Abstract
Il contributo propone una disamina dell’organizzazione nazionale per la tutela delle informazioni “sensibili”, esplorando in particolare i meccanismi di divulgazione e tutela delle stesse nel procedimento penale, nonché le conseguenze di una eventuale violazione.
This essay examines the national framework for protecting “sensitive” information, with a particular focus on the mechanisms for its disclosure and safeguarding in criminal proceedings, as well as the potential consequences of any breach.
Sommario: 1. Introduzione – 2. La tutela delle informazioni: sicurezza nazionale, segreto di Stato e informazioni classificate – 3. La divulgazione controllata delle informazioni nel procedimento penale ai sensi della l. n. 124 del 2007 – 4. Le conseguenze sulla violazione del segreto – 5. Conclusioni.
- Introduzione
L’art. 42 della legge 3 agosto 2007 n. 124 regola le modalità con le quali i documenti sensibili per la sicurezza della Repubblica devono essere gestiti nel corso delle indagini preliminari e del dibattimento. In questo caso, alle cautele ordinarie, funzionali a tutelare la segretezza delle indagini preliminari, si aggiungono quelle speciali necessarie a proteggere le informazioni sensibili e, con esse, gli interessi di sicurezza della Repubblica.
La riservatezza delle informazioni sensibili, dunque, riceve una protezione particolare che, come si vedrà, è destinata a resistere negli ulteriori sviluppi del processo ed è presidiata da specifiche fattispecie penali volte a punirne l’ingiustificata divulgazione.
- La tutela delle informazioni: sicurezza nazionale, segreto di Stato e informazioni classificate
Si definisce “sensibile” un’informazione quando la sua divulgazione può compromettere la sicurezza nazionale.
La sicurezza nazionale, sul piano pubblicistico[1], è la formula in uso nell’epoca contemporanea per compendiare il complesso di valori ed interessi supremi ed indispensabili per la sopravvivenza dello Stato quale comunità di istituzioni e di cittadini, nonché di tutti i necessari strumenti di tutela volti al mantenimento delle condizioni essenziali per tenere la Repubblica unita, proteggerne lo sviluppo e la sovranità[2]. Tra quest’ultimi strumenti spicca, ratione materiae, il Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, deputato, in particolare, alla tutela della sicurezza nazionale e alla gestione delle informazioni sensibili generate nell’attività della P.A. e dei privati che operano nei settori di rilevanza strategica[3].
Infatti, la tutela delle informazioni è oggi governata dalla legge n. 124 del 2007, di riforma del sistema nazionale di intelligence e della disciplina del segreto di Stato, e dalla sua normativa di attuazione[4], che appronta un complesso sistema di regole e apparati volti a tutelare le informazioni ed evitare che ingiustificate divulgazioni possano porre a rischio la sicurezza nazionale[5].
Il principio ordinatore della segretezza[6] è il seguente: la libera circolazione di talune informazioni può arrecare danni alla sicurezza nazionale tali per cui, a seconda della gravità delle possibili conseguenze, vengono attribuiti corrispondenti livelli di segretezza che implicano il rispetto di limiti e l’adozione di particolari tutele.
Sotto il profilo organizzativo, la sicurezza delle informazioni si basa su un sistema articolato che coinvolge diversi livelli istituzionali, procedure di classificazione e meccanismi di controllo per garantire la protezione dei materiali sensibili.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, vertice del sistema di sicurezza nazionale, ha il potere di apporre, prorogare o rimuovere il segreto di Stato (art. 39, legge 3 agosto 2007, n. 124), mentre il Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (DIS) opera come Organo Nazionale di Sicurezza[7] ed è deputato alla complessiva gestione dei flussi informativi sensibili. Nello svolgere tale mandato, il Dipartimento si avvale dell’attività dell’Ufficio Centrale per la Segretezza (UCSe), responsabile, ex plurimis, del rilascio e della revoca delle abilitazioni necessarie per accedere alle informazioni classificate (art. 7, DPCM 6 novembre 2015, n. 5).
La protezione delle informazioni classificate avviene attraverso misure fisiche, tecniche e organizzative, tra cui sistemi di controllo degli accessi, sorveglianza, formazione del personale e ispezioni periodiche, affinché tali informazioni sensibili rimangano riservate e al sicuro da eventuali minacce interne o esterne[8].
La segretazione delle informazioni si fonda su due istituti: il segreto di Stato e le classifiche di sicurezza.
La gestione delle informazioni può dunque essere immaginata come una piramide, nella quale i diversi provvedimenti di secretazione sono assunti in base potenziale danno che la diffusione non autorizzata potrebbe arrecare alla Repubblica: al suo vertice è collocato il segreto di Stato, il provvedimento in assoluto più limitativo della circolazione, apponibile esclusivamente dal Presidente del Consiglio dei ministri con un atto che ha natura politica.
La classificazione delle informazioni è suddivisa invece in quattro livelli di segretezza – Segretissimo, Segreto, Riservatissimo e Riservato – la cui apposizione avviene con un provvedimento di natura amministrativa (art. 42, legge 3 agosto 2007, n. 124; art. 4, DPCM 12 giugno 2009, n. 7)[9].
Sul piano processuale, la principale differenza tra i due istituti risiede nel diverso regime di circolazione delle informazioni: quelle coperte da segreto di Stato non possono mai essere utilizzate nei procedimenti giudiziari; le informazioni classificate sì, ma con la rigorosa osservanza delle disposizioni di legge.
Il grado di pregiudizio legato all’apposizione del segreto si basa sulla potenziale gravità del danno che la diffusione non autorizzata delle informazioni potrebbe arrecare alla sicurezza nazionale.
Il segreto di Stato viene applicato a informazioni, documenti, atti, attività o luoghi la cui conoscenza non autorizzata potrebbe compromettere gravemente l’integrità della Repubblica, la difesa delle istituzioni democratiche, l’indipendenza dello Stato o le sue relazioni internazionali (art. 39 l. n. 124 del 2007).
La classifica SEGRETISSIMO si applica a informazioni la cui diffusione potrebbe arrecare un danno eccezionalmente grave agli interessi essenziali della Repubblica, come la sicurezza militare, le operazioni strategiche o le infrastrutture critiche.
La classifica SEGRETO riguarda informazioni la cui divulgazione sarebbe idonea a causare un danno grave alla sicurezza nazionale, come piani di difesa o dati sensibili sui servizi di intelligence.
La classifica RISERVATISSIMO è attribuita a informazioni la cui diffusione potrebbe arrecare un danno significativo, compromettendo la sicurezza operativa di determinati apparati dello Stato.
Infine, la classifica RISERVATO si applica a informazioni che, se divulgate, potrebbero causare un danno lieve, come documenti interni di rilevanza limitata per la sicurezza nazionale.
L’ordinamento si fa quindi carico di disciplinare anche presupposti e procedure di accesso alle informazioni. E così per accedere e trattare le informazioni classificate con livello di segretezza Segretissimo, Segreto e Riservatissimo è necessario il Nulla Osta di Sicurezza (NOS), mentre l’accesso alle informazioni classificate come Riservato non è subordinato invece ad alcuna abilitazione di sicurezza, a condizione che sia limitato ai soggetti che abbiano una comprovata necessità di conoscerle per lo svolgimento del proprio incarico, funzione o attività (artt. 3 e 23, DPCM 6 novembre 2015, n. 5)[10].
La trattazione e la circolazione delle informazioni classificate sono governate da principi fondamentali volti a garantire la sicurezza, la riservatezza e la corretta gestione di dati sensibili, nel rispetto degli interessi nazionali.
Cardine del sistema è quello della necessità di conoscere (cd. need to know), secondo cui l’accesso alle informazioni classificate è consentito esclusivamente ai soggetti che, in ragione del loro incarico o delle loro funzioni, abbiano una reale necessità operativa di conoscerle (art. 23, DPCM 6 novembre 2015, n. 5)[11].
Seguono quelli di proporzionalità[12], di integrità e protezione[13], di responsabilità[14] e, infine, di tracciabilità e controllo[15].
- La divulgazione controllata delle informazioni nel procedimento penale ai sensi della l. n. 124 del 2007
È chiaro che, anche alla luce della convergenza delle funzioni di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria nella repressione, ma soprattutto prevenzione, del crimine, materiale classificato (i.e. proveniente dai Servizi di informazione e sicurezza o dal Ministero dell’Interno, come in materia di polizia di prevenzione, terrorismo, immigrazione) possa arrivare negli incartamenti relativi a procedimenti penali in corso, nel fascicolo del pubblico ministero e, talvolta, in quello per il dibattimento[16].
Si anticipava che tale circolazione è consentita per il solo materiale classificato e non per gli atti coperti da segreto di Stato: per quest’ultimi vige una preclusione totale e insuperabile, tale da imporre al giudice penale una pronuncia di “non doversi procedere per l’esistenza del segreto di Stato” tutte le volte in cui la conoscenza di quanto coperto dal segreto di Stato sia essenziale ai fini della definizione del processo (art. 202, comma 3, c.p.p.).
Una volta apposto il segreto di Stato, infatti, le circostanze di fatto sono rese inconoscibili da quest’ultimo tale per cui gli elementi di prova non possono fare ingresso nel procedimento, sia nel corso delle indagini preliminari sia in sede di dibattimento.
Questa regola generale si applica indipendentemente dal mezzo con cui le informazioni vengono acquisite: che si tratti di testimonianze, documenti o intercettazioni, l’apposizione o la successiva conferma del segreto di Stato ne determina l’inutilizzabilità e di conseguenza l’esclusione automatica dai fascicoli processuali[17].
Nella pratica investigativa, l’autorità giudiziaria può ricevere informazioni dai Servizi di informazione e sicurezza per il tramite del DIS, che è responsabile della gestione e del coordinamento del flusso informativo proveniente dal SISR, garantendo che le informazioni rilevanti per le indagini giudiziarie siano trasmesse nel rispetto delle normative vigenti e della tutela del segreto di Stato[18].
Salva la possibilità di trasmettere motu proprio informazioni all’Autorità Giudiziaria, alla stregua dell’art. 42 comma 8 l. n. 124 del 2007, l’iniziativa spetta anche alla magistratura, legittimata a ordinare l’esibizione di documenti classificati per i quali non sia opposto il segreto di Stato. In tal caso gli atti sono consegnati all’autorità giudiziaria richiedente, che ne cura la conservazione con modalità che ne tutelino la riservatezza, garantendo il diritto delle parti nel procedimento a prenderne visione senza estrarne copia.
Le particolari garanzie stabilite dalla l. n. 124 del 2007 a tutela della funzione di informazione per la sicurezza, quindi, precludono a pubblico ministero e giudice di procedere, come ordinariamente accade, direttamente all’acquisizione di notizie e documenti presso le sedi dell’intelligence, poiché le informazioni lì conservate sono protette un regime normativo speciale che impedisce agli organi giudiziari di esercitare ‘poteri’ nei confronti di questi apparati.
Questa limitazione è sancita in particolare dagli art. 256-bis e 256-ter c.p.p., i quali stabiliscono che nessun atto di indagine, sequestro, perquisizione o acquisizione forzata di documenti può essere disposto dall’Autorità Giudiziaria nei confronti di AISE, AISI e del DIS, salvo il caso in cui il Presidente del Consiglio ne autorizzi espressamente l’accesso[19]. Ne consegue che il magistrato non può svolgere direttamente alcun atto d’indagine presso le sedi dell’intelligence, anche nel caso in cui gli elementi probatori da acquisire siano indispensabili per il prosieguo del procedimento penale in corso[20].
Qualora un’acquisizione probatoria sia ritenuta necessaria, il magistrato deve inoltrare una dettagliata richiesta al Presidente del Consiglio, che può: autorizzare la trasmissione della documentazione richiesta, se non coperta da segreto di Stato; opporre il segreto di Stato, bloccando definitivamente l’acquisizione; limitare l’accesso solo a determinate informazioni, garantendo comunque la tutela della riservatezza operativa dei Servizi[21].
Tanto premesso, ove materiale classificato giunga infine in sede penale, esso è trattato secondo la disciplina dell’art. 42, comma 8 della l. n. 124 del 2007, che detta le regole di trattamento delle informazioni classificate, finalizzate a contemperare l’esigenza di assicurare le guarentigie dell’equo processo con quella di preservare la sicurezza dello Stato. È infatti da escludere che in sede penale vengano utilizzati, ai fini della decisione finale o di quelle interinali, come per le misure cautelari, elementi di prova la cui esibizione sia preclusa alle difese, al pubblico ministero o al giudice.
Tuttavia, laddove occorra, tali atti devono essere messi a disposizione solo e soltanto ai soggetti legittimati dalle regole di procedura a prenderne visione per ragioni di giustizia, con l’adozione delle cautele volte a garantire che soltanto i menzionati soggetti possano venirne a conoscenza[22].
In definitiva, l’art. 42 l. n. 124 del 2007 codifica una forma di segreto che prevale e sopravvive anche al segreto investigativo[23] di cui all’art. 329 c.p.p. È noto come la fisiologica scansione del rito prevede il venir meno di tale segreto una volta terminate le indagini oppure, prima di questo momento, quando l’adozione di provvedimenti coercitivi determini la conoscibilità degli atti posti a fondamento della misura.
Vieppiù, con l’inizio del dibattimento pubblico, è prevedibile che tutto quanto accada in udienza sia diffuso al di fuori di essa attraverso gli organi di informazione. Tuttavia, in caso di informazioni classificate, tale diffusione deve essere temperata dall’ossequio alle disposizioni dell’art. 42 l. n. 124 del 2007: tale materiale, infatti, non perde le ragioni della propria segretezza, che sono intrinseche all’informazione e dipendono, essenzialmente, da valutazioni di sicurezza formulate dagli organi preposti.
In questo senso, le ragioni che hanno determinato l’apposizione della classifica di segretezza permangono per tutta la durata del processo e, soprattutto, devono prevalere su interessi concorrenti, i.e. com’è ad esempio quello di cronaca ex art. 21 Cost., atteso il rango e l’importanza degli interessi prioritari e ultra-individuali che attengono alla sicurezza della Repubblica.
Soluzione, quest’ultima, che è in linea con la vigente normazione e, soprattutto, con la costante giurisprudenza costituzionale in materia di sicurezza e presupposti del segreto di Stato[24] che la l. n. 124 del 2007 ha fatto propria.
- Le conseguenze della violazione del segreto
Resta da domandarsi, dunque, se per una tragica fatalità, le informazioni classificate che sono confluite negli incartamenti di un procedimento penale vengano trattate in modo non conforme alle prescrizioni di legge, come, ad esempio, laddove finiscano nelle mani di soggetti non abilitati in quanto estranei al procedimento stesso.
Al riguardo, è prevista innanzitutto una tutela penale, le cui principali disposizioni normative sono contenute nel Codice penale (libro Secondo, Titolo I, Dei delitti contro le personalità dello Stato, Capo I, Dei delitti contro la personalità internazionale dello stato), ove sono contenute le disposizioni concernenti la violazione e utilizzazione dei segreti di Stato, anche (ma non solo) per ragioni di spionaggio.
Rilevano, in particolare, almeno tre disposizioni chiave, a seconda della diversa posizione che assume chi riceve o detiene informazioni segrete per ragioni di sicurezza: l’art. 256 c.p., che punisce il procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato[25]; l’art. 261 c.p., sulla Rivelazione di segreti di Stato[26] e, infine, l’art. 262 c.p., sulla Rivelazione di notizia di cui sia stata vietata la divulgazione[27].
La norma chiave è l’art. 256 c.p., che individua il concetto di notizia “segreta”, soggetta a divieto di divulgazione, quale presupposto costitutivo delle successive fattispecie.
La nozione è stata oggetto di un lungo dibattito, dove si distinguevano, ai fini degli effetti penali, le notizie “riservate” in quanto classificate, per separarle da quelle segrete in senso stretto, perché coperte da segreto di Stato e, quindi, le sole rilevanti ai fini penali[28].
Oggi si accoglie, a fini penalistici, una nozione di notizie “segrete” che attribuisce rilevanza penale alla fuoriuscita non autorizzata tanto alle notizie coperte da segreto di Stato quanto quelle classificate[29].
La ragione è in linea con l’odierno sistema: classifiche e segreto di Stato hanno sì elementi strutturali diversi (l’uno esercizio diffuso di potere amministrativo; l’altro, atto politico esclusivo del presidente), ma proteggono gli stessi interessi di sicurezza nazionale[30], seppur con una diversa proporzione[31].
Dopodiché, il diverso livello di segretezza e, quindi, l’importanza della informazione divulgata determinano conseguenze più o meno gravi, rilevanti sul piano della concreta offensività della condotta: divulgare un atto riservato ha dunque un rilievo diverso da comprometterne uno segretissimo.
Questo prelude all’ulteriore elemento strutturale, quello della illegittima rivelazione della notizia segreta.
Si tratta di una condotta a forma libera, perché una rivelazione può facilmente realizzarsi attraverso qualsiasi comunicazione della notizia segreta che non sia stata autorizzata o comunque si avvenuta senza rispettare le disposizioni di legge[32], atteso che il divieto di divulgazione è letteralmente in re ipsa al provvedimento stesso di segretazione, con tutti i limiti che ne conseguono.
Il parametro della conformità a legge va dunque riscontrato nella disciplina di settore, vale a dire quella della l. n. 124 del 2007 e dei decreti che la attuano: sinteticamente, sono classificati o segreti, e come tali non divulgabili al di fuori dei soggetti espressamente autorizzati a trattarli, gli atti adottati in conformità delle prescrizioni di legge, secondo una valutazione intrinseca sul grado di pregiudizio, espresso nell’atto che lo secreta, che è riservata alla Pubblica Amministrazione.
A rigore di legge, si tratta di valutazioni di sicurezza che non sono disponibili[33] e nelle quali spicca, seppur con diversa gradazione, l’ampia discrezionalità nel valutare il grado di pregiudizio e le ragioni di merito della segretezza, atteso, soprattutto, la particolarità degli interessi coinvolti.
Questo influenza, naturalmente, l’estensione del sindacato del giudice, che allo stato non va molto oltre il riscontro della legittimità dell’apposizione e, soprattutto, la verifica che non si versi in ipotesi di divieto di secretazione. Si osserva, in giurisprudenza, che iI provvedimento impositivo del segreto di Stato o del divieto di divulgazione, dal quale dipende la configurabilità dei reati che ne presuppongono l’esistenza e l’operatività, è soggetto al sindacato di legittimità del giudice chiamato a conoscere di tali reati, relativamente: a) all’inerenza del segreto o del divieto di divulgazione ad uno degli specifici interessi ai quali fa riferimento, nel definire la nozione di segreto di Stato (valida anche per le notizie c.d. “riservate”) […] b) all’idoneità della diffusione degli atti, documenti e notizie segreti o riservati a recare concreto pregiudizio a tali interessi; c) all’assenza, nei fatti oggetto del segreto o del divieto di divulgazione, di finalità di eversione dell’ordine costituzionale[34].
Infatti, ai sensi dell’art. 204 c.p. e dal corrispondente art. 39, l. n. 124 del 2007, non possono essere oggetto di segreto i fatti relativi a reati di eversione dell’ordine costituzionale alle condotte commesse in violazione de delle cd. garanzie funzionali[35].
Tali limiti dipendono, a loro volta, dalle fondamentali logiche di separazione delle funzioni e valutazioni di sicurezza con quelle giudiziarie, tese a garantire l’autonomia e l’indipendenza reciproca dei poteri giudiziario ed esecutivo[36].
- Conclusioni
In questa particolare materia della sicurezza nazionale, il regime giuridico di segretezza e, soprattutto, l’indisponibilità circa la tutela delle informazioni e gli spazi di sindacabilità riconosciuti all’A.G., è inciso inevitabilmente dal principio di separazione fra poteri dello Stato.
Le valutazioni di segretezza delle informazioni sono infatti espressione della più ampia funzione di tutela della sicurezza direttamente riconducibile al potere esecutivo[37], che a sua volta è contrassegnata da forti logiche di separazione rispetto a quelle svolte in ambito giudiziario, allo scopo di evitare possibili condizionamenti e vicendevoli lesioni delle diverse sfere di attribuzione[38].
Tale principio vale specialmente per la sicurezza nazionale, le cui politiche si caratterizzano proprio per essere rimesse nella esclusiva responsabilità dell’esecutivo e, in particolare, del Presidente del Consiglio, che ha questo potere di direzione e di organizzazione del Sistema di informazione attraverso propri poteri di indirizzo, regolamentari e di direttiva che non hanno eguali, soprattutto se comparati alle forme codificate del processo penale che non contemplano libertà di iniziativa politica.
La separatezza è infatti il portato della profonda diversità delle funzioni assolte: solo l’esecutivo persegue ‘logiche di risultato’, mentre l’unico criterio che muove i diversi soggetti istituzionali coinvolti nel procedimento penale è quello di assicurare, nelle rispettive attività, la piena osservanza delle norme codificate in relazione a ciascuna di esse.
La sicurezza nazionale, è, dunque, espressione della massima discrezionalità, il cui esercizio, fintanto che è condotto entro i rigorosi limiti posti dalla legge, è soggetto al controllo del Parlamento, l’unico organo deputato a compiere valutazioni sul merito politico di come questo tipo di scelte sono state assunte dal Governo.
Questo è stato, del resto, il costante insegnamento della Corte costituzionale che, chiamata a pronunciarsi sui numerosi conflitti di attribuzione in materia di segreto di Stato, ha sempre ricordato come l’obiettivo ultimo debba essere proteggere la Repubblica ed il suo patrimonio comune, astenendosi dal ledersi vicendevolmente ma, anzi, assicurando il mutuo rispetto delle diverse funzioni assegnate dalla Costituzione e dalla legge.
Questo, senza dimenticarsi che l’autonomia e l’indipendenza di esecutivo e giudiziario, non debbano affatto escludere la cooperazione, che invece dovrebbe improntare proprio i rapporti tra i due poteri in virtù di una certa coincidenza degli interessi da tutelare e, senza dubbio, del medesimo dovere di servire con doverosa e indisponibile lealtà la Repubblica Italiana.
[1] Per i riferimenti fondamentali v. T. F. Giupponi, voce Sicurezza e potere, in Enc. dir., I tematici, vol. V – Potere e Costituzione, Giuffrè, 2023, p. 1149 ss.; R. Ursi, La sicurezza pubblica, Il Mulino, 2022; C. Mosca, La sicurezza. Valori, modelli e prassi istituzionali, ESI, 2021; Id., La sicurezza come diritto di liberà. Teoria generale delle politiche della sicurezza, Cedam, 2012; T.F. Giupponi, Le dimensioni costituzionali della sicurezza, Bonomo, 2010; S. Labriola, Le informazioni per la sicurezza dello Stato, Giuffrè, 1978.
[2] C. cost., sentenza 23 febbraio 2012, n. 40, v. A. Pace, Stato costituzionale e segreto di Stato: una coesistenza problematica, in Giur. cost., 2015, p. 1727. La sicurezza nazionale è dunque il discendente di quella che un tempo veniva chiamata sicurezza dello Stato. Concetto, quest’ultimo, che la Corte costituzionale, nella sent. n. 86 del 1977, definì in termini di «sicurezza esterna ed interna dello Stato, della necessità di protezione da ogni azione violenta o comunque non conforme allo spirito democratico che ispira il nostro assetto costituzionale dei supremi interessi che valgono per qualsiasi collettività organizzata a Stato e che […] possono coinvolgere la esistenza stessa dello Stato». Questo nucleo originario, tradizionalmente legato alla difesa dello Stato democratico e delle sue Istituzioni (così definiva gli scopi delle politiche di sicurezza del Presidente del Consiglio l’art. 1 della Legge 24 ottobre 1977, n. 801 v. Labriola, Il Governo e alcune sue funzioni, vol. II, Cedam, 1986, p. 168 s.; v. anche S. Labriola, Le informazioni per la sicurezza, cit., p. 24 ss.) oggi si è esteso sino a ricomprendere nuove aree di intervento, quali l’economia, l’industria, l’energia o la tecnologia, segnando il passaggio dalla dimensione di una sicurezza “politica” circoscritta allo Stato-apparato (dove è lo Stato stesso ad essere il monopolista dei beni giuridici da proteggere Cfr. C. Valentini, Sicurezza della Repubblica e democrazia costituzionale. Teoria generale e strategia di sicurezza nazionale, ESI, 2017, p. 35 s.) ad una sicurezza che abbraccia lo Stato-comunità e tutte le sue plurime, trasversali, espressioni, per l’appunto in campo sociale, industriale, economico e scientifico (Cfr. G. De Gennaro, Intelligence, imprese private e nuove tecnologie digitali, in AA.VV., I primi 20 anni: riflessioni sulla frontiera della conoscenza. Phronesis. Ventennale d’intelligence, vol. III., Eurilink University Press, 2018, p. 85.). A riprova di tale ampliamento, oltre alle funzioni istituzionali dei Servizi di informazione e sicurezza (v. infra in questa nota) la disciplina dei Poteri speciali esercitabili dal Governo nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché in alcuni ambiti ritenuti di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni, il cd. Golden power, di cui alla l. n. 56 dell’11 maggio 2012, di conversione con modificazioni del d.l. n. 21/2021, e successivi interventi normativi che lo hanno esteso alla sicurezza cibernetica. V., senza pretesa di esaustività v. A. Sandulli, La febbre del golden power, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, n. 3, 2022, p. 743 ss. nonché L. Locci, Controllo degli investimenti diretti e libertà europee nel caso Vig/Aegon, in Riv. trim. dir. econ., n. 1, 2024, p. 1 e ss. e A. Sacco Ginevri, Golden powers e funzionamento delle imprese strategiche, in G. Napolitano (a cura di), Foreign Direct Investment screening – Il controllo sugli investimenti esteri diretti, Il Mulino, 2019, p. 153 ss.;
Ad oggi, i principali riferimenti normativi che servono per costruire lo statuto della sicurezza nazionale sono, oltre all’artt. 126 Cost., gli artt. 6 e 7 della l. n. 124 del 2007, che stabiliscono le funzioni delle due agenzie di informazione e sicurezza AISI e AISE per la tutela “dell’indipendenza, dell’integrità e della sicurezza della Repubblica, anche in attuazione di accordi internazionali, dalle minacce provenienti dall’estero” (art. 6 per l’AISE) e per la difesa della “sicurezza interna della Repubblica e le istituzioni democratiche poste dalla Costituzione a suo fondamento da ogni minaccia, da ogni attività eversiva e da ogni forma di aggressione criminale o terroristica” (art. 7 per l’AISI) e di protezione “degli interessi politici, militari, economici, scientifici e industriali dell’Italia” (artt. 6 e 7) e, da ultimo, all’art. 1 del DPCM 20 luglio 2020, n. 131, che ne qualifica il pregiudizio in termini di “danno o pericolo di danno all’indipendenza, all’integrità o alla sicurezza della Repubblica e delle istituzioni democratiche poste dalla Costituzione a suo fondamento, ovvero agli interessi politici, militari, economici, scientifici e industriali dell’Italia”. Al riguardo, volendo, si rinvia a F. N. Ricotta, Il Segreto di Stato, in G. Colaiacovo (a cura di), Sicurezza, informazioni e giustizia penale, Pacini giuridica, 2023, p. 181 e ss.
[3] V. in generale sul SISR G. Caia, voce Servizi di Informazione, in Enc. dir., I tematici, III, Funzioni amministrative, Giuffrè. 2022, p. 1037 ss.; G. Caia – P. F. Bresciani, Le istituzioni della sicurezza in Italia, in A. Panebianco (a cura di), Democrazia e sicurezza. Società occidentali e violenza collettiva, Il Mulino, 2021; A. Montagnese – C. Neri, L’evoluzione della sicurezza nazionale in Italia, in sicurezzanazionale.gov, 2016, p. 5 ss., disponibile su www. sicurezzanazionale.gov.it/sisr.nsf/wp-content/uploads/2016/02/evoluzione-sicurezza-nazionale-MontagneseNeri.pdf.e C. Mosca – S. Gambacurta – G. Scandone – C. Valentini (a cura di), I servizi di informazione e il segreto di Stato (Legge 3 agosto 2007, n. 124), cit.; v. anche F. N. Ricotta, A proposito della partecipazione degli appartenenti al Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica all’attività investigativa della polizia giudiziaria, in Cass. pen., n. 10, 2023, p. 3444 ss.; sul previgente sistema v. A. Massera – C. Mosca, I servizi di informazione, in S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Diritto Amministrativo speciale, vol. I, Giuffrè, 2000, pp. 523 ss.
[4] La l. n. 124 del 2007 è stata poi attuata attraverso numerosi decreti presidenziali quali il DPCM 6 novembre 2015 come integrato dal DPCM 2 ottobre 2017, n. 3; la Direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 14 febbraio 2012; il DPCM 22 luglio 2011, n. 4; il DPCM 12 giugno 2009 ed il DPCM e, in materia di declassifica, la Direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 2 agosto 2021e la Direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 aprile 2014.
[5] V. per tutti S. Mele, Sicurezza nazionale e tutela delle informazioni classificate, in G. Colaiacovo (a cura di), Sicurezza, informazioni e giustizia penale, cit., p. 233 ss. e S. Gambacurta, I controlli, il segreto di Stato e le classifiche di segretezza, in C. Mosca – S. Gambacurta – G. Scandone – C. Valentini (a cura di), I servizi di informazione e il segreto di Stato, cit., p. 729 ss.
[6] Il segreto è un istituto che ha carattere strumentale perché funzionale alla tutela di interessi ulteriori. Il segreto, infatti, non si giustifica in quanto tale ma sempre in relazione a ciò che deve proteggere. V. sui fondamenti, AA.VV., Il segreto nella realtà giuridica italiana, Atti del convegno nazionale. Roma 26-28 ottobre 1981, CEDAM, 1983 ed in particolare V. Grevi, Segreto di Stato e processo penale, ivi, p. 225 e ss.; P. Nuvolone, Il segreto istruttorio, ivi, p. 527 e ss. e U. Scarpelli, La democrazia e il segreto, ivi, p. 623 e ss.
[7] L’organizzazione della sicurezza si articola, a partire dai summenzionati organi centrali, in una capillare organizzazione periferica strutturata in modo da garantire la protezione e il controllo delle informazioni classificate a livello locale, attraverso una rete di uffici e organismi che operano in coordinamento con le autorità centrali v. S. Mele, op. cit., p. 234 e ss. e S. Gambacurta, I controlli, il segreto di Stato e le classifiche di segretezza, in C. Mosca – S. Gambacurta – G. Scandone – C. Valentini (a cura di), I servizi di informazione e il segreto di Stato, cit., p. 740 ss. A supporto del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (DIS) e dell’Ufficio Centrale per la Segretezza (UCSe), esistono diverse articolazioni territoriali incaricate di applicare le direttive sulla tutela delle informazioni sensibili. Tra queste, l’Organo centrale di sicurezza che funge da raccordo tra i vari enti e garantisce l’applicazione delle misure di protezione previste dalla normativa (art. 8, DPCM 6 novembre 2015, n. 5) e, a livello più decentrato, gli Organi periferici di sicurezza, tra cui le Segreterie di sicurezza e i Punti di Controllo, che assicurano l’attuazione pratica delle misure di sicurezza presso le singole strutture, verificando che il trattamento dei dati classificati avvenga secondo le regole stabilite (art. 10, DPCM 6 novembre 2015, n. 5). Il sistema periferico opera in stretta connessione con le autorità centrali, garantendo un presidio capillare della sicurezza nazionale e assicurando che la protezione delle informazioni riservate sia applicata in maniera uniforme su tutto il territorio (art. 24, DPCM 6 novembre 2015, n. 5) S. Mele, op. cit., p. 239 e ss.
[8] Così diffusamente nel DPCM 6 novembre 2015, n. 5.
[9] Il potere di classifica delle informazioni riservate non è concentrato esclusivamente in un’unica autorità centrale, ma è diffuso tra diverse pubbliche amministrazioni e operatori economici qualificati, seguendo un modello gerarchico e funzionale. Sebbene il Presidente del Consiglio dei ministri mantenga la prerogativa di apporre, prorogare o revocare il segreto di Stato (art. 39, legge 3 agosto 2007, n. 124) e di esercitare la tutela amministrativa delle informazioni classificate (DPCM 6 novembre 2015, n. 5), la competenza per attribuire un livello di classifica di segretezza spetta a numerosi soggetti istituzionali e privati che operano all’interno del sistema di sicurezza nazionale (art. 42, legge 3 agosto 2007, n. 124). Le Pubbliche Autorità responsabili di settori strategici, come difesa, interni, esteri, cooperazione internazionale, energia e intelligence, possono classificare documenti, atti e attività secondo i quattro livelli di segretezza previsti dalla normativa, garantendo così la protezione delle informazioni più sensibili (diffusamente il DPCM 12 giugno 2009, n. 7 e S. Mele, op. cit., p. 237 e ss.). Parallelamente, gli operatori economici che rientrano nell’Organizzazione Nazionale di Sicurezza e che dispongono di un’abilitazione di sicurezza industriale hanno la facoltà di classificare informazioni relative a progetti, tecnologie e infrastrutture di rilievo nazionale, limitandone l’accesso ai soli soggetti autorizzati (S. Mele, op. cit., p. 235 e ss. e 280 e ss.). Questo modello di potere diffuso consente di gestire in maniera decentrata e dinamica la tutela delle informazioni classificate per assicurare che ogni settore strategico possa applicare autonomamente i livelli di segretezza più appropriati in base alle esigenze operative e al rischio concreto di compromissione.
[10] A ciascun livello di classificazione corrisponde un distinto livello di NOS, richiesto per consentire l’accesso alle informazioni di quel grado di segretezza. Il rilascio del NOS avviene a seguito di un procedimento di verifica approfondito, volto a escludere soggetti che non diano sicuro affidamento in termini di fedeltà alle istituzioni della Repubblica e di rispetto delle norme sulla protezione delle informazioni riservate (art. 9, legge 3 agosto 2007, n. 124) v. S. Mele, op. cit., pp. 248 – 249 e S. Gambacurta, I controlli, il segreto di Stato e le classifiche di segretezza, in C. Mosca – S. Gambacurta – G. Scandone – C. Valentini (a cura di), I servizi di informazione e il segreto di Stato, cit., p. 754 ss.
[11] Questo principio limita la diffusione delle informazioni, evitando che soggetti non autorizzati possano accedervi senza un comprovato motivo v. S. Mele, op. cit., p. 248.
[12] Che impone di applicare il livello di segretezza più adeguato alla reale sensibilità dell’informazione, evitando classificazioni eccessive o non giustificate (art. 42, legge 3 agosto 2007, n. 124; S. Mele, op. cit., p. 236 e S. Gambacurta, I controlli, il segreto di Stato e le classifiche di segretezza, in C. Mosca – S. Gambacurta – G. Scandone – C. Valentini (a cura di), I servizi di informazione e il segreto di Stato, cit., p. 751 ss.). Le informazioni devono essere protette in base al potenziale pregiudizio che la loro divulgazione potrebbe arrecare alla sicurezza nazionale, garantendo un equilibrio tra la tutela della riservatezza e la necessità operativa di condividerle con chi ne ha diritto.
[13] Secondo cui le informazioni classificate devono essere conservate, trasmesse e trattate con misure adeguate a impedirne la manipolazione, la sottrazione o la distruzione (art. 39, legge 3 agosto 2007, n. 124; S. Mele, op. cit., p. 235). Ciò comporta l’adozione di strumenti di sicurezza fisica e informatica, incluse modalità di archiviazione protetta, sistemi di cifratura e procedure di accesso rigidamente controllate.
[14] Tale principio stabilisce che ogni soggetto autorizzato al trattamento delle informazioni classificate è direttamente responsabile del rispetto delle misure di sicurezza e della corretta gestione dei dati (art. 9, legge 3 agosto 2007, n. 124; S. Mele, op. cit., p. 249). L’inosservanza di tali obblighi può comportare sanzioni disciplinari, la revoca delle abilitazioni di sicurezza o, nei casi più gravi, conseguenze penali v. infra § 4.
[15] Esso prevede che la circolazione delle informazioni classificate sia sempre monitorata e documentata, attraverso registri, protocolli e procedure di verifica che permettano di identificare chi ha avuto accesso ai dati e per quale motivo (artt. 7 e 37, DPCM 6 novembre 2015, n. 5; S. Mele, op. cit., p. 251). Questa regola consente di prevenire fughe di informazioni e di intervenire tempestivamente in caso di violazioni della sicurezza.
[16] Sul complesso tema della circolazione delle informazioni raccolte al di fuori della sfera di dominio del p.m., ed in particolare quelle di intelligence o di prevenzione si rinvia, in primis, a D. Curtotti, Investigazioni preventive e rito penale: regole, limiti e criticità, in G. Colaiacovo (a cura di), Sicurezza, informazioni e giustizia penale, cit., p. 508 ss. e anche M. L. DI Bitonto, Raccolta di informazioni e attività di intelligence, in R. E. Kostoris – R. Orlandi (a cura di), Contrasto al terrorismo interno ed internazionale, Giappichelli, 2006, p. 259 e ss.;. Sul punto, anche W. Nocerino, L’attività di investigazione preventiva tra potenzialità e rischi, ivi, p. 533 ss. e, volendo, F. N. Ricotta, L’errore “istituzionale”: la circolazione delle informazioni tra pubblico ministero, polizia giudiziaria e Servizi di informazione per la sicurezza, in W. Nocerino (a cura di), L’errore giudiziario, 2025, in corso di pubblicazione.
[17] Così gli artt. 202, comma 5, c.p.p. e 41, legge n. 124/2007 v. F. N. Ricotta, Il Segreto di Stato nel processo penale, in G. Colaiacovo (a cura di), Sicurezza, informazioni e giustizia penale, cit., p. 657 ss. Se il pubblico ministero o la polizia giudiziaria si imbattono incidentalmente in un’informazione coperta da segreto di Stato, come nel caso di una perquisizione o intercettazione, l’Autorità Giudiziaria è obbligata a sospendere ogni attività volta alla sua acquisizione e a rivolgersi al Presidente del Consiglio dei ministri per verificare se il segreto sia confermato (art. 256-ter c.p.p.; ivi, p. 658). Fino a quando il Presidente del Consiglio non si pronuncia, nessun elemento probatorio può essere utilizzato. Se il segreto viene confermato, il materiale probatorio diventa definitivamente inutilizzabile e non può essere posto a fondamento di provvedimenti giurisdizionali, né dal Giudice né dal Pubblico Ministero. L’inutilizzabilità opera anche in modo retroattivo, annullando persino gli atti già acquisiti al fascicolo processuale. Questo significa che anche se il documento o la testimonianza erano stati raccolti prima dell’apposizione formale del segreto, essi non potranno essere utilizzati nel procedimento penale (ivi, p. 659; v. Corte Cost., sentt. 16 dicembre 1998, n. 410; 10 aprile 1998, n. 110; 10 novembre 2000, n. 487). Per i riferimenti alla disciplina del segreto di Stato nel processo penale v. in particolare C. Bonzano, Il segreto di Stato nel processo penale, Cedam, 2010; v. anche G. Salvi, Intelligence e potere, in Potere e Costituzione, cit., p. 248 e ss.; R. Bifulco, Segreto e potere politico, ivi, p. 1096 ss.; T. F. Giupponi, voce Sicurezza e potere, ivi, p. 1149 ss.; A. Montagnese – C. Neri, op. cit., p. 1 ss.; C. Bonzano, voce Segreto di Stato (Dir. proc. pen.), in A. Gaito (a cura di), Digesto disc. pen., Agg. VI, Utet, 2011, p. 586 ss.; M. Luciani, Il segreto di Stato nell’ordinamento nazionale, in AA.VV., Il segreto di Stato. Quaderno di intelligence, in Gnosis, 2011, p. 11 s., disponibile su https://www.sicurezzanazionale.gov.it/sisr.nsf/wp-content/uploads/2013/12/Q2-quaderno-intelligence-2.pdf; G. Spangher, Il segreto di Stato come limite probatorio, ivi, p. 28 ss.; A. Morrone, Il nomos del segreto di Stato, in G. Illuminati (a cura di), Nuovi profili del segreto di Stato e dell’attività di intelligence, Giappichelli, 2010, p. 12 e ss.
[18] Art. 4 l. n. 124 del 2007. Un altro canale di comunicazione è costituito dal Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (COPASIR), che ha il compito di vigilare sulle attività dei Servizi e può richiedere informazioni al Governo, incluse quelle di interesse giudiziario. Tuttavia, anche in questo caso, l’eventuale accesso della magistratura a informazioni sensibili deve avvenire nel rispetto del vincolo del segreto di Stato e secondo le procedure previste dalla normativa v. art. 30 legge n. 124 del 2007. Vi è infine la procedura di comunicazione della notizia di reato e degli elementi su cui essa si fonda disciplinato dall’art. 23 l. n. 124 del 2007. L’articolo 23 della legge n. 124/2007 disciplina il dovere di comunicare la notizia di reato da parte del personale appartenente al Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica. La norma prevede che quando il personale viene a conoscenza di fatti costituenti reato nell’ambito delle proprie funzioni, questi debbano essere segnalati ai direttori delle rispettive agenzie, come l’AISE e l’AISI, o al direttore generale del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (DIS). Successivamente, i direttori sono tenuti a trasmettere la notizia di reato alla polizia giudiziaria, che provvede poi a informare l’ufficio di procura competente. Tuttavia, in ragione della delicatezza delle informazioni trattate dai servizi di intelligence, la comunicazione della notizia di reato può essere ritardata qualora ciò sia strettamente necessario per le finalità istituzionali del Sistema di informazione per la sicurezza. Questo ritardo deve essere autorizzato dal Presidente del Consiglio dei ministri, il quale detiene la responsabilità della sicurezza nazionale e può valutare se la trasmissione immediata dell’informazione possa compromettere attività strategiche V. F. N. Ricotta, Agenzia per la cybersicurezza nazionale, sicurezza della Repubblica e investigazioni dell’Autorità Giudiziaria, in Diritto penale contemporaneo – Rivista trimestrale, n. 1, 2023, p. 1041; V. G. Caia, voce Servizi di informazione, cit. p. 1037 ss. e S. Gambacurta, I rapporti con altri soggetti, in C. Mosca – S. Gambacurta – G. Scandone – C. Valentini (a cura di), I servizi di informazione e il segreto di Stato (Legge 3 agosto 2007, n. 124), cit. p. 287 ss. Specularmente, anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha la facoltà di richiedere all’autorità giudiziaria copie di atti e informazioni relative a procedimenti penali, ritenute indispensabili per le attività del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, anche in deroga al segreto investigativo (ex art. 329 c.p.p.) come da disciplina dell’Art. 14 l. n. 124 del 2007, che ha introdotto l’art. 118-bis c.p.p. L’Autorità Giudiziaria ha tuttavia la facoltà di accogliere o respingere la richiesta, valutando se la divulgazione delle informazioni possa compromettere il regolare svolgimento del processo o violare il segreto investigativo (p. 665; v. anche R. Orlandi, Segreto di Stato e limiti alla sua opponibilità, fra vecchia e nuova normativa, in Giur. cost., 2010, p. 5224 ss.).
[19] Per altro, una volta rilasciata l’autorizzazione, l’acquisizione degli atti presso le sedi dei servizi di informazione e sicurezza segue una speciale procedura controllata, che inizia con la trasmissione di un ordine di esibizione motivato e corredato al fatto per il quale si procede e delle informazioni, anche sommariamente indicate, necessarie a fini di indagine. Una volta ricevuta la richiesta, il Presidente del Consiglio dei ministri decide se le informazioni richieste possano essere fornite, in tutto o in parte, oppure se debbano essere coperte da segreto di Stato. Se il Presidente del Consiglio autorizza l’accesso alle informazioni, l’acquisizione avviene attraverso una procedura controllata, che garantisce la protezione dei dati sensibili. F. N. Ricotta, Il segreto di Stato nel processo penale, in G. Colaiacovo (a cura di), Sicurezza, informazioni e giustizia penale, cit., p. 660; v. anche P. P. Rivello, sub art. 256 c.p.p., in A. Giarda – G. Spangher (a cura di), Codice di procedura penale commentato, Wolters Kluwer, 2023, pp. 3373 ss.; P. Dell’anno, Le attività di intelligence, in A. Scalfati (a cura di), Pre-investgazioni (espedienti e mezzi), Giappichelli, 2020, p. 220 e ss. e G. Scandone, L’acquisizione degli elementi di prova reali, in C. Mosca – S. Gambacurta – G. Scandone – C. Valentini (a cura di), I servizi di informazione e il segreto di Stato, cit., p. 662 ss.
[20] La giurisprudenza costituzionale ha ribadito che il segreto di Stato, che il Presidente del Consiglio può opporre a fronte di richieste di ostensione informativa, costituisce un limite invalicabile per l’Autorità Giudiziaria, escludendo qualsiasi possibilità di esecuzione coattiva di atti istruttori presso le sedi dei Servizi di sicurezza: Corte Cost., sentenza 3 aprile 2009, n. 106; v. anche F. N. Ricotta, Il segreto di Stato nel processo penale, in G. Colaiacovo (a cura di), Sicurezza, informazioni e giustizia penale, cit., p. 663; e A. Pace, Stato costituzionale e segreto di Stato, in Giur. cost., 2015, p. 1721. Pertanto, il magistrato, privo di strumenti coercitivi, può solo sollecitare il Governo a valutare la trasmissione di atti, senza poterli ottenere autonomamente.
[21] Ai sensi dell’art. 41 legge n. 124/2007; p. 662; v. anche C. Bonzano, Commento alla l. 3 agosto 2007, n. 124, in Dir. pen. proc., I, 2008, p. 24 ss. v. anche supra n. 22.
[22] Si può discutere se la circolazione ex art. 42 l. n. 124 del 2007 nei procedimenti giudiziari valga solo per le notizie classificate riservato o anche per quelle con diversa classifica di sicurezza. L’incertezza deriva dal fatto che i soli atti “riservati” non richiedono il nulla osta di sicurezza, mentre tutti gli altri sì. Quindi, laddove si volessero introdurre atti classificati diversamente da riservato, le parti, per poter esercitare pienamente il proprio diritto di difesa, dovrebbero ricevere siffatta abilitazione. La questione è stata affrontata dalla giurisprudenza amministrativa a proposito dell’onere di motivazione e del dovere di ostendere l’istruttoria di provvedimenti, come quelli resi in materia di immigrazione e condizione dello straniero (i.e. l’espulsione ai sensi dell’art. 13 Testo Unico sull’Immigrazione) e il dovere di non «compromettere l’attività preventiva o di controllo dell’autorità di pubblica sicurezza» cit. Tar Lazio, Roma, Sez. I ter, 20 gennaio 2023, n. 1050. V. anche Tar Lazio, Roma, Sez. V bis, 17 gennaio 2025, n. 839; Cons. Stato, sez. III, n. 3281/2019, n. 3121/2029, n. 7904/2019 e n. 3206/2018. Ad ogni buon conto, la classifica impone sempre il rigoroso rispetto delle cautele prescritte per la trattazione delle informazioni. V. anche F. N. Ricotta, L’uso processuale di informazioni “segrete”: i “Closed Material Proceedings” nel sistema giudiziario del Regno Unito, in corso di pubblicazione su PA – Persona e amminIstrazione, 2025, anche per gli ulteriori riferimenti bibliografici. Si segnala che il tema circa discovery e segretezza dell’istruttoria riguarda anche la disciplina sulle interdittive antimafia v. Cons. Stato, Sez. III, 31 gennaio 2020, n. 820 e, senza pretesa di esaustività, M. A. Sandulli, Il contraddittorio nel procedimento della nuova interdittiva antimafia, in Giustizia insieme, 25 maggio 2023, disponibile su https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-e-processo-amministrativo/2785-il-contraddittorio-nel-procedimento-della-nuova-interdittiva-antimafia, anche per i riferimenti giurisprudenziali alla Corte di Giustizia UE sul tema; A. M. Colarusso – S. Terracciano, I confini della tutela avverso l’interdittiva antimafia. Profili di criticità in merito alla legittimazione al ricorso e al contraddittorio procedimentale. Commento a Cons. Stato, Ad. Plen., 28 gennaio 2022, n. 3, in S. toschei (a cura di), L’attività nomofilattica del Consiglio di Stato. Commentario alle sentenze dell’Adunanza Plenaria pubblicate nel 2022, Direkta, 2023; M. Cocconi, Il contraddittorio nel procedimento della nuova interdittiva antimafia, in Federalismi, n. 15, 2022, p. 45 ss. e M. S. Bonomi, La motivazione dell’atto amministrativo: dalla disciplina generale alle regole speciali, RomaTre-Press, 2020, p. 217 ss.
[23] Per altro, sarebbe meglio evitare il ricorso al termine “segreto istruttorio”. Del resto, la cd. “istruttoria”, e con essa le comunicazioni giudiziarie e tutti i limiti dati dal modello inquisitorio, è stata da tempo abolita in favore di una fase di indagine preliminare ispirata (almeno sulla carta) a rigorose regole di segretezza, alla quale fa da contraltare una “istruzione” dibattimentale, teoricamente cuore pulsante dell’intero processo penale, ispirata invece a massimi criteri di pubblicità.
[24] Ex plurimis Corte cost., sentenza 13 febbraio 2014, n. 24; Corte cost., sentenza 23 febbraio 2012, n. 40; Corte cost., sentenza 3 aprile 2009, n. 106; Corte cost., ordinanza 24 ottobre 2005, n. 404; Corte cost., ordinanza 24 luglio 2000, n. 334; Corte cost., ordinanza 12 luglio 2000, n. 259; Corte cost., sentenza 9-10 aprile 1998, n. 110; Corte cost., sentenza 10-16 dicembre 1998, n. 410; Corte cost., sentenze 24 maggio 1977, nn. 86 e 87; Corte cost., sentenza 6 aprile 1976, n.82.
[25] v. A. Mariotti, sub Art. 256 c.p., in M. Ronco – B. Romano (a cura di), Codice penale commentato, UTET, 2012.
[26] v. A. Mariotti, sub Art. 261 c.p., in M. Ronco – B. Romano (a cura di), Codice penale commentato, cit.
[27] La disciplina della disposizione richiama condotte tipiche sostanzialmente identiche a quelle dell’art. 261 c.p., distinguendosi soltanto per la circostanza che, nell’art. 262 c.p., è punita l’indebita rivelazione delle sole “notizie riservate”, che a sua volta fa riferimento all’art. 256 c.p. v. A. Mariotti, sub Art. 262 c.p., in M. Ronco – B. Romano (a cura di), Codice penale commentato, cit. Sicché, come si dirà infra in questo paragrafo, attesa la sostanziale omogeneità dei segreti, le disposizioni di riferimento finiscono per essere l’art. 256 c.p. e l’art. 261 c.p.
[28] V. ibidem per i riferimenti storici e bibliografici.
[29] V. supra § 2. L’impostazione è stata avallata dalla giurisprudenza che, a proposito dell’art. 262 c.p., ha stabilito come non integri il delitto di rivelazione di notizie di cui sia stata vietata la divulgazione la condotta che abbia ad oggetto notizie riservate, così definite dalle amministrazioni pubbliche interessate, estranee agli interessi che giustificano il segreto di Stato o la cui diffusione non abbia idoneità offensiva rispetto a detti interessi v. Cass. pen., Sez. I, Sentenza, 30 aprile 2009, n. 23036, in Riv. Polizia, 2010, n. 3-4, p. 220 e ss. L’impostazione dipende, a sua volta, dal fatto che oggi viene accolta una concezione cd. oggettiva dei segreti di Stato. La concezione oggettiva si basa sulla natura intrinseca dell’informazione e sul danno che la sua divulgazione potrebbe arrecare alla sicurezza nazionale. In questo approccio, il segreto non dipende dal soggetto che lo detiene o dalla sua volontà, ma dalla sensibilità del contenuto e dalla sua potenziale incidenza sugli interessi fondamentali dello Stato v. F. N. Ricotta, Il segreto di Stato, in G. Colaiacovo (a cura di), Sicurezza, informazioni e giustizia penale, cit., p. 235; C. Bonzano, La Consulta “suggerisce” una tutela oggettiva ed assoluta del segreto di Stato nel processo penale, in Diritto Penale e Processo, 2010, n. 3, p. 301; Id., La nuova tutela penale del segreto di Stato: profili sostanziali e processuali, in Diritto PeP, 2008, 1, 24. e G. Scandone, Segreto di Stato e tutela penale della sicurezza della Repubblica, in Riv. dir. pen., 2011, p. 76 ss. In base a questa concezione, l’opposizione del segreto di Stato non è un atto discrezionale dell’autorità politica, ma una necessità giuridica derivante dalla pericolosità della rivelazione. Questo significa che qualsiasi atto, documento o informazione il cui svelamento possa mettere in pericolo l’integrità dello Stato, la sicurezza delle istituzioni democratiche, la sovranità nazionale o le relazioni internazionali deve essere protetto dal segreto, indipendentemente dalla volontà del Governo o del Presidente del Consiglio (art. 42, legge n. 124/2007; p. 236; v. anche A. Pace, Stato costituzionale e segreto di Stato, in Giur. cost., 2015, p. 1721). Sicché, Il principale criterio di valutazione nella concezione oggettiva è quindi l’interesse pubblico prevalente alla segretezza dell’informazione, che impone automaticamente il vincolo di riservatezza qualora l’informazione sia suscettibile di provocare un danno grave agli interessi della Repubblica. Si contrappone la concezione soggettiva, non accolta dalla legge n. 124 del 2007 né dalla Corte costituzionale, che considera il segreto di Stato come una prerogativa politica e discrezionale del Governo, in particolare del Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ha il potere di decidere se e quando apporre, confermare o revocare il segreto.
[30] La giurisprudenza si è così espressa riconoscendo la configurabilità, pur nella previgente disciplina sui servizi di informazione e sicurezza e del segreto della l. n. 801/90, del delitto di cui all’art. 256 c.p. a proposito dell’illegale diffusione del cifrario del codice per comunicazioni radiotelegrafiche I.O.R. 5, classificato “segretissimo” dal Comando generale della Guardia di Finanza v. Cass. pen., Sez. I, 4 luglio 1985, in Giur. it., 1986, II, p. 436 ss. con nota di A. Gaito, alla quale sono seguite, in senso conforme, Cass. pen., Sez. VI, 25 ottobre 1999, n. 1289, in Rivista penale, 2000, p. 351 e ss. e Cass. pen., Sez. I, 3 ottobre 2007, n. 39514 in C.E.D. n. 237746. Così anche la Corte Costituzionale con la sentenza del 28 giugno 2002, n. 295. V. in dottrina P. Pisa – A. Peccioli, La nuova tutela penale del segreto di Stato: profili sostanziali e processuali, in Diritto Penale e Processo, 2008, n. 1, p. 18 e S. Gambacurta, I controlli, il segreto di Stato e le classifiche di segretezza, in C. Mosca – S. Gambacurta – G. Scandone – C. Valentini (a cura di), I servizi di informazione e il segreto di Stato, cit., p. 763 ss. Per altro, già in Corte cost., sentenza 19-28 Giugno 2002, n. 295, si osservava che le notizie “segrete” e “riservate” costituissero categoria omogenea ai fini della disciplina penale.
[31] V. supra § 2 e nota n. 30.
[32] V. A. Mariotti, sub Art. 261 c.p., in M. Ronco – B. Romano (a cura di), Codice penale commentato, cit.
[33] Questo dipende, se’è detto, dalla concezione oggettiva del segreto v. supra nota 28.
[34] Cfr. con la massima di Cass. pen., Sez. I, 10 dicembre 2001, n. 3348, in Riv. pen., 2002, p. 483 e ss.
[35] Disciplinate dagli artt. 17-19 l. n. 124 del 2007. Il personale dei Servizi di informazione per la sicurezza beneficia di specifiche protezioni che consentono di operare in contesti e con modalità che, altrimenti, avrebbero rilievo penale. Le garanzie assicurano, a determinate condizioni, l’immunità penale rispetto a reati commessi per perseguire obiettivi coerenti con le finalità dei Servizi, bilanciando così i poteri di iniziativa dell’autorità giudiziaria con gli interessi e le necessità della sicurezza nazionale cfr. F. N. Ricotta, Arresto e garanzie funzionali nella l. n. 124/2007, in Rivista giuridica delle forze armate e di polizia, n. 1, 2024, p. 65. V., sull’istituto, senza pretesa di esaustività, G. Amato, Le garanzie funzionali dell’operatore dei servizi di informazione, in Sistema penale, n. 11, 2024, p. 5 ss., disponibile su https://www.sistemapenale.it/pdf_contenuti/1730964209_amato-fasc-112024.pdf; A. Milone, La responsabilità penale degli operatori d’intelligence e la speciale causa di giustificazione: le novità sostanziali in tema di garanzie funzionali contenute nel d.l. “Mille-proroghe” e nel d.d.l. Sicurezza approvati dal Governo Meloni, in Archivio penale, n.1, 2024, p. 48 e ss.; C. Mosca, Il sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e le garanzie funzionali, in M. Caligiuri – M. Valentini (a cura di), Materiali di intelligence. Dieci anni di studi 2007-2017, Rubbettino; A. Montagnese – C. Neri, op. cit., p. 9 e ss. e C. Mosca, Le garanzie funzionali, in C. Mosca – S. Gambacurta – G. Scandone – C. Valentini (a cura di), I servizi di informazione e il segreto di Stato, cit., p. 235 e ss.; F. Marenghi, sub Art. 17, in L. 3.8.2007 n. 124 – Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto di Stato, in Leg. pen., n. 3, 2007, p. 716 e ss., V. Caccamo, sub Art. 18, in ivi, 729 e ss., E. Marzaduri, sub Art. 189, in ivi, p. 735 e ss.
[36] V. F. N. Ricotta, A proposito della partecipazione, cit., p. 3450 anche per gli opportuni riferimenti bibliografici.
[37] V. U. Gori, Regimi politici e uso dell’intelligence (con uno sguardo al futuro), in Phronesis, cit., p. 59 e ss.
[38] V. in particolare M. Nobili, Accusa e burocrazia. Profilo storico costituzionale, in G. Conso (a cura di), Pubblico ministero e accusa penale. Problemi e prospettive di riforma, Zanichelli, 1979, p. 125 e, senza pretesa di esaustività G. Salvi, Potere e intelligence, cit., p. 255 ss.; E. Zappalà, Il pubblico ministero, in Il pubblico ministero e l’azione penale, in G. Conso (a cura di), Il diritto processuale penale nella giurisprudenza costituzionale, ESI, p. 5 e ss. e M. L. Di Bitonto, Raccolta di informazioni e attività di intelligence, cit., p. 259.