Dopo aver analizzato brevemente i principali profili di novità del c.d. lavoro agile, come disciplinato dalla l. 81/2017, il contributo mette in luce le criticità sul piano della delimitazione dell’ ambito di estensione della posizione di garanzia del datore di lavoro e la necessità di ricalibrare la netta contrapposizione tra predominio cautelativo del datore di lavoro e condizione di vulnerabilità del lavoratore, propria del contesto produttivo tradizionale.
After having briefly analyzed the main profiles of novelty of smart work, as regulated by l. 81/2017, the essay points out the critical issues of the extension of the employer’s guarantee position and the need to recalibrate the clear contrast between the employer’s precautionary dominance and the vulnerability of the worker, typical of the traditional productive context
Sommario: 1. Premessa. – 2. Il c.d. lavoro agile nella disciplina dettata dalla l. 81/2017 – 3. La delimitazione delle competenze e la ridefinizione delle posizioni di garanzia – 4. Lavoro agile e sicurezza. Le criticità connesse alla scelta del luogo di lavoro da parte del lavoratore – 5. L’art. 22 legge 81/2017: dal rischio di uno svilimento delle garanzie di tutela al rischio di una totalizzazione della posizione di garanzia del datore di lavoro. – 6. Per concludere: la formazione come chiave per garantire una sicurezza accettabile.
- Premessa.
L’emergenza sanitaria di questo periodo ha evidenziato, le potenzialità del lavoro agile valorizzandone una spiccata polifunzionalità, in quanto strumento in grado di favorire la tutela della salute dei lavoratori e dunque il contenimento del contagio attraverso l’isolamento domiciliare, ma anche di garantire la continuità produttiva in casi di calamità ed eventi imprevedibili.
Lo stesso Governo lo ha incluso fin dall’inizio tra le misure di contrasto al COVID-19, pur forzandone, attraverso una disciplina ad hoc, le stesse funzioni originarie ed alcune caratteristiche fondanti[1].
Nella consapevolezza del fatto che il lavoro agile previsto nella fase emergenziale del Coronavirus non si identifica perfettamente con lo smart working disciplinato, in via ordinaria, dalla l. 81/2017- differenziandosene anzi per alcuni caratteri fondamentali[2] – tuttavia la situazione attuale offre l’occasione per un approfondimento delle linee fondamentali dell’istituto, con specifico riferimento alla materia della sicurezza. In effetti non è improbabile che il ricorso a questa modalità di svolgimento del rapporto di lavoro, già in parte adottata da alcune realtà aziendali precedentemente al canone dell’ “#io resto a casa”, troverà in futuro una applicazione sempre più diffusa e sarà quindi ancora più necessario confrontarsi con alcune criticità che la normativa esistente sembra non aver affrontato o aver affrontato in modo eccessivamente generico.
- Il c.d. lavoro agile nella disciplina dettata dalla l. 81/2017.
La disciplina del c.d. lavoro agile (o smart working) ha trovato una sua organica previsione nella l. 81/2017, (Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato). Si tratta, secondo quando desumibile dallo stesso art. 18 della legge, non di una diversa tipologia contrattuale, ma di una nuova modalità di svolgimento del lavoro subordinato, in particolare del lavoro a distanza, caratterizzata da una particolare flessibilità e da una particolare disarticolazione organizzativa della prestazione lavorativa[3] . Secondo, infatti, la lettera dell’art. 18, il lavoro agile è una «modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva».
Come noto, lo svolgimento a distanza della prestazione lavorativa non è una realtà nuova, ma si ritrova già nel c.d lavoro a domicilio, da sempre utilizzato dai datori di lavoro e oggetto di specifiche discipline che si sono affinate, quanto a garanzie e tutele per il lavoratore, nel corso degli anni. Il progresso tecnologico, poi, la globalizzazione dell’economia, l’esternalizzazione dei processi produttivi hanno modificato sempre più profondamente l’organizzazione del lavoro incidendo in maniera talvolta radicale, tra l’altro, sulle coordinate spazio temporali della prestazione lavorativa. Nasce quindi il “telelavoro”, modalità di prestare il lavoro “a distanza” in cui il lavoratore svolge la propria attività in un luogo esterno rispetto all’azienda, in sedi distaccate dalla sede principale, dove normalmente si concentra il potere direttivo e di controllo del datore di lavoro, o anche nel proprio domicilio, attraverso l’uso di apparecchiature telematiche.
Seppure il telelavoro in Italia non ha avuto una grande diffusione sul piano applicativo, tuttavia, viene considerato il punto di rottura rispetto al modello di produzione tradizionale. Il lavoro, anche subordinato, infatti, si svincola sempre più dai parametri, rigidi, dell’ora di lavoro e della presenza fisica nei locali aziendali; si afferma il lavoro per obbiettivi, fasi e cicli e, dunque, con l’introduzione del telelavoro, secondo molti, l’Italia accede, di fatto, alla “Quarta rivoluzione Industriale”
Le affinità del lavoro agile con il “vecchio” telelavoro sono senz’altro molteplici, tantoché molti considerano il primo una sottocategoria del secondo[4]: tuttavia, e al di là delle diverse opinioni su quali siano, o siano stati, gli elementi differenziali, certamente il telelavoro è ancora legato ad un forte assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore, che definisce anche gli strumenti da usare, le procedure da seguire, gli orari [5].
Resta dunque pressoché invariata “l’eterodeterminazione” da parte del soggetto apicale, elemento tipico dell’attività lavorativa subordinata[6]. Questo per lo meno accadeva nella regolamentazione originaria, che progressivamente ha visto, grazie alla integrazione da parte di accordi con le parti sociali, una riduzione delle rigidità iniziali ed una maggiore flessibilizzazione [7].
Il superamento progressivo della concezione tradizionale del lavoro, nel senso sopra accennato, implica ed esige una sempre maggiore flessibilità della prestazione lavorativa, sia dal punto di vista temporale, che spaziale, che mette definitivamente in crisi la regola della unità di luogo-lavoro e di tempo-lavoro. Dal telelavoro, quindi, si passa al c.d. lavoro agile, (ma anche ad ulteriori modelli ulteriormente estremizzati, c.d. nuovi lavori, quali i crowd working), in cui si accentua ed esaspera proprio il profilo della flessibilità[8]: si assiste così al superamento definitivo del modello improntato alla postazione fissa all’interno dell’azienda con orario prestabilito e alla crescita della autonomia del lavoratore nella determinazione del luogo, del tempo e del modo della prestazione[9]. Da questo punto di vista si messo in evidenza «come lo smart working non sia solamente un’innovazione contrattuale strumentale ad un nuovo modo di organizzare il lavoro, bensì costituisca una nuova filosofia manageriale che tenta di restituire al lavoratore autonomia e flessibilità, in contropartita di una crescente responsabilizzazione sui risultati del lavoro»[10].
Sotto questo profilo, risulta particolarmente emblematica la scelta del legislatore del 2017 di attribuire un grande peso all’accordo delle parti che, secondo il dettato dell’art. 19, sarà la fonte della regolamentazione «dell’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore», oltre che, dei tempi di riposo del lavoratore e delle «misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro».
- La delimitazione delle competenze e la ridefinizione delle posizioni di garanzia
In questo senso, la disciplina dello smart working sembra proseguire un percorso normativo di accrescimento del ruolo del lavoratore che, da soggetto originariamente relegato ai margini della organizzazione dell’impresa, in una posizione passiva e marginale, progressivamente, a partire dal modello di sicurezza partecipata inaugurato con il d.lgs. 626/1994, è stato incluso nel novero dei debitori della sicurezza in modo sempre più sostanziale, e si è visto coinvolgere in un processo di sempre maggiore responsabilizzazione, chiamato sempre più attivamente a partecipare alla organizzazione e di conseguenza alla prevenzione organizzata[11].
L’accentuazione dell’autodeterminazione del lavoratore – che emerge in maniera manifesta dalla centralità che la disciplina dello smart working riserva alla autonomia privata, e dalla esplicita previsione, all’art. 22 comma 2 di un obbligo a suo carico di cooperazione[12] nella attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro – insieme alla destrutturazione esasperata della concezione tradizionale del luogo di lavoro originano problematiche, se non del tutto nuove, certo per molti aspetti peculiari, sotto l’aspetto della tutela della salute e della sicurezza e della connessa responsabilità penale. In particolare riguardo alla definizione degli ambiti delle posizioni di garanzia.
Sappiamo, infatti, che affinché un soggetto possa assumere la veste di “garante” di un determinato bene giuridico, non è sufficiente che si sia in presenza di una investitura formale, ma diviene imprescindibile l’esistenza di uno stato fattuale[13], caratterizzato da un rapporto preesistente tra un soggetto ed un bene giuridico, in base al quale, il bene giuridico si ponga in una situazione di vulnerabilità, non direttamente dominabile dal titolare, e il garante si trovi in una posizione di predominanza, connessa alla sua effettiva capacità di intervento al fine di tutelare il bene stesso[14].
Questa relazione di vulnerabilità e predominanza (cautelativa), originariamente nitida nel confronto datore di lavoro/lavoratore, si fonda sul fatto che il lavoratore si trovi a svolgere la prestazione dedotta nel contratto di lavoro, nell’ambito di una organizzazione produttiva altrui – pensata e predisposta da altri – il datore di lavoro appunto, e sulla quale non ha, in linea di principio, nessun potere e nessuna capacità di intervento. Nel momento in cui, tuttavia, il lavoratore si vede attribuire ex lege un ruolo sempre più proattivo di cooperazione nella organizzazione, la sua condizione di vulnerabilità si riduce inevitabilmente, con correlativa riduzione altresì, specularmente, dell’aerea di predominio cautelativo del datore di lavoro, e correlativamente dell’ambito di estensione della relativa posizione di garanzia. Così deve essere, per evitare di disconoscere il principio della personalità della responsabilità penale a favore della affermazione di una responsabilità da posizione.
D’altro canto, la ripartizione delle quote di competenza, rispetto a specifiche quote di rischio, non può e non deve portare ad una automatica deresponsabilizzazione del garante primario con conseguente perdita delle garanzie di colui che, in ogni caso, resta il soggetto debole del rapporto, debitore della sicurezza per eccellenza[15].
- Lavoro agile e sicurezza. Le criticità connesse alla scelta del luogo di lavoro da parte del lavoratore
Il problema della declinazione della tutela della sicurezza del lavoro e della responsabilità del principale garante, il datore di lavoro, in relazione a queste nuove forme di svolgimento dell’attività lavorativa, si pone da tempo[16], e scaturisce, principalmente, dalla inevitabile maggiore difficoltà di riferire la gestione di tutti i rischi al datore di lavoro in quanto i rischi sono in gran parte esterni ai locali dell’azienda e, altresì, connessi a strumentazioni spesso non nella disponibilità del datore. La giurisprudenza ha, certo, da tempo accolto una accezione di luogo di lavoro particolarmente ampia, affermando che «ogni tipologia di spazio può assumere la qualità di luogo di lavoro, a condizione che ivi sia ospitato almeno un posto di lavoro o esso sia accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro»[17], ma ha tuttavia anche precisato che non è possibile rimproverare al datore di lavoro di non aver considerato un rischio che non aveva possibilità di conoscere e dunque attribuirgli le conseguenze che siano concretizzazione di quel rischio [18].
La particolarità del lavoro agile, sotto il profilo della sicurezza, tuttavia, si specifica, rispetto alle altre forme di lavoro a distanza almeno per due aspetti: da un lato comporta una ulteriore esasperazione della rivoluzione della tradizionale dimensione del “luogo di lavoro”; esso infatti sempre più si svincola dall’essere un luogo fisicamente ed originariamente deputato allo svolgimento della prestazione lavorativa cosicché sempre più un luogo normalmente destinato ad altro, diviene luogo di lavoro solo per la circostanza che contrattualmente è previsto che la prestazione possa essere lì svolta. Questo comporta una attenuazione ancora maggiore della equazione organizzazione-luogo di lavoro, e, grazie anche all’apporto della informatizzazione, della dimensione “fisica” dell’organizzazione in cui il lavoratore svolge la propria attività.
Questo peculiare aspetto non può che incidere vistosamente sulla individuazione dei confini e dei contenuti della posizione di garanzia del datore, nel senso di renderla di più complessa ricostruzione, dato che, all’origine della stessa, come visto, è necessario poter riscontrare, in concreto, un effettivo potere di controllo sulla fonte del pericolo che perde, in questo contesto, una dimensione univocamente identificabile con i luoghi aziendali o comunque con luoghi in qualche modo collegati in all’azienda, in senso fisico[19]. La destrutturazione e dematerializzazione del luogo di lavoro, si riverbera dunque in primo luogo sull’obbligo di valutazione dei rischi, e sulla necessità di delimitare gli ambiti delle posizioni di garanzia tra datore di lavoro e lavoratore, in connessione con l’effettiva dimensione della posizione di controllo e dei poteri cautelativi riferibili all’uno e all’altro.
Ma – e questo è l’altro aspetto di caratterizzazione del lavoro agile – la questione è ancora di più di difficile soluzione perché nel lavoro agile, diversamente di quanto accade nelle altre ipotesi di lavoro a distanza, la scelta del luogo di lavoro può essere lasciata alla libera autodeterminazione del lavoratore stesso.
E’ evidente come la necessità di una redistribuzione delle quote di debito, in presenza di una siffatta evenienza, non può essere disconosciuta. In tal caso, infatti, è senza dubbio il lavoratore il soggetto più consapevole del rischio in quanto più “vicino” alla fonte del pericolo, e quindi, dotato di quel “potere cautelativo” normalmente riconoscibile in capo al datore di lavoro. Il lavoratore, infatti, con la scelta del luogo di lavoro, acquisisce un ruolo accresciuto nella organizzazione aziendale e dunque nella prevenzione organizzata, alterando ulteriormente, così, la contrapposizione tra predominio cautelativo del datore e vulnerabilità del lavoratore che si fonda, come abbiamo detto, sulla circostanza che il prestatore di lavoro, normalmente, e comunque nel modello tradizionale della attività di impresa, presta la sua attività lavorativa in un contesto (anche in un luogo dunque) pensato, predisposto organizzato (e quindi gestibile – solo) da altri.
La scelta autonoma, da parte del lavoratore, del luogo deputato allo svolgimento della prestazione è in effetti prevista dalla maggior parte degli accordi sindacali di lavoro agile: alcuni, ma non tutti, peraltro, prevedono che la scelta sia preventivamente comunicata al datore di lavoro, comunicazione che in ogni caso attenua ma non elimina la difficile compatibilità tra la scelta del luogo in autonomia ed il predominio cautelativo del datore; la complessità della situazione è testimoniata in modo evidente dal fatto che anche gli accordi più dettagliati ed esaustivi, di fatto, si limitano a delegare allo stesso lavoratore il riconoscimento e, quindi, in definitiva, la valutazione dei rischi connessi alla scelta fatta[20].
- L’art. 22 legge 81/2017: dal rischio di uno svilimento delle garanzie di tutela al rischio di una totalizzazione della posizione di garanzia del datore di lavoro.
La disciplina della sicurezza per il lavoro agile è contenuta nell’art. 22 della legge 81/2017, secondo il quale, «Il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile e a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro».
La eccessiva genericità insieme alla totale mancanza di coordinamento esplicito con la normativa generale in tema di sicurezza contenuta del d.lgs. 81/2008 non hanno certo contribuito a fare chiarezza in ordine alle criticità sopra evidenziate. Interpretare la disposizione, come ipotizzato da taluno, nel senso che la consegna della informativa esaurisca l’obbligo prevenzionistico del datore, comporterebbe senza dubbio una riduzione inaccettabile dello standard di tutela del lavoratore agile rispetto agli altri lavoratori; la interpretazione, dunque, più condivisibile è senz’altro quella rivolta ad una massima ottimizzazione delle garanzie per il lavoratore agile, attraverso uno stretto coordinamento dell’incipit della norma, e cioè dell’asserzione del ruolo di garante del datore di lavoro, con la previsione dell’obbligo di consegna della informativa. In tal modo, si ricaverebbe un rinvio implicito agli obblighi generali previsti dal titolo I del d.lgs. 81/2008, all’art. 28: il datore di lavoro, dunque, anche in presenza di una modalità agile, non potrebbe che essere gravato del generale obbligo di valutazione di tutti i rischi, tra i quali, anche, quelli più tipicamente connessi alla modalità smart[21]. La finalizzazione della informativa rispetto alla garanzia della sicurezza e salute, inoltre, dovrebbe scongiurare il rischio di una predisposizione generica ed astratta del documento da molti paventata.
Una siffatta interpretazione, senz’altro degna di plauso perché volta ad evitare il pericolo di un abbassamento della soglia delle garanzie nello smart working, rischia però di delineare una figura di datore di lavoro che si presume essere una sorta di “superuomo”, e al quale viene attribuito un totalizzante obbligo di conoscenza e valutazione di tutti i rischi, a cui non corrisponde affatto un reale potere ed una capacità di gestione degli stessi.
In questo modo si asseconda, dunque, quella tendenza, tipica della giurisprudenza penale in materia di infortuni sul lavoro, che estende l’ambito della posizione di garanzia del datore di lavoro, a prescindere dall’esistenza in concreto di una relazione tra il potere di signoria del garante e lo specifico bene offeso, e che arriva in questo modo a delineare una figura modello di datore di lavoro onnisciente e onnipotente[22]. Con buona pace del principio di effettività[23] e delle più recenti declinazioni del significato di posizione di garanzia, secondo le quali il garante, «è in generale, colui che è deputato a governare quella sfera di rischio specifica e al garante saranno, dunque, da imputare solo quegli eventi che risulteranno essere la concretizzazione del tipo di rischio che rientra nella sua specifica competenza»[24].
Sempre su questa linea interpretativa, assolutamente condivisibile, garante è colui che è chiamato, pro quota, secondo la sua “competenza”, a gestire e ad organizzare specifici fattori di rischio e l’individuazione della responsabilità penale deve quindi filtrare attraverso «una accurata analisi delle diverse sfere di competenza gestionale ed organizzativa all’interno di ciascuna istituzione»[25].
Diviene così fondamentale «separare le sfere di responsabilità, in modo che il diritto penale possa realizzare la sua vocazione ad esprimere un ben ponderato giudizio sulla paternità dell’evento illecito», nell’ottica della garanzia della responsabilità per fatto proprio[26].
In sintesi: per scongiurare forme di responsabilità da posizione, l’infortunio deve essere imputato al soggetto e solo al soggetto cui compete la gestione del rischio, il controllo della specifica fonte di quel pericolo che si è concretizzato nell’evento lesivo.
La semplicità delle premesse è solo apparente: nessuno vuole negare che nella pratica, certo, il processo rischia di diventare particolarmente complesso e che i nodi devono quindi essere sciolti con grande cautela ed attenzione, soprattutto quando ad essere coinvolta nel giudizio di imputazione, è la posizione del lavoratore.
E’ altresì intuitivo che l’uso di tale criterio presuppone che anche il lavoratore sia chiamato a farsi carico di una quota di gestione di rischi specifici e che sia dunque chiamato a svolgere un ruolo di compartecipe attivo nel sistema della prevenzione[27].
Ma questo è effettivamente ciò che sembra emergere con evidenza nella disciplina normativa del lavoro agile dettata dalla l. 81/2017 e questo aspetto deve, quindi, senza dubbio essere valorizzato.
- Per concludere: la formazione come chiave per garantire una sicurezza accettabile
Un altro aspetto che deve essere ritenuto fondamentale per l’implementazione della sicurezza nel lavoro agile, aspetto anche questo probabilmente non adeguatamente valorizzato dalla legge del 2017, è quello della formazione del lavoratore [28].
L’obbligo della formazione assume effettivamente una centralità nuova nell’ambito della visione della prevenzione come prevenzione partecipata, la cui effettività «dipende non solo dal tasso di partecipazione e di consenso, ma anche dal grado di consapevolezza e di conoscenza dei destinatari della tutela, quanto alla natura del rischio diffuso nell’ambiente di lavoro»[29].
Se la comparsa di un autonomo obbligo di formazione a carico del datore di lavoro risale già al d.lgs. 626/94, è senz’altro il t.u. del 2008 che ha innovato rispetto alla precedente normativa, sia prevedendo un corrispondente obbligo di “formarsi” del lavoratore, sia, soprattutto, delineando, una definizione di “formazione” di grande spessore, quale vero e proprio «processo educativo attraverso il quale trasferire ai lavoratori e agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale, conoscenze e procedure utili all’acquisizione di competenze per lo svolgimento dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi» (art. 2, lett. aa). La formazione, dunque, assume un significato sostanziale, dovendo tendere alla modificazione dei comportamenti delle persone a cui è destinata in vista di un innalzamento della percezione del rischio e della capacità di gestirlo[30]. In questa prospettiva, il processo di formazione dovrebbe avere come esito un lavoratore in grado «non solo di identificare i rischi, ma anche di agire di conseguenza»[31]. L’idea alla base della valorizzazione del momento formativo è che il riequilibrio delle capacità cognitive della parte più debole del rapporto di lavoro – e dunque il pieno sviluppo della soggettività del lavoratore – sia uno degli strumenti privilegiati per garantire un miglior livello di protezione[32].
La formazione è oggi considerata la vera scommessa su cui si gioca l’effettività della sicurezza del lavoro nell’azienda moderna: una vera e adeguata formazione dovrebbe dunque far si che la cultura prevenzionale diventi «un corredo abituale del modus operandi» del lavoratore[33].
Ora in un contesto come quello dal lavoro agile, fortemente improntato ad una accentuazione della autodeterminazione del lavoratore, l’obbligo formativo dovrebbe essere connotato da una effettività e specificità ancora maggiore che nella modalità ordinaria di svolgimento della prestazione all’interno dei locali aziendali. Un sistema che investa sull’incremento della autonomia e della responsabilità del lavoratore, e correlativamente sull’incremento del suo livello di impegno e della sua capacità di collaborazione nell’attuazione delle misure prevenzionali, non può che garantire le necessarie basi culturali[34].
A questo proposito l’art. 20 della legge 81/2017, fa riferimento solo alla possibilità che nell’accordo sia previsto per il lavoratore «il diritto all’apprendimento permanente, in modalità formali, non formali o informali, e alla periodica certificazione delle relative competenze» senza nessun richiamo alla normativa generale, né ulteriori specificazioni. Ma diviene invece imprescindibile, per la effettività della prevenzione e dell’obbligo di cooperazione, esplicitato a carico del lavoratore agile dall’art. 22, che si provveda ad una formazione, un informazione e un addestramento rinforzati che rendano il lavoratore – non solo formalmente – edotto dei rischi tipici di questa modalità di lavoro. Si pensi da un lato, ai rischi più tradizionali, connessi all’uso degli strumenti informatici e tecnologici[35], ma anche ai c.d. rischi psicosociali, particolarmente evidenti specialmente nel lavoro a distanza, amplificati dall’isolamento sociale, dalle minori opportunità di usufruire del supporto di superiori e colleghi, con conseguente, tra l’altro, minore identificazione con la propria organizzazione del lavoro[36] .
Il principio di collaborazione del lavoratore assume un ruolo di grande rilievo in relazione al tema della disconnessione, intesa come diritto/dovere, «essendo nella disponibilità materiale del lavoratore la possibilità di “staccarsi dalla rete” ed accantonare il lavoro, in particolare quando questo si compie nello stesso luogo in cui si svolge anche la vita privata del lavoratore»[37]; anche dunque con riferimento al rischio di confusione tra vita privata e vita professionale, e alla corretta gestione dei tempi di lavoro e di riposo, la formazione dovrà veicolare la giusta consapevolezza e gli strumenti adeguati[38].
In definitiva, se una delle tipicità del lavoro agile è mettere al centro dell’organizzazione la persona, allo scopo di promuovere congiuntamente benessere e produttività, come in effetti si legge in apertura dell’art. 18 l. 81/2017 (« Le disposizioni del presente capo, allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, promuovono il lavoro agile»); se strumenti principe per il raggiungimento di questa centralità sembrano essere l’investimento sulla collaborazione, sulla capacità della persona di essere responsabile e di gestire la propria autonomia, e dunque la fiducia più che il controllo, [39] ci sembra che questa nuova modalità di lavoro, correttamente interpretata, possa rappresentare un passaggio importante verso una visione della organizzazione produttiva e della sicurezza come valori comuni ai molteplici soggetti che ne fanno parte, primo fra tutti il lavoratore.
[1] Ne hanno promosso il ricorso i Decreti del Presidente del Consiglio del 23 e del 25 febbraio 2020 per le prime zone rosse, quelli successivi del 1, del 4 e dell’8 marzo per l’intero territorio nazionale, il Protocollo sulla Sicurezza sui luoghi di lavoro tra Governo e Parti Sociali del 14 marzo 2020, e il decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020.
[2] I datori di lavoro hanno infatti la facoltà di convertire, con un provvedimento unilaterale temporaneo, la modalità ordinaria di esecuzione della prestazione di lavoro in modalità agile. Viene meno dunque l’aspetto consensuale della modalità agile, anche sul piano della determinazione delle forme organizzative che, a differenza di quanto richiesto nella l. 81/2017, vengono definite dal datore di lavoro, e non tramite un accordo con il lavoratore. Inoltre, divergono senz’altro le finalità: la legge n. 81 del 2017 assegna al lavoro agile la finalità di incremento della competitività e di conciliazione dei tempi di vita e lavoro (art. 18).
Sul lavoro agile previsto per far fronte all’emergenza Coronavirus, si veda, Alvino, È configurabile un diritto del lavoratore al lavoro agile nell’emergenza COVID-19?, in Giustiziacivile.com, 8 aprile 2020; Apa, Smart working al tempo del Coronavirus fra diritto alla disconnessione e poteri di controllo, Il Giuslvorista, 1 aprile 2020; Rausei, Lavoro agile e contrasto al virus covid-19, in DPL, 2020, 11, 668 ss.; Senatori, Attivazione del lavoro agile e poteri datoriali nella decretazione emergenziale, in Giustiziacivile.com, 24 marzo 2020.
[3] In argomento si veda, senza pretesa di esaustività, Allamprese, Pascucci, La tutela della salute e della sicurezza del lavoratore “agile”, in RGLPS, 2017, fasc. 2, I, 307 ss; Caponetti, L’obbligo di sicurezza al tempo di Industry 4.0, in DSL 2018, 1, 42 ss.; Lai, Salute e sicurezza e lavoro agile, in RIMP 2016, 3, 465 ss.; Malzani, Il lavoro agile tra opportunità e nuovi rischi per il lavoratore, in DLM 2018 fasc. 1, 1 ss.; Mancuso Severini, Il futuro del lavoro è oggi: lo smart working. Quali sfide per i modelli di tutela antinfortunistica, ivi 2017, 1, 33 ss.; Martone, Lo smart working nell’ordinamento italiano, in DLM, 2018, fasc. 2, 293 ss.; Peruzzi, Sicurezza e agilità quale tutela per lo smart worker?, in DSL 2017, 1, 5 ss.; Sciotti, Il lavoro agile e la sua specialità, in RIMP, 2017, 3, 355 ss.; Tiraboschi, Il lavoro agile tra legge e contrattazione collettiva: la tortuosa via italiana verso la modernizzazione del diritto del lavoro , in DRI, 2017, 921; Verzaro, Fattispecie della prestazione agile e limite dell’autonomia individuale, RIDL 2019, 2, I, 253 ss.
[3] Peraltro anche i mezzi informatici, in assenza di una esplicita previsione normativa che preveda siano forniti dal datore di lavoro, possono essere di proprietà del lavoratore, circostanza, questa, che rende ancora più critico individuare una posizione di controllo del garante
[4] Con conseguente applicabilità al lavoro agile della disciplina dettata per il telelavoro, ad esempio l’art. 3 comma 10 del d.lgs. 81/2008. Così Peruzzi, Sicurezza e agilità, cit., 7; Tiraboschi, Il lavoro agile, cit., 297
[5] Cfr. la ricostruzione del dibattito in Sciotti, Il lavoro agile, cit., 384. L’opzione maggiormente seguita è quella che individua nella continuità e regolarità della prestazione resa al di fuori dei locali aziendali il dato differenziale.Così, tra gli altri Lai, Evoluzione tecnologica, e tutela del lavoro: a proposito di smart working e di crowd working , in DRI, 2017, 4, 988; Peruzzi, Sicurezza e agilità, cit., 7; Tiraboschi, Il lavoro agile, cit., 297.
[6] Mancuso Severini, Il futuro del lavoro è oggi: lo smart working. Quali sfide per i modelli di tutela antinfortunistica?, in RIMP, 2017, fasc.1, 35; Papa, Dallo smart working alla gig economy, Altalex ed., 18 ss.
[7] Tanto che secondo qualcuno la linea di discrimine è ormai sempre più flebile: Peruzzi, Sicurezza e agilità, cit., 2 ss.
[8] Delogu, Salute e sicurezza nei nuovi lavori: le sfide prevenzionali nella gig economy e nell’industria 4.0, in RSL 2018/2, 37 ss. ; Lai, Evoluzione tecnologica, cit., 985.; Sciotti, Il lavoro agile, cit. 355 ss.
[9] Pascucci, Note sul futuro del lavoro salubre e sicuro…e sulle norme sulla sicurezza di rider & co, in DSL, 2019,1,37 ss.; Magnani, I temi e i luoghi del lavoro. L’uniformità non si addice al post-fordismo, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT, 2019/ 404, 7; Cairoli, La delimitazione del lavoro agile nella legge e nei contratti collettivi: sovrapposizioni e possibili distinzioni, ivi, 2017, 7 ss.
[10] Corso, Sfide e prospettive della rivoluzione digitale: lo smart working, in DRI, 2017,4, 978.
[11] Sulla svolta sotto questo specifico profilo, operata dal d.lgs. 626/94, Del Punta, Diritti e obblighi del lavoratore: informazione e formazione in Montuschi, (a cura di), Ambiente, Salute e Sicurezza, Torino, 1997, 157 ss.; nello stesso volume, M. Mantovani, Responsabilità per inosservanza degli obblighi istituiti dal d.lgs. n. 626 del 1994, e principio di affidamento, 295 ss.; Montuschi, I principi generali del d.lgs. 626 del 1994, 49. Per una ricostruzione dei vari passaggi dell’evoluzione del ruolo del lavoratore, sia consentito rinviare a Tordini Cagli, Sfere di competenza e nuovi garanti: quale ruolo per il lavoratore?, in lalegislazionepenale.eu, 4 gennaio, 2020
[12] Obbligo di cooperazione che si intende rafforzato sia rispetto a quello previsto dall’art. 20 del d.lgs. n. 81/2008 (o all’obbligo di corretta applicazione delle misure di prevenzione previsto per i telelavoratori dall’art. 3 co. 10 d.lgs. n. 81/2008) nonché al tradizionale obbligo di leale cooperazione, in una direzione di coinvolgimento attivo e di ulteriore responsabilizzazione del prestatore di lavoro nella prevenzione della sicurezza. Così tra gli altri S. Caponetti, L’obbligo di sicurezza, cit., 52; Tullini, La formazione per la sicurezza sul lavoro, in DSL 2017, 1, 82
[13] Grasso, Il reato omissivo improprio. La struttura obbiettiva della fattispecie, Milano, 1983; Micheletti, La posizione di garanzia nel diritto penale del lavoro, in RTDPE, 2011, pp. 157 ss.
[14] Sul tema della posizione di garanzia e della responsabilità per omesso impedimento dell’evento la letteratura è sterminata. Tra le tantissime opere, cfr. le fondamentali monografie di Grasso, Il reato omissivo improprio, cit.; Sgubbi, Responsabilità penale per omesso impedimento dell’evento, Padova, 1975; Fiandaca, Il reato commissivo mediante omissione, Milano, 1979; Leoncini, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia, e obbligo di sorveglianza, Torino, 1999.
[15] Mette in evidenza i rischi insiti della valorizzazione dell’autonomia da parte della l. 81/2017, M. Cuttone, Oltre il paradigma dell’unità di luogo tempo e azione: la revanche dell’autonomia individuale nella nuova fattispecie di lavoro agile , in, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona” , 6/2017, 54 ss.
Lo spazio particolarmente ampio che la legge 81/2017 ha lasciato alla contrattazione individuale «presupporrebbe una parità d’armi fra le parti che nella realtà difficilmente sarà verificabile»: il riconoscimento della autonomia individuale rischia dunque di tradursi « nell’infiltrazione dei desiderata e delle priorità del datore di lavoro con detrimento della posizione giuridica del prestatore di lavoro»
[16] In particolare il pensiero va alle problematiche poste dal telelavoro; ma, con implicazioni diverse, si pongono questioni di ridefinizione delle sfere di competenza in tutti i casi di lavoro flessibile caratterizzati dalla delocalizzazione e dalla disarticolazione: lavori in appalto; lavori in cantieri; lavori in regime di somministrazione…
[17] Cass. pen. Sez.IV, 5.10.2017, n. 45808. Nello stesso senso, Cass. pen. Sez. fer., 27.08.2019, n. 4531(secondo cui, ogni tipologia di spazio può assumere la qualità di luogo di lavoro, se vi sia ospitato almeno un posto di lavoro o sia accessibile al lavoratore); entrambe le pronunce sono leggibili in www.olympusuniurb.it,
[18] Cass. pen. Sez. IV, n. 45808, cit.,
[19] Peraltro anche i mezzi informatici, in assenza di una esplicita previsione normativa che preveda siano forniti dal datore di lavoro, possono essere di proprietà del lavoratore, circostanza, questa, che rende ancora più critico individuare una posizione di controllo del garante.
[20] Sul punto per un’ampia esemplificazione, vedi Caponetti, L’obbligazione di sicurezza, cit., 47; Tiraboschi, IL lavoro agile, cit., 921 ss.
[21] Così R. Guariniello, La sicurezza del lavoro al tempo del Coronavirus, Milano 2020, 19 ss.;cfr. anche Lai, Salute e sicurezza nel lavoro agile, cit., 470; Pelusi, La disciplina di salute e sicurezza applicabile al lavoro agile, in DRI, 2017, 4, 1041 ss.
[22] Castronuovo, Profili relazionali della colpa nel contesto della sicurezza sul lavoro. Autoresponsabilità o paternalismo penale? in Arch pen.(web) 2019, 2, 4 ss.; Giunta, Il reato colposo nel sistema delle fonti, in Donini, Orlandi, (a cura di), Reato colposo e modelli di responsabilità, Bologna, 2013, 76 ss..
[23] In giurisprudenza, sul principio di effettività, tra tutte, Cass. pen. S.U., 24 .04.2014, n. 38343, Espenhahn (p. 107): «nell’ambito delle organizzazioni complesse, di impronta societaria, la veste datoriale non può essere attribuita solo sulla base di un criterio formale, magari indiscriminatamente estensivo, ma richiede di considerare l’organizzazione dell’istituzione, l’individuazione delle figure che gestiscono i poteri che danno corpo a tale figura».
[24] Così Cass. pen. .S.U. cit. ,106
[25] Ibidem
[26] Ancora Cass. pen. S.U.,24.04.2014, n. 38347, cit., p. 106; anche già Blaiotta, Causalità giuridica, Torino, 2010, 195 ss. Emerge con chiarezza, da questi passaggi argomentativi, il riferimento alla teoria della imputazione legata alla separazione delle competenze, in tempi recenti riproposta da autorevoli voci nel dibattito italiano in tema di compartecipazione e di colpa e adottata con una certa assiduità dalla giurisprudenza penale nel settore della attività di impresa e della sicurezza sul lavoro in genere. In particolare Cornacchia, Concorso di colpe e principio di responsabilità penale per fatto proprio, Torino, 2004, passim; id. in, Canestrari, Cornacchia, De Simone, Manuale di diritto penale, Bologna, II ed., 217 ss.; vedi altresì Blaiotta, L’imputazione oggettiva nei reati di evento alla luce del testo unico sulla sicurezza del lavoro, in Cass. pen., 2009, 2263 ss. Id, Causalità giuridica, cit., 151 ss.; in giurisprudenza, tra le altre, Cass. pen., Sez. IV, 28.5.2013, n. 37738; Cass. pen., sez. IV, 23.11.2012, n. 49821 (in www.olympus.uniurb.it)
[27] Micheletti, La responsabilità esclusiva del lavoratore per il proprio infortunio, in Criminalia 2014, 356 ss.
[28] Caponetti, L’obbligazione di sicurezza, cit., 51, il quale mette inevidenza come molti sono gli accordi che evidenziano l’aspetto della formazione.
[29] Così Montuschi, I principi generali, cit., 53.
[30] Grotto, Obbligo di informazione e formazione dei lavoratori, nesso di rischio e causalità della colpa, in Dir. pen. cont., 25 settembre 2012, 3 ss..
[31] Grotto, Obbligo di informazione, cit., 6
[32] Pascucci, Prevenzione, cit., p. 85; Stolfa, Leccese, La cultura della sicurezza fra organizzazione e formazione, in Dir. Sic. Lav., 2016, 1, 60; in argomento, altresì, Carollo, Informazione e formazione dei lavoratori, in Tiraboschi (a cura di), Il Testo Unico della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, Milano, Giuffrè, 2008, 489 ss.; Cinquina, La formazione continua per la sicurezza dei lavoratori, in Sicurezza & Ambiente, 2012, 10, 38 ss.; Fantini, Giuliani, Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Le norme, l’interpretazione, la prassi, Milano, 2011, pp. 179 ss.; Tullini, La formazione, cit.
[33] Così Stolfa, Leccese, La cultura della sicurezza, cit., 60. Dato confermato anche da alcuni studi sul campo: in uno studio recente condotto su duecento lavoratori di un’industria metalmeccanica è stata rilevata una bassissima percezione del rischio ed una superficiale adesione alle procedure di sicurezza (studio riportato da Caponetti, L’obbligo di sicurezza, cit. 54)
[34] Di interesse lo studio di Taylor e Snyder , riportato da Caponetti, ivi., che hanno dimostrato – seppur in una prova di laboratorio – come la percezione del rischio e la relativa messa in atto di misure di protezione durante il lavoro ha notevoli margini di miglioramento se è lo stesso lavoratore ad essere libero di scegliere: quando l’individuo sa di essere il solo responsabile della sua protezione, possono riscontrarsi significativi e positivi risultati sulla percezione del rischio.
[35] Già previsti nel dettaglio ed elencati nell’art. 174 Tu 81/2008: rischi per la vista e per gli occhi;
problemi legati alla postura ed all’affaticamento fisico o mentale; condizioni ergonomiche e di igiene ambientale,
[36] Sui rischi psicosociali e su come possono declinarsi in relazione alle modalità di lavoro da remoto ed in particolare in relazione alla modalità agile, vedi, Fraccaroli, Depolo, Salute psicologica e lavoro: fattori di rischio occupazionale e organizzativo, in Giornale DLRI, 2017, 640 ss.; Loi, La Gig economy nella prospettiva del rischio, in RGL, 2017, 1, 259; Malzani, IL lavoro agile tra opportunità e nuovi rischi per il lavoratore, in DLM, 2018, 17 ss.; Paolantonio, L’attenzione alla salute nel lavoro Smart e digitale, in ISL, 2020, 11; Pelusi, La disciplina , cit., 1041 ss.
[37] Così De Nardo, Lavoro agile, categorie giuridiche e diritto alla disconnessione: uno sguardo al futuro e a qualche nodo irrisolto , in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona“, 6/2017 , 180.
Nello specifico sul diritto alla disconnessione nel lavoro agile, cfr., Dagnino, Il diritto alla disconnessione nella legge n. 81/2017 e nell’esperienza comparata in DRI 2017, 4, 1024; Romeno, La connessione continua dei lavoratori: vs il prevalente diritto costituzionale ai riposi, in ADL, 2019,2, 116; Sciotti, IL lavoro agile e la sua specialità, cit., 376; Timellini, La disconnessione bussa alla porta del legislatore, in Variazioni su temi di diritto del lavoro, 2019, 1, 315 ss.; Zeppilli, Disconnessione: un’occasione mancata per il legislatore?, in RGLPS, 2019, 305 ss.; Zucaro, Il diritto alla disconnessione tra interesse collettivo e individuale. Possibili profili di tutela, in Labour & Law, vol. 5, n. 2, 2019, 214 ss.
[38] Sul punto Dagnino, Il diritto alla disconnessione cit., 1025
[39] Corso, Sfide e prospettive, cit., 980, che scrive che con lo smart working, «si passa da un management tradizionale orientato al presenzialismo e al controllo degli adempimenti, ad uno nuovo che ha dei principi che sono profondamente diversi: il superamento della cultura del sospetto e del formalismo a favore di una fiducia misurata e controllata nei confronti del lavoratore»; nello stesso senso, Paolantonio, L’attenzione alla salute, cit., 3; Caponetti, L’obbligazione di sicurezza, 60 , secondo cui «non è un segreto che accrescere davvero la cultura della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è necessario il coinvolgimento delle persone, delle buone relazioni, in grado di produrre buone prassi e risultati tangibili»
Smart working, sicurezza e responsabilità penale. Alcuni spunti problematici
Dopo aver analizzato brevemente i principali profili di novità del c.d. lavoro agile, come disciplinato dalla l. 81/2017, il contributo mette in luce le criticità sul piano della delimitazione dell’ ambito di estensione della posizione di garanzia del datore di lavoro e la necessità di ricalibrare la netta contrapposizione tra predominio cautelativo del datore di lavoro e condizione di vulnerabilità del lavoratore, propria del contesto produttivo tradizionale.
After having briefly analyzed the main profiles of novelty of smart work, as regulated by l. 81/2017, the essay points out the critical issues of the extension of the employer’s guarantee position and the need to recalibrate the clear contrast between the employer’s precautionary dominance and the vulnerability of the worker, typical of the traditional productive context
Sommario: 1. Premessa. – 2. Il c.d. lavoro agile nella disciplina dettata dalla l. 81/2017 – 3. La delimitazione delle competenze e la ridefinizione delle posizioni di garanzia – 4. Lavoro agile e sicurezza. Le criticità connesse alla scelta del luogo di lavoro da parte del lavoratore – 5. L’art. 22 legge 81/2017: dal rischio di uno svilimento delle garanzie di tutela al rischio di una totalizzazione della posizione di garanzia del datore di lavoro. – 6. Per concludere: la formazione come chiave per garantire una sicurezza accettabile.
L’emergenza sanitaria di questo periodo ha evidenziato, le potenzialità del lavoro agile valorizzandone una spiccata polifunzionalità, in quanto strumento in grado di favorire la tutela della salute dei lavoratori e dunque il contenimento del contagio attraverso l’isolamento domiciliare, ma anche di garantire la continuità produttiva in casi di calamità ed eventi imprevedibili.
Lo stesso Governo lo ha incluso fin dall’inizio tra le misure di contrasto al COVID-19, pur forzandone, attraverso una disciplina ad hoc, le stesse funzioni originarie ed alcune caratteristiche fondanti[1].
Nella consapevolezza del fatto che il lavoro agile previsto nella fase emergenziale del Coronavirus non si identifica perfettamente con lo smart working disciplinato, in via ordinaria, dalla l. 81/2017- differenziandosene anzi per alcuni caratteri fondamentali[2] – tuttavia la situazione attuale offre l’occasione per un approfondimento delle linee fondamentali dell’istituto, con specifico riferimento alla materia della sicurezza. In effetti non è improbabile che il ricorso a questa modalità di svolgimento del rapporto di lavoro, già in parte adottata da alcune realtà aziendali precedentemente al canone dell’ “#io resto a casa”, troverà in futuro una applicazione sempre più diffusa e sarà quindi ancora più necessario confrontarsi con alcune criticità che la normativa esistente sembra non aver affrontato o aver affrontato in modo eccessivamente generico.
La disciplina del c.d. lavoro agile (o smart working) ha trovato una sua organica previsione nella l. 81/2017, (Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato). Si tratta, secondo quando desumibile dallo stesso art. 18 della legge, non di una diversa tipologia contrattuale, ma di una nuova modalità di svolgimento del lavoro subordinato, in particolare del lavoro a distanza, caratterizzata da una particolare flessibilità e da una particolare disarticolazione organizzativa della prestazione lavorativa[3] . Secondo, infatti, la lettera dell’art. 18, il lavoro agile è una «modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva».
Come noto, lo svolgimento a distanza della prestazione lavorativa non è una realtà nuova, ma si ritrova già nel c.d lavoro a domicilio, da sempre utilizzato dai datori di lavoro e oggetto di specifiche discipline che si sono affinate, quanto a garanzie e tutele per il lavoratore, nel corso degli anni. Il progresso tecnologico, poi, la globalizzazione dell’economia, l’esternalizzazione dei processi produttivi hanno modificato sempre più profondamente l’organizzazione del lavoro incidendo in maniera talvolta radicale, tra l’altro, sulle coordinate spazio temporali della prestazione lavorativa. Nasce quindi il “telelavoro”, modalità di prestare il lavoro “a distanza” in cui il lavoratore svolge la propria attività in un luogo esterno rispetto all’azienda, in sedi distaccate dalla sede principale, dove normalmente si concentra il potere direttivo e di controllo del datore di lavoro, o anche nel proprio domicilio, attraverso l’uso di apparecchiature telematiche.
Seppure il telelavoro in Italia non ha avuto una grande diffusione sul piano applicativo, tuttavia, viene considerato il punto di rottura rispetto al modello di produzione tradizionale. Il lavoro, anche subordinato, infatti, si svincola sempre più dai parametri, rigidi, dell’ora di lavoro e della presenza fisica nei locali aziendali; si afferma il lavoro per obbiettivi, fasi e cicli e, dunque, con l’introduzione del telelavoro, secondo molti, l’Italia accede, di fatto, alla “Quarta rivoluzione Industriale”
Le affinità del lavoro agile con il “vecchio” telelavoro sono senz’altro molteplici, tantoché molti considerano il primo una sottocategoria del secondo[4]: tuttavia, e al di là delle diverse opinioni su quali siano, o siano stati, gli elementi differenziali, certamente il telelavoro è ancora legato ad un forte assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore, che definisce anche gli strumenti da usare, le procedure da seguire, gli orari [5].
Resta dunque pressoché invariata “l’eterodeterminazione” da parte del soggetto apicale, elemento tipico dell’attività lavorativa subordinata[6]. Questo per lo meno accadeva nella regolamentazione originaria, che progressivamente ha visto, grazie alla integrazione da parte di accordi con le parti sociali, una riduzione delle rigidità iniziali ed una maggiore flessibilizzazione [7].
Il superamento progressivo della concezione tradizionale del lavoro, nel senso sopra accennato, implica ed esige una sempre maggiore flessibilità della prestazione lavorativa, sia dal punto di vista temporale, che spaziale, che mette definitivamente in crisi la regola della unità di luogo-lavoro e di tempo-lavoro. Dal telelavoro, quindi, si passa al c.d. lavoro agile, (ma anche ad ulteriori modelli ulteriormente estremizzati, c.d. nuovi lavori, quali i crowd working), in cui si accentua ed esaspera proprio il profilo della flessibilità[8]: si assiste così al superamento definitivo del modello improntato alla postazione fissa all’interno dell’azienda con orario prestabilito e alla crescita della autonomia del lavoratore nella determinazione del luogo, del tempo e del modo della prestazione[9]. Da questo punto di vista si messo in evidenza «come lo smart working non sia solamente un’innovazione contrattuale strumentale ad un nuovo modo di organizzare il lavoro, bensì costituisca una nuova filosofia manageriale che tenta di restituire al lavoratore autonomia e flessibilità, in contropartita di una crescente responsabilizzazione sui risultati del lavoro»[10].
Sotto questo profilo, risulta particolarmente emblematica la scelta del legislatore del 2017 di attribuire un grande peso all’accordo delle parti che, secondo il dettato dell’art. 19, sarà la fonte della regolamentazione «dell’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore», oltre che, dei tempi di riposo del lavoratore e delle «misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro».
In questo senso, la disciplina dello smart working sembra proseguire un percorso normativo di accrescimento del ruolo del lavoratore che, da soggetto originariamente relegato ai margini della organizzazione dell’impresa, in una posizione passiva e marginale, progressivamente, a partire dal modello di sicurezza partecipata inaugurato con il d.lgs. 626/1994, è stato incluso nel novero dei debitori della sicurezza in modo sempre più sostanziale, e si è visto coinvolgere in un processo di sempre maggiore responsabilizzazione, chiamato sempre più attivamente a partecipare alla organizzazione e di conseguenza alla prevenzione organizzata[11].
L’accentuazione dell’autodeterminazione del lavoratore – che emerge in maniera manifesta dalla centralità che la disciplina dello smart working riserva alla autonomia privata, e dalla esplicita previsione, all’art. 22 comma 2 di un obbligo a suo carico di cooperazione[12] nella attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro – insieme alla destrutturazione esasperata della concezione tradizionale del luogo di lavoro originano problematiche, se non del tutto nuove, certo per molti aspetti peculiari, sotto l’aspetto della tutela della salute e della sicurezza e della connessa responsabilità penale. In particolare riguardo alla definizione degli ambiti delle posizioni di garanzia.
Sappiamo, infatti, che affinché un soggetto possa assumere la veste di “garante” di un determinato bene giuridico, non è sufficiente che si sia in presenza di una investitura formale, ma diviene imprescindibile l’esistenza di uno stato fattuale[13], caratterizzato da un rapporto preesistente tra un soggetto ed un bene giuridico, in base al quale, il bene giuridico si ponga in una situazione di vulnerabilità, non direttamente dominabile dal titolare, e il garante si trovi in una posizione di predominanza, connessa alla sua effettiva capacità di intervento al fine di tutelare il bene stesso[14].
Questa relazione di vulnerabilità e predominanza (cautelativa), originariamente nitida nel confronto datore di lavoro/lavoratore, si fonda sul fatto che il lavoratore si trovi a svolgere la prestazione dedotta nel contratto di lavoro, nell’ambito di una organizzazione produttiva altrui – pensata e predisposta da altri – il datore di lavoro appunto, e sulla quale non ha, in linea di principio, nessun potere e nessuna capacità di intervento. Nel momento in cui, tuttavia, il lavoratore si vede attribuire ex lege un ruolo sempre più proattivo di cooperazione nella organizzazione, la sua condizione di vulnerabilità si riduce inevitabilmente, con correlativa riduzione altresì, specularmente, dell’aerea di predominio cautelativo del datore di lavoro, e correlativamente dell’ambito di estensione della relativa posizione di garanzia. Così deve essere, per evitare di disconoscere il principio della personalità della responsabilità penale a favore della affermazione di una responsabilità da posizione.
D’altro canto, la ripartizione delle quote di competenza, rispetto a specifiche quote di rischio, non può e non deve portare ad una automatica deresponsabilizzazione del garante primario con conseguente perdita delle garanzie di colui che, in ogni caso, resta il soggetto debole del rapporto, debitore della sicurezza per eccellenza[15].
Il problema della declinazione della tutela della sicurezza del lavoro e della responsabilità del principale garante, il datore di lavoro, in relazione a queste nuove forme di svolgimento dell’attività lavorativa, si pone da tempo[16], e scaturisce, principalmente, dalla inevitabile maggiore difficoltà di riferire la gestione di tutti i rischi al datore di lavoro in quanto i rischi sono in gran parte esterni ai locali dell’azienda e, altresì, connessi a strumentazioni spesso non nella disponibilità del datore. La giurisprudenza ha, certo, da tempo accolto una accezione di luogo di lavoro particolarmente ampia, affermando che «ogni tipologia di spazio può assumere la qualità di luogo di lavoro, a condizione che ivi sia ospitato almeno un posto di lavoro o esso sia accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro»[17], ma ha tuttavia anche precisato che non è possibile rimproverare al datore di lavoro di non aver considerato un rischio che non aveva possibilità di conoscere e dunque attribuirgli le conseguenze che siano concretizzazione di quel rischio [18].
La particolarità del lavoro agile, sotto il profilo della sicurezza, tuttavia, si specifica, rispetto alle altre forme di lavoro a distanza almeno per due aspetti: da un lato comporta una ulteriore esasperazione della rivoluzione della tradizionale dimensione del “luogo di lavoro”; esso infatti sempre più si svincola dall’essere un luogo fisicamente ed originariamente deputato allo svolgimento della prestazione lavorativa cosicché sempre più un luogo normalmente destinato ad altro, diviene luogo di lavoro solo per la circostanza che contrattualmente è previsto che la prestazione possa essere lì svolta. Questo comporta una attenuazione ancora maggiore della equazione organizzazione-luogo di lavoro, e, grazie anche all’apporto della informatizzazione, della dimensione “fisica” dell’organizzazione in cui il lavoratore svolge la propria attività.
Questo peculiare aspetto non può che incidere vistosamente sulla individuazione dei confini e dei contenuti della posizione di garanzia del datore, nel senso di renderla di più complessa ricostruzione, dato che, all’origine della stessa, come visto, è necessario poter riscontrare, in concreto, un effettivo potere di controllo sulla fonte del pericolo che perde, in questo contesto, una dimensione univocamente identificabile con i luoghi aziendali o comunque con luoghi in qualche modo collegati in all’azienda, in senso fisico[19]. La destrutturazione e dematerializzazione del luogo di lavoro, si riverbera dunque in primo luogo sull’obbligo di valutazione dei rischi, e sulla necessità di delimitare gli ambiti delle posizioni di garanzia tra datore di lavoro e lavoratore, in connessione con l’effettiva dimensione della posizione di controllo e dei poteri cautelativi riferibili all’uno e all’altro.
Ma – e questo è l’altro aspetto di caratterizzazione del lavoro agile – la questione è ancora di più di difficile soluzione perché nel lavoro agile, diversamente di quanto accade nelle altre ipotesi di lavoro a distanza, la scelta del luogo di lavoro può essere lasciata alla libera autodeterminazione del lavoratore stesso.
E’ evidente come la necessità di una redistribuzione delle quote di debito, in presenza di una siffatta evenienza, non può essere disconosciuta. In tal caso, infatti, è senza dubbio il lavoratore il soggetto più consapevole del rischio in quanto più “vicino” alla fonte del pericolo, e quindi, dotato di quel “potere cautelativo” normalmente riconoscibile in capo al datore di lavoro. Il lavoratore, infatti, con la scelta del luogo di lavoro, acquisisce un ruolo accresciuto nella organizzazione aziendale e dunque nella prevenzione organizzata, alterando ulteriormente, così, la contrapposizione tra predominio cautelativo del datore e vulnerabilità del lavoratore che si fonda, come abbiamo detto, sulla circostanza che il prestatore di lavoro, normalmente, e comunque nel modello tradizionale della attività di impresa, presta la sua attività lavorativa in un contesto (anche in un luogo dunque) pensato, predisposto organizzato (e quindi gestibile – solo) da altri.
La scelta autonoma, da parte del lavoratore, del luogo deputato allo svolgimento della prestazione è in effetti prevista dalla maggior parte degli accordi sindacali di lavoro agile: alcuni, ma non tutti, peraltro, prevedono che la scelta sia preventivamente comunicata al datore di lavoro, comunicazione che in ogni caso attenua ma non elimina la difficile compatibilità tra la scelta del luogo in autonomia ed il predominio cautelativo del datore; la complessità della situazione è testimoniata in modo evidente dal fatto che anche gli accordi più dettagliati ed esaustivi, di fatto, si limitano a delegare allo stesso lavoratore il riconoscimento e, quindi, in definitiva, la valutazione dei rischi connessi alla scelta fatta[20].
La disciplina della sicurezza per il lavoro agile è contenuta nell’art. 22 della legge 81/2017, secondo il quale, «Il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile e a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro».
La eccessiva genericità insieme alla totale mancanza di coordinamento esplicito con la normativa generale in tema di sicurezza contenuta del d.lgs. 81/2008 non hanno certo contribuito a fare chiarezza in ordine alle criticità sopra evidenziate. Interpretare la disposizione, come ipotizzato da taluno, nel senso che la consegna della informativa esaurisca l’obbligo prevenzionistico del datore, comporterebbe senza dubbio una riduzione inaccettabile dello standard di tutela del lavoratore agile rispetto agli altri lavoratori; la interpretazione, dunque, più condivisibile è senz’altro quella rivolta ad una massima ottimizzazione delle garanzie per il lavoratore agile, attraverso uno stretto coordinamento dell’incipit della norma, e cioè dell’asserzione del ruolo di garante del datore di lavoro, con la previsione dell’obbligo di consegna della informativa. In tal modo, si ricaverebbe un rinvio implicito agli obblighi generali previsti dal titolo I del d.lgs. 81/2008, all’art. 28: il datore di lavoro, dunque, anche in presenza di una modalità agile, non potrebbe che essere gravato del generale obbligo di valutazione di tutti i rischi, tra i quali, anche, quelli più tipicamente connessi alla modalità smart[21]. La finalizzazione della informativa rispetto alla garanzia della sicurezza e salute, inoltre, dovrebbe scongiurare il rischio di una predisposizione generica ed astratta del documento da molti paventata.
Una siffatta interpretazione, senz’altro degna di plauso perché volta ad evitare il pericolo di un abbassamento della soglia delle garanzie nello smart working, rischia però di delineare una figura di datore di lavoro che si presume essere una sorta di “superuomo”, e al quale viene attribuito un totalizzante obbligo di conoscenza e valutazione di tutti i rischi, a cui non corrisponde affatto un reale potere ed una capacità di gestione degli stessi.
In questo modo si asseconda, dunque, quella tendenza, tipica della giurisprudenza penale in materia di infortuni sul lavoro, che estende l’ambito della posizione di garanzia del datore di lavoro, a prescindere dall’esistenza in concreto di una relazione tra il potere di signoria del garante e lo specifico bene offeso, e che arriva in questo modo a delineare una figura modello di datore di lavoro onnisciente e onnipotente[22]. Con buona pace del principio di effettività[23] e delle più recenti declinazioni del significato di posizione di garanzia, secondo le quali il garante, «è in generale, colui che è deputato a governare quella sfera di rischio specifica e al garante saranno, dunque, da imputare solo quegli eventi che risulteranno essere la concretizzazione del tipo di rischio che rientra nella sua specifica competenza»[24].
Sempre su questa linea interpretativa, assolutamente condivisibile, garante è colui che è chiamato, pro quota, secondo la sua “competenza”, a gestire e ad organizzare specifici fattori di rischio e l’individuazione della responsabilità penale deve quindi filtrare attraverso «una accurata analisi delle diverse sfere di competenza gestionale ed organizzativa all’interno di ciascuna istituzione»[25].
Diviene così fondamentale «separare le sfere di responsabilità, in modo che il diritto penale possa realizzare la sua vocazione ad esprimere un ben ponderato giudizio sulla paternità dell’evento illecito», nell’ottica della garanzia della responsabilità per fatto proprio[26].
In sintesi: per scongiurare forme di responsabilità da posizione, l’infortunio deve essere imputato al soggetto e solo al soggetto cui compete la gestione del rischio, il controllo della specifica fonte di quel pericolo che si è concretizzato nell’evento lesivo.
La semplicità delle premesse è solo apparente: nessuno vuole negare che nella pratica, certo, il processo rischia di diventare particolarmente complesso e che i nodi devono quindi essere sciolti con grande cautela ed attenzione, soprattutto quando ad essere coinvolta nel giudizio di imputazione, è la posizione del lavoratore.
E’ altresì intuitivo che l’uso di tale criterio presuppone che anche il lavoratore sia chiamato a farsi carico di una quota di gestione di rischi specifici e che sia dunque chiamato a svolgere un ruolo di compartecipe attivo nel sistema della prevenzione[27].
Ma questo è effettivamente ciò che sembra emergere con evidenza nella disciplina normativa del lavoro agile dettata dalla l. 81/2017 e questo aspetto deve, quindi, senza dubbio essere valorizzato.
Un altro aspetto che deve essere ritenuto fondamentale per l’implementazione della sicurezza nel lavoro agile, aspetto anche questo probabilmente non adeguatamente valorizzato dalla legge del 2017, è quello della formazione del lavoratore [28].
L’obbligo della formazione assume effettivamente una centralità nuova nell’ambito della visione della prevenzione come prevenzione partecipata, la cui effettività «dipende non solo dal tasso di partecipazione e di consenso, ma anche dal grado di consapevolezza e di conoscenza dei destinatari della tutela, quanto alla natura del rischio diffuso nell’ambiente di lavoro»[29].
Se la comparsa di un autonomo obbligo di formazione a carico del datore di lavoro risale già al d.lgs. 626/94, è senz’altro il t.u. del 2008 che ha innovato rispetto alla precedente normativa, sia prevedendo un corrispondente obbligo di “formarsi” del lavoratore, sia, soprattutto, delineando, una definizione di “formazione” di grande spessore, quale vero e proprio «processo educativo attraverso il quale trasferire ai lavoratori e agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale, conoscenze e procedure utili all’acquisizione di competenze per lo svolgimento dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi» (art. 2, lett. aa). La formazione, dunque, assume un significato sostanziale, dovendo tendere alla modificazione dei comportamenti delle persone a cui è destinata in vista di un innalzamento della percezione del rischio e della capacità di gestirlo[30]. In questa prospettiva, il processo di formazione dovrebbe avere come esito un lavoratore in grado «non solo di identificare i rischi, ma anche di agire di conseguenza»[31]. L’idea alla base della valorizzazione del momento formativo è che il riequilibrio delle capacità cognitive della parte più debole del rapporto di lavoro – e dunque il pieno sviluppo della soggettività del lavoratore – sia uno degli strumenti privilegiati per garantire un miglior livello di protezione[32].
La formazione è oggi considerata la vera scommessa su cui si gioca l’effettività della sicurezza del lavoro nell’azienda moderna: una vera e adeguata formazione dovrebbe dunque far si che la cultura prevenzionale diventi «un corredo abituale del modus operandi» del lavoratore[33].
Ora in un contesto come quello dal lavoro agile, fortemente improntato ad una accentuazione della autodeterminazione del lavoratore, l’obbligo formativo dovrebbe essere connotato da una effettività e specificità ancora maggiore che nella modalità ordinaria di svolgimento della prestazione all’interno dei locali aziendali. Un sistema che investa sull’incremento della autonomia e della responsabilità del lavoratore, e correlativamente sull’incremento del suo livello di impegno e della sua capacità di collaborazione nell’attuazione delle misure prevenzionali, non può che garantire le necessarie basi culturali[34].
A questo proposito l’art. 20 della legge 81/2017, fa riferimento solo alla possibilità che nell’accordo sia previsto per il lavoratore «il diritto all’apprendimento permanente, in modalità formali, non formali o informali, e alla periodica certificazione delle relative competenze» senza nessun richiamo alla normativa generale, né ulteriori specificazioni. Ma diviene invece imprescindibile, per la effettività della prevenzione e dell’obbligo di cooperazione, esplicitato a carico del lavoratore agile dall’art. 22, che si provveda ad una formazione, un informazione e un addestramento rinforzati che rendano il lavoratore – non solo formalmente – edotto dei rischi tipici di questa modalità di lavoro. Si pensi da un lato, ai rischi più tradizionali, connessi all’uso degli strumenti informatici e tecnologici[35], ma anche ai c.d. rischi psicosociali, particolarmente evidenti specialmente nel lavoro a distanza, amplificati dall’isolamento sociale, dalle minori opportunità di usufruire del supporto di superiori e colleghi, con conseguente, tra l’altro, minore identificazione con la propria organizzazione del lavoro[36] .
Il principio di collaborazione del lavoratore assume un ruolo di grande rilievo in relazione al tema della disconnessione, intesa come diritto/dovere, «essendo nella disponibilità materiale del lavoratore la possibilità di “staccarsi dalla rete” ed accantonare il lavoro, in particolare quando questo si compie nello stesso luogo in cui si svolge anche la vita privata del lavoratore»[37]; anche dunque con riferimento al rischio di confusione tra vita privata e vita professionale, e alla corretta gestione dei tempi di lavoro e di riposo, la formazione dovrà veicolare la giusta consapevolezza e gli strumenti adeguati[38].
In definitiva, se una delle tipicità del lavoro agile è mettere al centro dell’organizzazione la persona, allo scopo di promuovere congiuntamente benessere e produttività, come in effetti si legge in apertura dell’art. 18 l. 81/2017 (« Le disposizioni del presente capo, allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, promuovono il lavoro agile»); se strumenti principe per il raggiungimento di questa centralità sembrano essere l’investimento sulla collaborazione, sulla capacità della persona di essere responsabile e di gestire la propria autonomia, e dunque la fiducia più che il controllo, [39] ci sembra che questa nuova modalità di lavoro, correttamente interpretata, possa rappresentare un passaggio importante verso una visione della organizzazione produttiva e della sicurezza come valori comuni ai molteplici soggetti che ne fanno parte, primo fra tutti il lavoratore.
[1] Ne hanno promosso il ricorso i Decreti del Presidente del Consiglio del 23 e del 25 febbraio 2020 per le prime zone rosse, quelli successivi del 1, del 4 e dell’8 marzo per l’intero territorio nazionale, il Protocollo sulla Sicurezza sui luoghi di lavoro tra Governo e Parti Sociali del 14 marzo 2020, e il decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020.
[2] I datori di lavoro hanno infatti la facoltà di convertire, con un provvedimento unilaterale temporaneo, la modalità ordinaria di esecuzione della prestazione di lavoro in modalità agile. Viene meno dunque l’aspetto consensuale della modalità agile, anche sul piano della determinazione delle forme organizzative che, a differenza di quanto richiesto nella l. 81/2017, vengono definite dal datore di lavoro, e non tramite un accordo con il lavoratore. Inoltre, divergono senz’altro le finalità: la legge n. 81 del 2017 assegna al lavoro agile la finalità di incremento della competitività e di conciliazione dei tempi di vita e lavoro (art. 18).
Sul lavoro agile previsto per far fronte all’emergenza Coronavirus, si veda, Alvino, È configurabile un diritto del lavoratore al lavoro agile nell’emergenza COVID-19?, in Giustiziacivile.com, 8 aprile 2020; Apa, Smart working al tempo del Coronavirus fra diritto alla disconnessione e poteri di controllo, Il Giuslvorista, 1 aprile 2020; Rausei, Lavoro agile e contrasto al virus covid-19, in DPL, 2020, 11, 668 ss.; Senatori, Attivazione del lavoro agile e poteri datoriali nella decretazione emergenziale, in Giustiziacivile.com, 24 marzo 2020.
[3] In argomento si veda, senza pretesa di esaustività, Allamprese, Pascucci, La tutela della salute e della sicurezza del lavoratore “agile”, in RGLPS, 2017, fasc. 2, I, 307 ss; Caponetti, L’obbligo di sicurezza al tempo di Industry 4.0, in DSL 2018, 1, 42 ss.; Lai, Salute e sicurezza e lavoro agile, in RIMP 2016, 3, 465 ss.; Malzani, Il lavoro agile tra opportunità e nuovi rischi per il lavoratore, in DLM 2018 fasc. 1, 1 ss.; Mancuso Severini, Il futuro del lavoro è oggi: lo smart working. Quali sfide per i modelli di tutela antinfortunistica, ivi 2017, 1, 33 ss.; Martone, Lo smart working nell’ordinamento italiano, in DLM, 2018, fasc. 2, 293 ss.; Peruzzi, Sicurezza e agilità quale tutela per lo smart worker?, in DSL 2017, 1, 5 ss.; Sciotti, Il lavoro agile e la sua specialità, in RIMP, 2017, 3, 355 ss.; Tiraboschi, Il lavoro agile tra legge e contrattazione collettiva: la tortuosa via italiana verso la modernizzazione del diritto del lavoro , in DRI, 2017, 921; Verzaro, Fattispecie della prestazione agile e limite dell’autonomia individuale, RIDL 2019, 2, I, 253 ss.
[3] Peraltro anche i mezzi informatici, in assenza di una esplicita previsione normativa che preveda siano forniti dal datore di lavoro, possono essere di proprietà del lavoratore, circostanza, questa, che rende ancora più critico individuare una posizione di controllo del garante
[4] Con conseguente applicabilità al lavoro agile della disciplina dettata per il telelavoro, ad esempio l’art. 3 comma 10 del d.lgs. 81/2008. Così Peruzzi, Sicurezza e agilità, cit., 7; Tiraboschi, Il lavoro agile, cit., 297
[5] Cfr. la ricostruzione del dibattito in Sciotti, Il lavoro agile, cit., 384. L’opzione maggiormente seguita è quella che individua nella continuità e regolarità della prestazione resa al di fuori dei locali aziendali il dato differenziale.Così, tra gli altri Lai, Evoluzione tecnologica, e tutela del lavoro: a proposito di smart working e di crowd working , in DRI, 2017, 4, 988; Peruzzi, Sicurezza e agilità, cit., 7; Tiraboschi, Il lavoro agile, cit., 297.
[6] Mancuso Severini, Il futuro del lavoro è oggi: lo smart working. Quali sfide per i modelli di tutela antinfortunistica?, in RIMP, 2017, fasc.1, 35; Papa, Dallo smart working alla gig economy, Altalex ed., 18 ss.
[7] Tanto che secondo qualcuno la linea di discrimine è ormai sempre più flebile: Peruzzi, Sicurezza e agilità, cit., 2 ss.
[8] Delogu, Salute e sicurezza nei nuovi lavori: le sfide prevenzionali nella gig economy e nell’industria 4.0, in RSL 2018/2, 37 ss. ; Lai, Evoluzione tecnologica, cit., 985.; Sciotti, Il lavoro agile, cit. 355 ss.
[9] Pascucci, Note sul futuro del lavoro salubre e sicuro…e sulle norme sulla sicurezza di rider & co, in DSL, 2019,1,37 ss.; Magnani, I temi e i luoghi del lavoro. L’uniformità non si addice al post-fordismo, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT, 2019/ 404, 7; Cairoli, La delimitazione del lavoro agile nella legge e nei contratti collettivi: sovrapposizioni e possibili distinzioni, ivi, 2017, 7 ss.
[10] Corso, Sfide e prospettive della rivoluzione digitale: lo smart working, in DRI, 2017,4, 978.
[11] Sulla svolta sotto questo specifico profilo, operata dal d.lgs. 626/94, Del Punta, Diritti e obblighi del lavoratore: informazione e formazione in Montuschi, (a cura di), Ambiente, Salute e Sicurezza, Torino, 1997, 157 ss.; nello stesso volume, M. Mantovani, Responsabilità per inosservanza degli obblighi istituiti dal d.lgs. n. 626 del 1994, e principio di affidamento, 295 ss.; Montuschi, I principi generali del d.lgs. 626 del 1994, 49. Per una ricostruzione dei vari passaggi dell’evoluzione del ruolo del lavoratore, sia consentito rinviare a Tordini Cagli, Sfere di competenza e nuovi garanti: quale ruolo per il lavoratore?, in lalegislazionepenale.eu, 4 gennaio, 2020
[12] Obbligo di cooperazione che si intende rafforzato sia rispetto a quello previsto dall’art. 20 del d.lgs. n. 81/2008 (o all’obbligo di corretta applicazione delle misure di prevenzione previsto per i telelavoratori dall’art. 3 co. 10 d.lgs. n. 81/2008) nonché al tradizionale obbligo di leale cooperazione, in una direzione di coinvolgimento attivo e di ulteriore responsabilizzazione del prestatore di lavoro nella prevenzione della sicurezza. Così tra gli altri S. Caponetti, L’obbligo di sicurezza, cit., 52; Tullini, La formazione per la sicurezza sul lavoro, in DSL 2017, 1, 82
[13] Grasso, Il reato omissivo improprio. La struttura obbiettiva della fattispecie, Milano, 1983; Micheletti, La posizione di garanzia nel diritto penale del lavoro, in RTDPE, 2011, pp. 157 ss.
[14] Sul tema della posizione di garanzia e della responsabilità per omesso impedimento dell’evento la letteratura è sterminata. Tra le tantissime opere, cfr. le fondamentali monografie di Grasso, Il reato omissivo improprio, cit.; Sgubbi, Responsabilità penale per omesso impedimento dell’evento, Padova, 1975; Fiandaca, Il reato commissivo mediante omissione, Milano, 1979; Leoncini, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia, e obbligo di sorveglianza, Torino, 1999.
[15] Mette in evidenza i rischi insiti della valorizzazione dell’autonomia da parte della l. 81/2017, M. Cuttone, Oltre il paradigma dell’unità di luogo tempo e azione: la revanche dell’autonomia individuale nella nuova fattispecie di lavoro agile , in, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona” , 6/2017, 54 ss.
Lo spazio particolarmente ampio che la legge 81/2017 ha lasciato alla contrattazione individuale «presupporrebbe una parità d’armi fra le parti che nella realtà difficilmente sarà verificabile»: il riconoscimento della autonomia individuale rischia dunque di tradursi « nell’infiltrazione dei desiderata e delle priorità del datore di lavoro con detrimento della posizione giuridica del prestatore di lavoro»
[16] In particolare il pensiero va alle problematiche poste dal telelavoro; ma, con implicazioni diverse, si pongono questioni di ridefinizione delle sfere di competenza in tutti i casi di lavoro flessibile caratterizzati dalla delocalizzazione e dalla disarticolazione: lavori in appalto; lavori in cantieri; lavori in regime di somministrazione…
[17] Cass. pen. Sez.IV, 5.10.2017, n. 45808. Nello stesso senso, Cass. pen. Sez. fer., 27.08.2019, n. 4531(secondo cui, ogni tipologia di spazio può assumere la qualità di luogo di lavoro, se vi sia ospitato almeno un posto di lavoro o sia accessibile al lavoratore); entrambe le pronunce sono leggibili in www.olympusuniurb.it,
[18] Cass. pen. Sez. IV, n. 45808, cit.,
[19] Peraltro anche i mezzi informatici, in assenza di una esplicita previsione normativa che preveda siano forniti dal datore di lavoro, possono essere di proprietà del lavoratore, circostanza, questa, che rende ancora più critico individuare una posizione di controllo del garante.
[20] Sul punto per un’ampia esemplificazione, vedi Caponetti, L’obbligazione di sicurezza, cit., 47; Tiraboschi, IL lavoro agile, cit., 921 ss.
[21] Così R. Guariniello, La sicurezza del lavoro al tempo del Coronavirus, Milano 2020, 19 ss.;cfr. anche Lai, Salute e sicurezza nel lavoro agile, cit., 470; Pelusi, La disciplina di salute e sicurezza applicabile al lavoro agile, in DRI, 2017, 4, 1041 ss.
[22] Castronuovo, Profili relazionali della colpa nel contesto della sicurezza sul lavoro. Autoresponsabilità o paternalismo penale? in Arch pen.(web) 2019, 2, 4 ss.; Giunta, Il reato colposo nel sistema delle fonti, in Donini, Orlandi, (a cura di), Reato colposo e modelli di responsabilità, Bologna, 2013, 76 ss..
[23] In giurisprudenza, sul principio di effettività, tra tutte, Cass. pen. S.U., 24 .04.2014, n. 38343, Espenhahn (p. 107): «nell’ambito delle organizzazioni complesse, di impronta societaria, la veste datoriale non può essere attribuita solo sulla base di un criterio formale, magari indiscriminatamente estensivo, ma richiede di considerare l’organizzazione dell’istituzione, l’individuazione delle figure che gestiscono i poteri che danno corpo a tale figura».
[24] Così Cass. pen. .S.U. cit. ,106
[25] Ibidem
[26] Ancora Cass. pen. S.U.,24.04.2014, n. 38347, cit., p. 106; anche già Blaiotta, Causalità giuridica, Torino, 2010, 195 ss. Emerge con chiarezza, da questi passaggi argomentativi, il riferimento alla teoria della imputazione legata alla separazione delle competenze, in tempi recenti riproposta da autorevoli voci nel dibattito italiano in tema di compartecipazione e di colpa e adottata con una certa assiduità dalla giurisprudenza penale nel settore della attività di impresa e della sicurezza sul lavoro in genere. In particolare Cornacchia, Concorso di colpe e principio di responsabilità penale per fatto proprio, Torino, 2004, passim; id. in, Canestrari, Cornacchia, De Simone, Manuale di diritto penale, Bologna, II ed., 217 ss.; vedi altresì Blaiotta, L’imputazione oggettiva nei reati di evento alla luce del testo unico sulla sicurezza del lavoro, in Cass. pen., 2009, 2263 ss. Id, Causalità giuridica, cit., 151 ss.; in giurisprudenza, tra le altre, Cass. pen., Sez. IV, 28.5.2013, n. 37738; Cass. pen., sez. IV, 23.11.2012, n. 49821 (in www.olympus.uniurb.it)
[27] Micheletti, La responsabilità esclusiva del lavoratore per il proprio infortunio, in Criminalia 2014, 356 ss.
[28] Caponetti, L’obbligazione di sicurezza, cit., 51, il quale mette inevidenza come molti sono gli accordi che evidenziano l’aspetto della formazione.
[29] Così Montuschi, I principi generali, cit., 53.
[30] Grotto, Obbligo di informazione e formazione dei lavoratori, nesso di rischio e causalità della colpa, in Dir. pen. cont., 25 settembre 2012, 3 ss..
[31] Grotto, Obbligo di informazione, cit., 6
[32] Pascucci, Prevenzione, cit., p. 85; Stolfa, Leccese, La cultura della sicurezza fra organizzazione e formazione, in Dir. Sic. Lav., 2016, 1, 60; in argomento, altresì, Carollo, Informazione e formazione dei lavoratori, in Tiraboschi (a cura di), Il Testo Unico della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, Milano, Giuffrè, 2008, 489 ss.; Cinquina, La formazione continua per la sicurezza dei lavoratori, in Sicurezza & Ambiente, 2012, 10, 38 ss.; Fantini, Giuliani, Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Le norme, l’interpretazione, la prassi, Milano, 2011, pp. 179 ss.; Tullini, La formazione, cit.
[33] Così Stolfa, Leccese, La cultura della sicurezza, cit., 60. Dato confermato anche da alcuni studi sul campo: in uno studio recente condotto su duecento lavoratori di un’industria metalmeccanica è stata rilevata una bassissima percezione del rischio ed una superficiale adesione alle procedure di sicurezza (studio riportato da Caponetti, L’obbligo di sicurezza, cit. 54)
[34] Di interesse lo studio di Taylor e Snyder , riportato da Caponetti, ivi., che hanno dimostrato – seppur in una prova di laboratorio – come la percezione del rischio e la relativa messa in atto di misure di protezione durante il lavoro ha notevoli margini di miglioramento se è lo stesso lavoratore ad essere libero di scegliere: quando l’individuo sa di essere il solo responsabile della sua protezione, possono riscontrarsi significativi e positivi risultati sulla percezione del rischio.
[35] Già previsti nel dettaglio ed elencati nell’art. 174 Tu 81/2008: rischi per la vista e per gli occhi; problemi legati alla postura ed all’affaticamento fisico o mentale; condizioni ergonomiche e di igiene ambientale,
[36] Sui rischi psicosociali e su come possono declinarsi in relazione alle modalità di lavoro da remoto ed in particolare in relazione alla modalità agile, vedi, Fraccaroli, Depolo, Salute psicologica e lavoro: fattori di rischio occupazionale e organizzativo, in Giornale DLRI, 2017, 640 ss.; Loi, La Gig economy nella prospettiva del rischio, in RGL, 2017, 1, 259; Malzani, IL lavoro agile tra opportunità e nuovi rischi per il lavoratore, in DLM, 2018, 17 ss.; Paolantonio, L’attenzione alla salute nel lavoro Smart e digitale, in ISL, 2020, 11; Pelusi, La disciplina , cit., 1041 ss.
[37] Così De Nardo, Lavoro agile, categorie giuridiche e diritto alla disconnessione: uno sguardo al futuro e a qualche nodo irrisolto , in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona“, 6/2017 , 180.
Nello specifico sul diritto alla disconnessione nel lavoro agile, cfr., Dagnino, Il diritto alla disconnessione nella legge n. 81/2017 e nell’esperienza comparata in DRI 2017, 4, 1024; Romeno, La connessione continua dei lavoratori: vs il prevalente diritto costituzionale ai riposi, in ADL, 2019,2, 116; Sciotti, IL lavoro agile e la sua specialità, cit., 376; Timellini, La disconnessione bussa alla porta del legislatore, in Variazioni su temi di diritto del lavoro, 2019, 1, 315 ss.; Zeppilli, Disconnessione: un’occasione mancata per il legislatore?, in RGLPS, 2019, 305 ss.; Zucaro, Il diritto alla disconnessione tra interesse collettivo e individuale. Possibili profili di tutela, in Labour & Law, vol. 5, n. 2, 2019, 214 ss.
[38] Sul punto Dagnino, Il diritto alla disconnessione cit., 1025
[39] Corso, Sfide e prospettive, cit., 980, che scrive che con lo smart working, «si passa da un management tradizionale orientato al presenzialismo e al controllo degli adempimenti, ad uno nuovo che ha dei principi che sono profondamente diversi: il superamento della cultura del sospetto e del formalismo a favore di una fiducia misurata e controllata nei confronti del lavoratore»; nello stesso senso, Paolantonio, L’attenzione alla salute, cit., 3; Caponetti, L’obbligazione di sicurezza, 60 , secondo cui «non è un segreto che accrescere davvero la cultura della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è necessario il coinvolgimento delle persone, delle buone relazioni, in grado di produrre buone prassi e risultati tangibili»
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