- Il Tribunale ordinario di Spoleto, con ordinanza del 21 maggio 2020 ha sollevato, in riferimento agli artt. 70 e 77 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera d), del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28 (Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19), poi convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 2020, n. 70, nella parte in cui, introducendo l’ultimo periodo nel comma 12-bis dell’art. 83 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, ha stabilito «in aperto contrasto» con quanto da quest’ultima previsto che, nel periodo compreso tra il 9 marzo e il 31 luglio 2020, «la modalità ordinaria di partecipazione all’udienza penale fosse quella “in presenza”». Il rimettente premette che, nel corso dell’udienza di discussione finale svoltasi il 21 maggio 2020 alla presenza fisica delle parti, la difesa dell’imputato non ha manifestato il proprio consenso allo svolgimento dell’udienza per il tramite di collegamento telematico (cosiddetto accesso “da remoto”), secondo quanto previsto dall’art. 83, comma 12-bis, del d.l. n. 18 del 2020, come modificato dalla norma censurata.
- A fronte di ciò, ritenendo che la complessità delle questioni da trattare non rendesse necessaria l’udienza in presenza delle parti e preso atto dell’avvicendamento normativo che aveva interessato la disciplina delle udienze penali alla luce del rischio di contagio da COVID-19, il giudice a quo ritiene che la norma censurata, avendo nella sostanza ripristinato quella in presenza come modalità ordinaria di svolgimento di tali udienze, sia in contrasto con gli artt. 70 e 77 Cost. Infatti, l’introduzione della norma censurata ad opera del d.l. n. 28 del 2020, adottata il giorno stesso dell’entrata in vigore della legge n. 27 del 2020, svilirebbe «l’essenziale attribuzione al Parlamento» del potere di adottare norme primarie e, inoltre, risulterebbe priva dei presupposti di necessità e urgenza richiesti dall’art. 77, secondo comma, Cost.
- Preliminarmente alla Corte è apparso opportuno inquadrare la disposizione oggetto di esame all’interno della successione dei provvedimenti normativi che hanno disciplinato, nella prima fase del periodo emergenziale determinato dalla diffusione del contagio da COVID-19, lo svolgimento delle udienze penali. Nella fase iniziale dell’emergenza epidemiologica, il Governo ha optato per lo strumento del differimento delle udienze, cui si collegava la sospensione dei termini di prescrizione per i relativi giudizi. In una fase di poco successiva, parallelamente all’aggravamento della diffusione del contagio, le udienze nei procedimenti civili e penali sono state ulteriormente differite a data successiva al 15 aprile 2020 dall’art. 83, comma 1, del d.l. n. 18 del 2020, con l’eccezione delle udienze previste dal comma 3 del medesimo articolo. L’art. 83, comma 7, lettera g), del d.l. n. 18 del 2020 attribuiva poi ai capi degli uffici giudiziari la facoltà di prevedere un rinvio ulteriore (a data successiva al 30 giugno 2020) delle udienze civili e penali non rientranti nelle fattispecie di cui al già richiamato comma 3 del medesimo articolo.
- Inoltre, l’art. 83, comma 12, del d.l. n. 18 del 2020, stabiliva che, fermo lo svolgimento delle udienze penali non soggette al regime di sospensione nelle forme dell’art. 472, comma 3, del codice di procedura penale (cioè “a porte chiuse”), nel periodo ricompreso tra il 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020 «la partecipazione a qualsiasi udienza delle persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare è assicurata, ove possibile, mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, applicate, in quanto compatibili, le disposizioni di cui ai commi 3, 4 e 5 dell’art. 146-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271». In sede di conversione del d.l. n. 18 del 2020 è stato introdotto tra l’altro, nel corpo dell’art. 83, il comma 12-bis, che estendeva, per il medesimo periodo dal 9 marzo al 30 giugno 2020, la modalità di trattazione «mediante collegamenti da remoto» alle udienze penali «che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private e dai rispettivi difensori, dagli ausiliari del giudice, da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, da interpreti, consulenti o periti». L’estensione generalizzata della modalità telematica alle udienze penali era poi accompagnata dalla previsione per cui «[p]rima dell’udienza il giudice fa comunicare ai difensori delle parti, al pubblico ministero e agli altri soggetti di cui è prevista la partecipazione giorno, ora e modalità del collegamento». Il giorno stesso dell’entrata in vigore (il 30 aprile 2020) della legge n. 27 del 2020, di conversione del d.l. n. 18 del 2020, il Governo è quindi nuovamente intervenuto sulla materia, adottando il d.l. n. 28 del 2020, il cui art. 3, comma 1, lettera d), oggetto di censura nel presente giudizio, ha aggiunto un periodo finale nel comma 12-bis dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, il quale prevede che «[f]ermo quanto previsto dal comma 12, le disposizioni di cui al presente comma non si applicano, salvo che le parti vi acconsentano, alle udienze di discussione finale, in pubblica udienza e a quelle nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti». Anche in momenti successivi, peraltro, il Governo, in sede di decretazione d’urgenza, ha disciplinato le modalità di trattazione delle udienze penali, prevedendo che alcune udienze potessero svolgersi mediante collegamento telematico subordinatamente al consenso delle parti, previo interpello a cura del giudice. In particolar modo in occasione del rinnovato aumento dei contagi nell’autunno del 2020, è stato infatti previsto che, fino al termine dell’emergenza sanitaria, «[l]e udienze penali che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private, dai rispettivi difensori e dagli ausiliari del giudice possono essere tenute mediante collegamenti da remoto», stabilendosi altresì che il giudice sia tenuto a far comunicare prima dell’udienza ai difensori delle parti, al pubblico ministero e agli altri soggetti di cui è prevista la partecipazione giorno, ora e modalità del collegamento, anche al fine di consentire a tali soggetti di esprimere il loro consenso allo svolgimento, con tale modalità, anche delle udienze preliminari e dibattimentali (art. 23, comma 5, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137.
- Appare evidente che la disciplina succedutasi sul tema abbia risentito, oltre che della necessità di trovare un ragionevole punto di sintesi tra il contenimento del contagio e la garanzia dei diritti della difesa, anche della esigenza di calibrare le diverse risposte normative e, in particolare, quella riguardante l’estensione dei presupposti per fare ricorso all’udienza penale da remoto, sulla base dell’andamento della diffusione del contagio.
- Tuttavia, le questioni sollevate difettano del necessario requisito della rilevanza, perché il giudice, all’atto della loro rimessione, non poteva in alcun modo dare applicazione alla norma censurata, il che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, rende le questioni inammissibili, precludendo così il loro esame nel merito (ex multis, sentenza n. 102 del 2016; ordinanze n. 214 del 2018 e n. 35 del 1998). Infatti, nel giudizio a quo, secondo quanto emerge dall’ordinanza introduttiva, le parti sono state informate dal giudice della possibilità di prestare il loro consenso all’udienza da remoto solo quando si erano già presentate fisicamente all’udienza del 21 maggio 2020 e, pertanto, in un momento in cui il rimettente non poteva più dare applicazione alla disposizione di cui deduce l’illegittimità costituzionale. E che il rimettente abbia erroneamente ritenuto di poter applicare tale disposizione in un momento in cui, al contrario, si era consumato qualsiasi suo potere al riguardo, non avendo egli per tempo assolto all’obbligo di interpello alle parti previsto dall’art. 83, comma 12-bis, del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, si deduce chiaramente dal testo della stessa ordinanza di rimessione, laddove si legge che alla celebrazione dell’udienza del 21 maggio 2020 si è giunti «non avendo le parti formulato istanza di celebrazione dell’udienza “da remoto”».
- La Corte Costituzionale ha pertanto dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera d), del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28 (Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19), convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 2020, n. 70, che ha modificato l’art. 83, comma 12-bis, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, sollevate, in riferimento agli artt. 70 e 77 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Spoleto, con l’ordinanza indicata in epigrafe.