinnovata struttura della sentenza (artt. 546 e 581 c.p.p.).
Un ulteriore asse portante è costituito, in questa prospettiva, anche dal nuovo ruolo del pubblico ministero, portatore dell’interesse contrapposto a quello difensivo, ma non antagonista “a priori”, ma piuttosto titolare esclusivamente del proprio ruolo istituzionale. Legittimazione circoscritta alle modifiche dell’imputazione, esclusione del potere di appello incidentale, diritto alla rinnovazione in caso di proscioglimento e di richiesta di rivalutazione della prova dichiarativa, limiti alla ricorribilità in caso di doppia conforme, sono precise scelte del ruolo, al quale si contrappone un’ampia tutela del diritto dell’imputato governato dal diritto di difesa (art. 24 Cost.) e dalla presunzione di innocenza (art. 27 Cost.). L’impostazione, sottolinea l’A. è del resto coerente con gli orientamenti Cedu in punto di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. Nel delineare le conclusioni sistematiche dell’analisi dei profili nodali e dei cardini del giudizio d’appello, l’A. ha modo di evidenziare come le scelte della riforma siano state condivise –seppur in parte- dalla giurisprudenza della Corte costituzionale- (C. Cost. n. 34 del 2020) che ha rigettato la questione di legittimità costituzionale dei limiti della legittimazione del pubblico ministero ad appellare i profili sanzionatori della sentenza di prima istanza.
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