Misure di prevenzione e diritto penale: una relazione difficile
a cura di Adelmo Manna con la collaborazione di Vittoria Piera D’Agostino.
Ed. Ius Pisa University Press, 2019.
Il Prof. Manna ha consegnato alle stampe questo volume avente ad oggetto l’ “ incandescente” materia delle misure di prevenzione.
Come si evidenzia nell’introduzione al volume, in un contesto di sostanziale disintegrazione del sistema sanzionatorio[1], del diritto e del processo penale, i quali, ormai, a seguito di una serie di riforme scollegate da una visione organica dell’ordinamento e tutte improntate all’idea di un intervento penale no limits, risultano avere smarrito il loro punto di riferimento, costituito dall’accertamento e dalla punizione di responsabilità per un fatto di reato, la giurisprudenza tende a “ compiacersi”, sviluppando ed estendendo un addentellato repressivo parallelo, affiancato alle pene e alle misure di sicurezza.
Si tratta, per l’appunto, delle misure di prevenzione.
Il loro proliferare nell’ordinamento – dovuto, soprattutto, di recente, ai codici antimafia del 2011 e del 2017- è connesso a due ragioni fondamentali: da un lato, la loro applicazione è subordinata, non già all’impegnativo accertamento di un reato, bensì esclusivamente al sospetto di un comportamento illecito o persino solo antisociale, dall’altro, e di conseguenza, la loro irrogazione avviene in esito ad una sequenza procedimentale priva delle garanzie connesse al processo penale, che la rendono alquanto snella e veloce.
In questo ambito, connotato da autentiche “ voragini” regolamentari e, soprattutto, dalla sostanziale assenza di presidi a tutela dei diritti fondamentali coinvolti, la giurisprudenza ha espressamente rivendicato un ruolo creativo, arrogandosi il potere di puntellare la normativa di settore, in sostituzione del legislatore.
L’indagine del Prof. Manna prende le mosse da un’approfondita analisi storiografica giacché – come chiarisce l’Autore- per comprendere questo comparto nella sua conformazione attuale non si può prescindere da un compiuto giro d’orizzonto intorno alle sue origini – che affondano le radici, in particolare, nella Legge Pica, varata nel 1863, che, dopo l’unità d’Italia del 1861, quando l’esercito piemontese dovette affrontare il fenomeno del brigantaggio nel mezzogiorno[2], introdusse il c.d. “ domicilio coatto”- e, quindi, intorno alle ragioni di fondo che nel corso delle diverse epoche hanno costantemente suggerito l’adozione di tali misure.
Diversamente, si rileva giustamente, si rischia di inquadrarle secondo quelle che sono le visioni personali dell’interprete e senza obiettività, allontanandosi dalla possibilità di individuare la loro effettiva ratio istitutiva e la loro natura giuridica.
Lo studio, nell’esaminare la progressiva evoluzione di questo settore dell’ordinamento, rileva la costante “ truffa delle etichette” che ne ha da sempre trasfigurato la autentica natura giuridica, aprendo così la strada alla “ creazione” di un comparto del diritto sostanzialmente “penale” ma formalmente “ amministrativo”, perché “ di polizia”, come tale, quindi, svincolato dall’obbligo di rispettare le garanzie proprie dello ius criminale.
Soprattutto con l’avvento della Carta fondamentale la formale diversità tra le misure di prevenzione, da un lato, e le pene e le misure di sicurezza, dall’altro, ha funzionato da grimaldello per evitare di incorrere nella violazione di quei presidi costituzionali posti a tutela della libertà persona e del patrimonio.
Lo stesso concetto di pericolosità su cui si fondano le misure di prevenzione assume connotati alquanto evanescenti e, dunque, facilmente manipolabile per via giudiziaria in spregio di fondamentali presidi penalistici.
Al riguardo, Adelmo Manna riporta la più stringente e condivisibile critica al concetto in questione formulata da Enzo Musco secondo cui: “ In questa prospettiva deve essere adeguatamente sottolineato che rimanere ancorati alla pericolosità come giudizio prognostico significa accettare una mistificazione concettuale e realizzare contemporaneamente una operazione schiettamente ideologica utilizzabile ad libitum per processi di criminalizzazione di stampo “ giudiziale” che- come si sa- sfuggono a reali forme di controllo”[3].
Tanto ciò corrisponde al vero che in materia di misure di sicurezza la tendenza del legislatore è quella di abbandonare, seppure non del tutto, il concetto di pericolosità per giustificare la “ restrizione” nelle REMS, in particolare, in base al “ bisogno di terapia”[4].
Il punto culminante della “ strategia della prevenzione” ( o meglio della repressione fondata sul solo sospetto) è stato toccato con i cc.dd. Codici Antimafia del 2011 e del 2017 ( che poi, al di là di tale enfatica definizione, distinguendosi per la loro totale disorganicità, sarebbe stato più corretto definire Testi Unici, come nota l’Autore).
Soprattutto con l’accrescimento delle fattispecie di pericolosità qualificata, portato della riforma del 2017, si è realizzata quella situazione che Francesco Palazzo, le cui parole sono state testualmente riprese nel volume, ha così efficacemente descritto: “ Parlare delle misure di prevenzione, oggi, significa parlare di una sorta di buco nero dell’ordinamento in cui, in un futuro più o meno prossimo, rischiano di essere risucchiati settori crescenti del diritto penale repressivo con i suoi principi fondamentali, garantistici o anche semplicemente caratterizzanti”[5].
Insomma tra efficienza e garanzie, il legislatore continua a privilegiare la prima, per il tramite della inarrestabili estensione dell’area d’incidenza di un “ diritto preventivo, ma in realtà punitivo a maglie larghe”, sguarnito di vincoli processuali e refrattario ad adeguarsi ai presidi su cui si edfica il nostro sistema penalistico.
Per tale via, il potere legislativo abdica al suo ruolo, affidando al “ libero orientamento” del formante giurisprudenziale la stessa enucleazione delle regole del “ processo di prevenzione” in senso sintonico con basilari principi di garanzia.
D’altronde, come ha ricordato Adelmo Manna, il Consigliere di Cassazione Magi ( magistrato illuminato, il quale ha scritto le sentenze che hanno, di fatto, enucleato le strutture portanti di questo sistema parallelo, orientandolo, per quanto possibile, verso il rispetto dei diritti fondamentali), durante il Convegno organizzato nel 2016 dalla AIDP sul tema a Milano, ha ammesso che il procedimento funzionale all’adozione di misure di prevenzione risulta più celere ed efficace rispetto al modello classico ed è questa la vera ragione per cui si tende ad ampliarne a dismisura l’applicazione.
E questo trend, occorre rilevarlo senza infingimento, ha trovato l’avallo – sebbene, come è noto, negli ultimi anni con dei significativi temperamenti- della giurisprudenziale costituzionale ed europea, dove é consolidata l’affermazione secondo cui le misure di prevenzione non sarebbero assimilabili a sanzioni penali, neppure intese in una dimensione sostanziale, non essendo le stesse collegate alla commissione di illeciti ascrivibili alla nozione di “ materia penale” in senso convenzionale ed eurounitario e svolgendo, dunque, una funzione “ preventiva” più che “ repressiva”[6].
Questo indirizzo appare in distonia con la filosofia ispirativa su cui si edifica, invece, l’attività esegetica delle Corti europee, essendo correlato ad un atteggiamento di rigido formalismo volto a giustificare questo istituto – forse più per ragioni di politica criminale dettate dalla premura di reprimere in modo energico fenomeni di criminalità organizzata[7]– e l’attenuazione delle garanzie in simile ambito[8].
Le misure di prevenzione, sia personali che patrimoniali, meritano, invero, come ha rilevato il Prof. Manna nel corso della sua monografia, di essere considerate sanzioni penali nell’accezione invalsa presso la giurisprudenza continentale[9], in quanto ad esse, più che una funzione “ rieducativa”, si addice una propensione afflittiva a difesa della società[10].
Negando questa essenza alle misure di prevenzione, si accantona il concetto fluido ed essenzialmente sostanzialistico che le Alte Corti hanno elaborato in ordine alla “ natura penale” degli addentellati normativi interni, sbarrandosi altresì il passo all’operatività di altri fondamentali principi, quali il ne bis in idem e aprendo così la strada alla possibilità di sottoporre un soggetto a procedimenti propriamente penali e poi, magari in caso di proscioglimento, e, dunque, al cospetto di azioni penali dall’esito infausto per la pubblica accusa, anche a una procedura di prevenzione i cui connotati afflittivi sul piano personale e patrimoniali sono evidenti[11].
Tale trend ermeneutico risulta inoltre confliggente con la stessa architettura impressa a queste misure che, se è vero che non esigono l’accertamento giudiziale della commissione di reati[12], si fondano comunque sul – diciamo fondato- “ sospetto” della pregressa realizzazione di illeciti penali[13], agganciandosi, dunque, al di là delle etichette, ad un presupposto in tutto e per tutto assimilabile a quello che giustifica una risposta penale vera e proprie, come tale idoneo ad annacquarne le differenze con le misure di sicurezza[14].
Proprio perché la previsione di tali “ strumenti” – soprattutto con l’inserimento tra i loro destinatari di soggetti a pericolosità generica, ovvero persone non sospettate della commissione di reati a cui, per loro stessa natura, risulta congenita la possibilità di formulare una prognosi negativa circa l’inclinazione criminale del proposto – è apparsa contrastante con i principi e i diritti fondamentali su cui si basa il nostro sistema giuridico – e, tra di essi, quello relativo alla presunzione d’innocenza, alla proporzionalità delle misure afflittive comminabili ad un soggetto non condannato per alcun reato e al diritto di proprietà[15]-, sia la Corte costituzione, sia la Corte di cassazione sia la Corte EDU hanno reputato legittima l’adozione di tali provvedimenti a patto che siano acquisiti elementi seri e univoci, non soltanto della commissione di delitti da parte del “ proposto”, ma anche della sua particolare dedizione all’illecito desumibile dal suo curriculum criminale.
Siamo al cospetto, in breve, di autentiche risposte penali. E, del resto, anche ammettendo che in tali misure si mescolino finalità repressive e preventive le prime prevalgono sulle seconde, attribuendo ad esse una connotazione spiccatamente punitiva[16].
Infatti, la loro idoneità a colpire beni personalissimi ( quali libertà, onore e reputazione), nonché, e in termini tanto incisivi, il patrimonio, potendone determinare una totale o comunque cospicua sottrazione, a prescindere da un accertamento di colpevolezza, e, quindi, in potenziale violazione di qualsiasi rapporto di proporzione ( giacché un illecito arricchimento potrebbe essere assente ovvero inferiore all’entità della confisca), sono fattori che ne oscurano la finalità preventiva per esaltarne la componente stigmatizzante e repressiva.
Dopo avere articolato tali cruciali rilievi critici, l’Autore, nel quarto capitolo, compie un vasto giro d’orizzonte intorno alle misure ablative ( e, in particolare, la confisca) previste a livello di diritto comparato.
La sottile “ linea rossa” che collega le diverse ipotesi di confisca previste all’estero le rende assimilabili, quanto a ratio istitutiva, alle confische allargate e di prevenzione di italiana memoria.
Il tentativo è sempre quello di attribuire qualifiche formali ( da noi di tipo amministrativo, all’estero di tipo più che altro civile) idonee ad escludere l’estensione a tali misure delle garanzie penalistiche, in guisa da conferire maggiore efficace alla loro applicazione.
Insomma, tra efficienza e garanzie anche oltre l’arco alpino si opta per la prima.
Si passa poi ad analizzare le diverse forme di confisca previste nel sistema attraverso un indispensabile approccio storicistico figlio della convinzione per cui – per usare le parole dell’Autore- l’evoluzione e/o l’involuzione degli istituti giuridici si può comprendere appieno solo mediante un ineliminabile sguardo retrospettivo.
Anche perché gli istituti giudici seguono la contraddittoria evoluzione sociale, di talché il loro inquadramento attuale esige viepiù l’esplorazione delle loro origine e vicende evolutive.
Quali esempi paradigmatici di studi giuridici in cui l’approccio storico è presente e necessario ai fini dell’indagine su istituti moderni, vengono citati i volumi del Prof. Franco Coppi sui rapporti tra reato continuato e cosa giudicata[17] e quello del Prof. Sergio Seminara sul delitto tentato[18], oltreché, beninteso, a livello processuale, la Procedura penale di Franco Cordero.
In questa parte dell’opera, dunque, si evidenzia come l’espropriazione di beni in favore dello Stato mediante confisca rappresenti, non solo una costante nel corso delle epoche, ma anche un fenomeno in vorticoso incremento negli ultimi tempi dovuto, essenzialmente, al concorrente intervento di un duplice ordine di fattori: per un verso il legislatore ha introdotto, nei settori più disparati – ivi compreso quello delle misure di prevenzione-, nuove ipotesi di confisca obbligatoria con finalità e struttura diverse rispetto al paradigma generale; per l’altro, ha previsto, accanto alla confisca obbligatoria, forme di confisca c.d. per equivalente che, andando ad aggredire non tanto una res collegata all’attività criminosa, quanto, piuttosto, un “ valore”, permettono di superare quegli ostacoli all’apprensione della cosa, rappresentati dalla necessità di accertare un diretto nesso eziologico tra il bene ( costituente il profitto, il prezzo o il prodotto del reato) e l’illecito commesso[19].
Per questo l’attenzione degli interpreti si sta rivolgendo con sempre maggiore insistenza allo studio dei molteplici profili problematici inerenti quelli che, lungi dal potere essere catalogati all’interno di una categoria unitaria, sono ormai diventati i diversi istituti racchiusi sotto il nomen iuris di confisca[20].
Come ben spiegato nel libro in commento, anche il dibattito sulla natura giuridica della confisca ha risentito del fenomeno di espansione delle relative ipotesi a cui si sta assistendo negli ultimi anni.
Le tendenze evolutive espresse da “ nuove” fattispecie di confisca, caratterizzate da una regolamentazione per molti aspetti eterogenea da quella ordinaria, ha dato ulteriore linfa all’indagine volta ad appurare l’ubi consistam di quell’estesa gamma di istituti, ormai sempre meno riconducibili ad un unico comune denominatore, inclusi sotto la definizione di confisca.
Il modello più classico e tradizionale di confisca è, per l’appunto, quello previsto nell’art. 240 c.p. il quale risulta sistemato tra le misura di sicurezza patrimoniale.
Ancorché in dottrina siano sorte delle perplessità circa l’attuale collocazione della confisca disciplinata dall’art. 240 c.p., trattandosi, secondo alcuni autori, di una pena accessoria[21] o di una sanzione sui generis, a metà strada tra le pene e le misure di sicurezza[22], appare però certo che la stessa, nonostante sia svincolata dal previo accertamento della pericolosità sociale dell’agente, condivida con le altre misure di sicurezza una finalità preventiva[23].
Nondimeno, se le altre misure di sicurezza si fondano sulla pericolosità del soggetto, quella in parola mira a neutralizzare la pericolosità della cosa.
Infatti, la disponibilità in capo all’agente delle res indicate nell’art. 240 c.p. può rappresentare un fattore di incoraggiamento alla commissione di nuovi reati, mantenendo viva – come è dato leggere nella Relazione al progetto definitivo- “ l’idea e l’attrattiva del reato”[24].
Come detto e come illustrato dal Prof. Manna, nel corso del tempo, in svariate branche dell’ordinamento, sono state inserite disposizioni che, insieme a ulteriori ipotesi di confisca obbligatoria, consentono altresì l’ablazione di beni per un valore equivalente a quelli di specifica provenienza delittuosa ( c.d. confisca per equivalente o di valore).
Seppure con accenti e sfumature anche molto diverse, la giurisprudenza e la dottrina hanno tendenzialmente intravisto in simili fattispecie la sottolineatura di un profilo secondo alcuni già in parte presente nella confisca classica, soprattutto nella sua forma obbligatoria. Si tratterebbe di interventi espropriativi di carattere essenzialmente sanzionatorio che evidenziano, a seconda dei punti di vista, una vocazione general- preventiva[25], dissuasiva e afflittiva[26], ovvero, sul previo rilievo che all’interno dell’ampio concetto di sanzione giuridica si possono riscontrare misure teleologicamente orientate in modo diverso, precipuamente ripristinatoria[27].
L’accostamento, infatti, della confisca per equivalente a quella obbligatoria, significa che lo scopo ultimo di tali previsioni non è tanto quello di requisire oggetti collegati al reato, ovvero in qualche modo correlati alla pericolosità del soggetto, quanto, principalmente, quello di privare il reo di qualsiasi vantaggio economico acquisito attraverso la commissione del crimine, al fine di impedire che dal delitto possa conseguire un qualsivoglia accrescimento patrimoniale. E in nome del motto “ il crimine non paga”, si legittima la sottrazione di beni di valore analogo a quelli ottenuti con l’attività illecita, proprio per ovviare agli ostacoli e alle difficoltà che altrimenti potrebbero frapporsi all’individuazione degli specifici proventi del reato[28]; difficoltà tanto più prospettabili allorché si tratti di sostanze fungibili ( come il denaro) o di res trasformate, reinvestite o, financo, disperse dall’agente in relazione alle quali la dimostrazione del diretto nesso di derivazione causale con il crimine si atteggerebbe alla stregua di una probativo diabolica.
Certo, il giudice resta pur sempre gravato dell’onere di appurare l’effettiva esistenza di un bene costituente provento del reato, rispetto al quale accertare il valore allo scopo di determinare il tantundem da vincolare[29], giacché la misura si fonda comunque sul presupposto di base dell’effettivo conseguimento di un compendio, illecito ma il suo compito sarà alquanto facilitato non dovendo più la confisca colpire direttamente res in rapporto di immediatezza con il reato.
Insomma, in questa parte dell’indagine si sottolinea che nel vigente quadro normativo la confisca presenta una natura ibrida, potendo fungere, a seconda dei casi – essendo peraltro difficile distinguere con chiarezza di volta in volta le diverse funzioni[30]-, da misura di sicurezza patrimoniale o da pena accessoria[31].
Peraltro, si mette ancora in luce, nel 2016 il legislatore ha allargato lo spettro applicativo dell’art. 240 c.p. alla confisca per equivalente – perlomeno in talune ipotesi- così rendendo assimilabile, anche questo istituto, più ad una pena che a una misura di sicurezza, come era pacificamente in passato. O meglio, come si nota nel libro, all’interno dell’art. 240 c.p. sembrano adesso convivere due diverse forme di confisca, assistite da finalità eterogenee: preventiva, quella classica, e punitiva, la nuova per equivalente.
Ed è qui e poi ancora nel capitolo settimo che l’Autore ribadisce come, nell’attuale panorama interpretativo, il presupposto per l’inflizione delle misure di prevenzione, ergendosi sulla ricorrenza di elementi particolarmente significativi della commissione di illeciti penali, appaia strettamente avvinto alla preesistenza di un modus vivendi improntato al delitto ( e al delitto predatorio, in particolare, per quanto riguarda le misure patrimoniali), risolvendosi viepiù in un mero artificio dialettico – qualificabile in termini di “ truffa delle etichette”- l’esclusione di questa materia dall’area d’incidenza delle garanzie penalistiche[32].
Tale tipologia di misure – siano esse personali o patrimoniali[33]– risulta, dunque, del tutto analoga, in termini di afflittività, alle sanzioni di natura penale[34].
D’altronde, con specifico riferimento alle misure patrimoniali, proprio perché la confisca può attingere l’intero patrimonio del proposto e della sua famiglia, tale provvedimento non può che ripercuotersi sulla persona, con l’effetto che non si può negare che a questa materia vada estesa l’applicazione di tutti i principi penalistici, trattandosi di presidi con chiara vocazione afflittiva, contrariamente a quanto notato da Autorevole dottrina[35].
Come si osserva nell’opera, risulta difficile pensare di contestare, alla luce degli “ Engel criteria” enunciati e progressivamente affinati nella copiosa produzione giurisprudenziale sovranazionale, che una misura di prevenzione non appartenga al novero delle sanzioni penali in considerazione dell’elevato grado di carica preventivo- afflittiva ad essa congenito e dei diritti primari sui quali va ad impattare, quali la libertà e la proprietà privata, garantiti sia dalla CEDU che dalla Costituzione.
Pensiamo alle pesanti ricadute sulla libertà personale della sorveglianza speciale magari corredata dall’obbligo o dal divieto di dimora e alla assoluta sovrapponilità della confisca di prevenzione alle confische “ ordinarie”[36], discendenti da condanne pronunciate in sede “ formalmente” penale.
Peraltro, nota giustamente l’Autore, il concetto di prevenzione non è estraneo alla materia penale, essendo anzi pacifico che le pene assolvano anche ad una funzione di prevenzione generale e speciale, non legittimandosi se non in riferimento ad uno scopo.
Pertanto, estromettere le misure di prevenzione dalla nozione di materia penale soltanto in base alla loro asserita funzione preventiva non appare condivisibile.
Seguendo questo itinerario esegetico, il Manna argomenta come la peculiare natura del procedimento di prevenzione – suscettibile di incanalarlo verso la matière pénal- non può che riverberarsi anche in punto di ne bis in idem europeo[37].
In conclusione del lungo e articolato excursus, Adelmo Manna caldeggia la trasformazione delle misure di prevenzione in misure di sicurezza post e non già ante o praeter delictum, perché solo collegando l’inflizione di tali provvedimento, oltre che alla pericolosità sociale, alla prevìa commissione di un reato si evita lo scivolamento verso un diritto di polizia fondato sull’irrogazione di pene basate solo sul sospetto.
Chi scrive é favorevole alla tesi ritenuta nel volume, nel senso di abolire le misure di prevenzione in quanto tali, trasformandole in misure di sicurezza. In un sistema punitivo, infatti, come il nostro, dove a carico di uno stesso soggetto, soprattutto in relazione a reati suscettibili di provocare una valutazione di pericolosità qualificata, possono abbattersi abnormi cumuli punitivi, scaturenti dalla concentrazione di pene principali, pene accessorie, confisca a vocazione afflittiva, in caso di gravi reati contro la P.A., anche la riparazione pecuniaria ex art. 322 quater c.p.[38], la cui reale natura, al di là di “ ipocrite etichette”, deve essere seriamente indagata, non si capisce la ragione del ricorso ad ulteriori provvedimenti repressivi come le misure di prevenzione.
Sebbene siamo consapevoli che nell’attuale momento storico, dominato dal fenomeno del populismo giudiziario, la nostra assomigli più ad un’utopia che a una prospettiva concreta, siamo convinti che tali misure andrebbero espulse dal sistema mediante un intervento ablativo del legislatore o della stessa Corte costituzionale attesa la loro evidente distonia rispetto a fondamentali presidi penalistici e la loro unica, autentica, funzione di agevolare l’immediata punizione di soggetti attinti da un mero sospetto, ed è questa la ragione per cui almeno plaudiamo ad una loro “ trasmutazione”.
[1] Già aveva segnalato questo fenomeno, T. Padovani, La disintegrazione attuale del sistema sanzionatorio e le prospettive di riforma. Il problema della comminatoria edittale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1991, p. 419 ss.
[2] Sul tema, Ciconte, La grande mattanza. Storia della guerra al brigantaggio, Bari- Roma, 2018, 115 ss.
[3] Musco, Misure di sicurezza e pericolosità: profili di riforma, in AA.VV., Problemi giuridici generali di diritto penale. Contributo alla riforma, a cura di Vassalli, Milano 1982, p. 173.
[4] In materia, Collica, Vizio di mente: nozione, accertamento e prospettive, Torino, 2007. Inoltre, seppure nel senso di una rivalutazione della nozione di pericolosità sociale, ma compiendo un vasto giro d’orizzonte sul tema, Pellissero, Pericolosità sociale e doppio binario: vecchi e nuovi modelli di incapacitazione, Torino, 2008.
[5] Palazzo- Viganò, Diritto penale. Una conversazione, Bologna, 2018, p. 44.
[6] In dottrina, si è espresso in senso convergente ai consolidati assunti giurisprudenziale e, dunque, ascrivendo natura squisitamente preventiva alle misure di prevenzione, F. Menditto, Le Sezioni Unite verso lo “ statuto” della confisca di prevenzione: la natura giuridica, la retroattività e la correlazione temporale, in www.penalecontemporaneo.it ( materiale inserito il 26 maggio 2014), p. 30 ss. e, inoltre, p. 35 ss. Sull’argomento, in generale, L. Masera, La nozione costituzionale di materia penale, Torino, 2018, p. 176 ss.; E. Nicosia, Convenzione europea dei diritti dell’uomo e diritto penale, Torino, 2006, p. 52 ss.
[7] Così, A. Alessandri, Prime riflessioni sulla decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo riguardo alla disciplina italiana degli abusi di mercato, in Giur. Comm., 2014, I, p. 869, il quale, pur comprendendo le ragioni di fondo sottese a tale indirizzo, lo giudica difficilmente difendibile nei suoi approdi.
[8] Per un’analisi della problematica in linea con gli assunti che ci accingiamo a sviluppare circa la palese “frode delle etichette” che si è venuta a realizzare in materia, F. Mazzacuva, La materia cit., p. 1935.
[9] Così, in termini espliciti, con specifico riferimento alla confisca antimafia, V. Maiello, Confisca, CEDU e diritto dell’Unione tra questioni risolte ed altre ancora aperte, in Dir. pen. cont. Riv. trim., 3-4, 2012, p. 54 ss. Inoltre, V. Manes, Il diritto penale nel prisma del “ dialogo tra le corti”, in AA.VV., La crisi della legalità. Il “ sistema vivente” delle fonti penali. Atti del Convegno Napoli, 7-8 novembre 2014, a cura di C.E. Paliero- S. Moccia- G. De Francesco- G. Insolera- M. Pellissero- R. Rampioni- L. Risicato, Napoli, 2014, p. 196 ss. Ancora, dello stesso Autore del volume in commento, Il diritto delle misure di prevenzione, in AA.VV., Misure di prevenzione, a cura di S. Furfaro, Torino, 2013, p. 3 ss. e, in particolare, p. 10 ss. dove le misure di prevenzione vengono qualificate come “ pene del sospetto”. Da qui la delusione anche per gli approdi della giurisprudenza europea che, nel negare l’iscrizione della materia nel concetto di “ matière pénal”, sembra perpetuare un’autentica “ truffa delle etichette”. Nello stesso senso, V.N. D’Ascola, Un codice non soltanto antimafia. Prove generali di trasformazione del sistema penale, ivi, p. 60 ss.
[10] Esattamente in queste termine si è pioneristicamente espresso, F. Bricola, Tutela “ ante delictum” e prevenzione, in Scritti di diritto penale, Vol. I, Dottrine generali teoria del reato e sistema sanzionatorio, Tomo II, Milano, 1997, p. 888. Proprio in ragione di tale intrinseca afflittività, l’illustre Autore, da p. 891, ha indicato tutti i profili di illegittimità costituzionale che attingono queste misure. Ma ancora, in senso analogo, T. Padovani, Giustizia criminale. Radici, sentieri, dintorni, periferie di un sistema assente, vol. II. Misure di sicurezza e misure di prevenzione, Pisa, 2014, p. 321. Nello stesso, di recente, A. Manna, Il principio di legalità, in AA.VV., Rapporti tra fonti europee e dialogo tra corti, a cura di F. Giunchedi, Pisa, 2018, p. 123 ss.
[11] Sul punto, A.A. Hayo, Misure di sicurezza e misure di prevenzione a confronto. L’incerta linea di discrimine tra la sanzione del passato e la prevenzione del futuro, nell’ottica del diritto interno e sovranazionale, in AA.VV., Rapporti cit., p. 547 ss.
[12] E’ stato F. Bricola, Tutela cit., p. 879 ad osservare come queste misure – o perlomeno molte di esse-, lungi dal fare a meno della prevìa esistenza di un reato, si limitano a fare a meno del suo mero accertamento giudiziale.
[13] Per dirla con le parole di F. Caprioli, Fatto e misure di prevenzione, in AA.VV., Misure patrimoniali nel sistema penale: effettività e garanzie, Milano, 2016, p. 55, nel campo delle misure di prevenzione: “ ( …) il concetto di pericolosità assume connotati peculiari: non già timore della futura commissione di reati fondato su provate condotte attuali, ma timore della giò avvenuta comissione di reati che non si possono provare. Ad affiorare è la logica delle misure di prevenzione ante probationem delicti anziché ante delictum, come surrogato di una sanzione penale che non si può irrogare per mancanza di prove (..)”.
[14] Tra i primi fautori di questa osservazione critica, P. Nuvolone, voce Misure di prevenzione e misure di sicurezza, in Enc. Dir., vol. XXVI, Milano, 1974, p. 643 ss. In senso analogo, F. Palazzo, Per un ripensamento radicale del sistema di prevenzione ante delictum, in Criminalia, 2017, p. 137. Critica poi ampiamente condivisa tra gli studiosi. Tra di essi, di recente, V. Maiello, Confisca cit., p. 54; V. Plantamura, Legalità costituzionale e convenzionale: tra misure di prevenzione e concorso esterno, in Arch. pen., web, 3, 2018, p. 19. Per considerazioni analoghe, ancora di recente, nel contesto di uno studio finalizzato ad individuare i tratti caratteristici della “ materia penale” in senso costituzionale, al di là delle qualificazioni formali, L. Masera, La nozione cit., p. 215 ss. Inoltre, si è concentrato particolarmente su questo aspetto, insieme al definitivo scollegamento della confisca di prevenzione da qualsiasi accertamento di pericolosità, per affermare la natura sanzionatoria, nello specifico, delle misure patrimoniali, F. Viganò, Riflessioni sullo statuto costituzionale e convenzionale della confisca “ di prevenzione” nell’ordinamento italiano, in AA.VV., Le pene, ancora: fra attualità e tradizione. Studi in onore di Emilio Dolcini, a cura di C.E. Paliero- F. Viganò- F. Basile- G. L. Gatta, vol. II, Milano, 2018, p. 885 ss. Contra, A. Celotto, La prevenzione speciale, i principi costituzionali e le garanzie europee, in AA.VV., Misure cit., p. 27 ss.
[15] Sul punto, F. Mazzacuva, Le Sezioni Unite sulla natura della confisca di prevenzione: un’altra occasione persa per un chiarimento sulle reali finalità della misura. Nota a Cass. pen., Sez. Un., 26 giugno 2014 ( dep. 2 febbraio 2015), n. 4880, Pres. Santacroce, Rel. Bruno, ric. Spinelli e altro, in Dir. pen. cont. Riv. trim.., 4, 2015, p. 242 ss.
[16] Come ha notato D. Labianca, La nuova dimensione del ne bis in idem: dal caso Grande Stevens a C. cost. n. 102 del 2016, in AA.VV., Diritto penale dell’economia, Tomo I, diretto da A. Cadoppi- S. Canestrari- A. Manna- M. Papa, Torino 2017, p. 134 ss. nella giurisprudenza della Corte EDU non si è mai negato che obiettivi di prevenzione e riparazione possano convivere con scopi punitivi, senza che ciò possa escludere la natura penale della sanzione se, in concreto, siano visibili finalità repressive. Del resto, nella dottrina tedesca, F. Zeder, Ne bis in idem als ( ältestes) Grundrecht: Kritischer Blick auf die Judicatur des EuGH im Wettbewrbsrecht und bei bestmmten Sanktionen, in AA.VV., “ Ne bis in idem” in Europa, a cura di G. Hochmayr, Baden- Baden, 2015, p. 160 ha già osservato che la finalità preventiva di una misura non esclude che la stessa presenti anche un piglio repressivo.
[17] Coppi, Reati continuato e cosa giudicata, Napoli, 1969.
[18] Seminara, Il delitto tentato, Milano, 2012.
[19] In generale sull’evoluzione della confisca si veda la recente e fondamentale monografia della Fondaroli, Le ipotesi speciali di confisca nel sistema penale, Bologna, 2007.
[20] Così, Furfaro, voce Confisca, in Dig. Disc. Pen., Agg., Vol. III, Torino, 2005, p. 202. Inoltre, Compagna, L’intepretazione della nozione di profitto nella confisca per equivalente, in Dir. Pen. Proc., 2007, p. 1644.
[21] Tra i primi fautori di questo indirizzo, Iaccarino, La confisca, Bari, 1935. Propende per la natura di pena accessoria, Ramacci, Corso di diritto penale, Torino, 2001, p. 579. Ne ha messo in evidenza il carattere sanzionatorio più che preventivo, Alessandri, voce Confisca nel diritto penale, in Dig. Disc. Pen., Vol. III, Torino, 2002, p. 43 ss. Ha dato quasi per scontato il carattere sanzionatorio della confisca di cui all’art. 240 c.p., Fornari, Criminalità del profitto e tecniche sanzionatorie. Confisca e sanzioni pecuniarie nel diritto penale “ moderno”, Padova, 1997, p. 19 ss.
[22] Propenso a qualificarla in termini di sanzione sui generis, Manna, Corso di diritto penale, Pt. Gen., Vol. II, Padova, 2008 Pt. Gen., p. 239 il quale, peraltro, evidenzia il carattere fortemente affittivo anche della confisca di cui al sopra menzionato art. 12- sexies d.l. n. 306 del 1992 ( ora art. 240 bis c.p.). A sua volta il Manzini, Trattato di diritto penale italiano, Vol. III, Torino, 1950, p. 351, avrebbe preferito la collocazione dell’istituto tra le sanzioni civili, dopo l’art. 189 c.p., ovvero considerarla come un provvedimento a sé stante d’indole amministrativa.
[23] Così, Mantovani, Diritto penale, Pt. Gen., Padova, p. 837 ss.; Massa, voce Confisca ( dir. E proc. Pen.), in Enc. Dir., Vol. VIII, Milano, 1961, p. 981; Bettiol, Diritto penale, Pt. Gen., Palermo, 1955, p. 669; GUARNIERI, voce Confisca ( Diritto penale), in Noviss. Dig. it, Vol. IV, Torino, 1968, p. 40. In giurisprudenza ne ha affermato, in linea con la scelta del legislatore, la natura di misura di sicurezza, Cass. Pen., SS.UU., 26 aprile, in Cass. Pen., 1983, p. 1742. Nella giurisprudenza costituzionale, tra le tante, Corte Cost., 29 dicembre 1976, n. 259, in www.cortecostituzionale.it.
[24] Sul punto ancora, Mantovani, Diritto cit., Pt. Gen., p. 838.
[25] In giurisprudenza, Cass. Pen., SS.UU., 6 marzo 2008, n. 10280, in Guida al dir., 2008, n. 17, p. 69, con nota di Amato, Rimosse le difficoltà operative in attesa di chiarimenti normativi; la seconda è Cass. Pen., SS.UU., 2 luglio 2008, n. 26654, in Riv. it. Dir. Proc. Pen., 2008, p. 1738, con note di Mongillo, La confisca del profitto nei confronti dell’ente in cerca d’identità: luci e ombre della recente pronuncia delle sezioni unite e di Lorenzetto, Sequestro preventivo contra societatem per un valore equivalente al profitto del reato; Cass. Pen., Sez. VI, 17 luglio 2006, n. 24633, in Guida al dir., 2006, n. 32, p. 90, con nota di Amato, Presunzioni e vincoli civilistici non riparano i beni in disponibilità; Sez. VI, 23 giugno 2006, n. 22291, ivi, 2006, n. 31, p. 82; Cass. Pen., Sez. V, 18 marzo 2004, n. 15445, in Cass. Pen., 2005, p. 2324. In dottrina, Amato, Rimosse le difficoltà cit., in Guida al dir., 2008, n. 17, p. 76.
[26] In argomento Mantovani, Diritto cit., Pt. Gen., p. 837 il quale assume che anche l’ampliamento delle ipotesi di confisca obbligatoria è un indice sintomatico del passaggio di tale misura tra le pene accessorie se non, addirittura, tra le pene sostitutive della pena detentiva. Ma già così, Alessandri, voce Confisca cit., p. 49 ss. Con specifico riferimento all’art. 322- ter c.p. si vedano, per tutti, le note di M. Romano, I delitti cit., p. 248 e di Bondi, Nozioni comuni e qualifiche soggettive, in AA.V., Reati contro la pubblica amministrazione, a cura di Bondi- Di Martino- Fornasari, Torino, 2004, p. 103.
[27] Così Mongillo, La confisca del profitto cit., p. 1773.
[28] Il concetto di provento del reato ha carattere omnicomprensivo, tendente a indicare tutto ciò che deriva dalla commissione del reato e, pertanto, inclusivo del prodotto, del prezzo e del profitto del reato. Così, Cass. Pen., SS.UU., 25 novembre 2005, n. 41936, in Cass. Pen., 2006, p. 1382 e, in particolare, p. 1383,
[29] In questi termini, Cass. Pen., Sez. V, 1 ottobre 2002, n. 32797, in D&G, 2002, n. 41, p. 78.
[30] Mongillo, La confisca del profitto cit., p. 1761, osserva acutamente come anche all’interno di una stessa specie di confisca si ponga il problema di operare dei distinguo, essendo poco logico attribuire un ruolo unitario all’ablazione di cose eterogenee, per di più – si pensi al primo e al secondo comma dell’art. 240 c.p.i quali prevedono, rispettivamente, la confisca facoltativa e obbligatoria- soggette a un regime giuridico diversificato.
[31] Così Fiandaca- Musco, Diritto penale, Pt. Gen.,Bologna, 1995, p. 791 i quali, sottolineando la presenza di ipotesi di confisca rientranti tra le misure di prevenzione patrimoniale, osservano che la stessa può anche svolgere il ruolo di misura di prevenzione, a spiccata vocazione preventiva. Tra tali misure si veda quella disciplinata dall’art. 2- ter, comma 3, l.n. 575 del 1965, in materia di disposizioni contro la mafia.
[32] In questi termini, Plantamura, Legalità costituzionale e convenzionale: tra misure di prevenzione e concorso esterno, in Arch. pen., web, 3, 2018, p. 19. Inoltre, Basile, Tassatività delle norme ricognitive della pericolosità nelle misure di prevenzione: Strasburgo chiama, Roma risponde, in www.penalecontemporaneo.it ( materiale inserito il 20 luglio 2018), p. 15.
[33] Vinciguerra, Osservazioni sulla confisca antimafia, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2005, p. 220 ha sottolineato il carattere composito della confisca di prevenzione che assolverebbe a finalità preventive ma, di fatto, quanto al contenuto e agli effetti che provoca, presenterebbe connotati afflittivi. Dal canto suo, Civello, La confisca nell’attuale spirito dei tempi: tra punizione e prevenzione, in Arch. pen. web, 2, 2019, p. 13 ha qualificato la confisca di prevenzione come vera e propria pena patrimoniale mascherata da misura di carattere preventivo.
[34] In questo senso, di recente, Manna, Natura giuridica delle misure di prevenzione: legislazione, giurisprudenza e dottrina, in Arch. pen. web, 3, 2018, 10 ss. Ma già, così, Moccia, La perenne emergenza. Tendenze autoritarie nel sistema penale, Napoli 1997, p. 77 dove si arriva a parlare di “ truffa delle etichette”.
[35] Fiandaca, Prima lezione di diritto penale, Roma- Bari, 2017, p. 185 secondo il quale queste misure, svolgendo una importante funzione di regolazione dell’economia, evitando l’inserimento nel circuito legale di beni di origine sospetta, assolverebbero ad una finalità preventiva e non punitiva
[36] Peraltro, di recente, Maugeri- P. de Albuquerque, La confisca di prevenzione nella tutela costituzionale multilivello: tra istanze di tassatività e ragionevolezza, se ne afferma la natura ripristinatoria ( C. cost. 24/ 2019), in www.sistemapenale.it ( materiale inserito il 29 novembre 2019), p. 58 ss. hanno ribadito la natura “ penale” della confisca di prevenzione.
[37] Ronco, Il contribuente fiscalmente pericoloso. Profili di interrelazione tra il diritto tributario e la giurisprudenza in materia di confisca di prevenzione, in www.penalecontemporaneo.it ( materiale inserito il 13 aprile 2016), p. 4. In tema, ancora, nel sostenere la presenza soverchiante di indizi convergenti dell’esistenza della riconducibilità delle misure di prevenzione ( in particolare della confisca) alla nozione di matière pénal, Caprioli, Fatto e misure di prevenzione, in AA.VV., Misure patrimoniali nel sistema penale: effettività e garanzie, Milano, 2016, p. 56. Da questo punto di vista, l’Autore, in particolare a p. 59, esprime riserve critiche verso quel filone giurisprudenziale che esclude l’operatività del ne bis in idem in questo ambito non ravvisando gli elementi della materia penale.
[38] In tema, Donini, Septies idem. Dalla” materia penale” alla proporzione delle pene multiple nei modelli italiano ed europeo, in Cass. pen., 2018, p. 2284 ss.
Recensione “Misure di prevenzione e diritto penale: una relazione difficile”
Misure di prevenzione e diritto penale: una relazione difficile
a cura di Adelmo Manna con la collaborazione di Vittoria Piera D’Agostino.
Ed. Ius Pisa University Press, 2019.
Il Prof. Manna ha consegnato alle stampe questo volume avente ad oggetto l’ “ incandescente” materia delle misure di prevenzione.
Come si evidenzia nell’introduzione al volume, in un contesto di sostanziale disintegrazione del sistema sanzionatorio[1], del diritto e del processo penale, i quali, ormai, a seguito di una serie di riforme scollegate da una visione organica dell’ordinamento e tutte improntate all’idea di un intervento penale no limits, risultano avere smarrito il loro punto di riferimento, costituito dall’accertamento e dalla punizione di responsabilità per un fatto di reato, la giurisprudenza tende a “ compiacersi”, sviluppando ed estendendo un addentellato repressivo parallelo, affiancato alle pene e alle misure di sicurezza.
Si tratta, per l’appunto, delle misure di prevenzione.
Il loro proliferare nell’ordinamento – dovuto, soprattutto, di recente, ai codici antimafia del 2011 e del 2017- è connesso a due ragioni fondamentali: da un lato, la loro applicazione è subordinata, non già all’impegnativo accertamento di un reato, bensì esclusivamente al sospetto di un comportamento illecito o persino solo antisociale, dall’altro, e di conseguenza, la loro irrogazione avviene in esito ad una sequenza procedimentale priva delle garanzie connesse al processo penale, che la rendono alquanto snella e veloce.
In questo ambito, connotato da autentiche “ voragini” regolamentari e, soprattutto, dalla sostanziale assenza di presidi a tutela dei diritti fondamentali coinvolti, la giurisprudenza ha espressamente rivendicato un ruolo creativo, arrogandosi il potere di puntellare la normativa di settore, in sostituzione del legislatore.
L’indagine del Prof. Manna prende le mosse da un’approfondita analisi storiografica giacché – come chiarisce l’Autore- per comprendere questo comparto nella sua conformazione attuale non si può prescindere da un compiuto giro d’orizzonto intorno alle sue origini – che affondano le radici, in particolare, nella Legge Pica, varata nel 1863, che, dopo l’unità d’Italia del 1861, quando l’esercito piemontese dovette affrontare il fenomeno del brigantaggio nel mezzogiorno[2], introdusse il c.d. “ domicilio coatto”- e, quindi, intorno alle ragioni di fondo che nel corso delle diverse epoche hanno costantemente suggerito l’adozione di tali misure.
Diversamente, si rileva giustamente, si rischia di inquadrarle secondo quelle che sono le visioni personali dell’interprete e senza obiettività, allontanandosi dalla possibilità di individuare la loro effettiva ratio istitutiva e la loro natura giuridica.
Lo studio, nell’esaminare la progressiva evoluzione di questo settore dell’ordinamento, rileva la costante “ truffa delle etichette” che ne ha da sempre trasfigurato la autentica natura giuridica, aprendo così la strada alla “ creazione” di un comparto del diritto sostanzialmente “penale” ma formalmente “ amministrativo”, perché “ di polizia”, come tale, quindi, svincolato dall’obbligo di rispettare le garanzie proprie dello ius criminale.
Soprattutto con l’avvento della Carta fondamentale la formale diversità tra le misure di prevenzione, da un lato, e le pene e le misure di sicurezza, dall’altro, ha funzionato da grimaldello per evitare di incorrere nella violazione di quei presidi costituzionali posti a tutela della libertà persona e del patrimonio.
Lo stesso concetto di pericolosità su cui si fondano le misure di prevenzione assume connotati alquanto evanescenti e, dunque, facilmente manipolabile per via giudiziaria in spregio di fondamentali presidi penalistici.
Al riguardo, Adelmo Manna riporta la più stringente e condivisibile critica al concetto in questione formulata da Enzo Musco secondo cui: “ In questa prospettiva deve essere adeguatamente sottolineato che rimanere ancorati alla pericolosità come giudizio prognostico significa accettare una mistificazione concettuale e realizzare contemporaneamente una operazione schiettamente ideologica utilizzabile ad libitum per processi di criminalizzazione di stampo “ giudiziale” che- come si sa- sfuggono a reali forme di controllo”[3].
Tanto ciò corrisponde al vero che in materia di misure di sicurezza la tendenza del legislatore è quella di abbandonare, seppure non del tutto, il concetto di pericolosità per giustificare la “ restrizione” nelle REMS, in particolare, in base al “ bisogno di terapia”[4].
Il punto culminante della “ strategia della prevenzione” ( o meglio della repressione fondata sul solo sospetto) è stato toccato con i cc.dd. Codici Antimafia del 2011 e del 2017 ( che poi, al di là di tale enfatica definizione, distinguendosi per la loro totale disorganicità, sarebbe stato più corretto definire Testi Unici, come nota l’Autore).
Soprattutto con l’accrescimento delle fattispecie di pericolosità qualificata, portato della riforma del 2017, si è realizzata quella situazione che Francesco Palazzo, le cui parole sono state testualmente riprese nel volume, ha così efficacemente descritto: “ Parlare delle misure di prevenzione, oggi, significa parlare di una sorta di buco nero dell’ordinamento in cui, in un futuro più o meno prossimo, rischiano di essere risucchiati settori crescenti del diritto penale repressivo con i suoi principi fondamentali, garantistici o anche semplicemente caratterizzanti”[5].
Insomma tra efficienza e garanzie, il legislatore continua a privilegiare la prima, per il tramite della inarrestabili estensione dell’area d’incidenza di un “ diritto preventivo, ma in realtà punitivo a maglie larghe”, sguarnito di vincoli processuali e refrattario ad adeguarsi ai presidi su cui si edfica il nostro sistema penalistico.
Per tale via, il potere legislativo abdica al suo ruolo, affidando al “ libero orientamento” del formante giurisprudenziale la stessa enucleazione delle regole del “ processo di prevenzione” in senso sintonico con basilari principi di garanzia.
D’altronde, come ha ricordato Adelmo Manna, il Consigliere di Cassazione Magi ( magistrato illuminato, il quale ha scritto le sentenze che hanno, di fatto, enucleato le strutture portanti di questo sistema parallelo, orientandolo, per quanto possibile, verso il rispetto dei diritti fondamentali), durante il Convegno organizzato nel 2016 dalla AIDP sul tema a Milano, ha ammesso che il procedimento funzionale all’adozione di misure di prevenzione risulta più celere ed efficace rispetto al modello classico ed è questa la vera ragione per cui si tende ad ampliarne a dismisura l’applicazione.
E questo trend, occorre rilevarlo senza infingimento, ha trovato l’avallo – sebbene, come è noto, negli ultimi anni con dei significativi temperamenti- della giurisprudenziale costituzionale ed europea, dove é consolidata l’affermazione secondo cui le misure di prevenzione non sarebbero assimilabili a sanzioni penali, neppure intese in una dimensione sostanziale, non essendo le stesse collegate alla commissione di illeciti ascrivibili alla nozione di “ materia penale” in senso convenzionale ed eurounitario e svolgendo, dunque, una funzione “ preventiva” più che “ repressiva”[6].
Questo indirizzo appare in distonia con la filosofia ispirativa su cui si edifica, invece, l’attività esegetica delle Corti europee, essendo correlato ad un atteggiamento di rigido formalismo volto a giustificare questo istituto – forse più per ragioni di politica criminale dettate dalla premura di reprimere in modo energico fenomeni di criminalità organizzata[7]– e l’attenuazione delle garanzie in simile ambito[8].
Le misure di prevenzione, sia personali che patrimoniali, meritano, invero, come ha rilevato il Prof. Manna nel corso della sua monografia, di essere considerate sanzioni penali nell’accezione invalsa presso la giurisprudenza continentale[9], in quanto ad esse, più che una funzione “ rieducativa”, si addice una propensione afflittiva a difesa della società[10].
Negando questa essenza alle misure di prevenzione, si accantona il concetto fluido ed essenzialmente sostanzialistico che le Alte Corti hanno elaborato in ordine alla “ natura penale” degli addentellati normativi interni, sbarrandosi altresì il passo all’operatività di altri fondamentali principi, quali il ne bis in idem e aprendo così la strada alla possibilità di sottoporre un soggetto a procedimenti propriamente penali e poi, magari in caso di proscioglimento, e, dunque, al cospetto di azioni penali dall’esito infausto per la pubblica accusa, anche a una procedura di prevenzione i cui connotati afflittivi sul piano personale e patrimoniali sono evidenti[11].
Tale trend ermeneutico risulta inoltre confliggente con la stessa architettura impressa a queste misure che, se è vero che non esigono l’accertamento giudiziale della commissione di reati[12], si fondano comunque sul – diciamo fondato- “ sospetto” della pregressa realizzazione di illeciti penali[13], agganciandosi, dunque, al di là delle etichette, ad un presupposto in tutto e per tutto assimilabile a quello che giustifica una risposta penale vera e proprie, come tale idoneo ad annacquarne le differenze con le misure di sicurezza[14].
Proprio perché la previsione di tali “ strumenti” – soprattutto con l’inserimento tra i loro destinatari di soggetti a pericolosità generica, ovvero persone non sospettate della commissione di reati a cui, per loro stessa natura, risulta congenita la possibilità di formulare una prognosi negativa circa l’inclinazione criminale del proposto – è apparsa contrastante con i principi e i diritti fondamentali su cui si basa il nostro sistema giuridico – e, tra di essi, quello relativo alla presunzione d’innocenza, alla proporzionalità delle misure afflittive comminabili ad un soggetto non condannato per alcun reato e al diritto di proprietà[15]-, sia la Corte costituzione, sia la Corte di cassazione sia la Corte EDU hanno reputato legittima l’adozione di tali provvedimenti a patto che siano acquisiti elementi seri e univoci, non soltanto della commissione di delitti da parte del “ proposto”, ma anche della sua particolare dedizione all’illecito desumibile dal suo curriculum criminale.
Siamo al cospetto, in breve, di autentiche risposte penali. E, del resto, anche ammettendo che in tali misure si mescolino finalità repressive e preventive le prime prevalgono sulle seconde, attribuendo ad esse una connotazione spiccatamente punitiva[16].
Infatti, la loro idoneità a colpire beni personalissimi ( quali libertà, onore e reputazione), nonché, e in termini tanto incisivi, il patrimonio, potendone determinare una totale o comunque cospicua sottrazione, a prescindere da un accertamento di colpevolezza, e, quindi, in potenziale violazione di qualsiasi rapporto di proporzione ( giacché un illecito arricchimento potrebbe essere assente ovvero inferiore all’entità della confisca), sono fattori che ne oscurano la finalità preventiva per esaltarne la componente stigmatizzante e repressiva.
Dopo avere articolato tali cruciali rilievi critici, l’Autore, nel quarto capitolo, compie un vasto giro d’orizzonte intorno alle misure ablative ( e, in particolare, la confisca) previste a livello di diritto comparato.
La sottile “ linea rossa” che collega le diverse ipotesi di confisca previste all’estero le rende assimilabili, quanto a ratio istitutiva, alle confische allargate e di prevenzione di italiana memoria.
Il tentativo è sempre quello di attribuire qualifiche formali ( da noi di tipo amministrativo, all’estero di tipo più che altro civile) idonee ad escludere l’estensione a tali misure delle garanzie penalistiche, in guisa da conferire maggiore efficace alla loro applicazione.
Insomma, tra efficienza e garanzie anche oltre l’arco alpino si opta per la prima.
Si passa poi ad analizzare le diverse forme di confisca previste nel sistema attraverso un indispensabile approccio storicistico figlio della convinzione per cui – per usare le parole dell’Autore- l’evoluzione e/o l’involuzione degli istituti giuridici si può comprendere appieno solo mediante un ineliminabile sguardo retrospettivo.
Anche perché gli istituti giudici seguono la contraddittoria evoluzione sociale, di talché il loro inquadramento attuale esige viepiù l’esplorazione delle loro origine e vicende evolutive.
Quali esempi paradigmatici di studi giuridici in cui l’approccio storico è presente e necessario ai fini dell’indagine su istituti moderni, vengono citati i volumi del Prof. Franco Coppi sui rapporti tra reato continuato e cosa giudicata[17] e quello del Prof. Sergio Seminara sul delitto tentato[18], oltreché, beninteso, a livello processuale, la Procedura penale di Franco Cordero.
In questa parte dell’opera, dunque, si evidenzia come l’espropriazione di beni in favore dello Stato mediante confisca rappresenti, non solo una costante nel corso delle epoche, ma anche un fenomeno in vorticoso incremento negli ultimi tempi dovuto, essenzialmente, al concorrente intervento di un duplice ordine di fattori: per un verso il legislatore ha introdotto, nei settori più disparati – ivi compreso quello delle misure di prevenzione-, nuove ipotesi di confisca obbligatoria con finalità e struttura diverse rispetto al paradigma generale; per l’altro, ha previsto, accanto alla confisca obbligatoria, forme di confisca c.d. per equivalente che, andando ad aggredire non tanto una res collegata all’attività criminosa, quanto, piuttosto, un “ valore”, permettono di superare quegli ostacoli all’apprensione della cosa, rappresentati dalla necessità di accertare un diretto nesso eziologico tra il bene ( costituente il profitto, il prezzo o il prodotto del reato) e l’illecito commesso[19].
Per questo l’attenzione degli interpreti si sta rivolgendo con sempre maggiore insistenza allo studio dei molteplici profili problematici inerenti quelli che, lungi dal potere essere catalogati all’interno di una categoria unitaria, sono ormai diventati i diversi istituti racchiusi sotto il nomen iuris di confisca[20].
Come ben spiegato nel libro in commento, anche il dibattito sulla natura giuridica della confisca ha risentito del fenomeno di espansione delle relative ipotesi a cui si sta assistendo negli ultimi anni.
Le tendenze evolutive espresse da “ nuove” fattispecie di confisca, caratterizzate da una regolamentazione per molti aspetti eterogenea da quella ordinaria, ha dato ulteriore linfa all’indagine volta ad appurare l’ubi consistam di quell’estesa gamma di istituti, ormai sempre meno riconducibili ad un unico comune denominatore, inclusi sotto la definizione di confisca.
Il modello più classico e tradizionale di confisca è, per l’appunto, quello previsto nell’art. 240 c.p. il quale risulta sistemato tra le misura di sicurezza patrimoniale.
Ancorché in dottrina siano sorte delle perplessità circa l’attuale collocazione della confisca disciplinata dall’art. 240 c.p., trattandosi, secondo alcuni autori, di una pena accessoria[21] o di una sanzione sui generis, a metà strada tra le pene e le misure di sicurezza[22], appare però certo che la stessa, nonostante sia svincolata dal previo accertamento della pericolosità sociale dell’agente, condivida con le altre misure di sicurezza una finalità preventiva[23].
Nondimeno, se le altre misure di sicurezza si fondano sulla pericolosità del soggetto, quella in parola mira a neutralizzare la pericolosità della cosa.
Infatti, la disponibilità in capo all’agente delle res indicate nell’art. 240 c.p. può rappresentare un fattore di incoraggiamento alla commissione di nuovi reati, mantenendo viva – come è dato leggere nella Relazione al progetto definitivo- “ l’idea e l’attrattiva del reato”[24].
Come detto e come illustrato dal Prof. Manna, nel corso del tempo, in svariate branche dell’ordinamento, sono state inserite disposizioni che, insieme a ulteriori ipotesi di confisca obbligatoria, consentono altresì l’ablazione di beni per un valore equivalente a quelli di specifica provenienza delittuosa ( c.d. confisca per equivalente o di valore).
Seppure con accenti e sfumature anche molto diverse, la giurisprudenza e la dottrina hanno tendenzialmente intravisto in simili fattispecie la sottolineatura di un profilo secondo alcuni già in parte presente nella confisca classica, soprattutto nella sua forma obbligatoria. Si tratterebbe di interventi espropriativi di carattere essenzialmente sanzionatorio che evidenziano, a seconda dei punti di vista, una vocazione general- preventiva[25], dissuasiva e afflittiva[26], ovvero, sul previo rilievo che all’interno dell’ampio concetto di sanzione giuridica si possono riscontrare misure teleologicamente orientate in modo diverso, precipuamente ripristinatoria[27].
L’accostamento, infatti, della confisca per equivalente a quella obbligatoria, significa che lo scopo ultimo di tali previsioni non è tanto quello di requisire oggetti collegati al reato, ovvero in qualche modo correlati alla pericolosità del soggetto, quanto, principalmente, quello di privare il reo di qualsiasi vantaggio economico acquisito attraverso la commissione del crimine, al fine di impedire che dal delitto possa conseguire un qualsivoglia accrescimento patrimoniale. E in nome del motto “ il crimine non paga”, si legittima la sottrazione di beni di valore analogo a quelli ottenuti con l’attività illecita, proprio per ovviare agli ostacoli e alle difficoltà che altrimenti potrebbero frapporsi all’individuazione degli specifici proventi del reato[28]; difficoltà tanto più prospettabili allorché si tratti di sostanze fungibili ( come il denaro) o di res trasformate, reinvestite o, financo, disperse dall’agente in relazione alle quali la dimostrazione del diretto nesso di derivazione causale con il crimine si atteggerebbe alla stregua di una probativo diabolica.
Certo, il giudice resta pur sempre gravato dell’onere di appurare l’effettiva esistenza di un bene costituente provento del reato, rispetto al quale accertare il valore allo scopo di determinare il tantundem da vincolare[29], giacché la misura si fonda comunque sul presupposto di base dell’effettivo conseguimento di un compendio, illecito ma il suo compito sarà alquanto facilitato non dovendo più la confisca colpire direttamente res in rapporto di immediatezza con il reato.
Insomma, in questa parte dell’indagine si sottolinea che nel vigente quadro normativo la confisca presenta una natura ibrida, potendo fungere, a seconda dei casi – essendo peraltro difficile distinguere con chiarezza di volta in volta le diverse funzioni[30]-, da misura di sicurezza patrimoniale o da pena accessoria[31].
Peraltro, si mette ancora in luce, nel 2016 il legislatore ha allargato lo spettro applicativo dell’art. 240 c.p. alla confisca per equivalente – perlomeno in talune ipotesi- così rendendo assimilabile, anche questo istituto, più ad una pena che a una misura di sicurezza, come era pacificamente in passato. O meglio, come si nota nel libro, all’interno dell’art. 240 c.p. sembrano adesso convivere due diverse forme di confisca, assistite da finalità eterogenee: preventiva, quella classica, e punitiva, la nuova per equivalente.
Ed è qui e poi ancora nel capitolo settimo che l’Autore ribadisce come, nell’attuale panorama interpretativo, il presupposto per l’inflizione delle misure di prevenzione, ergendosi sulla ricorrenza di elementi particolarmente significativi della commissione di illeciti penali, appaia strettamente avvinto alla preesistenza di un modus vivendi improntato al delitto ( e al delitto predatorio, in particolare, per quanto riguarda le misure patrimoniali), risolvendosi viepiù in un mero artificio dialettico – qualificabile in termini di “ truffa delle etichette”- l’esclusione di questa materia dall’area d’incidenza delle garanzie penalistiche[32].
Tale tipologia di misure – siano esse personali o patrimoniali[33]– risulta, dunque, del tutto analoga, in termini di afflittività, alle sanzioni di natura penale[34].
D’altronde, con specifico riferimento alle misure patrimoniali, proprio perché la confisca può attingere l’intero patrimonio del proposto e della sua famiglia, tale provvedimento non può che ripercuotersi sulla persona, con l’effetto che non si può negare che a questa materia vada estesa l’applicazione di tutti i principi penalistici, trattandosi di presidi con chiara vocazione afflittiva, contrariamente a quanto notato da Autorevole dottrina[35].
Come si osserva nell’opera, risulta difficile pensare di contestare, alla luce degli “ Engel criteria” enunciati e progressivamente affinati nella copiosa produzione giurisprudenziale sovranazionale, che una misura di prevenzione non appartenga al novero delle sanzioni penali in considerazione dell’elevato grado di carica preventivo- afflittiva ad essa congenito e dei diritti primari sui quali va ad impattare, quali la libertà e la proprietà privata, garantiti sia dalla CEDU che dalla Costituzione.
Pensiamo alle pesanti ricadute sulla libertà personale della sorveglianza speciale magari corredata dall’obbligo o dal divieto di dimora e alla assoluta sovrapponilità della confisca di prevenzione alle confische “ ordinarie”[36], discendenti da condanne pronunciate in sede “ formalmente” penale.
Peraltro, nota giustamente l’Autore, il concetto di prevenzione non è estraneo alla materia penale, essendo anzi pacifico che le pene assolvano anche ad una funzione di prevenzione generale e speciale, non legittimandosi se non in riferimento ad uno scopo.
Pertanto, estromettere le misure di prevenzione dalla nozione di materia penale soltanto in base alla loro asserita funzione preventiva non appare condivisibile.
Seguendo questo itinerario esegetico, il Manna argomenta come la peculiare natura del procedimento di prevenzione – suscettibile di incanalarlo verso la matière pénal- non può che riverberarsi anche in punto di ne bis in idem europeo[37].
In conclusione del lungo e articolato excursus, Adelmo Manna caldeggia la trasformazione delle misure di prevenzione in misure di sicurezza post e non già ante o praeter delictum, perché solo collegando l’inflizione di tali provvedimento, oltre che alla pericolosità sociale, alla prevìa commissione di un reato si evita lo scivolamento verso un diritto di polizia fondato sull’irrogazione di pene basate solo sul sospetto.
Chi scrive é favorevole alla tesi ritenuta nel volume, nel senso di abolire le misure di prevenzione in quanto tali, trasformandole in misure di sicurezza. In un sistema punitivo, infatti, come il nostro, dove a carico di uno stesso soggetto, soprattutto in relazione a reati suscettibili di provocare una valutazione di pericolosità qualificata, possono abbattersi abnormi cumuli punitivi, scaturenti dalla concentrazione di pene principali, pene accessorie, confisca a vocazione afflittiva, in caso di gravi reati contro la P.A., anche la riparazione pecuniaria ex art. 322 quater c.p.[38], la cui reale natura, al di là di “ ipocrite etichette”, deve essere seriamente indagata, non si capisce la ragione del ricorso ad ulteriori provvedimenti repressivi come le misure di prevenzione.
Sebbene siamo consapevoli che nell’attuale momento storico, dominato dal fenomeno del populismo giudiziario, la nostra assomigli più ad un’utopia che a una prospettiva concreta, siamo convinti che tali misure andrebbero espulse dal sistema mediante un intervento ablativo del legislatore o della stessa Corte costituzionale attesa la loro evidente distonia rispetto a fondamentali presidi penalistici e la loro unica, autentica, funzione di agevolare l’immediata punizione di soggetti attinti da un mero sospetto, ed è questa la ragione per cui almeno plaudiamo ad una loro “ trasmutazione”.
[1] Già aveva segnalato questo fenomeno, T. Padovani, La disintegrazione attuale del sistema sanzionatorio e le prospettive di riforma. Il problema della comminatoria edittale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1991, p. 419 ss.
[2] Sul tema, Ciconte, La grande mattanza. Storia della guerra al brigantaggio, Bari- Roma, 2018, 115 ss.
[3] Musco, Misure di sicurezza e pericolosità: profili di riforma, in AA.VV., Problemi giuridici generali di diritto penale. Contributo alla riforma, a cura di Vassalli, Milano 1982, p. 173.
[4] In materia, Collica, Vizio di mente: nozione, accertamento e prospettive, Torino, 2007. Inoltre, seppure nel senso di una rivalutazione della nozione di pericolosità sociale, ma compiendo un vasto giro d’orizzonte sul tema, Pellissero, Pericolosità sociale e doppio binario: vecchi e nuovi modelli di incapacitazione, Torino, 2008.
[5] Palazzo- Viganò, Diritto penale. Una conversazione, Bologna, 2018, p. 44.
[6] In dottrina, si è espresso in senso convergente ai consolidati assunti giurisprudenziale e, dunque, ascrivendo natura squisitamente preventiva alle misure di prevenzione, F. Menditto, Le Sezioni Unite verso lo “ statuto” della confisca di prevenzione: la natura giuridica, la retroattività e la correlazione temporale, in www.penalecontemporaneo.it ( materiale inserito il 26 maggio 2014), p. 30 ss. e, inoltre, p. 35 ss. Sull’argomento, in generale, L. Masera, La nozione costituzionale di materia penale, Torino, 2018, p. 176 ss.; E. Nicosia, Convenzione europea dei diritti dell’uomo e diritto penale, Torino, 2006, p. 52 ss.
[7] Così, A. Alessandri, Prime riflessioni sulla decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo riguardo alla disciplina italiana degli abusi di mercato, in Giur. Comm., 2014, I, p. 869, il quale, pur comprendendo le ragioni di fondo sottese a tale indirizzo, lo giudica difficilmente difendibile nei suoi approdi.
[8] Per un’analisi della problematica in linea con gli assunti che ci accingiamo a sviluppare circa la palese “frode delle etichette” che si è venuta a realizzare in materia, F. Mazzacuva, La materia cit., p. 1935.
[9] Così, in termini espliciti, con specifico riferimento alla confisca antimafia, V. Maiello, Confisca, CEDU e diritto dell’Unione tra questioni risolte ed altre ancora aperte, in Dir. pen. cont. Riv. trim., 3-4, 2012, p. 54 ss. Inoltre, V. Manes, Il diritto penale nel prisma del “ dialogo tra le corti”, in AA.VV., La crisi della legalità. Il “ sistema vivente” delle fonti penali. Atti del Convegno Napoli, 7-8 novembre 2014, a cura di C.E. Paliero- S. Moccia- G. De Francesco- G. Insolera- M. Pellissero- R. Rampioni- L. Risicato, Napoli, 2014, p. 196 ss. Ancora, dello stesso Autore del volume in commento, Il diritto delle misure di prevenzione, in AA.VV., Misure di prevenzione, a cura di S. Furfaro, Torino, 2013, p. 3 ss. e, in particolare, p. 10 ss. dove le misure di prevenzione vengono qualificate come “ pene del sospetto”. Da qui la delusione anche per gli approdi della giurisprudenza europea che, nel negare l’iscrizione della materia nel concetto di “ matière pénal”, sembra perpetuare un’autentica “ truffa delle etichette”. Nello stesso senso, V.N. D’Ascola, Un codice non soltanto antimafia. Prove generali di trasformazione del sistema penale, ivi, p. 60 ss.
[10] Esattamente in queste termine si è pioneristicamente espresso, F. Bricola, Tutela “ ante delictum” e prevenzione, in Scritti di diritto penale, Vol. I, Dottrine generali teoria del reato e sistema sanzionatorio, Tomo II, Milano, 1997, p. 888. Proprio in ragione di tale intrinseca afflittività, l’illustre Autore, da p. 891, ha indicato tutti i profili di illegittimità costituzionale che attingono queste misure. Ma ancora, in senso analogo, T. Padovani, Giustizia criminale. Radici, sentieri, dintorni, periferie di un sistema assente, vol. II. Misure di sicurezza e misure di prevenzione, Pisa, 2014, p. 321. Nello stesso, di recente, A. Manna, Il principio di legalità, in AA.VV., Rapporti tra fonti europee e dialogo tra corti, a cura di F. Giunchedi, Pisa, 2018, p. 123 ss.
[11] Sul punto, A.A. Hayo, Misure di sicurezza e misure di prevenzione a confronto. L’incerta linea di discrimine tra la sanzione del passato e la prevenzione del futuro, nell’ottica del diritto interno e sovranazionale, in AA.VV., Rapporti cit., p. 547 ss.
[12] E’ stato F. Bricola, Tutela cit., p. 879 ad osservare come queste misure – o perlomeno molte di esse-, lungi dal fare a meno della prevìa esistenza di un reato, si limitano a fare a meno del suo mero accertamento giudiziale.
[13] Per dirla con le parole di F. Caprioli, Fatto e misure di prevenzione, in AA.VV., Misure patrimoniali nel sistema penale: effettività e garanzie, Milano, 2016, p. 55, nel campo delle misure di prevenzione: “ ( …) il concetto di pericolosità assume connotati peculiari: non già timore della futura commissione di reati fondato su provate condotte attuali, ma timore della giò avvenuta comissione di reati che non si possono provare. Ad affiorare è la logica delle misure di prevenzione ante probationem delicti anziché ante delictum, come surrogato di una sanzione penale che non si può irrogare per mancanza di prove (..)”.
[14] Tra i primi fautori di questa osservazione critica, P. Nuvolone, voce Misure di prevenzione e misure di sicurezza, in Enc. Dir., vol. XXVI, Milano, 1974, p. 643 ss. In senso analogo, F. Palazzo, Per un ripensamento radicale del sistema di prevenzione ante delictum, in Criminalia, 2017, p. 137. Critica poi ampiamente condivisa tra gli studiosi. Tra di essi, di recente, V. Maiello, Confisca cit., p. 54; V. Plantamura, Legalità costituzionale e convenzionale: tra misure di prevenzione e concorso esterno, in Arch. pen., web, 3, 2018, p. 19. Per considerazioni analoghe, ancora di recente, nel contesto di uno studio finalizzato ad individuare i tratti caratteristici della “ materia penale” in senso costituzionale, al di là delle qualificazioni formali, L. Masera, La nozione cit., p. 215 ss. Inoltre, si è concentrato particolarmente su questo aspetto, insieme al definitivo scollegamento della confisca di prevenzione da qualsiasi accertamento di pericolosità, per affermare la natura sanzionatoria, nello specifico, delle misure patrimoniali, F. Viganò, Riflessioni sullo statuto costituzionale e convenzionale della confisca “ di prevenzione” nell’ordinamento italiano, in AA.VV., Le pene, ancora: fra attualità e tradizione. Studi in onore di Emilio Dolcini, a cura di C.E. Paliero- F. Viganò- F. Basile- G. L. Gatta, vol. II, Milano, 2018, p. 885 ss. Contra, A. Celotto, La prevenzione speciale, i principi costituzionali e le garanzie europee, in AA.VV., Misure cit., p. 27 ss.
[15] Sul punto, F. Mazzacuva, Le Sezioni Unite sulla natura della confisca di prevenzione: un’altra occasione persa per un chiarimento sulle reali finalità della misura. Nota a Cass. pen., Sez. Un., 26 giugno 2014 ( dep. 2 febbraio 2015), n. 4880, Pres. Santacroce, Rel. Bruno, ric. Spinelli e altro, in Dir. pen. cont. Riv. trim.., 4, 2015, p. 242 ss.
[16] Come ha notato D. Labianca, La nuova dimensione del ne bis in idem: dal caso Grande Stevens a C. cost. n. 102 del 2016, in AA.VV., Diritto penale dell’economia, Tomo I, diretto da A. Cadoppi- S. Canestrari- A. Manna- M. Papa, Torino 2017, p. 134 ss. nella giurisprudenza della Corte EDU non si è mai negato che obiettivi di prevenzione e riparazione possano convivere con scopi punitivi, senza che ciò possa escludere la natura penale della sanzione se, in concreto, siano visibili finalità repressive. Del resto, nella dottrina tedesca, F. Zeder, Ne bis in idem als ( ältestes) Grundrecht: Kritischer Blick auf die Judicatur des EuGH im Wettbewrbsrecht und bei bestmmten Sanktionen, in AA.VV., “ Ne bis in idem” in Europa, a cura di G. Hochmayr, Baden- Baden, 2015, p. 160 ha già osservato che la finalità preventiva di una misura non esclude che la stessa presenti anche un piglio repressivo.
[17] Coppi, Reati continuato e cosa giudicata, Napoli, 1969.
[18] Seminara, Il delitto tentato, Milano, 2012.
[19] In generale sull’evoluzione della confisca si veda la recente e fondamentale monografia della Fondaroli, Le ipotesi speciali di confisca nel sistema penale, Bologna, 2007.
[20] Così, Furfaro, voce Confisca, in Dig. Disc. Pen., Agg., Vol. III, Torino, 2005, p. 202. Inoltre, Compagna, L’intepretazione della nozione di profitto nella confisca per equivalente, in Dir. Pen. Proc., 2007, p. 1644.
[21] Tra i primi fautori di questo indirizzo, Iaccarino, La confisca, Bari, 1935. Propende per la natura di pena accessoria, Ramacci, Corso di diritto penale, Torino, 2001, p. 579. Ne ha messo in evidenza il carattere sanzionatorio più che preventivo, Alessandri, voce Confisca nel diritto penale, in Dig. Disc. Pen., Vol. III, Torino, 2002, p. 43 ss. Ha dato quasi per scontato il carattere sanzionatorio della confisca di cui all’art. 240 c.p., Fornari, Criminalità del profitto e tecniche sanzionatorie. Confisca e sanzioni pecuniarie nel diritto penale “ moderno”, Padova, 1997, p. 19 ss.
[22] Propenso a qualificarla in termini di sanzione sui generis, Manna, Corso di diritto penale, Pt. Gen., Vol. II, Padova, 2008 Pt. Gen., p. 239 il quale, peraltro, evidenzia il carattere fortemente affittivo anche della confisca di cui al sopra menzionato art. 12- sexies d.l. n. 306 del 1992 ( ora art. 240 bis c.p.). A sua volta il Manzini, Trattato di diritto penale italiano, Vol. III, Torino, 1950, p. 351, avrebbe preferito la collocazione dell’istituto tra le sanzioni civili, dopo l’art. 189 c.p., ovvero considerarla come un provvedimento a sé stante d’indole amministrativa.
[23] Così, Mantovani, Diritto penale, Pt. Gen., Padova, p. 837 ss.; Massa, voce Confisca ( dir. E proc. Pen.), in Enc. Dir., Vol. VIII, Milano, 1961, p. 981; Bettiol, Diritto penale, Pt. Gen., Palermo, 1955, p. 669; GUARNIERI, voce Confisca ( Diritto penale), in Noviss. Dig. it, Vol. IV, Torino, 1968, p. 40. In giurisprudenza ne ha affermato, in linea con la scelta del legislatore, la natura di misura di sicurezza, Cass. Pen., SS.UU., 26 aprile, in Cass. Pen., 1983, p. 1742. Nella giurisprudenza costituzionale, tra le tante, Corte Cost., 29 dicembre 1976, n. 259, in www.cortecostituzionale.it.
[24] Sul punto ancora, Mantovani, Diritto cit., Pt. Gen., p. 838.
[25] In giurisprudenza, Cass. Pen., SS.UU., 6 marzo 2008, n. 10280, in Guida al dir., 2008, n. 17, p. 69, con nota di Amato, Rimosse le difficoltà operative in attesa di chiarimenti normativi; la seconda è Cass. Pen., SS.UU., 2 luglio 2008, n. 26654, in Riv. it. Dir. Proc. Pen., 2008, p. 1738, con note di Mongillo, La confisca del profitto nei confronti dell’ente in cerca d’identità: luci e ombre della recente pronuncia delle sezioni unite e di Lorenzetto, Sequestro preventivo contra societatem per un valore equivalente al profitto del reato; Cass. Pen., Sez. VI, 17 luglio 2006, n. 24633, in Guida al dir., 2006, n. 32, p. 90, con nota di Amato, Presunzioni e vincoli civilistici non riparano i beni in disponibilità; Sez. VI, 23 giugno 2006, n. 22291, ivi, 2006, n. 31, p. 82; Cass. Pen., Sez. V, 18 marzo 2004, n. 15445, in Cass. Pen., 2005, p. 2324. In dottrina, Amato, Rimosse le difficoltà cit., in Guida al dir., 2008, n. 17, p. 76.
[26] In argomento Mantovani, Diritto cit., Pt. Gen., p. 837 il quale assume che anche l’ampliamento delle ipotesi di confisca obbligatoria è un indice sintomatico del passaggio di tale misura tra le pene accessorie se non, addirittura, tra le pene sostitutive della pena detentiva. Ma già così, Alessandri, voce Confisca cit., p. 49 ss. Con specifico riferimento all’art. 322- ter c.p. si vedano, per tutti, le note di M. Romano, I delitti cit., p. 248 e di Bondi, Nozioni comuni e qualifiche soggettive, in AA.V., Reati contro la pubblica amministrazione, a cura di Bondi- Di Martino- Fornasari, Torino, 2004, p. 103.
[27] Così Mongillo, La confisca del profitto cit., p. 1773.
[28] Il concetto di provento del reato ha carattere omnicomprensivo, tendente a indicare tutto ciò che deriva dalla commissione del reato e, pertanto, inclusivo del prodotto, del prezzo e del profitto del reato. Così, Cass. Pen., SS.UU., 25 novembre 2005, n. 41936, in Cass. Pen., 2006, p. 1382 e, in particolare, p. 1383,
[29] In questi termini, Cass. Pen., Sez. V, 1 ottobre 2002, n. 32797, in D&G, 2002, n. 41, p. 78.
[30] Mongillo, La confisca del profitto cit., p. 1761, osserva acutamente come anche all’interno di una stessa specie di confisca si ponga il problema di operare dei distinguo, essendo poco logico attribuire un ruolo unitario all’ablazione di cose eterogenee, per di più – si pensi al primo e al secondo comma dell’art. 240 c.p.i quali prevedono, rispettivamente, la confisca facoltativa e obbligatoria- soggette a un regime giuridico diversificato.
[31] Così Fiandaca- Musco, Diritto penale, Pt. Gen.,Bologna, 1995, p. 791 i quali, sottolineando la presenza di ipotesi di confisca rientranti tra le misure di prevenzione patrimoniale, osservano che la stessa può anche svolgere il ruolo di misura di prevenzione, a spiccata vocazione preventiva. Tra tali misure si veda quella disciplinata dall’art. 2- ter, comma 3, l.n. 575 del 1965, in materia di disposizioni contro la mafia.
[32] In questi termini, Plantamura, Legalità costituzionale e convenzionale: tra misure di prevenzione e concorso esterno, in Arch. pen., web, 3, 2018, p. 19. Inoltre, Basile, Tassatività delle norme ricognitive della pericolosità nelle misure di prevenzione: Strasburgo chiama, Roma risponde, in www.penalecontemporaneo.it ( materiale inserito il 20 luglio 2018), p. 15.
[33] Vinciguerra, Osservazioni sulla confisca antimafia, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2005, p. 220 ha sottolineato il carattere composito della confisca di prevenzione che assolverebbe a finalità preventive ma, di fatto, quanto al contenuto e agli effetti che provoca, presenterebbe connotati afflittivi. Dal canto suo, Civello, La confisca nell’attuale spirito dei tempi: tra punizione e prevenzione, in Arch. pen. web, 2, 2019, p. 13 ha qualificato la confisca di prevenzione come vera e propria pena patrimoniale mascherata da misura di carattere preventivo.
[34] In questo senso, di recente, Manna, Natura giuridica delle misure di prevenzione: legislazione, giurisprudenza e dottrina, in Arch. pen. web, 3, 2018, 10 ss. Ma già, così, Moccia, La perenne emergenza. Tendenze autoritarie nel sistema penale, Napoli 1997, p. 77 dove si arriva a parlare di “ truffa delle etichette”.
[35] Fiandaca, Prima lezione di diritto penale, Roma- Bari, 2017, p. 185 secondo il quale queste misure, svolgendo una importante funzione di regolazione dell’economia, evitando l’inserimento nel circuito legale di beni di origine sospetta, assolverebbero ad una finalità preventiva e non punitiva
[36] Peraltro, di recente, Maugeri- P. de Albuquerque, La confisca di prevenzione nella tutela costituzionale multilivello: tra istanze di tassatività e ragionevolezza, se ne afferma la natura ripristinatoria ( C. cost. 24/ 2019), in www.sistemapenale.it ( materiale inserito il 29 novembre 2019), p. 58 ss. hanno ribadito la natura “ penale” della confisca di prevenzione.
[37] Ronco, Il contribuente fiscalmente pericoloso. Profili di interrelazione tra il diritto tributario e la giurisprudenza in materia di confisca di prevenzione, in www.penalecontemporaneo.it ( materiale inserito il 13 aprile 2016), p. 4. In tema, ancora, nel sostenere la presenza soverchiante di indizi convergenti dell’esistenza della riconducibilità delle misure di prevenzione ( in particolare della confisca) alla nozione di matière pénal, Caprioli, Fatto e misure di prevenzione, in AA.VV., Misure patrimoniali nel sistema penale: effettività e garanzie, Milano, 2016, p. 56. Da questo punto di vista, l’Autore, in particolare a p. 59, esprime riserve critiche verso quel filone giurisprudenziale che esclude l’operatività del ne bis in idem in questo ambito non ravvisando gli elementi della materia penale.
[38] In tema, Donini, Septies idem. Dalla” materia penale” alla proporzione delle pene multiple nei modelli italiano ed europeo, in Cass. pen., 2018, p. 2284 ss.
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