1. Sono stati presentati negli scorsi giorni gli emendamenti elaborati dal Centro Marongiu per le modifiche da apportare alla legge Cartabia. Gli stessi sono stati discussi in un pubblico incontro che si è tenuto a Roma e che ha chiamato a contraddittorio, in tre tavole rotonde, anche alcuni professori che avevano fatto parte delle commissioni ministeriali incaricati di predisporre proposte attuative della legge delega.
E’ emerso un confronto aperto nel quale sono state confermate le posizioni “di partenza” dei diversi partecipanti sugli aspetti maggiormente controversi della riforma nei suoi risvolti processuali.
Invero, si tratta di emendamenti al testo introdotto dalla riforma, senza che si propongano stravolgimenti dell’impianto ma piuttosto di proposte tese a rimuovere alcune scelte che l’avvocatura non ritiene adeguate al sistema processuale, soprattutto nella prospettiva delle garanzie per la difesa.
Non si tratta, in altri termini, d’una riscrittura dell’impianto, ritenuto allo stato impossibile, quanto di aggiustamenti essenziali ad assicurare comunque le stesse finalità della riforma, anche perché c’è la consapevolezza che si sia raggiunto il limite oltre al quale bisognerebbe ripensare l’intero impianto processuale.
In altri termini, posto il limite del P.N.R.R. e ferma la necessità di rispettare la delega, si trattava di individuare alcune distorsioni che potevano essere superate senza toccare l’impianto sistematico e le scelte portanti della riforma.
In questo quadro, non volendo entrare nel merito delle singole modifiche che si vorrebbero portare al tavolo ipotizzato dal Ministro, è possibile delineare alcune linee di fondo che sono alla base dell’elaborazione del Centro Marongiu.
2. Un primo elemento degli emendamenti può essere individuato nelle c.d. riforme di sistema.
Il riferimento si indirizza innanzitutto alla proposta di modifica dell’art. 129 bis c.p.p., relativamente all’”Accesso ai programmi di giustizia riparativa”. Invero, la previsione sconta una formulazione non solo infelice ma soprattutto giuridicamente problematica, facendo riferimento all’autorità giudiziaria nella parte del codice che riguarda solo il giudice; prevedendo interventi d’ufficio di “invio” autoritativo dell’imputato (che non necessariamente lo è ancora e che, a differenza della vittima del reato, non è inquadrato nelle situazioni di cui all’art. 42, comma 1, lett. c) e della vittima, senza prevedere una loro iniziativa al riguardo.
Inoltre, con affermazione molto problematica, si prevede che nelle indagini la stessa attività di invio sia effettuata dal pubblico ministero.
Molto correttamente, nella proposta, eliminato il riferimento al pubblico ministero, esclusa ogni iniziativa ufficiosa, la previsione si incentra sulla richiesta dell’imputato, della quale è richiesta la spontaneità, e sulla acquisizione della relazione, solo in caso di esito positivo.
Restano, naturalmente, aperte tutte le questioni strutturali della procedura di mediazione, dei suoi tempi, dei suoi rapporti con il procedimento penale, delle fasi nelle quali renderla operante, dei reati per i quali è riconosciuto il suo espletamento.
3. Il dato di maggior rilievo è costituito dalla sostanziale proposta abrogativa delle previsioni di cui agli artt. 415 bis e 415 ter c.p.p.
Invero, le relate esposizioni hanno costituito da subito il profilo più controverso della riforma anche alla luce delle indicazioni della delega che non configuravano negli stessi termini le previsioni del d. lgs.
La materia trova, infatti, i suoi riferimenti alle lett. g e h della l. n. 134 del 2020, ove si richiede una disciplina che in ogni caso rimedi alla stasi del procedimento mediante l’intervento del giudice anche in relazione alla mancata tempestiva assunzione delle determinazioni in ordine all’azione penale.
Ora il meccanismo proposto dagli emendamenti incide significativamente sui percorsi rendendo ridotta la stasi processuale, eliminando ingiustificate stasi temporali ed iniziative dilatorie.
Gli ulteriori emendamenti, mentre in linea con la delega confermano la ridefinizione dei tempi delle indagini, delle condizioni che ridefiniscono le condizioni della proroga, non sembrano, invece, tener conto delle indicazioni del tempo per le determinazioni in ordine ai reati di cui all’art. 407, comma 2, c.p.p. di cui si propone l’abrogazione.
4. Pur nella eterogeneità degli aspetti coinvolti, possono essere trattate unitariamente le proposte relative al segmento processuale costituito dalle indagini preliminari e dell’udienza preliminare che nella riforma sembrano configurarsi come un “processo nel processo”, anche nella logica della cosiddetta trazione anteriore della fase delle indagini preliminari.
In questo contesto si colloca il forte elemento di discontinuità emergente dagli emendamenti dell’Ucpi: esso è costituito da un accentuato ricorso alla condizione di incompatibilità del giudice in relazione ad atti compiuto nel corso del procedimento.
In particolare, con l’art. 34 quinquies (che si vorrebbe introdurre) si prevede che il giudice che sia intervenuto per sollecitare la modificazione dell’imputazione non può proseguire ad esercitare le funzioni di giudice del medesimo procedimento.
La previsione è richiamata – come emendamento degli artt. 421, comma 1 ter e 423, comma 1 quater, c.p.p., in relazione all’intervento del gup sulla imputazione (disposizione richiamata, per omogeneità, dal comma 6 dell’art. 554 bis c.p.p.).
L’altro elemento che caratterizza l’intervento correttivo in fase di indagini è costituito dalla tematica che ruota attorno all’iscrizione nel registro delle notizie di reato: si ridefiniscono le condizioni del ritardo nella iscrizione soggettiva e si prevede che nel caso in cui il giudice accerti l’attribuzione di un fatto di reato ad un soggetto, indichi al p.m. anche la data dalla quale decorrono i termini delle indagini.
5. Una particolare attenzione è rivolta al tema della prova, soprattutto in ordine alle modalità della sua documentazione.
Tre i capisaldi delle proposte emendative. Innanzitutto si propone di eliminare la richiesta di documentazione da parte della persona chiamata a rendere sommarie dichiarazioni (art. 351 c.p.p.) nonché dei soggetti chiamati a rendere informazioni (art. 362 c.p.p.).
Inoltre si prescrive che la documentazione dell’attività di p.g. (art. 357 c.p.p.) e degli interrogatori (art. 373 c.p.p.) sia effettuata mediante mezzi di riproduzione audiovisiva escludendo la giustificazione della mancanza dei mezzi tecnici.
Infine, si precisa che la trascrizione della riproduzione audiovisiva o fonografica sia effettuata solo se assolutamente indispensabile per le contestazioni e le letture dibattimentali (artt. 357 e 373 c.p.p.).
Sempre in relazione al tema delle prove, si precisa che le richieste delle parti devono limitarsi ad illustrare le proprie richieste ai fini della prova così da evitare una eccessiva introduzione del loro contenuto, spesso così utilizzato, nella c.d. esposizione introduttiva, soprattutto dalla pubblica accusa (art. 493 c.p.p.).
Sul tema delicatissimo della rinnovazione della prova (soprattutto dopo la sentenza Bajrami), si precisa che la rinnovazione non si renderà necessaria solo se il giudice procederà in udienza alla visione integrale della riproduzione audiovisiva del precedente esame (art. 495, comma 4 ter, c.p.p.).
6. Sono riconducibili all’esercizio del diritto di difesa le modifiche al tema delle impugnazioni.
Si tratta naturalmente di un profilo nevralgico per l’esercizio del diritto di difesa. Com’è noto, infatti, si tratta del momento nel quale il processo dopo la decisione di primo grado può progredire solo se c’è l’iniziativa delle parti.
E’ noto che nel rito accusatorio, nel rito inquisitorio, nel rito misto, il ruolo delle impugnazioni cambia e come molte volte il riferimento alle etichette, come la scelta favor impugnationis oppure a condizionamenti più o meno ampi, alle opportunità di accesso, alle condizioni del rito, ai poteri cognitivi e decisori del giudice e così via in fuorviante.
Le modifiche proposte incidono su quattro aspetti del d. lgs.: sulla forma dell’impugnazione, sulla presentazione dell’atto, sull’oggetto delle decisioni in camera di consiglio senza la partecipazione delle parti, sui tempi della richiesta del concordato.
Quanto alla forma dell’atto, gli emendamenti recepiscono, anche alla luce delle difficoltà materiali che la previsione determina, le forti riserve che da subito la classe forense ha manifestato rispetto agli oneri e ai filtri indicati dal d. lgs.: il deposito dello specifico mandato ad impugnare, in caso di imputato per il quale si è proceduto in assenza, nonché la previsione della necessità di eleggere un domicilio da parte dell’imputato per la notificazione del decreto di citazione a giudizio.
Quanto alle modalità della presentazione dell’atto si ripristina espressamente la possibilità di presentare la dichiarazione da parte del difensore anche personalmente nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento, oltre all’inoltro della stessa via pec.
Va detto che la questione appare superata dopo le prime incertezze sul punto alla luce della recente circolare ministeriale.
Quanto ai tempi della richiesta del concordato si considerano, anche in relazione all’abrogazione dell’art. 602, comma 1 bis, c.p.p., eccessivamente ristretti i relativi termini, previsti dal legislatore per definire l’accordo con il procuratore generale, anche perché pesantemente sanzionati, tuttavia, forse sono trascurati gli esatti termini di avviso dell’udienza.
7. Una particolare attenzione è dedicata a quanto disposto in ordine agli effetti della declaratoria di improcedibilità con riferimento alla decisione sulla confisca e ai provvedimenti sui beni in sequestro (art. 578 ter c.p.p.).
Si propone, infatti, l’abrogazione di quella previsione, effettivamente del tutto fuori sistema, che trasferisce ad altra sede, quella della prevenzione, il provvedimento disposto in fase di cognizione, senza che possa ritenersi legittimo che senza alcuna iniziativa il provvedimento sia valutato per effetto di un inconcepibile trasferimento delle valutazioni di presupposti diversi, con il rischio che la sede del rinvio facociti comunque la valutazione della proposta che gli è attribuita dal legislatore.
8. Cercando di definire il senso delle proposte dell’Ucpi esse sembrano muoversi secondo una linea di razionalizzazione delle scelte della riforma, con la eliminazione dei soli aspetti che senza pregiudicare la struttura della stessa incidono su quegli aspetti che possono pregiudicare il ruolo della difesa attraverso vincoli e filtri ovvero che non siano funzionali a garantirne l’esercizio.
Anche se, come anticipato in esordio, le modifiche dell’Ucpi si collocano sostanzialmente nel solco della riforma Cartabia e dei principi della delega che l’ha determinata, resterebbe da chiarire se la volontà riformatrice debba muoversi nell’ambito di quanto previsto dall’art. 1, comma 4 della l. n. 134 del 2020 ove si prevede che entro due anni dall’entrata in vigore della riforma, nel rispetto della delega e con la medesima procedura, il Governo possa adottare disposizioni integrative e correttive della stessa.
In altri termini, anche per ricollegarsi con quanto è emerso nella manifestazione degli avvocati penalisti, è possibile che il Parlamento – in questo arco di tempo – possa con legge ordinaria intervenire a correggere e modificare la riforma?
Il tema non riguarda la prospettiva dell’intervento correttivo della prescrizione e dell’improcedibilità, in quanto i due profili, collocandosi al di fuori della delega, cioè nell’art. 2 della l. n. 134 del 2020 sarebbero esclusi dal raggio di azione del citato art. 1.
Quali spazi, ad esempio, potrebbero essere prospettati per una più incisiva riscrittura della giustizia riparativa, che recepisca le accentuate riserve da più parti prospettate nei confronti dell’attuale disciplina?
La risposta riguarda gli strumenti che si intendono attivare: con la procedura di cui al citato comma 4 dell’art. 1 ci si dovrà muovere nell’ambito della delega; al di fuori di questo ambito, cioè, con il percorso ordinario sarà possibile operare in termini più ampi, anche al di fuori di quanto previsto dalla l. n. 134 del 2020.