Covid-19: nel disastro si vede chiaro

Giorgio Spangher - 21/04/2020

1.

Le situazioni di eccezionalità da sempre sono strumenti per la compressione di diritti fondamentali delle persone. Poste a bilanciamento con i diritti, li comprimono, li ridimensionano. Anche l’attuale situazione emergenziale non sfugge a questa regola. Il dato, come evidenziato ormai dalla comunità dei giuristi, riguarda quasi tutti i profili, ognuno nei suoi settori di “competenza”.

In breve sintesi: principio di legalità, poteri dell’esecutivo, ruolo del Parlamento, rapporto Stato-Regioni; rapporti scienza-politica.

Questi elementi si ripercuotono “a cascata” sulle diverse materie e aree interessate dall’azione normativa e amministrativa.

Inevitabilmente l’emergenza ha interessato la materia della giustizia penale e come sta emergendo la interesserà nel prossimo futuro (il riferimento è alle responsabilità della politica e degli operatori sanitari).

Guardando, per il momento all’attualità, si impongono due riflessioni. La situazione di eccezionalità che si sta attraversando si differenzia in parte dalle altre sotto diversi profili.

A differenza del terrorismo, dalla criminalità organizzata, da quella sicuritaria, da quella economica, quella in corso riguarda l’intera società, e non una parte ancorché diffusa – di essa.

In altri termini, l’emergenza sanitaria coinvolge l’intera società in tutte le sue articolazioni, pur nella loro possibile differenziazione e specificità.

In secondo luogo, a differenza delle altre emergenze, pur con il suo indeterminato – allo stato – protrarsi, dovrebbe essere orientata ad un suo ridimensionamento, e sperabilmente ad un suo esaurimento. Questi due dati impongono alcune ulteriori riflessioni generali, che devono costituire la premessa per orientarsi – da subito – all’uscita dal periodo emergenziale.

Per fugare il pericolo che si vogliano protrarre le previsioni derogatorie, va da subito precisato che queste opereranno esclusivamente nel periodo transitorio. Il rischio di protrarre nel tempo le deroghe e le prassi è indubbiamente forte.

Non si vuol dire che alcune sperimentazioni non potranno trovare operatività nel prossimo – anche recente – futuro. Bisogna evitare che l’eccezionalità diventi la norma, forzando gli attuali dati normativi.

Per fare questo, oltre a ribadire quanto detto, in ordine alla condivisione della temporalità della attuale fase, appare necessario ribadire con forza che l’esaurimento dell’emergenza implicherà il ritorno alla disciplina ordinaria.

Su questo dato di partenza potranno essere costituite e codificate nella legge quelle innovazioni che l’esperienza dell’emergenza ha permesso di sperimentare, evidenziando la funzionalità e l’esclusione dell’erosione delle garanzie.

Questo elemento innesta un’altra riflessione: la necessità di recuperare le previsioni emergenziali da dentro il sistema vigente, evitando “fughe in avanti”. Invero, l’attuale sistema normativo consente di agire negli spazi interstiziali delle attuali previsioni di legge, in quella discrezionalità che già il legislatore prevede, interpretata alla luce delle emergenze che la situazione sanitaria impone.

In tal modo, sarà possibile su questa base “recuperare” quella positività che l’emergenza ha indotto ovvero “ripristinare” l’originalità delle previsioni che il superamento della contingenza imporrà.

2.

Scendendo – seppur per flashes nel dettaglio di alcune situazioni critiche che l’emergenza sta evidenziando, il panorama, fra le altre, evidenze quelle legate innanzitutto allo sviluppo telematico della giustizia penale.

Se indubbiamente alcune modalità informatiche di attività processuali potranno – forse dovranno – essere confermate, come quelle legate all’uso della pec, alla trasmissione degli atti, alle iniziative processuali, alle notificazioni, molte cautele, se non addirittura, l’oblio, dovrà essere riservato ad alcune modalità di procedimenti a distanza che pregiudicano fortemente il ruolo della difesa. Non si tratta cioè soltanto del perfezionamento delle tecniche, ma proprio del “recupero” della centralità della celebrazione nelle aule dei palazzi di giustizia, da ripristinare da subito, pur nella necessità di assicurare medio tempore il distanziamento sociale.

Il tema si colloca anche in una prospettiva più ampia legata alla tutela della riservatezza, come si dirà, in conclusione, in relazione alle incerte garanzie assicurate dagli attuali strumenti informatici e dalle modalità con le quali si intendono celebrare i processi.

Un ulteriore elemento scivoloso del tema, forse quello ancora più insidioso, in quanto si inserisce sia nella vocazione della Cassazione, sia in “prassi” nel rito presso la Suprema Corte, sta in una certa accondiscendente comodità del ceto forense, è costituito dalla tendenza al procedimento cartolare.

3.

L’emergenza mentre fa accelerare gli sviluppi del processo a distanza sconta ritardi in punto di custodia cautelare e di esecuzione della pena.

Sotto il primo profilo, infatti, il legislatore si premura di assicurare la custodia cautelare in carcere, prevedendo la sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, le convalide dell’arresto e del fermo, con possibile celebrazione del rito direttissimo e la sospensione della definizione dei procedimenti di gravame in materia di misure cautelari.

In sostanza, si evita di considerare, con riferimento alla custodia cautelare in carcere ogni possibile soluzione interpretativa e applicativa che pur sarebbe possibile considerare. Si è, cioè, scaricato sulla magistratura l’interpretazione delle condizioni delle cautele, senza fornire nessuna indicazione sul punto in considerazione dello stato delle carceri con riferimento alla situazione della diffusione dell’epidemia all’interno delle strutture penitenziarie.

Il secondo profilo è quello più direttamente carcerario esecutivo, connesso cioè all’espiazione della pena.

Recuperando in parte le previsioni della legislazione svuota carceri si sono ritagliate selettive previsioni di operatività per i detenuti, il cui percorso verso la libertà è limitato agli ultimi diciotto mesi, di una uscita dagli istituti penitenziari verso la detenzione domiciliare, in presenza di presupposti comportamentali positivi ed esclusioni connesse a ritenuta – anche presuntivamente – pericolosità sociale. Si tratta di un quadro eminentemente giuridico-normativo.

Quello che manca è una valutazione del Ministro della salute – non della sanità – sulle condizioni restrittive nel contesto dell’epidemia.

In altri termini, non solo il Ministero deve fornire le condizioni sanitarie ordinarie, all’interno degli istituti penitenziari, ma, quindi, anche quelli eccezionali nelle situazioni di una epidemia diffusa e pericolosa come quella in atto.

Del resto, già l’art. 286 bis c.p.p. prevede – seppur con riferimento alle condizioni di diffusione dell’HIV – che con decreto del Ministro della sanità, di concerto con quello della giustizia, si verifichino le condizioni soggettive e oggettive della restrizione cautelare (ma anche definitiva) nel carcere.

Peraltro, se al Ministro spetta  la competenza di definire e di concorrere a definire gli standard comportamentali dei cittadini, fuori dal carcere, non appare sostenibile che non debba valutare la condizione penitenziaria, tenuto conto che la salute è un diritto fondamentale non solo individuale ma posto a presidio dell’intera collettività.

4.

La fase che il Paese sta attraversando evidenzia alcuni profili che non possono non allarmare.

Si tratta di questioni connesse alla tutela individuale e collettiva della riservatezza in una prospettiva ancora più ampia di quella che si è in precedenza segnalata.

Si tratta della presenza di meccanismi di controllo collettivo dei movimenti delle  persone, di verifica allo stato ipotizzabile come volontaria, di alcune condizioni e restrizioni sociali individuali, che si aggiungono alle già segnalate propensioni personali scandagliate e sondate in modo penetrante. Era stato ipotizzato e  il futuro ci ha raggiunto.

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