Nota a Cassazione penale, sez. III, 21 febbraio 2023 (dep. 19 aprile 2023), n. 16570
Presidente Andreazza, Relatore Corbo, imp. A.A., P.M. Fimiani
Abstract
Il presente contributo analizza i connotati sostanziali della querela e degli atti ad essa contrari, approfondendo il tema dei rapporti tra querela, costituzione e persistenza della parte civile, e rispondendo, da un lato, al quesito circa il significato in termini di querela della persistenza della parte civile durante il giudizio di primo grado e i gradi successivi d’impugnazione; dall’altro, alla domanda se, come parrebbe accreditato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, il giudice sia soggetto legittimato a ricevere la querela.
This essay analyzes the substantial connotations of the lawsuit and of the deeds contrary to it, deepening the theme of the relationship between lawsuit, constitution and persistence of the civil party, and answering, on the one hand, the question about the meaning in terms of lawsuit of the persistence of the civil party during the first instance judgment and the subsequent levels of appeal; on the other, to the question whether, as it would appear to be accredited by the jurisprudence of the Court of Cassation, the judge is the subject entitled to receive the lawsuit.
Sommario: 1. Cenni sulle declinazioni formali e sostanziali della querela; 1.1. La remissione tacita della querela (e la relativa accettazione); 2. Deformalizzazione della querela e costituzione di parte civile; 2.1. Disambiguazione del concetto di persistenza della costituzione di parte civile; 3. Postilla. Il giudice può (davvero) ricevere la querela?
1. Cenni sulle declinazioni formali e sostanziali della querela.
La querela come condizione di procedibilità dell’azione penale rappresenta il più noto impulso esterno, di matrice privatistica, al potere giurisdizionale, siccome, appresa la notitia criminis, l’autorità requirente potrà avviare le attività investigative ma, in difetto di querela proveniente dal titolare del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, non sarà in grado né di richiedere al giudice l’emissione di provvedimenti limitativi di natura cautelare né di esercitare l’azione penale al fine di sentir condannare la persona sottoposta al procedimento. Da parte sua, il giudice, investito di una richiesta cautelare o di condanna, dovrà assumere determinazioni di senso contrario rilevando il difetto di querela[1].
L’impostazione adottata dal legislatore nella regolamentazione del fenomeno della querela globalmente inteso mira a scovare il baricentro tra più interessi in gioco.
In effetti, quanto al momento propositivo, sotto il profilo formale la querela è definita in termini di “dichiarazione” nella quale si manifesta la volontà che si proceda in ordine a un fatto previsto dalla legge come reato.
Tale dichiarazione può essere resa personalmente o a mezzo di un procuratore speciale in forza di una procura rilasciata ai sensi dell’art. 122 c.p.p.[2]
L’art. 337 c.p.p. regola le formalità della querela, e prevede tra le modalità invero meno utilizzate nella prassi il recapito da parte di un incaricato e la spedizione per posta raccomandata, in tal caso richiedendosi quale indefettibile requisito la sottoscrizione autentica del querelante.
Di regola, invece, la querela viene proposta con le forme di cui all’art. 333 co. 2 c.p.p. alle autorità cui può essere presentata denuncia o ad un agente consolare all’estero. Il richiamo all’art. 333 co. 2 c.p.p. sulla denuncia consente che la querela venga proposta oralmente o per iscritto, al pubblico ministero o ad un ufficiale di polizia giudiziaria.
Se è proposta per iscritto, deve essere sottoscritta dal denunciante o dal procuratore speciale; se è proposta oralmente, viene raccolta a verbale, il quale è sottoscritto dal querelante o dal procuratore speciale. In ogni caso, l’autorità che riceve la querela attesta data e luogo della presentazione, identifica il proponente e trasmette gli atti alla Procura.
La disciplina è caratterizzata da un contenimento degli oneri formali, che riguardano in definitiva l’individuazione del soggetto proponente, i caratteri che il mezzo di presentazione della querela deve assumere, e infine l’individuazione del soggetto deputato a riceverla e l’indicazione degli adempimenti che egli è chiamato a svolgere.
I requisiti formali sono necessitati dall’esigenza di fornire certezza all’istanza di punizione e di responsabilizzare la persona offesa dal reato, poiché l’esistenza stessa di una regolare querela è condizione preliminare per l’eventuale irrogazione di una sanzione penale nei confronti del querelato.
L’articolato assetto normativo che regola il momento “positivo” della querela è temperato, nella prassi giudiziaria, da due principi costituiti, da un lato, dalla deformalizzazione della fase dichiarativa; dall’altro, dal c.d. favor querelae, che si manifesta prediligendo l’esistenza dell’istanza di punizione nei casi ambigui.
La giurisprudenza ha costantemente affermato l’elasticità contenutistica della dichiarazione, la quale non richiede formule sacramentali e può essere espressa con locuzioni lessicali tali da manifestare in maniera chiara l’intenzione di procedere penalmente avverso il colpevole. Ha quindi statuito che, nel caso di dubbio sui costrutti linguistici utilizzati, deve ritenersi che il dichiarante abbia inteso chiedere la punizione del reo[3].
Più pressanti esigenze di snellimento e di informalizzazione permeano, invece, la fase “negativa”, costituita dalla rinuncia alla querela, intesa come scelta di non avanzare l’istanza punitiva, dalla remissione della querela (ad opera del querelante), incarnata dall’atto successivo alla proposizione e finalizzato a privare quest’ultima degli effetti che le sono propri, e dall’accettazione della remissione (ad opera del querelato), che costituisce il secondo frammento della fattispecie utile a provocare l’estinzione del reato.
Questi istituti infatti sono regolati dal legislatore in modo da potersi estrinsecare (anche) in maniera del tutto deformalizzata.
Sul punto, soccorrono (a) l’art. 124 c.p. sulla rinuncia tacita alla querela, che si manifesta nel compimento di fatti incompatibili con la volontà di querelare, (b) l’art. 152 c.p., relativo alla remissione tacita (extraprocessuale) della querela, che si attua col compimento, da parte del querelante, di fatti incompatibili con la volontà di persistere nella querela, e (c) l’art. 155 c.p., che regola l’accettazione della remissione, la quale non richiede particolari adempimenti, sintetizzandosi nella mancata ricusazione della remissione, e così assumendo una natura ontologicamente tacita[4].
Non desta stupore che, essendo la rinuncia alla querela istituto raramente sperimentabile nella realtà sociale, molto spesso traducendosi la ritrosia della persona offesa a querelare semplicemente nella mancata esternazione di una istanza punitiva, più diffuso in giurisprudenza è stato il dibattito sui presupposti per ritenere integrata la remissione tacita della querela, ancorata a comportamenti concludenti manifestati in un contesto stragiudiziale ed aventi segno contrario rispetto alla richiesta di punizione già avanzata nelle forme previste; nonché la diatriba sulla significatività di alcuni comportamenti del querelato in grado di dare eventualmente atto della sua accettazione.
Andando per ordine, sul tema della remissione tacita della querela, sono stati esplorati con particolare attenzione i casi della mancata costituzione o della revoca della costituzione di parte civile e quelli della mancata comparizione del querelante in udienza.
Nel primo caso, si è discusso sulla questione se il querelante che non si sia costituito parte civile, o che, dopo essersi costituito parte civile, ne abbia revocato la dichiarazione, manifesti, mediante questo comportamento abdicativo, una chiara remissione di querela.
La giurisprudenza è apparsa costante nel ritenere che in questi casi le vicende negative afferenti alla costituzione di parte civile – mancanza o revoca della costituzione – non appaiono concludenti e non consentono di ritenere venuta meno l’istanza di punizione, in quanto non si traducono in fatti inconciliabili con questa, potendo originare «da cause indipendenti dalla volontà dell’offeso, da circostanze contingenti e da valutazioni non abdicative e remissorie». In effetti, secondo l’orientamento più accreditato, la remissione di querela non è ricavabile neppure dall’accettazione del risarcimento dei danni che, apprezzabile quale comportamento preclusivo della costituzione di parte civile, è giustificabile con una diversa motivazione[5]; diversamente, quando all’accettazione del risarcimento cristallizzato in quietanza si accompagni, ad esempio, anche la rinuncia alle vertenze civili e penali[6].
E’ dunque solido l’approdo ermeneutico secondo cui non vi è interferenza logico-funzionale tra le decisioni del querelante nella materia risarcitoria e l’istanza punitiva: salvo che sussistano diversi e ulteriori elementi di per sé significativi della dismissione della richiesta di procedere, le successive determinazioni “negative” in ordine alla costituzione di parte civile nel processo penale o alla sua persistenza non attestano la cessazione della volontà punitiva, che corre su binari paralleli e non risente delle vicende processuali della parte privata[7].
Parimenti, è stata esclusa l’equivalenza tra la remissione di querela e la mancata impugnazione della parte civile avente ad oggetto la sentenza con cui il giudice abbia rigettato la domanda risarcitoria incardinata nel processo penale[8].
1.1. La remissione tacita della querela (e la relativa accettazione).
Quanto alla seconda tematica, essa è apparsa particolarmente spinosa, poiché attiene alla significatività – nel senso, eventualmente, della remissione della querela – della omessa presentazione in udienza da parte del querelante e, più in generale, del disinteresse dimostrato da questi nella vicenda giudiziaria, anche in seguito ad avvisi del giudice sul significato della sua assenza in termini di remissione.
Secondo la tesi tradizionale, l’assenza del querelante in udienza non è rappresentativa della desistenza del primo dall’intento punitivo, non sussistendo un obbligo giuridico in capo a costui di partecipare alle udienze; questo principio è stato applicato anche quando la persona offesa querelante sia stata espressamente avvisata che la sua assenza alla successiva udienza sarebbe stata intesa quale remissione tacita della querela[9].
La tesi si fonda, in generale, sulla ontologica ambiguità dell’inerzia o dell’omissione e dunque su una concezione di remissione tacita in senso commissivo[10]; nel caso più specifico relativo all’assenza del querelante (pur) previamente avvisato sul significato della propria mancata comparizione alla successiva udienza, la Corte di legittimità ha per lungo tempo qualificato questa sequela in termini di remissione processuale, incompatibile con le forme tacite di estrinsecazione[11].
Ancora, si è affermato che gli artt. 28 e 30 del decreto legislativo n. 274/2000, regolanti particolari ipotesi di assenza ingiustificata del querelante nel rito di pace a ricorso immediato, assumono la natura di norme eccezionali fondate sul peculiare ruolo del querelante, dal cui impulso origina il procedimento stesso, e sull’esigenza di responsabilizzarne il comportamento processuale, sicché esse non possono estendersi o applicarsi analogicamente a casi diversi.
Le argomentazioni di cui sopra sono state recepite dalla Corte di legittimità con la sentenza n. 46088 del 2008, pronunciata a Sezioni unite.
A questa impostazione si è replicato principalmente che, sebbene i fatti incompatibili con la volontà di procedere debbano di regola palesarsi in maniera chiara e incontrovertibile, un simile eccesso di zelo sarebbe intanto in stridente contrasto con gli artt. 529 e 531 c.p.p., che impongono al giudice di emettere sentenza di non doversi procedere avverso l’imputato quand’anche sia dubbia l’esistenza della condizione di procedibilità o la causa di estinzione del reato. Proprio la valorizzazione delle situazioni dubbie in senso favorevole all’imputato condurrebbe, su altro versante, a ritenere superato il principio del favor querelae, invece imperniato sulla necessità di interpretare tutti i dati ambigui in senso favorevole al querelante.
Si è poi sostenuto che, se è vero che gli artt. 28 e 30 del d.lgs. 274/2000 tipizzano un significato legale attribuito espressamente all’assenza della persona offesa, è anche vero che detto significato, reggendosi su massime di esperienza consolidate, costituirebbe una regola sociale generalizzata valorizzabile ai sensi dell’art. 152 c.p.: pertanto, il disinteresse manifestato dalla persona offesa nei confronti del procedimento instaurato su suo impulso ben potrebbe integrare un contegno extraprocessuale idoneo a suscitare l’arresto del processo per remissione tacita[12]. Infatti, come sostenuto da una parte della dottrina, «il silenzio di chi avrebbe dovuto dare corpo e fondamento alla pretesa punitiva assume un preciso significato all’interno di un processo accusatorio retto dal principio dialogico»[13].
Proprio queste critiche hanno orientato il successivo dibattito giurisprudenziale, intanto traslato sulla contigua questione del significato dell’assenza del querelante nel rito di pace a citazione diretta del pubblico ministero. Esso ha visto scontrarsi nuovamente orientamenti contrapposti, fondati sugli argomenti storicamente evocati a sostegno dell’una e dell’altra sponda esegetica, e sopra già analizzati[14]. Le Sezioni unite, mutando convincimento rispetto alla decisione del 2008, hanno ritenuto che l’assenza del querelante in udienza, specificamente avvisato del significato dell’inerzia in termini di remissione della querela, è effettivamente qualificabile come tale, poiché, da un lato, non si tratta di mero silenzio, essendo stato a quest’ultimo attribuito un significato espresso di cui il querelante è a conoscenza e che può contrastare con un comportamento attivo; dall’altro lato, trattasi correttamente di remissione tacita extraprocessuale, siccome non deve confondersi il luogo di estrinsecazione della volontà, costituito da un contesto certamente extraprocessuale, con quello in cui viene espletato il solo riconoscimento degli effetti, rappresentato dalla sede processuale[15].
Il principio di diritto è stato sottoposto a revisione critica da voci autorevoli del panorama dottrinale. È stato evidenziato, in primo luogo, lo scollamento tra la fattispecie e la disposizione di legge, anche in virtù del fatto che il giudice, nell’esprimere personalmente il significato attribuibile all’assenza del querelante, si atteggerebbe indebitamente a fonte normativa; in secondo luogo, è stato affermato che con questa decisione le Sezioni unite avrebbero indebitamente sovrapposto le due tipologie di remissione processuale ed extraprocessuale[16].
Ciò nonostante, la statuizione di legittimità assunta dal massimo consesso nomofilattico è stata ripresa e confermata da una lunga serie di pronunce giurisprudenziali[17], che l’hanno peraltro estesa pacificamente al processo innanzi al tribunale[18], escludendo tuttavia la configurabilità di una condotta di tacita remissione di querela laddove la persona offesa, nonostante le ripetute assenze alle udienze, non abbia nel complesso manifestato in maniera chiara una volontà incompatibile con quella di disinteressarsi del processo[19].
Con l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 150 del 2022 (c.d. riforma “Cartabia”), la questione è stata definitivamente risolta poiché, come accaduto per il rito dinanzi al giudice di pace, il legislatore ha predisposto una speciale disciplina che tipizza legalmente gli effetti dell’assenza in udienza del querelante. Sin dal primo contatto con l’autorità giudiziaria, il querelante, ai sensi dell’art. 90 bis, lett. n-bis), c.p.p., è avvisato che la sua mancata comparizione, senza giustificato motivo, all’udienza in cui egli è chiamato a deporre come testimone, comporta la remissione tacita della querela, ai sensi dell’art. 152 co. 3, n. 1, c.p., pure novellato in conformità.
Simili perplessità hanno interessato l’istituto dell’accettazione, da parte del querelato, della remissione avanzata – in maniera eventualmente tacita – dal querelante; ci si domandava, infatti, quale significato potesse assumere l’assenza in udienza del querelato dopo che il querelante avesse già rimesso la querela[20]. Sebbene secondo un primo orientamento, minoritario, per ritenere accettata la remissione sarebbe risultata sufficiente l’assenza del querelato alla successiva udienza, a prescindere dalla conoscenza (o conoscibilità) da parte sua dell’avvenuta remissione, la giurisprudenza di legittimità si divideva in due prevalenti filoni: l’uno secondo il quale sarebbe stato sufficiente verificare la conoscenza (o conoscibilità) in capo al querelato dell’avvenuta remissione e la sua assenza alla successiva udienza; l’altro che invece riteneva necessario che il querelato fosse stato anche avvisato del significato della sua assenza a quell’udienza, nel senso che la sua mancata comparizione sarebbe stata intesa quale accettazione[21].
Il quesito è stato risolto dalle Sezioni unite con la sentenza n. 27610/2011[22], nel senso che la sequela estintiva composta dalla remissione della querela e dalla sua accettazione avrebbe potuto ritenersi integrata per il sol fatto che alla remissione, conosciuta o conoscibile dal querelato, fosse seguita l’inerzia di quest’ultimo. Ciò perché, a dispetto della infelice formulazione lessicale contenuta nella rubrica dell’art. 155 c.p., non si richiede al querelato una effettiva “accettazione”, quanto piuttosto una mancata ricusazione della remissione, ciò che contribuisce a impregnare la c.d. accettazione di una ontologia omissiva e dunque tacita; ai fini estintivi, è dunque sufficiente che il querelato sia stato reso edotto della avvenuta remissione, o sia stato messo in condizione di conoscerla, e abbia potuto determinarsi in ordine all’eventuale ricusazione, al fine di vedere tutelato il proprio principale diritto a farsi giudicare per vedere affermata l’assenza della propria responsabilità penale[23].
La sentenza è parsa criticabile nella parte in cui valorizza il dato della conoscibilità della remissione, in primo luogo perché non identifica i presupposti di detta conoscibilità; inoltre, perché – come ragionevolmente sostenuto in dottrina – l’inerzia a fronte della conoscibilità, che non è conoscenza effettiva, non potrebbe essere intesa come mancata ricusazione[24].
2. Deformalizzazione della querela e costituzione di parte civile.
Nei paragrafi che precedono, si è inteso mostrare al lettore la differenza tra il momento propositivo della querela, caratterizzato da un formalismo attenuato, e il momento abdicativo, connotato da una vocazione marcatamente sostanzialista.
Infatti, quanto alla istanza punitiva, al formalismo relativo alla legittimazione attiva e al metodo di introduzione fanno da contraltare il favor querelae e la deformalizzazione della dichiarazione con cui la persona offesa chiede procedersi per un fatto costituente reato.
Tale deformalizzazione non incide, in altri termini, sui requisiti della querela, che restano quelli già analizzati, ma sulle connotazioni strettamente lessicali della domanda di punizione. Ciò vuol dire che non è richiesto al querelante l’utilizzo di specifiche espressioni da cui dipenda la validità della querela, essendo essenziale che egli, coi costrutti linguistici utilizzati, renda comunque chiara la volontà che si proceda per l’accertamento dei fatti e per la punizione del colpevole.
È stato ad esempio assegnato il significato di querela alle seguenti dichiarazioni: a) la volontà di sporgere “denuncia-querela”, trasfusa nel verbale di denuncia e firmata dal denunciante[25]; b) la richiesta urgente di adottare provvedimenti contro la persona denunciata[26]; c) la richiesta di essere informato nel caso di istanza di archiviazione, al fine di presentare rituale opposizione[27]; d) l’espressa qualificazione dell’atto redatto e depositato dalla persona offesa come “denuncia-querela”[28].
Detto altrimenti, può essere intesa quale valida querela la tempestiva dichiarazione dalla quale emerga in maniera più o meno univoca, la richiesta del dichiarante all’autorità giudiziaria di procedere e irrogare una sanzione penale nei confronti del querelato. Giova comunque immediatamente evidenziare che, sebbene non richieda particolari forme o specifici contenuti lessicali, la querela deve esprimersi mediante una “dichiarazione”, orale o scritta, esternata dalla persona offesa o dal suo procuratore speciale, e pertanto non può essere ritenuto parificabile ad una querela un “comportamento” della persona o del suo procuratore.
La giurisprudenza ha anche affermato il rilievo della costituzione di parte civile, o di dizioni che la richiamino, ai fini della esistenza di una regolare querela. Sono state ad esempio interpretate come querele la palesata volontà o la riserva di costituirsi parte civile nell’instaurando procedimento, espresse già in sede di denuncia[29].
Si noti che, con riferimento a questi ultimi casi, le espressioni adoperate sono in grado di evocare con sufficiente affidabilità la manifestazione di volontà punitiva, atteso che quest’ultima costituisce il presupposto logico-giuridico della pretesa civilistica; il dichiarante non può determinarsi alla costituzione di parte civile, così come non può efficacemente riservarsi in ordine a questa scelta, se intanto non sia convinto di voler perseguire penalmente il reo.
Il rilievo della costituzione di parte civile ai fini della querela si tocca con mano anche sotto altri due versanti.
Il primo è quello della “estensione” della già avvenuta costituzione di parte nel caso di contestazioni suppletive da parte del pubblico ministero aventi ad oggetto reati procedibili a querela, evidentemente qualora tali fatti non fossero già oggetto della querela iniziale; il secondo è quello dell’intervento o della “persistenza” della costituzione di parte civile nel caso di mutamento del regime di procedibilità, da procedibilità d’ufficio a procedibilità a querela, naturalmente nelle ipotesi in cui una querela manchi dal principio.
Con riferimento alla prima questione, infatti, la Corte di legittimità ha condivisibilmente escluso che, nel caso di reato contestato in via suppletiva ai sensi degli artt. 517 ss. c.p.p., la querela iniziale relativa al solo fatto di cui all’originaria imputazione possa estendere i propri effetti automaticamente ai nuovi reati contestati dal pubblico ministero in corso di attività istruttoria, poiché tale estensione automatica non risulta prevista da alcuna norma del codice di rito[30]. Dunque, secondo la privilegiata ermeneusi, i termini per l’esternazione della volontà punitiva in rapporto a fatti-reato procedibili a querela di parte ma contestati soltanto in una fase molto avanzata della vicenda giudiziaria non possono che “riaprirsi” e decorrere dalla data della nuova contestazione; a partire da questo momento, essendo come detto la proposizione della querela-dichiarazione sganciata da stringenti requisiti contenutistici, si ritiene sufficiente ad attestare la volontà di procedere la dichiarazione con cui la parte civile estende l’atto di costituzione al reato da ultimo contestato dalla pubblica accusa[31].
In dottrina, la cennata impostazione è stata sottoposta a serrata critica, poiché deriverebbe da una fuorviante interpretazione praticata a monte sul dato letterale di cui all’art. 336 c.p.p., ove si attribuisce alla querela il ruolo di “manifestare” la volontà di procedere per un fatto previsto dalla legge come reato. Si osserva che la corretta lettura del verbo adoperato imporrebbe di ritenere valida la querela soltanto quando il querelante abbia dichiarato in maniera espressa di volere l’accertamento dei fatti e la punizione del colpevole, non potendosi per converso reputare sufficienti le dichiarazioni che solo implicitamente rimandino a detta volontà; tra queste, andrebbe annoverata la dichiarazione di costituzione di parte civile (o la sua estensione al nuovo reato), che paleserebbe la voluntas puniendi soltanto previo ricorso ad un ragionamento inferenziale, in contrasto col testo della norma[32].
In disparte le interessanti riflessioni che questa parte della letteratura riserva alle nozioni di dichiarazione e di volontà punitiva manifesta, pare che l’aspetto più allarmante si riferisca al rischio latente che, applicando in maniera piana il principio di diritto espresso dalla suprema Corte in materia di contestazioni suppletive, si possa consentire alla persona offesa costituita di aggirare i termini previsti dall’art. 124 co. 1 c.p.; il ragionamento che la Corte della nomofilachia propone appare condivisibile soltanto nei rari casi in cui il reato contestato dall’accusa in udienza fosse, al momento della denuncia, sconosciuto alla persona offesa e non conoscibile da questa, siccome in caso contrario sarebbe stato suo onere proporre una tempestiva querela sin dall’inizio.
Virando lo sguardo al diverso tema del mutamento del regime della procedibilità in virtù di una normativa sopravvenuta, occorre particolare cautela. Si sta facendo riferimento a tutti quei casi in cui, denunciato un reato procedibile d’ufficio, non sia intervenuta una querela, siano scaduti i termini per proporla, e successivamente il legislatore sia intervenuto modificando il regime di procedibilità, portandolo da procedibilità d’ufficio a procedibilità a querela di parte; è evidente che, dopo l’entrata in vigore della nuova normativa, a balzare all’occhio dell’operatore sarà proprio l’assenza di una querela per il reato oggetto del procedimento penale giunto a fase avanzata.
Quando ciò è accaduto, il legislatore è intervenuto con la predisposizione di normative transitorie chiaramente orientate a consentire alla persona offesa astrattamente legittimata alla querela di sporgerla nei termini di legge: così è stato fatto col decreto legislativo n. 36 del 2018, nel quale veniva previsto l’obbligo di avvisare la persona offesa della facoltà di avanzare istanza di punizione.
Proprio in seguito alla novella legislativa da ultimo richiamata, le Sezioni unite sono intervenute con la sentenza n. 40150 del 2018, affermando – nell’ambito di alcuni obiter dicta funzionali alla risoluzione di altre e diverse questioni a loro affidate dalle sezioni semplici – che l’avviso alla persona offesa può essere omesso quando risulti che ella abbia già sporto querela manifestando, in un atto del procedimento, la volontà di instare per la punizione dell’imputato[33]. Tra le modalità ritenute significative, in ossequio al principio per cui l’ordinamento non richiede per la istanza punitiva l’utilizzo di formule particolari, figurano, a giudizio del supremo consesso nomofilattico, anche la “costituzione” di parte civile[34] e la “persistenza” di tale costituzione nei successivi gradi di giudizio[35].
Gli assunti giurisprudenziali appena cennati sono ritornati in auge in occasione della recente entrata in vigore del decreto legislativo n. 150 del 2022 (c.d. riforma “Cartabia”), col quale, a fronte della espansione delle ipotesi criminose procedibili a querela, è stata prevista la riapertura del termine di tre mesi dall’entrata in vigore della novella, escludendo però l’obbligo di avvisare la persona offesa circa il recupero postumo del diritto[36].
Non sconvolge allora che l’ampliamento del novero delle ipotesi criminose procedibili a querela di parte abbia imposto alla più recente giurisprudenza di legittimità di ripercorrere nuovamente il terreno già battuto dalle Sezioni unite con la sentenza richiamata, e consentito alla stessa di riaffermarne gli approdi.
Infatti, con la sentenza n. 16570/2023, qui brevemente annotata, la Corte di cassazione è ritornata sul tema del sopravvenuto alleggerimento del regime di procedibilità, interrogandosi sul significato da attribuire alla persistenza della costituzione di parte civile,già posta in essere dalla persona offesa danneggiata, e sul senso delle conclusioni scritte presentate in udienza. Giova infatti domandarsi se queste condotte contengano la manifestazione di volontà orientata alla punizione del colpevole, in ossequio a quanto richiesto dagli artt. 120 ss. c.p. e 336 ss. c.p.p., e dunque possano essere valorizzate nel caso in cui una modifica legislativa ne abbia riaperto il termine di legge.
Si muove dal basilare principio, cristallizzato nel combinato disposto dei richiamati articoli, secondo cui la persona offesa, ove intenda sporgere querela, deve farlo mediante una “dichiarazione”, orale o scritta, nella quale, personalmente o a mezzo di procuratore speciale manifesta la volontà che si proceda in ordine a un fatto previsto dalla legge come reato.
La sentenza in commento si incanala nel recente filone giurisprudenziale, per cui, nel caso di mutamento del regime di procedibilità – da procedibilità d’ufficio a procedibilità a querela -, può ritenersi manifestazione di volontà di punizione del colpevole anche la persistenza della precedente costituzione di parte civiledurante il decorso del lasso temporale ex art. 124 c.p.[37]
La pronuncia riserva un ulteriore cenno alla rilevanza delleconclusioni di parte civile. La Corte, infatti, si esprime nel senso che «non ricorre […] il difetto della querela richiesta dall’art. 3 d.lgs. n. 150 del 2022, perché, in relazione al reato per cui si procede, sono rimaste ferme alcune costituzioni di parte civile e una delle parti civili ha anche presentato le sue conclusioni in udienza»[38].
Aggiunge poco dopo, riprendendo gli autorevoli arresti giurisprudenziali precedenti, anche a Sezioni unite, che «la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa, non richiedendo formule particolari, può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione, e, quindi, può essere riconosciuta anche nell’atto con il quale la persona offesa si costituisce parte civile, nonché nella persistenza di tale costituzione nei successivi gradi di giudizio, con la conseguenza che i precisati atti e comportamenti possono ritenersi equivalenti ad una querela nel caso in cui la proposizione di quest’ultima sia divenuta necessaria per disposizioni normative sopravvenute nel corso del giudizio»[39].
2.1. Disambiguazione del concetto di persistenza della costituzione di parte civile.
Le statuizioni della suprema Corte sono state salutate con favore da una branca della dottrina, siccome compensano l’omessa previsione dell’avviso alla persona offesa; si afferma che la valorizzazione della nozione sostanziale di querela assume particolare pregnanza in questi casi in quanto scongiura di fatto irragionevoli declaratorie di improcedibilità per difetto di querela[40].
Pare a chi scrive che le riflessioni che precedono vadano maneggiate con la dovuta cautela e adattate attentamente ai casi concreti; un utilizzo poco ponderato dei predetti principi, spesso oggetto di massimazione poco specifica, rischia di generare equivoci, finendo per giustificare la validazione, in termini di querela, del mero comportamento, che “dichiarazione” non è.
Va opportunamente rilevato che il principio di diritto espresso dalla sentenza in commento, in continuità con gli assunti giurisprudenziali già consolidati, appare particolarmente conferente quando la persistenza della costituzione di parte civile sia stata registrata nei giudizi di impugnazione, notoriamente caratterizzati da snellimento operativo e maggiori celerità e contrazione dei tempi procedurali, ciò che induce a intravedere una sostanziale coincidenza tra la persistenza della costituzione di parte e una “dichiarazione”, espressa in udienza, implicitamente significativa della volontà di punizione: il riferimento più importante è alle conclusioni della parte civile, con cui la stessa, mediante il procuratore speciale, avanza una richiesta formale raccolta a verbale dalla quale non può che desumersi la volontà di punizione del colpevole, che ne costituisce la premessa logica.
Nella prospettiva contraria, e cioè nell’ottica della omessa dichiarazione di voler procedere, può evidentemente essere valorizzata la mancata comparizione della parte civile e del suo difensore nell’udienza relativa al giudizio di impugnazione.
Quanto al giudizio di primo grado, preme distinguere le ipotesi più rilevanti e ricorrenti, restando nel solco delle fattispecie analizzate dal giudice nomofilattico.
Il primo caso è quello in cui nel procedimento penale non sia stata sporta inizialmente una querela e, avviato il procedimento, si sia giunti – sempre in assenza di querela – in dibattimento, nel quale la persona offesa danneggiata si sia costituita parte civile nelle forme e nei termini di legge, evidentemente ben oltre il termine di tre mesi dalla conoscenza del reato; dopo la costituzione di parte civile, ampiamente scaduti i tre mesi dalla conoscenza del reato, sia intervenuta una normativa che abbia reso il reato procedibile a querela. In questo caso, un’asettica applicazione del principio espresso dalla suprema Corte, che discorre di significatività della persistenza della costituzione di parte civile indurrebbe a sostenere che la sola presenza della parte civile possa per ciò solo esprimere la più volte richiamata volontà di punizione. Tale deduzione sfuggirebbe alla prescrizione normativa, assegnando un rilievo dirimente ad un comportamento e non ad una dichiarazione[41].
Diversamente, allorquando la costituzione di parte civile avvenga esattamente nell’ambito dei tre mesi dalla data in cui la novella legislativa abbia alleggerito il regime di procedibilità. In questo caso, infatti, è possibile valorizzare la “dichiarazione” di costituzione di parte civile, la quale, provenendo dalla persona offesa, presuppone limpidamente l’intenzione di quest’ultima di procedere avverso l’imputato[42].
Stesso ragionamento può essere svolto nel caso in cui, non ancora decorsi i tre mesi per la proposizione della querela, in uno dei gradi di giudizio, il procuratore speciale della parte civile abbia dichiarato a verbale o per iscritto, in nome e per conto del suo assistito, di voler proseguire nell’azione penale; o egli abbia rassegnato le conclusioni, circostanza che, coincidendo con l’istanza finale volta alla declaratoria di responsabilità dell’imputato, pure contiene inequivocabilmente la volontà della persona offesa che il procedimento vada avanti e si concluda con l’irrogazione di una sanzione penale.
3. Postilla. Il giudice può (davvero) ricevere la querela?
Tutte le aperture giurisprudenziali che precedono, inerenti alla possibilità di ritenere validamente espressa la querela con dichiarazioni riversate in atti processuali o esternate nel processo, poggiano sulla precondizione per cui il giudice possa essere annoverato tra i soggetti legittimati a ricevere la querela. In verità, non esiste alcuna norma che, nel codice di rito, consenta di sostenere con sicurezza un simile assunto. Le regole in materia di querela assegnano espressamente soltanto al pubblico ministero e all’ufficiale di polizia giudiziaria il potere di ricevere la querela (artt. 333, 337 c.p.p.)[43].
Ciò nonostante, con alcune pronunce giurisprudenziali, la Corte di legittimità ha ritenuto valida la querela ricevuta da un ufficio giudiziario diverso dalla procura, ad esempio dalla cancelleria del tribunale, aprendo di fatto la strada alla possibilità che anche lo stesso giudice la riceva. Questi gli argomenti a sostegno: 1) è sufficiente che chi riceve la querela sia dotato di poteri certificativi che attestino la certezza della presentazione e della provenienza; 2) è irragionevole consentire l’invio per posta raccomandata, basato sulla ricezione della querela da parte di un ufficio postale, e non il deposito della querela presso un ufficio giudiziario, fornito di massima affidabilità in ordine alle attestazioni di ricezione e provenienza[44].
Il principio di diritto è stato ripreso in maniera tralatizia da successiva giurisprudenza, fino a integrare una consolidata prassi giudiziaria mai contestata, in ragione del pragmatismo e della innegabile ragionevolezza di fondo che la permeano[45].
Si consentano però alcune lapidarie osservazioni in proposito.
La sufficienza del potere certificativo della presentazione e della provenienza abiliterebbe qualunque soggetto dell’ordinamento giuridico fornito di quel potere a ricevere querele e trasmetterle agli uffici requirenti per il prosieguo (notaio, segretario comunale, etc.).
In secondo luogo, l’argomento relativo all’invio per posta raccomandata confonde la modalità di trasmissione con il soggetto legittimato a ricevere la querela, che non è l’ufficio postale ma il destinatario della spedizione.
Ancora, l’interpretazione secondo la quale il giudice sarebbe legittimato a ricevere la querela, poiché palesemente disancorata da un dato testuale, necessiterebbe in astratto dell’applicazione analogica di altra norma che almeno consenta a quel soggetto processuale di ricevere altri atti o dichiarazioni nella medesima materia: l’unica norma che viene in rilievo è quella sulla remissione processuale della querela (art. 152 co. 2, c.p.). Potrebbe infatti in astratto sostenersi che, se al giudice è conferito il potere di recepire l’atto contrario alla querela, dovrebbe essergli consentito anche di ricevere la querela.
L’interpretazione analogica sconterebbe comunque alcune mancanze. In particolare, potrebbe obiettarsi che la normativa vigente consente al giudice di ricevere la remissione processuale poiché, versandosi nel campo delle cause estintive del reato, il legislatore ha deciso di estendere al massimo i campi esplicativi del relativi presupposti; difetterebbe allora la eadem ratio rispetto al caso della acquisizione della querela, che invece opera quale preliminare presupposto di procedibilità e punibilità[46].
D’altra parte, essendo impregnata la condizione di procedibilità di una natura anche sostanziale, si tratterebbe di una interpretazione analogica in malam partem non ammessa dall’ordinamento penale[47].
Insomma, l’acquisizione della querela da parte del giudice rischia di restare una prassi giudiziaria consolidata e incontestata, sebbene priva di solide basi logico-giuridiche.
[1] Sulla funzione procedurale della querela, si rinvia a V. G. Foci, Querela e non necessarietà di formule sacramentali per la manifestazione della voluntas puniendi, in Dir. pen. proc.,2010, 2, pp. 209 ss.
[2] Cfr. anche l’art. 333 co. 2 c.p.p.
[3] Cass. sez. IV, 10 novembre 2020, n. 34737; Cass. sez. V, 18 giugno 2015, dep 2016, n. 2293, CED 266258. In dottrina, F. Peroni, Sulle formalità di presentazione della querela, in Dir. pen. proc., 2010, 4, pp. 416 ss.
[4] Infatti, secondo l’orientamento giurisprudenziale più accreditato, ai fini dell’efficacia della remissione di querela non è indispensabile l’accettazione, essendo sufficiente che, da parte del querelato, non vi sia un rifiuto espresso o tacito della remissione (Cass. sez. V, 12 gennaio 2011, n. 7072, CED 249412). In dottrina, A. Montagna, Remissione di querela e mancata comparizione del querelato, in Dir. pen. proc., 2011, 9, pp. 1069 ss.
[5] In termini, Cass. sez. V, 1° febbraio 2016, n. 20260; Cass. sez. V, 28 novembre 1997, n. 1452, CED 209798; Cass. sez. VI, 25 marzo 1988, n. 82, CED 180082; Cass. sez. VI, 15 gennaio 2003, n. 7759, CED 224075.
[6] Cass. sez. IV, 18 gennaio 2022, n. 13204.
[7] Cass. sez. II, 8 ottobre 2015, n. 41749; Cass. sez. V, 1° febbraio 2016, n. 20260.
[8] Cass. sez. V, 28 ottobre 2019, n. 48239, CED 278041.
[9] Cass. sez. II, 20 novembre 2009, n. 44709, CED 245632.
[10] In tal senso, Cass. sez. V, 19 dicembre 2005, n. 46808; conf. Cass. sez. V, 25 gennaio 2005, n. 34089.
[11] Cass. sez. V, 15 febbraio 2005, n. 12861 in Italgiureweb. Cfr. in dottrina, S. Gentile, La mancata comparizione della persona offesa al dibattimento non integra remissione tacita di querela, in Dir. e giust., 2016, 15, pp. 58 ss.
[12] A. Laurino, La remissione tacita della querela per omessa comparizione della persona offesa dopo le leggi sul giusto processo e sulla competenza penale del giudice di pace, in Cass. pen., 2003, p. 1021; L. D. Cerqua, L’assenza ingiustificata del querelante in dibattimento equivale a remissione tacita della querela? Brevi riflessioni, in Giur. mer., 2005, 4, pp. 1028 ss.
[13] Così, efficacemente, F. Del Vecchio, Remissione tacita per assenza del querelante: non è questo il tempo dei revirement giurisprudenziali, in Dir. pen. proc., 2017, 5, pp. 613 ss.
[14] Cass. sez. V, 22 dicembre 2015, n. 8638; Cass. sez. V, 1° febbraio 2016, n. 12417. In dottrina, cfr. P. Grillo, L’assenza del querelante ha un significato ben preciso: remissione tacita, in Dir. e giust., 2016, 32, pp. 10 ss.
[15] Cass. sez. un., 23 giugno 2016, n. 31668, CED 267239; in passato, Cass. sez. V, 19 marzo 2008, n. 14063. In dottrina, v. T. Alesci, La mancata comparizione in udienza del querelante previamente ed espressamente avvertito integra remissione tacita di querela, in Proc. pen. e giust., 2016, 5; D. Iacobacci, Disorientamenti persistenti in tema di remissione tacita della querela, in Riv. pen., 2011, pp. 321 ss.; E. Gallucci, La mancata comparizione in dibattimento del querelante, anche se preceduta da apposito avviso del giudice, non integra remissione della querela. perché la decisione delle sezioni unite non appare persuasiva, in Cass. pen., 2009, 4, pp. 1409 ss.
[16] C. Morselli, Remissione tacita di querela e mancata comparizione del querelante: considerazioni su Cass. pen., sez. un., 21 luglio 2016, n. 31668, in Riv. pen., 2017, 5, pp. 468 ss.; G.L. Fanuli, La remissione tacita di querela. Un istituto da rivisitare, in Riv. pen., 2002, pp. 588 ss.
[17] Cass. sez. IV, 15 febbraio 2021, n. 5801, in CED 280484; Cass. sez. V, 8 maggio 2019, n. 19731. In dottrina, si veda P. Grillo, Le Sezioni Unite si pronunciano sulla remissione tacita della querela, in Dir. e giust., 2016, 33, pp. 76 ss.
[18] Di recente, ex multis, Cass. sez. III, 29 settembre 2022, n. 47039.
[19] Cass. sez. V, sent. 19731/2019, cit.
[20] G. Leo, Remissione della querela e accettazione, in Dir. pen. proc., 2010, 7, pp. 818 ss.
[21] Per tutti, P. Piccialli, Remissione di querela ed “accettazione tacita”, in Corr. mer., 2011, 11, pp. 1089 ss.
[22] Cass. sez. un., 25 maggio 2011, n. 27610, in CED 250201 e in Giust. pen., 2012, 6, III, pp. 273 ss., con nota di M. Orlandi, Omessa ricusa della remissione di querela e diritto del querelato all’informazione.
[23] V. G. Foci, Approfondimenti sulla desistenza dalla querela, in Dir. pen. proc., 2010, 5, pp. 584 ss.
[24] D. Potetti, Remissione di querela, accettazione, non rifiuto: la soluzione delle sezioni unite e i problemi pratici che ne conseguono, in Cass. pen., 2012, 12, pp. 4043B ss.
[25] Cass. sez. IV, 30 gennaio 2020, n. 10789, CED 278654; Cass. sez. IV, 7 novembre 2019, dep. 2020, n. 3733, CED 278034.
[26] Cass. sez. V, 29 gennaio 2019, n. 18267, CED 275912.
[27] Cass. sez. V, 12 ottobre 2021, n. 2665, CED 282648.
[28] Cass. sez. V, ord. 15 febbraio 2016, n. 15166, CED 266722; Cass. sez. V, 5 dicembre 2013, dep. 2014, n. 1710, CED 258682.
[29] Cass. sez. II, 5 dicembre 2019, dep. 2020, n. 5193; Cass. sez. V, 6 dicembre 2013, n. 15691, dep. 2014, CED 260557; Cass. sez. fer., 2 agosto 2012, n. 36001.
[30] Cass. sez. V, 10 novembre 2003, n. 46311, CED 227473.
[31] Cass. sez. VI, 7 ottobre 2020, n. 29546; Cass. sez. V, 16 febbraio 2016, n. 29205.
[32] A. M. Buzura, Querela e costituzione di parte civile fra (in)fungibilità e disorientamenti applicativi, in Diritto di difesa, 2022, 2, pp. 227 ss.
[33] Principio poi ripreso da Cass. sez. V, 10 novembre 2003, n. 46311, CED 227473; conf. Cass. sez. V, 10 ottobre 2019, n. 44114, CED 277432.
[34] Cass. sez. III, 9 gennaio 2023, n. 19971; Cass. sez. II, 20 settembre 2019, n. 48958; Cass. sez. II, 3 maggio 2011, n. 19077; Cass. sez. V, 19 ottobre 2001, n. 43478, CED 220259.
[35] Si veda Cass. sez. II, 18 giugno 2019, n. 28305.
[36] G. Dodaro, Le modifiche alla disciplina della querela, in Dir. pen. proc., 2023, 1, pp. 63 ss.
[37] Cass. sez. VI, 7 febbraio 2023, n. 20624; Cass. sez. IV, 9 febbraio 2023, n. 7878.
[38] Si veda pagina 6 della sentenza in commento.
[39] Cass. sez. II, 5 dicembre 2019, n. 5193, CED 277801; Cass. sez. un., 21 giugno 2018, n. 40150; Cass. sez. V, 19 ottobre 2001, n. 43478, CED 220259. In dottrina, si veda K. La Regina, Reati divenuti perseguibili a querela, in Dir. pen. proc., 2023, 5, pp. 632 ss.
[40] V. Nizza, Cambiamento delle condizioni di procedibilità: la costituzione di parte civile equivale alla querela, in Il Penalista, 27 marzo 2023.
[41] In giurisprudenza, Cass. sez. IV, 5 dicembre 2018, n. 7532, CED 275128; v. in dottrina, L. Norcio, sub art. 336, in Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda e G. Spangher, Ipsoa, 2023, t. II, pp. 1564 ss.
[42] Nello stesso senso la giurisprudenza di legittimità, v. Cass. sez. II, 3 maggio 2011, n. 19077; cfr. anche le più risalenti pronunce Cass. 21 settembre 1992, Porcellana, CED 192135 e Cass. 11 gennaio 1984, Accogli, CED 163559.
[43] Nella giurisprudenza più risalente, Cass. pen., 11 aprile 1986, Carmozzini, in Cass. pen., 1987, p. 1205. Per la tassatività dei soggetti legittimati a ricevere la querela, G. P. Volpe, voce Querela, in Dig. disc. pen., vol. X, Utet, 1999, p. 570; cfr. L. Suraci, La querela: un istituto rivitalizzato, tra diritto e processo penale. La querela: istituto sospeso tra due codici ma protagonista della procedura, in Giur. it., 2021, 4, pp. 984 ss.
[44] Cass. sez. IV, 22 marzo 2006, n. 19198, CED 234196. In dottrina, P. Silvestri, D. Tripiccione, sub art. 337, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, diretto da G. Lattanzi – E. Lupo, vol. III, Giuffrè Francis Lefebvre, 2020, p. 96; conf. M. Deganello, sub art. 337, in Commentario breve al codice di procedura penale, a cura di G. Illuminati – L. Giuliani, Cedam, 2020, p. 1631; v. anche L. Norcio, sub art. 337, in Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda – G. Spangher, Ipsoa, 2023, VI ed., t. II, p. 1591.
[45] Cass. sez. III, 6 dicembre 2011, dep. 2012, n. 2847, CED 251911.
[46] Sulla doppia anima dell’istituto della querela, v. F. Cordero, Merito nel diritto processuale, in Dig. disc. pen., VII, Utet, 1993, p. 666; A. Gaito, Querela, richiesta, istanza, in Enc. giur., Treccani, XXV, 1991, p. 12.
[47] Sulla natura sostanziale, si rinvia a I. Scordamaglia, La querela: un istituto rivitalizzato, tra diritto e processo penale. Il volto sostanziale della querela e la sua disciplina, in Giur. it., 2021, 4, pp. 984 ss.; M. Scaparone, Indagini preliminari e udienza preliminare, in Compendio di procedura penale, diretto da Conso-Grevi, Cedam, 2006, p. 483. In giurisprudenza si veda Cass. sez. II, 09 gennaio 2020, n. 14987, in De Jure, che ha riconosciuto l’applicabilità, nel caso di mutamento del regime di procedibilità, dell’art. 2 comma 4, c.p.