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Sollevata una questione di legittimità costituzionale in materia di porto di armi

Si segnala l’ordinanza del 14.01.2022 con cui il Tribunale di Lagonegro ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 comma 2, prima parte, Legge 110 del 1975, poiché non richiede la verifica delle circostanze di tempo e di luogo atte a configurare il pericolo di offesa alla persona, per violazione dei principi di ragionevolezza e offensività, e dunque degli artt. 3, 25 co. 2 e 27 co. 3 Cost.

Nel caso di specie il soggetto agente veniva fermato, nel pomeriggio, a bordo della propria auto in zona periferica del paese (all’imbocco di una strada statale che conduceva fuori dal centro urbano); nei suoi confronti veniva svolto un controllo dell’autovettura, nel cofano posteriore della quale veniva rinvenuta una sacca con all’interno una roncola, sacca non occultata e rinvenibile immediatamente dopo l’apertura dello sportello del bagagliaio. Il conducente, poi imputato, rendeva una giustificazione generica affermando che la roncola gli serviva per lavori in campagna; poi veicolava prove a discarico in dibattimento.

Vertendosi nell’ipotesi disciplinata dall’art. 4 co. 2, prima parte, L. 110 del 1975, il giudice a quo in primo luogo evidenzia che, alla luce della giurisprudenza dominante, diffusamente citata nell’ordinanza, emergerebbe la responsabilità dell’imputato: infatti, si tratterebbe di un motivo non adeguatamente giustificato. La norma incriminatrice contestata, inoltre, non richiede la verifica delle “circostanze di tempo e di luogo” atte a connotare il pericolo di aggressione a persone, dati di contesto che il giudice rimettente ritiene insussistenti nel caso di specie.

La verifica di tali circostanze segnerebbe, secondo il rimettente, lo spartiacque tra la punibilità e la non punibilità; da qui, la rilevanza della questione per il giudizio in corso.

Quanto alle violazioni dei citati parametri costituzionali, l’ordinanza evidenzia una disparità di trattamento irragionevole tra strumenti “nominati”, di cui all’art. 4 co. 2, prima parte, L. cit., e strumenti “innominati”, di cui alla restante parte del comma 2 cit., nella misura in cui questi ultimi godono di una disciplina più favorevole pur essendo astrattamente annoverabili, tra gli strumenti innominati, oggetti forniti di maggiore carica lesiva rispetto a quella posseduta dagli strumenti tipizzati (ciò si tradurrebbe nella violazione dell’art. 3 Cost.).

Con riferimento alla violazione del principio di offensività, l’ordinanza scorge due momenti di possibile frizione costituzionalmente rilevante, entrambi superabili consentendo al giudice di analizzare i dati di contesto.

Sotto il versante della predisposizione dell’archetipo normativo (reato di pericolo presunto), il giudice rimettente ritiene dubbia l’esistenza della regola empirica per cui chi non riesca, durante il controllo di polizia, a rendere giustificabile il porto abbia per ciò solo intenzione di porsi contro l’incolumità dei consociati, sussistendo prassi giudiziaria che depone in senso contrario.

Quanto alla offensività in concreto, il giudice rimettente ritiene che l’omessa analisi delle circostanze di tempo e di luogo atte a prefigurare con chiarezza il pericolo per la collettività incida sulla impossibilità per l’interprete di verificare l’offesa in concreto, contemporaneamente precludendogli il tentativo di interpretazione conformante, che dovrebbe transitare proprio per il vaglio del contesto spazio-temporale (ciò si tradurrebbe nella violazione degli artt. 25 co. 2 e 27 co. 3 Cost.).

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