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Sistema cautelare ed interrogatorio preventivo. Qualche riflessione.

Abstract

L’interrogatorio preventivo costituisce una delle novità qualificanti della c.d. riforma Nordio. Configurato come strumento di garanzia della libertà dell’indagato, esso anticipa il contraddittorio sulle condizioni di applicabilità della misura personale alla fase antecedente l’adozione dell’ordinanza, rendendolo effettivo mediante la previsione di un ampio obbligo di discovery. I presupposti operativi ed i limiti procedurali, però, rendono l’istituto poco appetibile e, a tratti, eccezionale.

The preventive interrogation is one of the qualifying innovations of the so-called Nordio reform. Configured as a tool to guarantee the freedom of the suspect, it anticipates the adversarial debate on the conditions of applicability of the personal measure to the phase prior to the adoption of the order, making it effective through the provision of a broad obligation of discovery. The operational prerequisites and procedural limitations, however, make the institution unattractive and, at times, exceptional.

Sommario: 1. La funzione di garanzia dell’interrogatorio preventivo. – 2. I limiti operativi della nuova figura: le indagini preliminari, lo status dell’indagato e le condizioni della misura. – 3. Le esigenze cautelari ostative. – 4. Gli adempimenti procedurali e le invalidità. – 5. Qualche nota conclusiva.

1. La funzione di garanzia dell’interrogatorio preventivo.

La l. 9 agosto 2024 n. 114, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 187 del 10 agosto 2024 ed entrata in vigore il successivo 25 agosto, ha modificato in maniera abbastanza penetrante l’itinerario applicativo delle misure cautelari personali, introducendo la figura del c.d. interrogatorio anticipato[1].

E’ noto che il ricorso allo strumento cautelare in ambito processuale penale – soprattutto personale, ma anche reale, dal momento che in tutti i casi si generano situazioni di frizione con valori di rango costituzionale – implicando da un lato la limitazione di un diritto inviolabile della persona (artt. 2 e 13 Cost.), dall’altro uno stato di tensione con la presunzione di innocenza della persona medesima (art. 27, co. 2 Cost.), costituisce una parentesi incidentale da gestire in ogni sua fase secondo un approccio che guardi ad essa con lo sguardo rivolto ad un orizzonte in cui la stretta necessità rispetto al conseguimento degli scopi del processo si staglia con estremo vigore.

L’art. 25, co. 2 Cost. – il quale assicura che nessuno possa essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso – contiene un’enunciazione perfettamente calibrata in funzione della salvaguardia delle libertà individuali costituzionalmente riconosciute[2] che è apparsa difficilmente adattabile ad una operazione ermeneutica di tipo evidentemente creativo come quella realizzata dalla Corte costituzionale allorquando ha ritenuto di poter rinvenire nelle espressioni utilizzate dal Costituente lo spazio per estrarre un principio, tutt’altro che ovvio, di doverosa punizione delle condotte penalmente sanzionate[3].

Al di là delle considerazioni svolte dalla dottrina circa l’effettiva capacità della disposizione costituzionale di declinare una simile direttiva[4], una volta acquisita la volontà della Corte di utilizzare la norma costituzionale come parametro direttamente influente sulle scelte legislative di matrice processuale penale alla luce della configurazione di un fine ben preciso del processo, un’esigenza di coerenza consiglia di essere consequenziali nell’individuazione delle ricadute sul modello complessivamente inteso e sui singoli istituti che lo definiscono.

In particolare, se è vero che le condotte suscettibili di imporre la risposta sanzionatoria consistente nell’applicazione della pena criminale sono quelle – e soltanto quelle – accertate mediante i meccanismi cognitivi e secondo le regole di giudizio del processo penale, la platea degli obblighi di garanzia propri di ogni segmento del processo dovrebbe risultare notevolmente ampliata poiché non può non ritenersi costituzionalmente imposta la predisposizione di situazioni normative che garantiscano la massima espansione delle facoltà difensive – considerate nei loro profili statici e dinamici – che vanno a comporre l’indefinito concetto racchiuso nella formula “diritto di difesa” di cui l’art. 24, co. 2 Cost. proclama l’inviolabilità al fine di assicurare il corretto adempimento del – chiamiamolo così – dovere punitivo dello Stato, ossia l’applicazione della sanzione penale esclusivamente – come insegna la Corte costituzionale – nei confronti di persone che, disponendo di possibilità difensive non simmetriche ma comunque assimilabili a quelle accusatorie del pubblico ministero nell’ambito di un sistema in cui ‹‹risulta bandito avvalersi di congetture e sospetti››[5], hanno assistito al superamento della presunzione di cui all’art. 27, co. 2 Cost. senza quindi riuscire ad in fluire sul convincimento di un organo giudicante terzo ed imparziale[6].     

Posto allora che l’esigenza di accertare “necessariamente” i fatti penalmente rilevanti – anche la misura cautelare esige un accertamento complesso sulla base di elementi variamente ma specificamente qualificati – e di sottoporre altrettanto “necessariamente” i colpevoli – soltanto costoro, dunque, ed in sede cautelare soltanto i “probabili” colpevoli – alla pena criminale (id est: misura cautelare) assurge al rango di bene protetto dalla Costituzione insieme al carattere inviolabile della libertà personale, se per un verso si chiudono i conti con la temeraria ed irrealistica tesi secondo cui “fine primario ed ineludibile del processo penale non può che rimanere quello della ricerca della verità”[7], per altro verso occorre riconoscere che aprire le porte ad un confronto preventivo rispetto alla valutazione di ricorrenza delle condizioni perviste dalla legge per l’applicazione della misura cautelare – le fattispecie composte da fatti esigono, in fin dei conti, un’attività ricostruttiva sulla base di elementi in qualsiasi segmento processuale – non costituisce, in linea di principio, una scelta che necessariamente contrasta con i fini del procedimento.

Ovviamente, una volta che la volontà politica di introdurre una forma di confronto siffatto è giunta maturazione, da essa non poteva che scaturire una coerente determinazione legislativa che traducesse in norma ciò che, altrimenti, sarebbe rimasto un mero proposito.

Altrettanto ovvio è che una determinazione di questa portata avrebbe stimolato la riflessione della comunità giuridica, ma una cosa è discutere della scelta in sé, altra cosa è soffermarsi sui profili tecnici di essa al fine di individuarne limiti e dissonanze e, possibilmente, intravedere percorsi di perfettibilità.

Sul primo aspetto si è già anticipato ciò che, ora, viene ribadito: ossia, non sembra che la soluzione costituisca ex sé un elemento in grado di mettere in discussione il perseguimento dello scopo del processo attraverso una strutturale – id est: indefettibile – vanificazione, per il tramite di essa, della capacità del sistema cautelare personale di neutralizzare i fattori di rischio che emergono attraverso la configurazione delle esigenze cautelari.  

Sempre sul piano generale ma cambiando lievemente prospettiva, come è stato già rimarcato in ambito dottrinario, ‹‹[i]n linea teorica, l’obiettivo perseguito dall’interpolazione normativa non può che essere condiviso [dal momento che] non vi è dubbio che assicurare un confronto preventivo permetterebbe alla difesa di veicolare al giudice, anteriormente all’applicazione della misura, argomenti a sostegno dell’innocenza o comunque dell’insussistenza dei presupposti per l’adozione della misura in modo effettivo, senza doversi affidare all’onere del pubblico ministero (ex artt. 358 e 291 c.p.p.) o all’(improbabile)iniziativa del deposito preventivo al buio contemplato dall’art. 391-octies c.p.p.; in secondo luogo, libererebbe lo stesso giudice dal pregiudizio psicologico rappresentato dall’aver già adottato una misura››[8].

Insomma, non potrebbe negarsi che ‹‹un reale contraddittorio anticipato è una via ragionevole per rafforzare l’imparzialità e la terzietà del giudice per le indagini preliminari››[9], così come per il tramite di esso si realizza il risultato di ‹‹innalzare lo standard di garanzia negli interventi restrittivi cautelari che sappiamo avere tassi di incidenza molto alti nel nostro sistema››[10].

2. I limiti operativi della nuova figura: le indagini preliminari, lo status dell’indagato e le condizioni della misura.

Detto questo, va sottolineato che il legislatore ha realizzato una forma di bilanciamento tra interessi – non proprio e non sempre – contrapposti facendo ricorso già a livello normativo ad un criterio selettivo[11] ed è su questo bilanciamento che occorre innanzitutto soffermarsi per concordare con chi, già in sede di primo commento, ha manifestato l’impressione di trovarsi di fronte ad ‹‹un istituto bandiera al quale non crede sino in fondo neanche il legislatore [il quale] lo inserisce nell’ordinamento, ma si premura di circoscriverne la portata solo ad alcune, limitate, ipotesi››[12].

Rimarcato da subito, in questi termini, il carattere pressoché residuale della nuova disciplina, essa può ritenersi a ben ragione, anche nell’odierna occasione, abbastanza deludente.

Essa, innanzitutto, sembra trovare applicazione esclusivamente rispetto alle richieste formulate durante le indagini preliminari e non, come stabilisce l’art. 294, co. 1 c.p.p., fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, ragione per la quale l’operatività della disciplina di garanzia è esclusa a partire dal momento in cui è stata esercitata l’azione penale.

La conclusione si regge, in primo luogo, sulla individuazione del soggetto da interrogare nella persona sottoposta alle indagini. Inoltre, la previsione normativa è collegata a quella dell’art. 289, co. 2, secondo periodo c.p.p., la quale compendia un obbligo di interrogare preventivamente l’indagato esclusivamente nel corso delle indagini preliminari. Infine, v’è da considerare che l’art. 291, co. 1-quinquies c.p.p., attribuisce espressamente la competenza ad effettuare l’interrogatorio preventivo, nei casi di cui all’art. 328, co. 1-quinquies c.p.p., al presidente del giudice per le indagini preliminari in composizione collegiale ovvero ad un componente da esso delegato.

Se il sistema, essendo congegnato con riferimento a soggetti operanti nel corso delle indagini preliminari, sembra lasciare intravedere un limite cronologico ben preciso, la mancanza di riferimenti espressi alla fase d’indagine – a differenza di quanto previsto, come già visto, dall’art. 289, co. 2 c.p.p. – unitamente alla considerazione di una prospettabile disparità di trattamento che potrebbe ingenerarsi sulla base di una scelta del pubblico ministero, sono elementi che potrebbero aprire la porta ad una estensione degli spazi operativi oltre la fase investigativa preliminare, divenendo però, in questo caso, difficoltoso effettuare una nuova perimetrazione in assenza di un riferimento corrispondente a quello contenuto nell’art. 294, co. 1 c.p.p.

Prendendo le mosse dalla considerazione di quelle che potremmo definire condizioni generali di ordine soggettivo, occorre escludere – anche a prescindere da ogni altro rilievo circa la presumibile natura delle esigenze ipotizzabili – che debba procedersi all’interrogatorio preventivo nei confronti dell’arrestato in flagranza e, più in generale, della persona sottoposta a misure precautelari, dal momento che, nonostante l’assenza di una norma corrispondente a quella contenuta nell’art. 294, co. 1 c.p.p., ogni esigenza difensiva può trovare adeguati percorsi di sviluppo nell’interrogatorio previsto dall’art. 391, co. 3 c.p.p., comunque precedente rispetto alla decisione del giudice sulla richiesta cautelare – formulata o illustrata preventivamente – del pubblico ministero

Inoltre, sembra evidente che le tempistiche previste dall’art. 291, co. 1-sexies c.p.p., nonostante siano rese flessibili dalla previsione di un generale potere di abbreviazione dei termini, sono incompatibili sia con il carattere serratissimo della procedura di convalida, sia con le possibili forme di proposizione delle richieste in materia cautelare ex artt. 390, co. 3-bis e 391, co. 3 c.p.p.

Nel silenzio della legge, invece, deve ritenersi che, ricorrendo le altre condizioni previste dalla nuova disciplina, l’indagato deve essere sottoposto ad interrogatorio preventivo anche nel caso in cui sia già in vinculis per altra causa.

Occorre intendersi, poi, sul significato da attribuire all’elemento di fattispecie identificato con la formula “prima di disporre la misura”, nel senso che, fermo restando che è indubbio che l’interrogatorio deve essere effettuato dal giudice (per le indagini preliminari, sembra), ci si deve chiedere se la formula identifichi semplicemente il frangente della sequenza procedimentale interna alla fase delle indagini preliminari in cui deve collocarsi l’interrogatorio ovvero se, invece, delinei un elemento complesso che affianca all’indiscutibile profilo cronologico il dato psichico costituito dalla maturazione di un convincimento circa la ricorrenza delle condizioni necessarie per disporre la misura cautelare.

In altre parole, ci si sta chiedendo se l’obbligo di procedere ad interrogatorio sorga per effetto della mera proposizione della domanda cautelare oppure se, al contrario, esso non gravi sul giudice il quale, ritenendo non ricorrano le condizioni per applicare la misura, sia determinato a rigettare la domanda[13].

La seconda soluzione, oltre che tendenzialmente imposta dalla norma, appare preferibile perché, tra l’altro, consente di neutralizzare le possibili conseguenze negative rispetto alle esigenze di prosecuzione delle indagini scaturenti dal venire meno del segreto ex art. 329 c.p.p. sugli atti d’indagine su cui la domanda si fonda.

Inoltre, la soluzione opposta costituirebbe la premessa per il possibile snaturamento della funzione dell’interrogatorio e del ruolo istituzionale del giudice, dal momento che da strumento prevalentemente difensivo – richiamandosi le modalità indicate nell’art. 65 c.p.p., alla contestazione del fatto ed all’indicazione degli elementi a carico e (eventualmente) delle fonti segue l’invito ad esporre quanto utile per la difesa –  esso rischierebbe di trasformarsi in arnese squisitamente investigativo nelle mani del giudice e finalizzato ad acquisire elementi di smentita rispetto ad un già maturato convincimento contrastante con la richiesta del pubblico ministero.

3. Le esigenze cautelari ostative.

L’obbligo di procedere ad interrogatorio preventivo – presidiato dalla previsione di nullità dell’ordinanza cautelare che non sia stata preceduta dal compimento di esso, contenuta nel nuovo art. 292, co. 3-bis c.p.p. – è circoscritto, inoltre, ai casi in cui non ricorra una esigenza cautelare di carattere ostativo, essendo state considerate tali innanzitutto quelle di cui all’art. 274, co. 1, lett. a) e b) c.p.p.

Pertanto, allorché “sussista” l’esigenza cautelare comunemente nota come “pericolo di inquinamento della prova” (art. 274, co. 1, lett. a) c.p.p.) oppure quella designata tradizionalmente con l’espressione “pericolo di fuga” (art. 274, co. 1, lett. b) c.p.p.), l’itinerario applicativo della misura cautelare, a prescindere da qualsiasi valutazione della effettiva necessità o meno alla luce delle emergenze investigative, scorre lungo il binario originariamente previsto, contrassegnato dalla sequenza che vede la richiesta del pubblico ministero e l’ordinanza del giudice legati da una relazione che non ammette alcuna forma di coinvolgimento della persona sottoposta alle indagini, invece posticipata alla fase successiva all’esecuzione ed attuata mediante l’interrogatorio di garanzia ex art. 294 c.p.p.

Evidentemente si è ritenuto che le esigenze predette costituiscano, in sé considerate, il momento di emersione di fattori di rischio che non soltanto non potrebbero essere neutralizzati, ma al contrario sarebbero accresciuti nella loro efficacia perturbativa da un meccanismo di coinvolgimento preventivo dell’indagato a sua volta caratterizzato da un’ampia discovery[14].

Inoltre, il legislatore ha attribuito carattere ostativo alla “sussistenza” dell’esigenza cautelare di cui all’art. 274, co. 1, lett. c) c.p.p., soltanto, però, se essa emerge “in relazione” ad uno dei delitti indicati nell’art. 407, co. 2, lett. a) o all’art. 362, co. 1-ter c.p.p., ovvero a gravi delitti commessi con l’uso di armi o con altri mezzi di violenza personale.

Si tratta, come è noto, nel primo caso di ipotesi alle quali si correla la presunzione di complessità delle indagini preliminari che implica l’estensione del relativo termine di durata; nel secondo caso di ipotesi di reato la cui prospettazione impone, conformemente all’impostazione complessiva della l. 19 luglio 2019, n. 69 (c.d. “Codice rosso”) e sulla base delle integrazioni apportata dalla l. 27 luglio 2001, n. 134, un vincolo temporale all’assunzione di sommarie informazioni da persone determinate.

Sul piano formale, si segnalano sia l’ineleganza della duplicazione dei richiami scaturente dall’operare congiunto delle due discipline – quella dei termini di durata delle indagini e quella relativa all’accelerazione dell’atto acquisitivo di dichiarazioni – rispetto a determinate fattispecie (le quali, quindi, sono richiamate sia nell’art. 407 c.p.p., sia nell’art. 362 c.p.p.), sia la singolare inversione della sequenza da seguire nel richiamare articoli che, evidentemente, sono variamente ma ordinatamente dislocati all’interno del codice (l’art. 362, cioè, precede l’art. 407).

Ma a parte ciò, un primo motivo di riflessione si pone in relazione all’esatta conformazione dell’ultima ipotesi ostativa, non essendo chiaro se i delitti che la disposizione individua debbano costituire l’oggetto del procedimento in corso oppure l’oggetto della situazione di pericolo.

Se si scarta la prima ipotesi interpretativa[15], dal momento che la disposizione non contiene alcun richiamo all’oggetto del procedimento nel cui ambito la misura è richiesta, e si pone attenzione sia all’ampiezza del catalogo di reati indicati nell’art. 407, co. 2, lett. a) e all’art. 362, co. 1-ter c.p.p., sia al carattere indefinito del connotato di gravità che deve qualificare i delitti commessi con l’uso di armi, sia infine all’estensione della nozione di “mezzi di violenza personale”, non è difficile immaginare che l’ambito applicativo della figura di nuova introduzione sia, oltre che manipolabile, grandemente limitato.

Ulteriormente limitato, inoltre, se, dovendosi prescindere (come sembra) dall’oggetto del procedimento, si tiene conto del complesso sistema presuntivo disciplinato dall’art. 275, co. 3 c.p.p., il quale, estendendosi anche alle esigenze cautelari, appare intrinsecamente inconciliabile con l’istituto.

Ed allora, v’è davvero da ritenere che talvolta l’oggetto del procedimento da un lato, talvolta l’oggetto della situazione di pericolo dall’altro, finiranno col rendere praticamente eccezionale il ricorso all’istituto. 

Problematica appare, poi, la esatta collocazione del requisito costituito dal giudizio di “sussistenza” di esigenze ostative lungo la dinamica procedurale, nel senso che occorre chiedersi se la valutazione rilevante ai fini dell’attivazione o meno del contraddittorio preliminare sia quella del pubblico ministero che, nel formulare la richiesta, prospetta le esigenze cautelari secondo gli stringenti parametri indicati nell’art. 274 c.p.p. oppure quella, in ipotesi divergente, del giudice[16].

Infatti, la Corte di cassazione, con un orientamento oramai consolidato ed abbastanza risalente, ha stabilito non soltanto che il giudice dispone della facoltà di ritenere la sussistenza di una esigenza cautelare diversa da quella prospettata dal pubblico ministero nella sua richiesta[17], ma addirittura che la domanda cautelare da questi proposta possa anche non contenere indicazioni sul punto[18].

Alla luce della formulazione normativa, la quale individua nella “sussistenza” – e, dunque, nel giudizio di sussistenza, ossia quello formulato da chi, ritenendo che sussista (quantomeno) una esigenza cautelare, dispone la misura – dell’esigenza ostativa il fattore preclusivo rispetto all’attivazione dell’interrogatorio preventivo, e tenuto conto della giurisprudenza della Corte di cassazione appena richiamata – per la quale, dunque, una prospettazione sul tema delle esigenze cautelari potrebbe finanche mancare nella domanda cautelare, ipotesi che bloccherebbe a priori ed in modo assoluto e generalizzato il ricorso allo strumento – appare corretto ritenere che l’effetto ostativo si connetta esclusivamente alla valutazione del giudice[19].

Soluzione, questa, che appare altresì maggiormente garantista, posto che non può non riconoscersi che, volendo, nell’ambito di una prospettiva accusatoria quale è quella del pubblico ministero richiedente, lo spazio argomentativo per sostenere la ricorrenza di esigenze ostative potrebbe sempre ricavarsi dalla lettura degli elementi investigativi.

Soluzione, però, che schiude le porte a problemi di altra natura ma di primario rilievo, coinvolgendo anche su questo versante il tema dell’imparzialità del giudice.

Difatti, in fin dei conti il giudice che procede e, dunque, dispone l’interrogatorio interviene in una situazione in cui ha già non soltanto maturato un convincimento circa la ricorrenza dei gravi indizi di colpevolezza e dell’esigenza non ostativa, ma addirittura ha implicitamente manifestato siffatto convincimento nel frangente in cui ha disposto l’interrogatorio.

Né può sostenersi che il meccanismo di recente introduzione costituisca una mera fattispecie estensiva del già sperimentato sistema di verifica preliminare previsto dall’art. 289, co. 2 c.p.p., dal momento che l’ipotesi di interrogatorio preventivo compendiato da quest’ultima disposizione è sganciato dalla natura delle esigenze cautelari, non è accompagnato dalla previsione di forme di discovery degli atti d’indagine[20] e, infine, deve essere disposto non già “prima di disporre la misura”, bensì “prima di decidere sulla richiesta del pubblico ministero”, ossia secondo una fattispecie in cui alla previsione di un frangente temporale specifico non si sovrappone un convincimento orientato in un senso oppure nell’altro.

4. Gli adempimenti procedurali e le invalidità.

L’interrogatorio preventivo presuppone l’adempimento di un dovere informativo che, ai sensi dell’art. 291, co. 1-sexies c.p.p, viene configurato attraverso la previsione di un obbligo di comunicazione al pubblico ministero e di notificazione all’indagato ed al suo difensore di un atto – l’invito a presentarsi per rendere interrogatorio – che per grandi linee assimila le caratteristiche dell’atto previsto dall’art. 375 c.p.p., fatti salvi alcuni significativi elementi di diversificazione.

Sul versante soggettivo, esso è atto del giudice e non del pubblico ministero e, per quel che concerne i soggetti passivi, si dirige anche al pubblico ministero ed al difensore, soggetti che, nel caso di interrogatorio ex art. 294 c.p.p., sono semplicemente i destinatari di un “avviso del compimento dell’atto” che deve essere “dato”.

Inoltre, a differenza sia di quanto previsto dall’art. 375, co. 4 c.p.p. in ordine al termine dilatorio associato alla notificazione dell’atto (tre giorni prima di quello fissato per la comparizione) all’indagato, sia di quanto previsto dall’art. 294, co. 1 c.p.p. con specifico riferimento all’interrogatorio di garanzia (al quale il giudice deve procedere immediatamente e comunque non oltre cinque o dieci giorni, a seconda che la misura eseguita sia la custodia cautelare in carcere ovvero una diversa misura, dando al pubblico ministero ed al difensore “tempestivo avviso”), sia infine di quanto statuito dall’art. 364, co. 3 c.p.p. per quel che concerne l’avviso al difensore del compimento di atti garantiti (da dare tre giorni prima di quello stabilito per il compimento dell’atto), l’art. 291, co. 1-sexies c.p.p. dispone che l’invito a presentarsi – anche il pubblico ministero ed il difensore, dunque, compaiono “per rendere l’interrogatorio” – deve essere notificato almeno cinque giorni prima di quello fissato per la comparizione, a meno che ricorrano non meglio definite ragioni d’urgenza che consentono al giudice di abbreviare in modo altrettanto indefinito il termine, purché sia lasciato il tempo necessario per comparire.

Per comparire sì, verrebbe da dire, ma in modo consapevole ed in condizioni tali da assicurare l’effettiva (id est: effettivamente realizzabile) preparazione della propria difesa, posto che l’art. 291, co. 1-octies c.p.p. compendia una facoltà di accesso agli atti di cui al co. 1 del medesimo articolo di cui viene assicurata l’effettività mediante la previsione di uno specifico avviso.

Dunque, l’effettiva funzionalità dell’interrogatorio non può che imporre la disponibilità del tempo necessario a richiedere ed ottenere le copie degli atti depositati, oltre che dello spazio temporale indispensabile a studiarli in maniera approfondita, ragione per la quale vi è da concordare con quanti sottolineano l’inadeguatezza del termine stabilito dalla norma[21], soprattutto se relazionato al termine notevolmente più lungo che l’art. 438, co. 4 c.p.p. accorda al pubblico ministero per lo svolgimento di indagini suppletive a seguito di richiesta di rito abbreviato con contestuale deposito di atti (eventualmente esigui) d’indagine difensiva.

Impone, inoltre, la conoscenza, assicurata dall’art. 291, co. 1-sexies, lett. c) c.p.p., del fatto contestato (enunciato sommariamente unitamente alla data ed al luogo di commissione del reato) e, deve ritenersi nonostante il silenzio della disposizione, della sua qualificazione giuridica.

Il pubblico ministero, dal canto suo e come può percepirsi dalla complessa disciplina di recentissima introduzione, subisce un notevole aggravamento delle responsabilità connesse all’esercizio del potere selettivo – garantito indiscutibilmente dall’art. 291, co. 1 c.p.p. – degli atti contenuti nel fascicolo delle indagini preliminari dal momento che l’iniziativa cautelare intrapresa mediante la proposizione della domanda si presta a determinare, nei casi presi in considerazione dall’art. 291, co. 1-quater c.p.p., il venire meno del segreto investigativo – gli atti, invero, con la notifica dell’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio preventivo divengono conoscibili dall’indagato agli effetti di quanto previsto dall’art. 329, co. 1 c.p.p. – senza la garanzia dell’effettiva applicazione della misura richiesta.

Alla facoltatività della sottoposizione all’interrogatorio preventivo[22] – l’indagato, infatti, ai sensi dell’art. 291, co. 1-sexies c.p.p., può scegliere di non comparire, evenienza ricorrendo la quale il giudice decide comunque sulla domanda cautelare[23] – si contrappone, per l’evenienza in cui esso abbia invece luogo – in ipotesi senza l’assistenza del difensore, non essendone prescritta la partecipazione obbligatoria[24] né è prevista la designazione di un difensore d’ufficio e, conseguentemente, l’avviso di cui all’art. 364, co. 2 c.p.p., mentre è compendiato l’avviso circa la facoltà di nominare un difensore di fiducia – l’obbligo di documentazione integrale secondo le modalità previste dall’art. 141-bis c.p.p. per l’ipotesi di interrogatorio della persona in stato di detenzione, a sua volta presidiato dalla previsione di inutilizzabilità (art. 291, co. 1-novies c.p.p.).

Le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio preventivo, il cui compimento fa venire meno l’obbligo di procedere all’interrogatorio di garanzia, costituiscono elementi che devono, a pena di nullità dell’ordinanza cautelare, essere oggetto di specifica valutazione da parte del giudice e la relativa documentazione deve essere, secondo quanto previsto dal nuovo art. 309, co. 5 c.p.p., necessariamente (“in ogni caso”) trasmessa al tribunale del riesame, anche se non è chiaro quale sia l’oggetto della trasmissione e quale sia la conseguenza della mancata trasmissione.

Escluso che possa ricorre un obbligo di trasmissione di un verbale di interrogatorio in cui l’indagato si sia avvalso della facoltà di non rispondere – difatti, in questo caso mancherebbe finanche l’oggetto dell’obbligo, individuato nelle “dichiarazioni rese” in occasione del suo compimento – non è chiaro se sussista un obbligo generalizzato di trascrizione della riproduzione fonografica o audiovisiva ovvero se, come prescritto dall’art. 141-bis c.p.p., si debba procedere ad essa soltanto su richiesta di una parte.

Per vero, l’art. 291, co. 1-novies c.p.p. richiama “le modalità” di cui alla norma appena citata, tra le quali non rientra certamente la trascrizione della (già attuata) modalità di documentazione prescelta.

Inoltre, le “dichiarazioni rese”, che sicuramente non sono trasmissibili al tribunale del riesame se non per il tramite della relativa documentazione, sono fruibili esclusivamente nella misura in cui sono rese disponibili in modo integrale attraverso la trascrizione oppure il supporto che contiene le registrazioni.

Sul piano delle conseguenze, invece, la norma non specifica se l’omessa trasmissione delle dichiarazioni determini l’inefficacia della misura cautelare ovvero, al contrario ma anche a dispetto di un obbligo da adempiere “in ogni caso”, sia priva di rilievo.

Come già detto, l’obbligo di procedere ad interrogatorio preventivo è presidiato dalla previsione di nullità dell’ordinanza cautelare che non sia stata preceduta dal compimento di esso, contenuta nel nuovo art. 292, co. 3-bis c.p.p.

L’ordinanza è inoltre nulla, prevede la medesima disposizione, nel caso in cui l’interrogatorio stesso sia nullo per violazione delle disposizioni concernenti il contenuto dell’invito a presentarsi[25], così come sembra potersi configurare un caso di nullità di ordine generale per l’ipotesi di inosservanza dei termini a comparire, di irragionevole o immotivata abbreviazione di essi ovvero di omessa notificazione dell’invito al difensore o ad uno dei due difensori già nominati.

5. Qualche nota conclusiva.

Volendo concludere, deve ritenersi che la figura di recente introduzione costituisce un prodotto difficile da maneggiare, con ricadute significative su valori anche di livello costituzionale e, per certi aspetti, poco funzionale.

Probabilmente, la volontà politica di assicurare un confronto preventivo rispetto alle limitazioni della libertà personale in ambito processuale penale avrebbe richiesto, proprio in considerazione della sua carica profondamente innovativa, una maggiore sedimentazione ed una più ampia riflessione.

Il risultato dell’approccio prescelto è, invece, immediatamente percepibile e a tratti paradossale: una idea buona ma (resa) quasi impraticabile.


[1] Ritenuto da G. Colaiacovo-Della Monica, L’anticipazione dell’interrogatorio di garanzia. Appunti sul d.d.l. Nordio, in Penale DP, 2024, 1, 61, uno dei tratti qualificanti della riforma Nordio.

[2] Volendo analizzare il principio contenuto nell’art. 25, comma 2 Cost., v., anche per reperire significativi riferimenti bibliografici, G. Vassalli, Nullum crimen, nulla poena sine lege, in Dig. disc. pen., VIII, p. 279.

[3] Corte cost., 26 marzo 1993, n. 111, in Giur. cost., 1993, p. 901. Il principio viene rievocato, inoltre, da Corte cost., 30 dicembre 1993, n. 478, in Giur. it., 1995, I, p. 92.

[4] Come è noto, dubita che un siffatto principio possa essere enucleato dall’art. 25 Cost., M. Nobili, Scenari e trasformazioni del processo penale, Padova, 1998, p. 99, per il quale ‹‹come ognuno sa, si tratta di una storica affermazione di garanzie nell’ambito del diritto penale sostanziale. Ed ecco l’operazione che ha condotto ripetutamente a rivisitare il principio di legalità, non solo per spostarsi al piano della procedura penale […] ma anche per farlo in termini opposti alle garanzie. Vengono sostanzialmente enucleate, dalla formulazione di quella regola, due parole: “punire”, “forza” (di legge). Su di esse risulta poi teorizzata una sorta di immedesimazione del giudice penale con la cosiddetta potestà punitiva. Così il divieto ex art. 25. 2 è reinterpretato come “principio che rende doverosa la punizione delle condotte penalmente sanzionate […] e quella storica garanzia per l’individuo – trasformata in forme di supremazia del giudice penale e della funzione del reprimere – risulta infine assunta quale nuovo parametro per denunziare la illegittimità di varie norme (procedurali) che limitino il suo potere di conoscere ed il suo operare››.

[5] M. Deganello, I criteri di valutazione della prova penale, Torino, 2005, p. 20.

[6] G. Bellavista, Il processo come dubbio, in Riv. it. dir. proc. pen., 1967, p. 763, interrogandosi sullo scopo del processo, osserva: ‹‹Come per il processo civile si risponde: ne cives ad arma veniant. Ma a questa finalità di pace civica, se ne aggiunge un’altra per il processo penale, che ha un suo scopo specifico e particolare, alternativo, duplice: impunitum non relinqui facinus; innocentem non condemnari. Non solo il processo sorge perché tramonti la ragion fattasi, cessi la privata vendetta, ma perché sia fatta giustizia. Non basta il ne cives ad arma veniant, è pur necessario che solo il colpevole sia punito, e con la giusta pena, e che l’innocente venga protetto e tutelato››.

[7] Corte cost., 3 giugno 1992, n. 255, cit. 

[8] M. Gialuz, Le novità della “manovra Nordio” in materia processuale: quando l’ideologia rischia di provocare un’eterogenesi dei fini, in Sistema penale (Rivista on line), 22 luglio 2024.

[9] M. Gialuz, Le novità della “manovra Nordio” in materia processuale, cit.

[10] P. Bronzo, Brevi note sul “disegno di legge Nordio”, in Sistema penale, 12 aprile 2024, p. 4.

[11] P. Bronzo, Brevi note sul “disegno di legge Nordio”, cit., p. 4.

[12] M. Gialuz, Le novità della “manovra Nordio” in materia processuale, cit. Lo stesso P. Bronzo, Brevi note sul “disegno di legge Nordio”, cit., p. 4, ritiene che l’istituto possa trovare applicazione entro una cornice ristrettissima. Già prima della riforma, inoltre, G. Colaiacovo, G. Della Monica, L’anticipazione dell’interrogatorio di garanzia. Appunti sul d.d.l. Nordio, cit., p. 64, avevano avuto modo di rimarcare come ‹‹la disciplina complessiva dell’istituto – e, soprattutto, il rapporto tra regola ed eccezioni, unitamente ad alcune imperfezioni tecniche – rischia[ssero] di confinare l’innovazione nel limbo della irrilevanza››.

[13] Evidenziava la scarsa chiarezza legislativa sul punto, già subito dopo l’approvazione del disegno di legge da parte del Consiglio dei Ministri, G. Spangher, Pacchetto Nordio: timidi ma significativi segnali di cambio di prospettiva, in PenaleDP, 2023, 2, p. 191.

[14] V., in senso critico rispetto alla scelta del legislatore, G. Colaiacovo, G. Della Monica, L’anticipazione dell’interrogatorio di garanzia. Appunti sul d.d.l. Nordio, cit., p. 65, i quali proponevano di ancorare l’anticipazione dell’interrogatorio non già alle esigenze cautelari, ma alla tipologia di misura da applicare, anteponendo l’audizione alla decisione sulla cautela soltanto nel caso di applicazione di misure più blande, nelle quali le esigenze cautelari sono sicuramente più tenui. In alternativa, immaginavano di ancorare il divieto di anticipazione dell’interrogatorio non al “tipo” di esigenza ravvisabile in concreto, bensì alla sua effettiva rilevanza, vietando la discovery anticipata della richiesta cautelare solo nel caso in cui si dovessero profilare pericoli «imminenti» – e non solo «attuali» – di inquinamento delle prove, di fuga dell’indiziato o di protrazione dell’attività criminosa.

[15] Patrocinata, invece, da P. Bronzo, Brevi note sul “disegno di legge Nordio”, cit., p. 4. Oltre che, in precedenza, da G. Colaiacovo, G. Della Monica, L’anticipazione dell’interrogatorio di garanzia. Appunti sul d.d.l. Nordio, cit., p. 65.

[16] Si pone la stessa domanda M. Gialuz, Le novità della “manovra Nordio” in materia processuale, cit.

[17] V., tra le altre, Cass. pen., Sez. I, 21 giugno 1997, Moissiadis, in DeJure.

[18] Cass. pen., Sez. II, 21 novembre 2006, Chaoui, in DeJure.

[19] V., in questi termini, A. Marandola, I vulnus del diritto di difesa anticipato in sede cautelare nella riforma Nordio, in PenaleDP, 2024, 3, p. 426, la quale rileva anche come, dovendo precedere la misura, non trova applicazione l’art. 302 c.p.p. nella parte in cui prescrive la caducazione della misura per omesso o invalido esercizio del diritto di difesa. V., inoltre, P. Bronzo, Brevi note sul “disegno di legge Nordio”, cit., p. 5, il quale ravvisa ‹‹la necessità di un costante controllo giudiziale delle valutazioni del pubblico ministero, il quale per il timore di perdere un effetto-sorpresa sempre in una certa misura prezioso, potrebbe essere tentato di configurare, prudenzialmente, anche un pericolo di fuga o di inquinamento probatorio o a sovradimensionare l’imputazione in caso di pericolo di reiterazione delle condotte, così da rientrare nell’area sottratta al contraddittorio preventivo››. Negli stessi termini v., sempre prima dell’approvazione della riforma, G. Colaiacovo, G. Della Monica, L’anticipazione dell’interrogatorio di garanzia. Appunti sul d.d.l. Nordio, cit., p. 66.

[20] G. Tabasco, Art. 289 c.p.p., in Cpp commentato, a cura di A. Giarda-G. Spangher, Ed VI, t. II, Milano, 2023, p. 284, il quale rileva l’assenza di una norma corrispondente all’art. 293 c.p.p.

[21] G. Colaiacovo, G. Della Monica, L’anticipazione dell’interrogatorio di garanzia, cit., 67.

[22] Alla quale si correla la mancata previsione dell’avvertimento circa la possibilità di disporre l’accompagnamento coattivo.

[23] A meno che la mancata comparizione non sia determinata da un legittimo impedimento, il quale, se addotto, determina l’obbligo di differimento dell’interrogatorio. Il giudice provvede sulla richiesta del pubblico ministero senza procedere ad interrogatorio anche qualora l’indagato non sia stato rintracciato ed il giudice ritenga esaurienti le ricerche eseguite anche presso i luoghi di cui all’art. 159, co. 1 c.p.p.

[24] Critica la soluzione legislativa, soprattutto rispetto al regime previsto per l’interrogatorio ex art. 294 c.p.p, Bronzo, Brevi note sul “disegno di legge Nordio”, cit., 5: ‹‹Non è molto diversa, nei due contesti, la pressione psicologica dell’interrogando che per l’incombente espletato nei confronti della persona già in vinculis ha fatto ritenere indispensabile la presenza del patrono: nel caso in discorso abbiamo pur sempre qualcuno al quale viene prospettata la possibilità (rectius, probabilità) di una restrizione cautelare››. In chiave critica rispetto ad un “presidio irrinunciabile” v., altresì, Colaiacovo, Della Monica, L’anticipazione dell’interrogatorio di garanzia. Appunti sul d.d.l. Nordio, cit., 67.

[25] Anche se la formulazione normativa, non facendo riferimento alla violazione degli obblighi informativi ma ai casi in cui le predette violazioni siano causa di nullità dell’interrogatorio, sembra consentire una selezione dei differenti contenuti dell’avvertimento.

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