Cerca
Close this search box.

Sui reati commessi con violenza alla persona offesa e sugli strumenti di tutela. Tra intendimenti legislativi e inadeguatezza della tecnica normativa.

Abstract – Il presente contributo, esaminando il caso risolto dalle Sezioni Unite della Cassazione con la pronuncia 36754 del 2022, si prefigge di approfondire l’effettività degli interventi normativi che hanno interessato il diritto penale in ordine ai reati commessi con violenza alla persona, nell’ultimo decennio. L’accresciuta sensibilità sociale intorno ai fenomeni della violenza domestica e di genere, ha moltiplicato gli strumenti di prevenzione e repressione. Pur avendo l’indubbio merito di aver rafforzato l’armamentario di tutele a favore delle vittime di reati violenti, le regole di protezione non sempre sono state adeguatamente calibrate alle innovazioni introdotte.

Nella vicenda in commento, la Corte – a soluzione del contrasto sul diritto della persona offesa a proporre ricorso per cassazione, avverso l’ordinanza di revoca o sostituzione della misura cautelare coercitiva (diversa dal divieto di espatrio e dall’obbligo di presentazione alla polizia giudiziari), e della possibile violazione del diritto al contraddittorio cartolare riconosciuto dall’art. 299, c. 3, c.p.p. –  risolve la quaestio in termini negativi. Alla luce del principio di tassatività delle impugnazioni, anche in senso soggettivo, viene esclusa l’esistenza del diritto di impugnazione, negando, così, alla vittima di reati violenti, pur titolare di poteri maggiori dell’ordinario, la qualità di parte del procedimento cautelare. La persona offesa potrà avvalersi del solo strumento previsto dall’art. 572 c.p.p. che le consente di proporre, al pubblico ministero, una richiesta motivata di impugnazione ad ogni effetto penale.

Quella adottata dalle Sezioni Unite appare come una soluzione “intermedia”, non scevra da rischi di effettività. Tuttavia, rispetto ad un riconoscimento indiscriminato del diritto ad impugnare, consente un contemperamento più bilanciato degli opposti interessi vittima-indagato, garantendo il filtro preliminare di un organo pubblico, quale è il p.m., su un gravame potenzialmente incisivo sulla libertà personale. Resta, pur sempre, auspicabile un intervento del legislatore, in grado di pervenire ad una soluzione maggiormente equilibrata e coerente, che non debba far ricorso al principio di tassatività delle impugnazioni.

This contribution, through the examination of the case resolved by the United Sections of the Supreme Court, with ruling no. 36754 of 2022, aims to investigate the effectiveness of the legal rules of criminal law in relation to violent offences crimes, in the last decade. The increased social sensibility around the domestic and gender-based violence phenomena multiplied the prevention and repression tools. While having the undoubted merit to enforce protective equipment in favor of violent crimes victims, the protection rules have not always been adequately calibrated to the innovations introduced.

In the case under review, the Court resolves the quaestio in negative terms in order to the right of the offended person to Cassation appeal against the order of revocation or replacement of the coercive precautionary measure (different from the prohibition of expatriation and the obligation to submit to the judicial police), and of the possible violation of his cross-examination right recognized by art. 299, c. 3, Criminal Procedure Code. In the light of the binding nature of appeals principle, even in a subjective sense, the existence of the challange right is excluded, thus denying the victim of violent crimes, even if the holder of powers greater than the ordinary, the quality of a party to the precautionary proceeding . The offended person may only use the instrument provided for by art. 572 c.p.p. which allows him to propose, to the public prosecutor, a reasoned request for an all criminal purposes’ appeal.

The one adopted by the United Sections appears as an “intermediate” solution, it is not exempted by effectiveness risks. However, it allows for a more balanced reconciliation of the opposing victim-author of crime interests, compared to an indiscriminated recognition of the right to appeal. In fact it guarantes the preliminary filter of a public body, such as the prosecutor, on a potentially incisive burden on personal freedom. However, a legislative intervention remains desirable, capable of reaching a more balanced and coherent solution, which does not have to resort to the binding principle of appeals.

Sommario: 1. I più recenti interventi normativi a tutela della persona offesa: un breve sguardo panoramico; 2. La legittimazione della persona offesa a ricorre per cassazione avverso l’ordinanza ex art. 299 c.p.p. La soluzione offerta dalle Sezioni Unite; – 3. Il diritto al contraddittorio procedimentale della vittima di violenza: tra normativa specifica e contrasti giurisprudenziali; 4. Il primo presupposto della decisione: la violazione del termine dilatorio per il contraddittorio cartolare non è ipotesi di invalidità; – 5. Il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione e la carenza della qualità di “parte” nel subprocedimento cautelare come ostacoli all’impugnazione;6. La tutela residuale della vittima: la richiesta di impugnazione al Pubblico Ministero 

1. I più recenti interventi normativi a tutela della persona offesa: un breve sguardo panoramico

In materia penalistica, uno degli orientamenti di politica legislativa più consolidatisi negli ultimi anni è, indubbiamente, rappresentato – tanto sul piano del diritto penale sostanziale quanto su quello del diritto processuale penale – dal progressivo rafforzamento dei mezzi di tutela delle vittime di reati commessi con violenza alla persona. Specie in rapporto ai fenomeni riconducibili alla c.d. violenza domestica e di genere, il crescente allarme sociale, accompagnato da una sempre più avvertita sensibilità, ha condotto a moltiplicare gli strumenti penali, sia in ottica di prevenzione che di repressione criminale.

La rassegna degli interventi normativi attesta, ampiamente, questa tendenza[1].  

Solo per limitarci all’ultimo decennio, è possibile richiamare, innanzitutto, il D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119. A quattro anni dall’introduzione, nel codice penale, della fattispecie di atti persecutori (art. 612 bis c.p.) ed a pochi mesi dalle modifiche apportate al reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.), con la legge n. 172/2012, in attuazione della Convenzione di Lanzarote, si è inteso realizzare un primo articolato intervento di sistema, mediante lo strumento della decretazione d’urgenza (art. 77 Cost.). Resosi necessaria per arginare “il susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza in danno di donne e il conseguente allarme sociale che ne è derivato[2], la riforma è tesa “ad inasprire, per finalità dissuasive, il trattamento punitivo degli autori di tali fatti, introducendo, in determinati casi, misure di prevenzione finalizzate alla anticipata tutela delle donne e di ogni vittima di violenza domestica”. In tal senso, si è intervenuti sulla disciplina delle fattispecie di maltrattamenti in famiglia, atti persecutori e violenza sessuale, agendo sulla leva sanzionatoria e configurando nuove aggravanti; sul versante della legge processuale, invece, sono state introdotte inedite misure precautelari e meccanismi di tutela della persona offesa, in occasione della revoca o sostituzione di quelle cautelari.

Del pari, può menzionarsi il d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212, con cui è stata data attuazione alla direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo, in tema di norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato. La direttiva, invero, aveva offerto una definizione della violenza di genere[3], precisando che essa è “una forma di discriminazione e una violazione delle libertà fondamentali della vittima e comprende la violenza nelle relazioni strette, la violenza sessuale (compresi lo stupro, l’aggressione sessuale e le molestie sessuali), la tratta di esseri umani, la schiavitù e varie forme di pratiche dannose, quali i matrimoni forzati, la mutilazione genitale femminile e i cosiddetti «reati d’onore»” (Considerando n. 18). La direttiva, tra l’altro, ha previsto che gli Stati membri dell’Unione debbano assicurare misure per proteggere la vittima e i suoi familiari dalla vittimizzazione secondaria e ripetuta, oltre che da intimidazione e ritorsioni, garantendone la protezione fisica (art. 18). Fatti salvi i diritti della difesa, gli Stati membri provvedono che, durante le indagini penali, l’audizione della vittima si svolga “senza ritardo”, dopo la presentazione della denuncia relativa ad un reato (art. 20).

In concreto, peraltro, il decreto legislativo, di recezione della direttiva, ha spiegato modifiche essenzialmente sul piano processuale più che sostanziale. La relazione di accompagnamento del citato decreto precisa, appunto, che: “il diritto interno, già fortemente orientato a garantire diritti, assistenza e protezione alle vittime di reato, viene modificato solo marginalmente dal decreto, ritenendosi, all’esito di un capillare lavoro di analisi e di verifica della relativa concordanza, che molte delle disposizioni di tutela previste dalla Direttiva siano già presenti e che, per l’effetto, l’ordinamento sia sostanzialmente conforme, fatte salve le specifiche disposizioni introdotte[4].

Da ultimo, sempre per limitarsi agli interventi normativi di maggiore ampiezza, può farsi riferimento alla legge 19 luglio 2019, n. 69, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, meglio conosciuto come Codice rosso, entrata in vigore il 9 agosto 2019. Tale ultimo intervento riformatore ha, da un lato, introdotto un percorso procedimentale preferenziale per alcuni reati (i delitti previsti dagli artt. 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 612- bis e 612-ter cod. pen. ovvero dagli artt. 582 e 583-quinquies cod. pen. nelle ipotesi aggravate ai sensi degli artt. 576, comma primo, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, comma primo, numero 1, e comma secondo, del medesimo cod. pen.) reputati “spia” della degenerazione delle relazioni familiari e di quelle, più genericamente, definite “strette” anche in talune decisioni della Suprema Corte[5]. Accanto agli interventi sul codice di rito, sono state compiute alcune modifiche del codice penale, consistenti, principalmente, nell’inasprimento delle pene, per quelle ipotesi di reato sintomatiche del deterioramento delle relazioni domestiche, e nell’introduzione di quattro nuove fattispecie. Segnatamente: 1) l’art. 387 – bis cod. pen., che punisce la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa 2) l’art. 558-bis cod. pen., che incrimina la costrizione o l’induzione al matrimonio; 3) l’art. 612-ter cod. pen., che punisce la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti e che mira a reprimere le condotte di c.d. revenge porn; 4) l’art. 583-quinquies cod. pen., che punisce la deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso. La ratio della legge è espressa, anche in questo caso, nella relazione di accompagnamento al disegno di legge, secondo cui “le […] esigenze di completezza della tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, dunque, sono alla base degli interventi di modifica alle norme del codice di procedura penale” e si aggiunge che gli “interventi sul codice di procedura penale [sono] accomunati dall’esigenza di evitare che eventuali stasi, nell’acquisizione e nell’iscrizione delle notizie di reato o nello svolgimento delle indagini preliminari, possano pregiudicare la tempestività di interventi, cautelari o di prevenzione, a tutela della vittima dei reati di maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e di lesioni aggravate in quanto commesse in contesti familiari o nell’ambito di relazioni di convivenza[6].

Non sempre, tuttavia, l’intendimento legislativo, volto con ogni evidenza all’ampliamento dei diritti della persona offesa, ha trovato puntuale riscontro nella tecnica normativa utilizzata. Accanto ad un indubbio avanzamento generale delle garanzie sostanziali e processuali delle vittime dei reati che esprimano violenza sulle donne, e del più rilevante ruolo assunto dalla parte lesa nel contesto processuale, si possono registrare alcune posizione giurisprudenziali le quali, non sempre, sembrano in linea con tale tendenza, che recepisce la citata Convenzione di Istanbul del 2011 e la direttiva 2012/29/UE.

2. La legittimazione della persona offesa a ricorre per cassazione avverso l’ordinanza ex art. 299 c.p.p. La soluzione offerta dalle Sezioni Unite

Uno di questi singolari casi è ben rappresentato dalla vicenda sottesa alla recente decisione in commento (Cassazione, Sezioni Unite, sent. n. 36754/2022). Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno risolto, in termini negativi, l’annosa questione di diritto della legittimazione della persona offesa, nei c.d. procedimenti per reati commessi con violenza alla persona[7], a proporre ricorso per cassazione avverso l’ordinanza con cui sia stata disposta la revoca o la sostituzione della misura cautelare coercitiva (diversa dal divieto di espatrio o dall’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria). Ciò in violazione del diritto al contraddittorio cartolare, attribuito alla stessa persona offesa dall’art. 299, comma 3, c.p.p., (così come inserito dal D.L. 14 agosto 2013, n. 93, art. 2, comma 1, lett. b), n. 2, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, convertito dalla L. 15 ottobre 2013, n. 119, e ulteriormente modificato, come visto, dalla L. 19 luglio 2019, n. 69, art. 15, co. 4).

Il caso specifico all’attenzione delle Sezioni Unite – investite della questione a seguito dell’ordinanza di rimessione della Sesta Sezione del 9 novembre 2021, n. 5551- trae origine dal ricorso per cassazione promosso, in via diretta ex art. 568, comma 2, c.p.p., dal difensore di una donna, persona offesa dei reati di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) e lesioni (artt. 582-583 c.p.), per i quali risultava indagato il di lei coniuge. Con ordinanza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Patti, quest’ultimo, su conforme richiesta del Pubblico Ministero, aveva sostituito la misura degli arresti domiciliari con quella, meno afflittiva, del divieto di avvicinamento alla persona offesa. La ricorrente denunciava violazione di legge, con riferimento all’art. 299, comma 3, c.p.p., per il mancato rispetto del termine dilatorio di due giorni, successivi alla notifica della richiesta di sostituzione o revoca della misura, assegnato alla persona offesa e al suo difensore per il deposito di memorie, ai sensi dell’art. 121 c.p.p., che il giudice deve osservare prima di poter provvedere sulla richiesta. L’istanza di attenuazione della misura coercitiva, avanzata dal Pubblico Ministero, era, infatti, pervenuta al difensore della persona offesa, il 16 aprile 2021 e il termine di due giorni per la presentazione di memorie, in scadenza il 18 aprile 2021, giorno festivo, era da ritenersi prorogato di diritto al giorno successivo (19 aprile); data in cui il difensore della persona offesa depositava rituale memoria allegando, peraltro, numerose circostanze rilevanti ai fini della valutazione del perdurante rischio di reiterazione di condotte illecite in suo danno. Il medesimo giorno, tuttavia, a distanza di pochi minuti dall’inoltro della memoria, veniva comunicata, allo stesso difensore della donna, l’ordinanza con cui il giudice disponeva la sostituzione della misura, nella quale il GIP dichiarava che non erano state proposte deduzioni dalla persona offesa, rendendo, così, palese il mancato esame della memoria appena inoltrata.

La Sesta Sezione, assegnataria del ricorso, rilevava l’esistenza di un contrasto, in seno alla giurisprudenza di legittimità, in ordine alla legittimazione della persona offesa a ricorrere per cassazione avverso i provvedimenti di revoca o di sostituzione della misura cautelare coercitiva (diversa dal divieto di espatrio o dall’obbligo di presentazione alla p.g.), adottati in violazione del diritto al contraddittorio cartolare, riconosciuto dall’art. 299, comma 3, c.p.p. Un primo indirizzo, infatti, escludeva il diritto della persona offesa a ricorrere per cassazione, non essendo la stessa annoverata tra i soggetti titolari del potere di impugnazione cautelare. Il ricorso per cassazione si sarebbe, nel caso, atteggiato a ricorso per saltum. Tale impugnazione, tuttavia, è ammessa solo a determinate condizioni: in favore dell’indagato e del suo difensore; unicamente contro le ordinanze che dispongono, ab initio, una misura coercitiva, in alternativa al riesame; solo nel caso di violazione di legge (art. 311, co. 2, c.p.p.) nonché, ex art. 568, comma 2, c.p.p., contro i provvedimenti concernenti lo status libertatis, non altrimenti impugnabili[8]. Un opposto orientamento, espresso da un numero più nutrito di pronunce, propendeva, invece, per la legittimazione della persona offesa all’impugnazione mediante ricorso per cassazione proprio ai sensi dell’art. 568, co. 2, c.p.p.[9]; escludendo, per contro, i rimedi del ricorso per saltum ex art. 311, co. 2, c.p.p., le cui ipotesi sono previste e limitate anche sotto il profilo soggettivo e dell’appello ex art. 310 c.p.p.[10], riservato espressamente ai soggetti ivi indicati. Tanto premesso, la Sesta Sezione, pur aderendo in motivazione per il secondo indirizzo, ai sensi dell’art. 618 c.p.p., rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite sulla seguente questione: “se nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona sia ammissibile il ricorso per cassazione della persona offesa avverso l’ordinanza con cui sia stata disposta la revoca o la sostituzione della misura cautelare coercitiva (diversa dal divieto di espatrio o dall’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria) in violazione del diritto al contraddittorio riconosciuto alla stessa persona offesa dall’art. 299 c.p.p., comma 3“.

3.  Il diritto al contraddittorio procedimentale della vittima di violenza: tra normativa specifica e contrasti giurisprudenziali

Investite della quaestio iuris, le Sezioni Unite hanno, in primo luogo, riassunto efficacemente il quadro normativo di riferimento. Come è noto, in ragione dell’esigenza sempre più avvertita di conferire alla persona offesa effettivi poteri di intervento e partecipazione, specie nei procedimenti concernenti reati con più alta potenzialità offensiva[11], il legislatore – anche sotto la spinta di obblighi internazionali e comunitari[12] – col già citato D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito in legge 15 ottobre 2013, n. 119,  ha disegnato un peculiare sub-procedimento, nell’ambito del sistema di applicazione delle misure cautelari (art. 299, commi 3 e 4 bis)[13]. Viene imposto che il soggetto richiedente la revoca o la sostituzione, in melius, di una misura cautelare coercitiva (diversa da quelle diversa da quelle meno afflittive del divieto di espatrio e dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria) – sia esso pubblico ministero o imputato – abbia precisi obblighi di informazione della persona offesa. A quest’ultima è, altresì, attribuito potere di interlocuzione a mezzo di memoria scritta, così da fornire al giudice elementi di valutazione suscettibili di incidere sulla sua decisione. Nello specifico, il richiedente la revoca o la sostituzione meno afflittiva deve, contestualmente, notificare l’istanza, a sua cura e a pena di inammissibilità, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa; salvo che, in quest’ultimo caso, non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio[14]. Il difensore e la persona offesa, ricevuta la notifica, possono presentare memorie ai sensi dell’art. 121 c.p.p. nei due giorni successivi, decorsi i quali il giudice deciderà sulla richiesta avanzata. In questo quadro legislativo, il coinvolgimento della persona offesa nella dinamica cautelare è finalizzato alla riduzione del rischio di vittimizzazione ripetuta[15], la quale consiste nella messa in atto di comportamenti intimidatori o ritorsivi da parte dell’autore del reato a danno della vittima.

Esposta la normativa di riferimento, la Corte sottolinea la ratio della novella legislativa nel diritto della persona offesa. Nell’ottica di un mantenimento della misura cautelare coercitiva, la riforma intende fornire alla persona offesa il potere di incidere sulle vicende modificative della misura, apportando dati e informazioni, valutabili nella prospettiva del mantenimento delle condizioni di restrizione dell’indagato[16]. La pronuncia delle Sezioni Unite ricostruisce, nel dettaglio, gli opposti orientamenti che si erano manifestati in seno alla Cassazione, in ordine alla legittimazione della persona offesa ad impugnare l’ordinanza di revoca o sostituzione della misura coercitiva, emessa in violazione dei diritti di informazione e partecipazione al subprocedimento ex art. 299, comma 3, c.p.p. (o ex comma 4 bis, nel caso di richiesta successiva alla conclusione delle indagini preliminari).

Un primo, e più nutrito, indirizzo interpretativo – inaugurato da Sezione 6, n. 6717 del 05/02/2015 (Rv. 262272) – ha valorizzato la legittimazione della persona offesa a ricorrere per cassazione. Tale orientamento, per quanto espresso anche da altri precedenti[17], ha trovato pronunce[18] che hanno fornito un maggior contributo motivazionale a tale opzione ermeneutica. In particolare, con la pronuncia n. 6864 del 09/02/2016 (Rv. 266542), la sesta Sezione ha affermato che – sussistendo una diretta lesione alle prerogative di legge della persona offesa – la stessa debba intendersi anche legittimata al ricorso per cassazione; analogamente a quanto previsto all’epoca, in materia di procedimento di archiviazione, dall’art. 409, comma 6, c.p.p. (come interpretato a partire dalla sentenza della Corte costituzionale, 16 luglio 1991, n. 353)[19]. Del pari, valorizzando il significato di garanzia della novella del 2013 e richiamando le previsioni della Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011 e della Direttiva 2012/29/UE, la Corte[20] ha osservato che l’aver previsto una sanzione così radicale (come quella dell’inammissibilità) – nel caso di violazione dei diritti informativi della persona offesa (nello specifico, per l’omessa notifica della richiesta) – implica che il soggetto, in cui favore la sanzione è posta, debba poter farla valere. Non essendo stata introdotta una specifica disposizione, che riconoscesse alla persona offesa la legittimazione alle impugnazioni cautelari, deve ritenersi, allora, esperibile il rimedio residuale del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost., sempre ammesso contro i provvedimenti sulla libertà personale.

Il contrario orientamento era stato espresso dalla Sezione quinta, con la sentenza n. 54319 del 17/05/2017 (Rv. 272005), la quale costituisce il precedente specifico della soluzione che verrà poi accolta dalle Sezioni Unite. Tale decisione muove dal principio della tassatività delle impugnazioni (anche cautelari) e rileva che né la disposizione sull’appello (310 c.p.p.) né quella sul ricorso per cassazione (311 c.p.p.) annoverano la persona offesa tra i soggetti legittimati all’impugnazione[21]. La Suprema Corte ha, poi, escluso che il diritto al ricorso per cassazione possa trovare riscontro nella previsione costituzionale dell’art. 111, comma 7, Cost., trasfusa nel codice di rito all’art. 568, comma 2, c.p.p.. Trattandosi di norma di stretta interpretazione, la stessa deve essere letta solo a vantaggio di colui che è ristretto nella sua libertà e del suo difensore. La decisione individua l’unico rimedio esperibile in capo alla vittima, nell’art. 572 c.p.p., ovvero nella possibilità, per la persona offesa, di richiedere al pubblico ministero l’impugnazione del provvedimento adottato, in violazione dei suoi diritti di partecipazione.

4. Il primo presupposto della decisione: la violazione del termine dilatorio per il contraddittorio cartolare non è ipotesi di invalidità

Esaurita la ricostruzione dei precedenti giurisprudenziali, le Sezioni Unite si soffermano sulla rilevanza che la legge attribuisce alla violazione dell’onere informativo della persona offesa, nel subprocedimento ex art. 299 comma 3 e 4 bis c.p.p. Qui vi è un primo snodo fondamentale della decisione. Il giudice di legittimità evidenzia come, la disposizione citata ricolleghi la sanzione della inammissibilità solo al caso dell’istanza di modifica o revoca che non sia stata, a cura del richiedente, contestualmente notificata presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa che abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio; nulla, invece, disponendo nell’ipotesi di inosservanza del termine dilatorio per la presentazione di memorie. Nota il Supremo Collegio che, quella della inammissibilità, è sanzione processuale degli atti di domanda di particolare rigore, impedendo l’esame nel merito della domanda che sia sprovvista di requisito richiesto dalla legge a pena, appunto, di inammissibilità[22]. Il codice di rito, pur non regolando, in termini generali, gli effetti della previsione della inammissibilità, lo fa con “valore paradigmatico” proprio per le impugnazioni, rappresentando che essa è rilevabile anche di ufficio e può essere dichiarata in ogni stato e grado del procedimento (art. 591 c.p.p.). Proprio sulla scorta di tale assunto, le Sezioni Unite evidenziano la formazione di un orientamento stabile per il quale,  l’inammissibilità dell’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare personale, applicata nei procedimenti ex art. 299, comma 3, c.p.p., quale conseguenza della mancata notifica della richiesta medesima alla persona offesa a cura della parte richiedente, è rilevabile d’ufficio, anche al di fuori dell’oggetto del gravame e non può essere sanata fino al formarsi del giudicato[23].

Come si anticipava, l’art. 299, comma 3, c.p.p. non dispone, invece, espressamente per il caso – di diretto interesse per la questione sottoposta alle Sezioni Unite – di richiesta regolarmente notificata, a cui, però, non segua il rispetto del termine dilatorio di due giorni per l’eventuale proposizione di memoria ex art. 121 c.p.p. A giudizio della Suprema Corte, di fronte al silenzio della legge, deve ritenersi che l’inosservanza del termine dilatorio resti priva di conseguenze, traducendosi in una mera irregolarità processuale (art. 124 c.p.p.); non intacca, pertanto, la validità del provvedimento adottato, in violazione della disposizione a tutela del diritto partecipativo della persona offesa.

Ponendosi, esse stesse, nella posizione di eventuale contraddittore, le Sezioni Unite avanzano, invero, argomentazioni suggestive di una soluzione diversa. Sulla scorta del rilievo che, in ambedue le circostanze, l’interesse della persona offesa che viene pretermesso – quello alla prospettazione di elementi utili alla decisione – appare il medesimo, non vi sarebbe ragione che l’omissione della notifica sia sanzionata così radicalmente, mentre la violazione del diritto di presentare memorie non produca conseguenze di sorta. In particolare, la Corte propone l’argomento che, l’inosservanza del termine dilatorio, possa almeno precludere il consolidamento degli effetti del provvedimento di modifica o revoca della misura, dal momento che la fattispecie procedimentale, iniziata con la richiesta di revoca o di sostituzione, non potrebbe dirsi regolarmente completata per l’assenza di un presupposto costitutivo, ossia l’intero decorso del termine. La decisione sarebbe, quindi, segnata da “un difetto di potere in concreto”, rilevabile anche al di fuori di un meccanismo di impugnazione; analogamente a quanto previsto per i casi di sopravvenuta inefficacia del provvedimento cautelare (art. 306 c.p.p. per i casi, tra gli altri: di mancato espletamento nel termine di legge dell’interrogatorio di garanzia, come prescritto dall’art. 302 c.p.p.; di mancato intervento della pronuncia giudiziale di merito entro il termine massimo di fase o complessivo di custodia cautelare, secondo le previsioni dell’art. 303 c.p.p.). In questa direzione, le Sezioni Unite ricordano anche lo stabile orientamento giurisprudenziale per il quale, se il giudice decide sulle richieste di revoca o di modifica delle misure cautelari senza aver dato modo al pubblico ministero di intervenire con il suo parere (ai sensi dell’art. 299, comma 3 bis, c.p.p.), la decisione, per consolidata giurisprudenza, è affetta, ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. b), c.p.p., da nullità generale a regime intermedio[24].

Tali ricostruzioni non superano, tuttavia, a giudizio delle Sezioni Unite, la prova di resistenza. Da un lato, infatti, non si rinvengono previsioni di sanzioni processuali, per la decisione assunta, senza il rispetto del termine dilatorio a beneficio della persona offesa. Non può richiamarsi, infatti, la previsione di cui all’art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p. di nullità d’ordine generale per l’omessa citazione in giudizio della persona offesa che è fattispecie del tutto diversa, a cui non può essere assimilata una forma di intervento cartolare di tipo meramente informativo[25]. Parimenti, il diritto della persona offesa di presentare memorie entro due giorni dalla notifica dell’istanza, può intendersi solo come precedente cronologico del provvedimento del giudice, ma non anche come presupposto che ne condiziona l’esercizio del potere di sostituzione e revoca; una simile soluzione, se non oggetto di previsione espressa, dovrebbe essere, quanto meno, desumibile da univoche indicazioni normative; che, però, non si rinvengono.

Di qui un primo approdo della decisione, non abbastanza considerato, ma foriero di effetti ancora più radicali rispetto al riconoscimento o meno del diritto all’impugnazione. Quand’anche la persona offesa fosse riconosciuta legittimata a ricorrere, l’impossibilità – rebus sic stantibus –  di sussumere, nell’ambito di una ipotesi di invalidità, il provvedimento assunto in violazione del termine dilatorio in parola, limiterebbe, ab origine, la fattibilità di un eventuale ricorso per cassazione. Non possono farsi valere violazioni di legge processuale, quale è il mancato rispetto del termine dilatorio a beneficio della persona offesa, che non siano, al contempo, assistite da una comminatoria di invalidità (cfr. art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p.).

5. Il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione e la carenza della qualità di “parte” nel subprocedimento cautelare come ostacoli all’impugnazione

Chiarito questo primo fondamentale aspetto – che pure non è stato oggetto di diretta massimizzazione da parte della pronuncia – le Sezioni Unite passano ad affrontare il cuore della questione controversa. La Corte aderisce all’indirizzo interpretativo minoritario che esclude, in capo alla persona offesa, il potere di impugnare il provvedimento con cui il giudice decide su una richiesta di revoca o di sostituzione di una misura cautelare; ciò tanto nel caso di omessa notifica della richiesta quanto in quello di inosservanza del termine dilatorio di due giorni, accordato per presentare memorie. L’argomentazione del Collegio si basa su un duplice ordine di ragioni.

Innanzitutto viene in rilievo il principio di tassatività delle impugnazioni, consacrato dall’art. 568 c.p.p., da intendersi non solo in senso oggettivo. Oltre a dover essere solo la legge a determinare i provvedimenti soggetti ad impugnazione e dei mezzi con cui possono essere impugnati (art. 568, comma 1), in termini soggettivi, la tassatività implica che “il diritto di impugnazione spetta soltanto a colui al quale la legge espressamente lo conferisce” e “se la legge non distingue tra le diverse parti, tale diritto spetta a ciascuna di esse” (art. 568, comma 3, c.p.p.)[26]. In sostanza, la legge può attribuire il diritto di impugnazione a soggetti, che non sono parti del processo, solo con statuizione espressa; senza possibilità di ricorrere a interpretazioni estensive o, addirittura, analogiche. Il diritto di impugnazione spetta, invece, in termini generali a tutte le parti, se la legge non distingue tra di esse.

Alla luce di tale cornice, la Corte esclude la persona offesa tra i soggetti legittimati all’impugnazione dei provvedimenti adottati sulle richieste di revoca o di sostituzione delle misure cautelari. Quand’anche le si riconoscesse la qualità di parte, la persona offesa non ne avrebbe titolarità, atteso che le disposizioni codicistiche, di diretto interesse, indicano espressamente gli aventi diritto all’impugnazione, non ricomprendendo mai la persona offesa. Essa, infatti, non può avvalersi dell’appello ex art. 310 c.p.p. – che pure è il mezzo di impugnazione proprio dei provvedimenti attinenti le richieste di modifica e revoca delle misure[27] – spettando, tale gravame, per espressa previsione, solo al pubblico ministero, all’imputato e al suo difensore. Del pari, il successivo art. 311, co. 1, c.p.p. prevede la possibilità, sempre per gli stessi soggetti (P.M., imputato e difensore), di proporre ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in sede di appello; mentre il ricorso diretto per cassazione ex art. 311, co. 2, c.p.p. è previsto, unicamente, contro le ordinanze di prima applicazione delle misure coercitive, in favore dell’imputato e del suo difensore (non anche del P.M.)[28], in alternativa allo strumento del riesame (art. 309 c.p.p.), e solo per “violazione di legge[29]. Da ultimo, le Sezioni Unite escludono la legittimazione della persona offesa ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost. (e quindi dell’art. 568, co. 2, c.p.p.), come invece sostenuto dalla Sezione quinta, con sentenza n. 7404 del 20/09/2016. La previsione costituzionale, pur assicurando la garanzia oggettiva del controllo di legittimità su ogni provvedimento in materia di libertà personale, non opera in favore di qualsivoglia soggetto e non può, dunque, essere utilizzata per ampliarne, in difformità alle previsioni di legge, la platea.

In secondo luogo, a prescindere dal principio di tassatività, anche soggettiva, dei mezzi di gravame, le Sezioni Unite ritengono che, a legislazione vigente, la persona offesa, pur titolare di poteri maggiori dell’ordinario, specie nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona, non acquista, comunque, la qualità di parte del procedimento. Non è possibile ricavare tale qualifica solo alla luce dell’intento di rafforzamento della sua tutela, apportato con la novella del 2013.

In particolare, la Corte esclude, anzitutto, che la persona offesa possa ritenersi “parte” nell’ambito del procedimento cautelare, in considerazione del suo spazio di intervento solo “episodico”[30]. La stessa non è presente, infatti, nel momento applicativo delle misure, neanche con poteri meramente sollecitatori dell’iniziativa del pubblico ministero, che invece la qualificano in altri momenti (ad es. in materia di incidente probatorio). La persona offesa non ha interlocuzione ove i provvedimenti di revoca o di sostituzione siano adottati d’ufficio dal giudice all’esito dell’interrogatorio di garanzia, in sede di decisione sulla richiesta di proroga del termine per le indagini preliminari o di assunzione dell’incidente probatorio ovvero, ancora, quando il giudice procede all’udienza preliminare[31] o al giudizio (art. 299, comma 3, ultimo periodo, c.p.p.). Non è interpellata neppure in altre situazioni che conducono alla perdita di efficacia delle misure, che può essere imputata a varie cause (es. per il mancato rispetto del termine di legge per l’espletamento dell’interrogatorio di garanzia o per la decisione sulla richiesta di riesame al decorso dei termini massimi di legge). Non interviene, infine, nelle vicende connesse all’impugnazione del titolo cautelare[32].  

La persona offesa non può dirsi parte, secondo le Sezioni Unite, neanche nel processo principale, dal momento che le disposizioni codicistiche – come modificate dal d.lgs. n. 212 del 2015, che ha attuato la Direttiva 2012/29/UE – le conferiscono, in via generale, solamente diritti informativi, di presentazione di memorie e di indicazioni di elementi di prova; con l’esclusione del giudizio di cassazione (cfr. artt. 90, 90 bis, 90 ter c.p.p.). Sono individuate come deroghe, a questa generale configurazione, l’espressa attribuzione, in determinati momenti procedimentali, di diritti e facoltà aggiuntivi[33]. Alla luce di tali coordinate, la posizione della persona offesa può essere meglio ricostruita in termini di “soggetto processuale la cui partecipazione non condiziona la progressione processuale[34].

Tale affermazione non è scalfita, secondo la Corte, nemmeno dalla presenza di disposizioni che, eccezionalmente, sembrano riconoscere alla persona offesa un potere di impugnazione: così, con riguardo al potere di reclamo dinnanzi al tribunale in composizione monocratica, nei casi di nullità del decreto e dell’ordinanza di archiviazione (art. 410 bis c.p.p.); ovvero nei confronti della sentenza di non luogo a procedere, che può essere appellata dalla persona offesa per far valere la nullità derivante dalla omessa notificazione dell’avviso dell’udienza preliminare (art. 428, comma 2, e art. 419, comma 7, c.p.p.)[35]. Trattasi, infatti, di disposizioni eccezionali, non suscettibili di applicazione analogica. La legge ha inteso definire, in generale, per la persona offesa, un ruolo che si segnala per diritti di informazione e di intervento meramente sollecitatorio per mezzo di memorie: ogni attribuzione aggiuntiva deriva da riconoscimenti espressi, come tali, non estensibili a situazioni ritenute simili o analoghe. In definitiva, la persona offesa diventa parte solo con la costituzione di parte civile, perché, facendo valere l’interesse risarcitorio/restitutorio – che pure non è elemento indefettibile della sua natura di titolare dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice – assume poteri di incidenza sulla progressione processuale: può esercitare il diritto alla prova e, poi, quello di impugnazione delle statuizioni che riguardano la sua azione e, quindi, il tema della responsabilità civile.

Le Sezioni Unite evidenziano che, l’esclusione del potere di impugnazione, non pone il sistema in frizione né con la normativa sovranazionale né con la Costituzione. Da un lato, infatti, la Direttiva 2012/29/UE si limita ad osservare che “le vittime dovrebbero essere informate in merito all’eventuale diritto di presentare ricorso avverso una decisione di scarcerazione dell’autore del reato, se tale diritto esiste nell’ordinamento nazionale” (Considerando 33); non imponendo, così, il potere di gravame come requisito minimo di garanzia delle ragioni della vittima. Allo stesso modo, la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, meglio conosciuta come Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia il 27 settembre 2012, si limita a prevedere che i pareri delle persone offese “siano esaminati e presi in considerazione” nel procedimento penale; senza che ciò debba, di necessità, tradursi nella previsione del potere di impugnazione, essendo possibili altre forme di concretizzazione. Parimenti, il Collegio non dubita della compatibilità costituzionale della soluzione accolta, da ritenersi insindacabile scelta di discrezionalità legislativa: le forme di tutela della posizione della vittima vanno contemperate con l’esigenza di riservare, alla parte pubblica, l’iniziativa delle decisioni restrittive della libertà personale[36].

6. La tutela residuale della vittima: la richiesta di impugnazione al Pubblico Ministero  

Le Sezioni Unite concludono il loro percorso argomentativo rilevando che, ad ogni modo, l’esclusione del potere diretto di impugnazione non rende la vittima sprovvista di tutela. Come già sostenuto[37], lo strumento processuale dell’art. 572 c.p.p viene indicato come sufficiente a garantire alla persona offesa che le sue deduzioni, in ordine alla restrizione cautelare dell’indagato, siano prese in considerazione nella previsione. A norma del predetto articolo, la persona offesa, anche non costituita parte civile, può proporre al pubblico ministero richiesta motivata di impugnazione ad ogni effetto penale. Per cui, se il giudice decide violando il diritto della persona offesa ad essere informata e ad intervenire nel subprocedimento, il pubblico ministero, a tal fine sollecitato, può impugnare, con gli ordinari mezzi previsti dalla legge[38], l’ordinanza. La Pubblica accusa, in tale sede, può far valere, ora, l’inammissibilità della richiesta, se non previamente notificata alla persona offesa (vizio rilevabile, come si è detto, anche d’ufficio e in deroga al principio devolutivo); ora, eventuali carenze del merito decisorio, rilevabili alla luce delle prospettazioni della memoria pretermessa. Laddove il PM ritenga di non raccogliere la sollecitazione, è tenuto a illustrarne le ragioni con decreto motivato, da notificarsi al richiedente, come previsto dallo stesso art. 572, comma 2, c.p.p.. Viene, in tal modo, soddisfatta l’esigenza, di cui anche le fonti sovranazionali dicono, che sia data contezza dell’effettivo esame del contributo della persona offesa.

 Di qui l’affermazione del principio di diritto sopraindicato, sulla scorta del quale il ricorso è stato dichiarato inammissibile, ma senza condanna della ricorrente al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, data la particolare complessità della questione in esame, foriera di contrasto giurisprudenziale.

 La decisione delle Sezioni Unite in commento, a parere di chi scrive, sembra realizzare, in astratto, un equo contemperamento, a legislazione vigente, fra le esigenze di tutela della persona offesa e la preservazione del controllo pubblico sulle richieste restrittive della libertà personale. È apprezzabile, in particolare, che la Corte – basandosi sui dati normativi che sono al momento rinvenibili nell’ordinamento – non abbia ritenuto di sposare una linea interpretativa che, per quanto forse foriera di maggiori consensi pubblici, potesse, in concreto, minare la coerenza di un sistema delicatissimo, quale è quello delle impugnazioni cautelari personali.

Resta beninteso da verificare se, nella sua pratica applicazione, lo strumento dell’art. 572 c.p.p.[39], individuato dalla Corte come presidio a garanzia dei diritti partecipativi della persona offesa, possa, in concreto, rilevarsi adeguato allo scopo. Del resto, diverse criticità di tale strumento erano già state evidenziate dall’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite. In particolare, la Sesta Sezione aveva sottolineato che “il mancato riconoscimento alla persona offesa della legittimazione a impugnare l’ordinanza di revoca o sostituzione della misura coercitiva emessa dal giudice in violazione del diritto al contraddittorio, riconosciuto alla stessa persona offesa dall’art. 299 c.p.p., comma 3, non troverebbe – in un caso, come quello in esame, in cui la richiesta di sostituzione sia stata formulata dal P.M. – adeguata soddisfazione (o effettivo contemperamento) nel meccanismo previsto dall’art. 572 c.p.p. In primo luogo, infatti, la tutela dei diritti della persona offesa sarebbe affidata all’iniziativa del soggetto che aveva richiesto l’adozione dell’atto in ipotesi lesivo di quei medesimi diritti. Senza considerare, poi, che il ricorso proposto in siffatta ipotesi dal pubblico ministero, su sollecitazione della persona offesa, sarebbe probabilmente destinato ad essere considerato non sorretto da concreto interesse, potendosi fondatamente dubitare che tale sia quello, meramente ipotetico e teorico se veicolato dalla parte pubblica che ha visto accolta la sua istanza cautelare, al rispetto della sequenza procedimentale prevista dalla legge[40].

Le due notazioni avanzate dalla Sezione semplice non sono banali.

In particolare la prima. Che la tutela dei diritti della persona offesa sarebbe affidata all’iniziativa del soggetto che aveva richiesto l’adozione dell’atto in ipotesi lesivo, pare, addirittura, aggravata dal fatto che, l’eventuale diniego del pubblico ministero ad esercitare l’impugnazione – per quanto necessitante di motivazione e da notificarsi alla vittima, in base al disposto dell’art. 572, comma 2, c.p.p. – non sarebbe poi, in concreto, giustiziabile. Secondo la (scarna) giurisprudenza sul punto[41], non potrebbe proporsi, da parte dei soggetti indicati nell’art. 572, comma 1, c.p.p. (richiesta della parte civile o della persona offesa), ricorso per cassazione avverso il decreto motivato emesso dal pubblico ministero di non proposizione di impugnazione, ai sensi del secondo comma del citato art. 572 c.p.p.; ciò, sia in virtù del generale principio di tassatività dei mezzi di gravame, sia in quanto il provvedimento menzionato non avrebbe natura giurisdizionale ma meramente amministrativa.

La seconda criticità mossa dall’ordinanza di rimessione – l’eventuale carenza di interesse del pubblico ministero al gravame – non pare, invece, altrettanto solida. Se è vero, infatti, che ogni impugnazione deve essere sempre sorretta dall’interesse di chi la esercita (art. 568, comma 4, c.p.p.), è anche vero che il legislatore, nel delineare l’istituto di cui all’art. 572 c.p.p., ha specificato che, l’impugnazione effettuata dal PM su richiesta della persona offesa, è limitata agli interessi penali[42]. Sono proprio tali “interessi” a legittimare l’organo inquirente può ritenersi sempre sussistente; a maggior ragione nel subprocedimento cautelare.

Ad ogni modo, ritiene chi scrive che, la soluzione individuata dalle Sezioni Unite, se sostenuta dalla buona volontà e dall’attenzione della pubblica accusa, sembrerebbe addirittura più bilanciata rispetto all’indiscriminato riconoscimento del potere di impugnazione in capo alla persona offesa.  La lettura fornita, infatti, appare in grado di consentire un più armonico contemperamento degli opposti interessi tra vittima e indagato, grazie al filtro preliminare rappresentato dalla valutazione di un organo pubblico, quale è il pubblico ministero, in ordine alla opportunità di esperire un gravame potenzialmente incisivo sulla libertà personale di un individuo; evitando, altresì, un nuovo probabile aumento del contenzioso cautelare. Rispetto alla comprensibile obiezione che la mole di lavoro, già oggi, a carico degli uffici di Procura non renderebbe praticabile tale auspicio, potrebbe soccorrere l’orientamento del giudice di legittimità che sancisce la sicura ammissibilità del gravame del pubblico ministero, anche in caso di semplice trascrizione delle censure proposte nella richiesta di impugnazione, ai sensi dell’art. 572 c.p.p.;  con l’irrilevanza, ai fini del requisito di specificità dei motivi, della fonte dello scritto[43].

Tale facilitazione, soprattutto d’ordine materiale, potrebbe consentire di superare la maggior parte delle difficoltà organizzative che generano perplessità rispetto alla soluzione adottata dalle Sezioni Unite, dovendo l’organo inquirente solamente valutare l’opportunità o meno dell’impugnazione. Si eviterebbe così il pericolo, segnalato nell’ordinanza di rimessione, di attribuire al meccanismo del contraddittorio cartolare di cui all’art. 299, comma 3, c.p.p., “una valenza meramente canzonatoria”, rendendo “vieppiù evidente, la natura meramente formale, e di fatto illusoria, di garanzie procedurali[44].

Resta, da ultimo, sempre auspicabile un – ragionato – intervento del legislatore, in grado di realizzare un più equilibrato e coerente bilanciamento di interessi, senza incorrere in indebite forzature del principio di tassatività dei mezzi d’impugnazione[45].


[1] Una puntuale disamina del processo di implementazione del sistema di cautele, in favore delle persone offese vittime di violenza, è stata di recente compiuta da P. BRONZO, Le misure penali di protezione contro la violenza di genere, in Oltre gli stereotipi sulla violenza di genere – Approcci, teorie e ricerche, a cura di G. GIANTURCO e G. BRANCATO, Roma, 2022, p. 181 ss.

[2] Cfr. Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario, relazione n. III/01/2013 del 22 agosto 2013.

[3] Considerando n. 18: “Per violenza di genere s’intende la violenza diretta contro una persona a causa del suo genere, della sua identità di genere o della sua espressione di genere o che colpisce in modo sproporzionato le persone di un particolare genere”

[4] Cfr. Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario, relazione n. III/02/2016 del 2 febbraio 2016.                 

[5] Cfr., tra le altre, Cassazione, Sezione 2, n. 11031 del 13/02/2018, Rv. 272471; Sezione 2, n. 36167 del 03/05/2017, Rv. 270689.

[6] Cfr. Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario, relazione n. 62 del 27 ottobre 2019.

[7] Sulla portata effettiva della locuzione in parola sono, di recente, intervenute le medesime Sezioni Unite con la sentenza n. 17156 del 30/09/2021, Rv. 283042-02. Confermando l’orientamento già espresso, per altra fattispecie (Sezioni Unite, n. 10959 del 29/01/2016, Rv. 265983), la Corte ha chiarito che vi sono ricompresi, potenzialmente, tutti i procedimenti aventi ad oggetto reati commessi con violenza alla persona, sia essa elemento costitutivo della fattispecie o circostanza aggravante; senza necessità che il delitto sia qualificato dall’esistenza di un pregresso rapporto interpersonale della persona offesa con l’autore del reato o dal pericolo di recidiva, specificamente riferito alla persona offesa.

[8] Cassazione, Sezione 5, n. 54319 del 17/05/2017, Rv. 272005.

[9] Cassazione, Sezione. 5, n. 7404 del 20/09/2016, Rv. 269445; Sezione 1, n. 51402 del 28/06/2016, non mass.; Sezione 6, n. 6717 del 05/02/2015, Rv. 262272; Sezione 6, n. 6864 del 09/02/2016, Rv. 266542.

[10] Invero, un precedente isolato della Cassazione (Sezione 5, n. 35735 del 31/03/2015, Rv. 265866) ha sostenuto che, avverso l’ordinanza ex art. 299 c.p.p., la persona offesa sia legittimata ad interporre appello ex art. 310 c.p.p., in quanto gravame esclusivo per reagire avverso i provvedimenti ex art. 299 c.p.p. Veniva, invece, esclusa la sua legittimazione al ricorso immediato per cassazione ex art. 311, comma 2, c.p.p., proponibile soltanto contro le ordinanze che dispongono una misura coercitiva e solo nel caso di violazione di legge; nonché ex art. 568, comma 2, c.p.p., contro i provvedimenti concernenti lo status libertatis, non altrimenti impugnabili.

[11] Sulla ratio dell’intervento del legislatore del 2013 si v. Cassazione, Sezione  6, n. 8691 del 14/11/2017, Rv, 272215, secondo cui la volontà della riforma consiste nel garantire alla vittima del reato commesso con violenza alla persona, in termini ampi ed incondizionati, un fascio di diritti e facoltà processuali, tra loro strettamente legati, finalizzati alla protezione della persona offesa mediante la sua informazione e la sua consapevole e attiva partecipazione al procedimento penale; anche attraverso il suo fondamentale apporto conoscitivo, laddove si tratti della perdurante adeguatezza delle misure coercitive applicate all’indagato a far fronte alle esigenze cautelari ritenute sussistenti nel caso concreto.

[12] Rispetto agli obblighi internazionali, si v. in primis la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica dell’11 maggio 2011, ratificata dall’Italia con la L. 27 giugno 2013, n. 77, pochi mesi prima della innovazione legislativa in esame. Importante pure il contributo del diritto unionale, espresso in special modo dalla direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012, recante norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, che ha impegnato gli Stati membri dell’Unione a “realizzare significativi progressi nel livello di tutela delle vittime in tutta l’Unione, in particolare nei procedimenti penali“, assicurando alle vittime dei reati il diritto a ricevere “informazioni dettagliate“, al fine di “prendere decisioni consapevoli in merito alla loro partecipazione al procedimento“, informazioni anche “relative allo stato del procedimento” (Considerando n. 26). Del pari, assumono rilievo anche gli artt. 2 e 3 della Convenzione EDU, interpretati dalla Corte di Strasburgo come un dovere, a carico degli Stati, di proteggere le persone vulnerabili anche mediante “obblighi procedurali“, capaci di tutelare l’interesse della vittima a ricevere un’adeguata ed efficace protezione “per mezzo del procedimento penale“, riconoscendole, in particolare, il diritto di “essere protetta da ulteriori azioni criminose da parte dell’aggressore” (cfr. Corte EDU, grande camera, sentenza 28 aprile 1998, Osman c. Regno Unito; Corte EDU, grande camera, sentenza 10 maggio 2001, Z. e altri, c. Regno Unito; Corte EDU, sezione III, sentenza 9 giugno 2009, Opuz c. Turchia; nonché, da ultimo, Corte EDU, sezione I, sentenza 2 marzo 2017, Talpis c. Italia).

[13] Nel dettaglio, il comma 3 si riferisce al subprocedimento laddove l’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare sia richiesta in fase di indagini preliminari; il comma 4 bis disciplina l’ipotesi in cui la richiesta sia successiva alla chiusura delle indagini.

[14] Come chiarito di recente dalle stesse Sezioni Unite, l’onere di notifica della richiesta di revoca o di sostituzione della misura cautelare in favore della persona offesa sussiste, fuori dei casi in cui abbia provveduto alla nomina del difensore, solo “a condizione…che essa abbia dichiarato o eletto domicilio”. L’inciso normativo “salvo che in quest’ultimo caso essa non abbia dichiarato o eletto domicilio” non può essere inteso nel senso che l’onere di notificazione sussista, in ogni caso, con la variazione soltanto delle modalità della notifica: ora al difensore; ora, in assenza del difensore, al domicilio dichiarato o eletto dalla persona offesa; ora, in mancanza di tale dichiarazione o elezione, al domicilio ricavabile dagli atti, ai sensi dell’art. 154, comma 1, c.p.p. (cfr. Cassazione, Sezioni Unite, n. 17156 del 30/09/2021, Rv. 283042-01). Al contempo, le medesime Sezioni Unite hanno sostenuto che, in caso di decesso della vittima, i prossimi congiunti della persona offesa e la persona legata alla stessa da relazione affettiva e con essa stabilmente convivente, in quanto legittimati a esercitare diritti e facoltà della persona offesa deceduta, sono anche titolari del diritto all’adempimento informativo, con i limiti e le modalità riservati alla persona offesa; come tali, questi ultimi hanno diritto alla notificazione, prevista dall’art. 299, comma 3 e 4 bis, c.p.p., della richiesta di revoca o modifica della misura cautelare, in atto a carico dell’indagato, purché abbiano nominato un difensore ovvero dichiarato o eletto domicilio (Cassazione, Sezioni Unite, n. 17156 cit.).

[15] Al riguardo, si veda l’art. 18 della Convenzione di Istanbul del 2011 e, nella direttiva 2012/29/UE, i cons. 9, 53, 54, 55, 57, 58, e gli artt. 9, 12, 18, 22, 24.

[16]  M. BONTEMPELLI, Novità nelle procedure di revoca e sostituzione, in A. DIDDI – R.M. GERACI (a cura di), Misure cautelari ad personam in un triennio di riforme, Giappichelli, 2015, p. 143 ss

[17] Tra gli altri si v. anche Cassazione, Sezione 1, n. 51402 del 28/06/2016, non mass., che però si limita a ritenere la persona offesa legittimata al ricorso per cassazione, senza fornire motivazione sul punto.

[18] Cassazione, Sezione 6, n. 6864 del 09/02/2016, Rv. 266542 e Sezione 5, n. 7404 del 20/09/2016, Rv. 269445.

[19] Il quadro normativo di riferimento, al momento della citata decisione, era, infatti, precedente alla legge 23 giugno 2017, n. 103 che, con l’art. 1, comma 32, lett. c), ha abrogato l’art. 409, comma 6, c.p.p., a decorrere dal 3 agosto 2017.

[20] Cassazione, Sezione 5, n. 7404 del 20/09/2016, Rv. 269445.

[21] L’impossibilità per la persona offesa di impugnare il provvedimento, in base al principio di tassatività (anche soggettiva) delle impugnazioni, era stata paventata dalla Cassazione già con le prime relazioni dell’Ufficio del Massimario, pubblicate subito dopo l’emissione del D.L. n. 93/2013 e della legge di conversione n. 119/2013: cfr. Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario, relazione n. III/01/2013 del 22 agosto 2013; Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario, relazione n. III/03/2013 del 16 ottobre 2013.

[22] P. TONINI, Manuale di procedura penale, Milano, 2018, p. 199-200. Sul punto si v. anche Cassazione, Sezione 2, n. 29045 del 20/06/2014, Rv. 259984, secondo cui l’inammissibilità è una patologia che riguarda, esclusivamente, gli atti di una parte processuale – nel caso di specie dell’imputato – che deve potere essere rilevata d’ufficio fino al formarsi del giudicato, senza che possano verificarsi forme, non previste dalla legge, di sanatoria.

[23] V. la già citata Cassazione, Sezione 2, n. 29045 del 20/06/2014, Rv. 259984, successivamente confermata da Sezione 6, n. 8691 del 14/11/2017, Rv. 272215; Sezione 2, n. 33576 del 14/07/2016, Rv. 267500; Sezione 6, n. 6717 del 05/02/2015, Rv. 262272. Speciale menzione merita Sezione 5, n. 43103 del 12/06/2017, Rv. 271009, nella quale si assiste ad uno slittamento dalla figura della inammissibilità a quella della nullità. Secondo la pronuncia, se l’omessa notifica alla persona offesa della richiesta di revoca o sostituzione comporta l’inammissibilità della domanda di parte, l’eventuale ordinanza di revoca o sostituzione, che sia stata emessa dal giudice senza dichiarare la predetta inammissibilità, determina la nullità del provvedimento giudiziale, ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c) c.p.p.; rilevabile, anch’esso, in ogni stato e grado del giudizio cautelare.

[24] Cassazione, Sezione 4, n. 28192 del 23/06/2021, Rv. 282342; Sezione 1, n. 13408 del 08/01/2021, Rv. 281056; Sezione 2, n. 11765 del 02/03/2011, Rv. 249687; Sezione 6, n. 30422 del 22/06/2010, Rv. 248035; Sezione 1, n. 45313 del 11/11/2008, Rv. 242339; Sezione 2, n. 19549 del 18/05/2006, Rv. 234209; Sezione 2, n. 39495 del 27/09/2005, Rv. 232673.

[25] Come sopra ricordato, Cassazione, Sezione 5, n. 43103 del 12/06/2017, Rv. 271009 ha, invece, ritenuto di scorgere, nella diversa fattispecie del provvedimento di revoca o modifica emesso in violazione dell’onere di notifica dell’istanza alla persona offesa, proprio una ipotesi di nullità generale a regime intermedio ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p.

[26] Sulla valenza non solo oggettiva ma anche soggettiva del principio di tassatività delle impugnazioni cfr. già Cassazione. Sezione 1, n. 6584 del 28/02/2000, Rv. 215377.

[27] Ex multis v. Cassazione, Sezione 1, n. 9657 del 27/02/2017, Rv. 269418.

[28] Sul punto già Cassazione, Sezione 2, n. 11420 del 11/03/2003, Rv. 223922.

[29] L’effettiva ampiezza di tale locuzione è disputata (cfr. P. TONINI, Manuale di procedura penale, cit., p. 488). Secondo l’indirizzo giurisprudenziale prevalente, la violazione di legge comprenderebbe, senz’altro, i motivi di ricorso di cui alle lett. a, b e c) dell’art. 606, comma 1, c.p.p.; per quanto concerne, invece, il vizio di motivazione, nell’ambito di tale locuzione, rientrerebbe solo quella priva dei requisiti minimi di esistenza e di completezza; tale tipo di ricorso è alternativo al riesame ove possono essere più opportunamente proposte censure riguardanti lo sviluppo logico giuridico delle argomentazioni del provvedimento impugnato ovvero le prospettazioni del ricorrente, in ordine agli elementi probatori acquisiti (ex multis Cassazione, Sezione 6, n. 4499 del 3/12/2008, 6). Rientrerebbe, peraltro, nel concetto di violazione di legge processuale, con conseguente possibilità di ricorso per saltum, anche la violazione della prescrizione della necessaria autonoma valutazione, da parte del giudice, delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza (v. Cassazione, Sezione 6, n. 53940 del 19/09/2018, Rv. 274584-01; Cassazione, Sezione 6, n. 26050 del 14/04/2016, Rv. 266970).

[30] Le Sezioni Unite non biasimano la cautela del legislatore in tal senso, evidenziando, come già aveva fatto in precedenza la Cassazione con la Sezione 5, n. 54319 del 17/05/2017, cit., che tale scelta può trovare giustificazione nella dubbia accettabilità di situazioni in cui le limitazioni alla libertà personale, anche se nei confronti di soggetti già raggiunti da restrizioni cautelari, possano essere conseguenza di iniziative non riconducibili alla parte pubblica.

[31] Cassazione, Sezione 2, n. 12325 del 23/03/2016, Rv. 266435.

[32] L’obbligo di notifica alla persona offesa dell’istanza sulla libertà proposta dall’imputato, previsto dall’art. 299 c.p.p., non si estende ad esempio all’appello che egli abbia proposto, ex art. 310 c.p.p., avverso il rigetto della richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare, trattandosi di onere non previsto da alcuna norma di legge (Cassazione, Sezione 2, n. 33627 del 11/06/2021, Rv. 281865; Cassazione, Sezione 5, n. 33909 del 20/06/2018, Rv. 273896).  Allo stesso modo, la giurisprudenza ha escluso che l’obbligo di previa notifica sussista per la proposizione dell’istanza di riesame (art. 309 c.p.p.), in quanto tale atto non rientra tra quelli espressamente considerati dall’art. 299 c.p.p., che è norma di stretta interpretazione non suscettibile di estensione analogica, oltre ai casi di inammissibilità ivi espressamente stabiliti (cfr. Cassazione, Sezione 3, n. 669 del 28/10/2020, Rv. 280192-01).

[33] La sentenza in commento si dilunga sugli ulteriori poteri di intervento previsti in favore della persona offesa: dal diritto di assistere ad alcune operazioni probatorie, in materia di perizia (art. 224-bis cod. proc. pen.), accertamento tecnico irripetibile (art. 360 cod. proc. pen.) e, ancora di più, di incidente probatorio (artt. 394, 398, comma 3, 401, comma 1, 401, comma 3, 401, comma 5, c.p.p.). Ancora più intensi sono i poteri esaminati nell’ambito del procedimento di archiviazione (art. 408, commi 2, 3 e 3-bis, 409, comma 2, 410 e 411 c.p.p.).

[34] Cassazione, Sezione 2, n. 12325 del 03/02/2016, Rv. 266435, espressamente richiamata da Sezioni Unite, n. 17156 del 30/09/2021, cit.

[35] Cassazione, Sezione 6, n. 2723 del 22/01/2018, Rv. 271976.

[36] Sulla rilevanza costituzionale del diritto di difesa della persona offesa nel processo penale si veda già Corte costituzionale, n. 132 del 16/12/1968, in cortecostituzionale.it.

[37] Cassazione, Sezione 5, n. 54319 del 17/05/2017, Rv. 272005.

[38] Alla luce dell’orientamento pacifico della giurisprudenza di legittimità, il pubblico ministero dovrà esperire in primis l’appello ex art. 310 c.p.p. e, solo successivamente, il ricorso per cassazione ex art. 311, comma 1, c.p.p. (cfr. Cassazione, Sezione 2, n. 45402 del 5/12/ 2008, Rv. 242221).

[39] La bibliografia sull’istituto, a distanza di oltre 30 anni dall’introduzione del nuovo Codice di rito, non è particolarmente ricca, a conferma del suo ruolo ancillare nell’ambito del sistema delle impugnazioni penali. Si vedano ad ogni modo: A. CHILIBERTI, Azione civile e nuovo processo penale, Milano, 1993; M. RAMAJOLI, Le impugnazioni penali: appello, cassazione, revisione, Milano, 1994; Salidu, sub art. 572, in Comm. Chiavario, VI, Torino, 1991, 48; G. SPANGHER, Impugnazioni penali, in Digesto penale, VI, Torino, 1992, 217; Id., Impugnazioni. Diritto processuale penale: profili generali, in EG, XVI, Roma, 2002; C. VALENTINI, Le impugnazioni delle parti eventuali, I profili generali della facoltà di impugnare, in A. GAITO, Le impugnazioni penali, I, Torino, 1998, 217.

[40] Cassazione, Sezione 6, Ordinanza n. 5551 del 09/11/2021,

[41] Cassazione, Sezione 2, n. 21224 del 7/05/2003, Rv. 225082.

[42] La giurisprudenza esclude che lo strumento ex art. 572 c.p.p. possa essere adoperato per effettuare un’impugnazione limitata agli interessi civili: “il pubblico ministero penale, siccome estraneo al rapporto processuale civile, instauratosi incidentalmente nel processo penale tra il soggetto danneggiato dal reato e l’imputato, e indifferente, quindi, ai profili di soccombenza propri dell’azione civile risarcitoria, non è legittimato a impugnare un provvedimento all’esclusivo fine di tutelare gli interessi civili della parte privata, così surrogandosi all’inerzia di quest’ultima, la quale, rimanendo acquiescente alla decisione a sé pregiudizievole, ha invece consentito il formarsi del giudicato sul punto”. Ciò, del resto, è confermato anche dal dato normativo contenuto nell’articolo 572 del c.p.p., che prevede la facoltà della parte civile o della persona offesa di chiedere, con istanza motivata al pubblico ministero, di proporre impugnazione “a ogni effetto penale”, ma non anche “per i soli interessi civili” (in questi termini Cassazione, Sezione 2, n. 40358 del 27/06/2003, in Guida al Diritto, 2004, 1, 87).

[43] Cfr. Cassazione, Sezione 3, n. 15205 del 15/11/2019, Rv. 278915-01; Cassazione, Sezione 5, n. 41782 del 26/05/2016, Rv. 267864. Al contrario, il requisito della specificità dei motivi non è stato ritenuto soddisfatto laddove il pubblico ministero si limiti a rinviare per relationem alle censure mosse nella richiesta di impugnazione, senza indicare le ragioni del dissenso sulla decisione impugnata (v. Cassazione, Sezione 4, n. 14014 del 4/03/2015, Rv. 263016).

[44] Cassazione, Sezione 6, ordinanza n. 5551 del 09/11/2021.

[45] R.G. GRASSIA, Ricorso della persona offesa avverso la revoca o la sostituzione della misura cautelare coercitiva, nei reati commessi con violenza alla persona: la parola alle Sezioni Unite, in Sistema Penale, 16 giugno 2022.

Link utili

La sentenza

Condividi su:

Articoli Correlati
Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit, sed do eiusmod tempor incididunt ut labore et dolore
Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit, sed do eiusmod tempor incididunt ut labore et dolore