Veramente ammirevole la direttiva del Procuratore generale di Trento perché, riconoscendo anche per il sequestro gli stessi criteri di proporzionalità e di adeguatezza operanti per le misure cautelari personali, dimostra sensibilità verso la riservatezza, ma ancor prima stretta osservanza delle disposizioni processuali in materia di sequestro.
Suggerisce il Procuratore generale che l’utilizzazione ai fini delle indagini penali del contenuto di chat, e-mail, MMS ed SMS memorizzati su un dispositivo di comunicazione mobile (o su un computer) debba necessariamente svilupparsi rispettando un rigoroso ordine.
Dopo il sequestro del dispositivo, si deve procedere immediatamente all’acquisizione di una copia integrale (c.d. copia forense) della messaggistica che vi è contenuta, con contestuale restituzione del dispositivo all’avente diritto.
Se occorre procedere ad un accertamento tecnico sulla “copia forense”, si deve prescrivere espressamente alla polizia giudiziaria
non una generica “analisi” dei dati, quasi un “mandato esplorativo in bianco” dell’intera massa dei messaggi, a prescindere dalla loro correlazione con il reato per il quale si procede. Occorre invece selezionare ed estrarre i soli dati rilevanti ai fini dell’accertamento del reato per il quale si procede. Nel caso in cui, dalla messaggistica acquisita, emerga la notizia di un reato diverso da quello per cui si procede, la polizia giudiziaria deve dare separata comunicazione della nuova notizia di reato.
Si censura giustamente la prassi, di dubbia legittimità, di formare ulteriori “copie forensi” da mettere a disposizione della polizia giudiziaria, autorizzando persino il riversamento dei dati in ulteriori supporti informatici.
Anche tali copie vanno in ogni caso immediatamente restituite all’avente diritto o distrutte, unitamente a qualunque duplicato riversato in qualsiasi altro supporto informatico, una volta effettuata la selezione dei soli dati rilevanti risultanti dalla “copia forense”.
Sul punto si raccomanda che il sequestro probatorio venga rigorosamente mantenuto sui soli dati rilevanti ai fini delle indagini, in quanto esso è consentito solo per le cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti (art. 253, comma 1, c.p.p.), con conseguente obbligo di estrazione dei soli dati d’interesse e restituzione della copia integrale. Infatti, quando non è necessario mantenere il sequestro a fini di prova, le cose sequestrate devono essere restituite a chi ne abbia diritto (art. 262, comma 1, c.p.p.). E’ indispensabile, infine, provvedere alla restituzione all’avente diritto della copia forense e di ogni altra copia dei dati estratti dal dispositivo e la distruzione della copia dei dati riprodotti su qualsiasi supporto informatico
diverso dalla copia forense.
Tutto bene, tutto conforme al codice.
Ma si auspicherebbe la stessa sensibilità verso la riservatezza dell’indagato anche per quanto riguarda qualsiasi altra acquisizione del P.M. in fase di indagini.
Purtroppo, finora non è così. Anzi si assiste talora ad indagini nelle quali viene acquisito di tutto, anche ciò che è palesemente estraneo al reato da accertare e riguarda la vita privata e persino intima dell’indagato, dei suoi familiari e di terzi estranei. E che poi, alla chiusura delle indagini, viene spiattellato sulla stampa per infangare l’imputato quando manca la prova di un reato. Ecco, occorrerebbe cominciare a pensare ad una selezione degli atti da acquisire al fascicolo delle indagini, espungendo quelli manifestamente irrilevanti, come si fa per le intercettazioni. Ne guadagnerebbe il rispetto per la privacy, mentre le esigenze d’indagine non ne soffrirebbero minimamente. Ma, soprattutto, faremmo un passo in avanti non solo di civiltà, ma anche di “igiene processuale”.
Nota Procura di Trento su sequestro dispositivi elettronici e acquisizione comunicazioni
Sequestro dispositivi elettronici: nota della Procura Generale di Trento
Veramente ammirevole la direttiva del Procuratore generale di Trento perché, riconoscendo anche per il sequestro gli stessi criteri di proporzionalità e di adeguatezza operanti per le misure cautelari personali, dimostra sensibilità verso la riservatezza, ma ancor prima stretta osservanza delle disposizioni processuali in materia di sequestro.
Suggerisce il Procuratore generale che l’utilizzazione ai fini delle indagini penali del contenuto di chat, e-mail, MMS ed SMS memorizzati su un dispositivo di comunicazione mobile (o su un computer) debba necessariamente svilupparsi rispettando un rigoroso ordine.
Dopo il sequestro del dispositivo, si deve procedere immediatamente all’acquisizione di una copia integrale (c.d. copia forense) della messaggistica che vi è contenuta, con contestuale restituzione del dispositivo all’avente diritto.
Se occorre procedere ad un accertamento tecnico sulla “copia forense”, si deve prescrivere espressamente alla polizia giudiziaria
non una generica “analisi” dei dati, quasi un “mandato esplorativo in bianco” dell’intera massa dei messaggi, a prescindere dalla loro correlazione con il reato per il quale si procede. Occorre invece selezionare ed estrarre i soli dati rilevanti ai fini dell’accertamento del reato per il quale si procede. Nel caso in cui, dalla messaggistica acquisita, emerga la notizia di un reato diverso da quello per cui si procede, la polizia giudiziaria deve dare separata comunicazione della nuova notizia di reato.
Si censura giustamente la prassi, di dubbia legittimità, di formare ulteriori “copie forensi” da mettere a disposizione della polizia giudiziaria, autorizzando persino il riversamento dei dati in ulteriori supporti informatici.
Anche tali copie vanno in ogni caso immediatamente restituite all’avente diritto o distrutte, unitamente a qualunque duplicato riversato in qualsiasi altro supporto informatico, una volta effettuata la selezione dei soli dati rilevanti risultanti dalla “copia forense”.
Sul punto si raccomanda che il sequestro probatorio venga rigorosamente mantenuto sui soli dati rilevanti ai fini delle indagini, in quanto esso è consentito solo per le cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti (art. 253, comma 1, c.p.p.), con conseguente obbligo di estrazione dei soli dati d’interesse e restituzione della copia integrale. Infatti, quando non è necessario mantenere il sequestro a fini di prova, le cose sequestrate devono essere restituite a chi ne abbia diritto (art. 262, comma 1, c.p.p.). E’ indispensabile, infine, provvedere alla restituzione all’avente diritto della copia forense e di ogni altra copia dei dati estratti dal dispositivo e la distruzione della copia dei dati riprodotti su qualsiasi supporto informatico
diverso dalla copia forense.
Tutto bene, tutto conforme al codice.
Ma si auspicherebbe la stessa sensibilità verso la riservatezza dell’indagato anche per quanto riguarda qualsiasi altra acquisizione del P.M. in fase di indagini.
Purtroppo, finora non è così. Anzi si assiste talora ad indagini nelle quali viene acquisito di tutto, anche ciò che è palesemente estraneo al reato da accertare e riguarda la vita privata e persino intima dell’indagato, dei suoi familiari e di terzi estranei. E che poi, alla chiusura delle indagini, viene spiattellato sulla stampa per infangare l’imputato quando manca la prova di un reato. Ecco, occorrerebbe cominciare a pensare ad una selezione degli atti da acquisire al fascicolo delle indagini, espungendo quelli manifestamente irrilevanti, come si fa per le intercettazioni. Ne guadagnerebbe il rispetto per la privacy, mentre le esigenze d’indagine non ne soffrirebbero minimamente. Ma, soprattutto, faremmo un passo in avanti non solo di civiltà, ma anche di “igiene processuale”.
Nota Procura di Trento su sequestro dispositivi elettronici e acquisizione comunicazioni
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