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SEPARAZIONE DELLE CARRIERE: ALLARMI INGIUSTIFICATI O PERICOLI REALI?
Oltre alla Riforma del 1988 ci sono state un’iniziativa referendaria, iniziative parlamentari, recenti raccolte di firme, interventi vari e variamente articolati, tesi soprattutto a disinnescare gli aspetti maggiormente patologici della questione come quello del passaggio delle funzioni fra organi giudicanti requirenti che si etichettava sotto il profilo di separazione delle carriere o separazione delle funzioni peraltro con varie declinazioni e diverse soluzioni, indicando il numero di passaggi limitato o comunque condizionato dal tempo, dai distretti nei quali il p.m. che era stato giudice o il giudice era stato p.m.
Considerati i tempi non brevi per l’approvazione della riforma anche al netto delle successive vicende referendarie potrebbe aprirsi un’opportunità di dibatti e di confronti di opinioni sulle riserve che l’Associazione Nazionale Magistrati ha prospettato e che naturalmente non tutte sembrano così facilmente condivisibili, ma che comunque costituiscono un’occasione per confrontarsi su questi temi.
Sostanzialmente al di là delle riserve tecniche, sulla formulazione delle norme, sul sorteggio, sulla composizione dei due Consigli Superiori, sulle norme relative all’Alta Corte di Giustizia, il punto dolente per l’Associazione Nazionale Magistrati è costituito dal ruolo che secondo i magistrati potrà assumere il p.m., anzi asseritamente assumerà il p.m.
Al riguardo si può dire che c’è già una prima contraddizione: da un lato, si afferma che il p.m. si rafforzerà o rafforzerà il suo ruolo inquisitorio appiattendosi sulla polizia giudiziaria; per altro verso si afferma che il suo ruolo si indebolirà diventando subordinato al potere esecutivo, anche senza tenere conto dei tempi della riforma e che il C.S.M. dei p.m. inizialmente sarà composto dagli attuali p.m. e che ci vorrà tempo prima che i nuovi si insedino e che questi resteranno condizionati dalle loro filosofie, le osservazioni critiche non colgono nel segno perché anche nel lungo periodo, medio-lungo periodo, le cose non sembrano prospettarsi nei termini in cui l’Associazione Magistrati le indica.
Non trova ad esempio nessun fondamento l’idea che i ruoli del p.m. saranno riempiti da poliziotti o da agenti di polizia giudiziaria, da carabinieri o quant’altro, anche perché ci saranno dei concorsi e non si vedono le ragioni per le quali i partecipanti ai concorsi debbano appartenere a queste categorie. Si tratterà di un normale concorso per la magistratura al quale parteciperanno anche i ragazzi dell’Università adeguatamente selezionati sulla base dei temi che dovranno essere proposti. Quindi si tratterà di un concorso come tutti gli altri concorsi della Magistratura perché si tratterà comunque di nominare un magistrato.
Invero il potere del p.m. che definiamo inquisitorio, cioè quello legato alla dimensione investigativa è contenuto nella nostra Costituzione e si riconnette alla riforma del 1930, alla visione del processo penale elaborato da Manzini e da Rocco che trova attuazione attraverso quella configurazione del concetto di autorità giudiziaria che poi è confluito nell’impostazione dell’attuale C.S.M.. È lì che trova fondamento il potere probatorio del p.m., è lì che ha trovato fondamento il principio o il criterio della non dispersione dei mezzi di prova assunto dalla Corte Costituzionale a base delle sentenze del 1992.
Ora quest’impianto viene già progressivamente, per ovvie ragioni, eroso per effetto del necessario riconoscimento da parte della legislazione ordinaria (vedi Cartabia), da parte della Corte di Giustizia, da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo, da parte della Corte Costituzionale per la necessità che l’attività del p.m. relativa ai diritti dell’imputato, ai diritti civili e politici dell’imputato debba essere assistita dalla riserva di giurisdizione. In altri termini i rapporti fra giudici e pubblici ministeri, tra p.m. e polizia giudiziaria resteranno quelli governati dalla legge e quindi dalle norme di garanzia. Certamente bisognerà riflettere sul ruolo di quelle attività di contrasto alla criminalità organizzata e antiterroristica nonché su alcuni poteri in punto di prevenzione, ma anche questi saranno governati dal principio della riserva di legge, dal principio della riserva di giurisdizione come è attualmente. Forse in qualche modo la separazione delle carriere, la separazione cioè dei due Consigli Superiori, quello giudicante e quello requirente farà sì che il primo possa più facilmente sottolineare il debordaggio che il p.m. fa nei confronti delle garanzie che riguardano gli organi giudicanti.
Giova anche ricordare che la subordinazione del p.m. all’esecutivo fu tolta già nel 1941, dal regime, e che nel 1944 in piena guerra ci fu un decreto luogotenenziale il quale sottrasse al p.m. il potere di archiviazione e lo ricondusse al controllo del giudice. Non sarà inutile ricordare che la riforma dell’ordinamento giudiziario dove non c’è nessuna subordinazione del p.m. all’esecutivo fu introdotta nel 1942 dal “regime fascista” e che questo ordinamento ha governato l’Italia pur con parziali modifiche per tutto lo scorso secolo. Mi sembra che nella società italiana ci siano gli antidoti sufficienti, sia nella magistratura, sia nel tessuto democratico del Paese per escludere una prospettiva di questo genere, certamente non attuale, ma forse neanche da sbandierare quale fantasma che sarebbe sottostante alla logica della separazione delle carriere.
La realtà è che con la separazione i due soggetti, cioè naturalmente il p.m. e il giudice, invece di fare riferimento a quell’ambigua formulazione della “unità della funzione giurisdizionale”, eserciterebbero autonomamente, ciascuno, i diritti e i poteri che sono propri, quello del p.m. di ricercare, di attivarsi per individuare la responsabilità e i fatti delittuosi, quello del giudice di controllare l’attività del p.m. nel nome della riserva di legge tutelando anche i diritti fondamentali dell’imputato il quale attraverso l’esercizio del diritto di difesa prospetterebbe una diversa formulazione, una diversa articolazione dei risultati probatori.
In termini generali va altresì detto che almeno nel breve o comunque nel medio periodo bisognerebbe tenere conto che la magistratura resterebbe unitaria attraverso l’Associazione Nazionale Magistrati, che c’è una normativa che li tiene unificati all’interno della carta costituzionale, che ci sono delle possibilità da parte dei magistrati di svolgere e di svilupparsi attività comuni nella società e che in ogni caso giudici e pubblici ministeri continuano a frequentarsi svolgendo quotidianamente le loro attività, fermo restando le diverse funzioni nell’ambito dei Palazzi di Giustizia. Va altresì tenuto conto della presenza della scuola superiore della magistratura che naturalmente svolgerebbe una funzione unificante anche sul piano culturale senza considerare che forse anche all’interno della scuola di magistratura bisognerebbe rafforzare la presenza dell’avvocatura.
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