La notizia di decisione n. 3/2020, Cass., Sez. III, ud. 2 luglio 2020: prime considerazioni
Flavia Accardo*
- La comunicazione di manifesta infondatezza della sospensione dei termini di prescrizione nel periodo in cui opera la sospensione dei termini ai sensi dell’art. 84 co. 2 d.l. n. 18/2020 e succ. mod.
Con la notizia n. 3/2020 la Corte di Cassazione ha comunicato che, all’udienza del 2 luglio 2020, la III Sezione penale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della sospensione dei termini di prescrizione ai sensi dell’art. 83 co. 4 d.l. 18 marzo 2020, n. 18, convertito dalla l. 24 aprile 2020 n. 27, e le successive modificazioni con d.l. 30 aprile 2020, art. 3, comma 1 lett. h) conv. dalla l. 25 giugno 2020 n. 70, «relativamente alla sospensione della prescrizione nel periodo in cui opera la sospensione dei termini ai sensi del comma 2 della stessa norma» affermando che essa «non viola il principio di irretroattività della legge penale sfavorevole di cui all’art. 25, comma 2, Cost, in quanto, premessa la natura sostanziale dell’istituto della prescrizione (Corte cost. n. 115 del 2018), la durata della sospensione, dovuta a fattore esogeno (emergenza sanitaria), ha carattere generale, proporzionato e temporaneo, così realizzando un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali, nessuno dei quali è assoluto e inderogabile».
Nella stessa informazione si legge che, nel caso di specie, la sospensione riguardava il periodo di tempo dal 13 marzo 2020 all’11 maggio 2020. La Corte cita quali riferimenti giurisprudenziali tanto la sentenza della Corte cost. n. 115/2018, con la quale la Consulta si è espressa in ordine alla natura sostanziale della prescrizione, quanto la sentenza Corte cost. n. 85/2013, in ordine alla comprimibilità dei diritti assoluti, nel bilanciamento delle varie esigenze in conflitto.
Come noto, tale decisione è intervenuta dopo che i Tribunali di Siena, Spoleto, Roma e Crotone avevano sollevato autonome questioni di legittimità costituzionale[1].
2. L’oggetto specifico della decisione di manifesta infondatezza
Leggendo l’informazione provvisoria, il giudizio di manifesta infondatezza pare limitato alla sospensione dei termini di prescrizione dal 9 marzo 2020 all’11 maggio 2020 (periodo in cui essa è stata stabilita a livello nazionale), con esclusione del periodo di sospensione dei termini di prescrizione dal 12 maggio 2020 al 30 giugno 2020 (stabilito dalle modificazioni successive dell’art. 83 d.l. n. 18/2020, compresa la legge di conversione del 25 giugno 2020). Occorrerà, necessariamente, leggere le motivazioni del provvedimento per comprendere se tale limitazione derivi dalle circostanze del caso concreto (se cioè il processo in questione è rientrato nel novero dei processi per cui è stata prevista la trattazione presso la Corte di Cassazione a partire dal 12 maggio 2020), o se, invece, vi sia una motivazione giuridica dovuta al diverso carattere di generalità e astrattezza della norma. Il periodo di sospensione delle attività giudiziarie dal 12 maggio al 30 giugno 2020, infatti, per espressa previsione dell’art. 83 d.l. n. 18/2020 e successive modificazioni, è stato rimesso alla valutazione discrezionale dei dirigenti dei vari uffici, in ordine alle possibilità di ripresa dell’attività giudiziaria, pur predisponendo modalità di prevenzione della diffusione del contagio.
3. Riepilogo dell’iter emergenziale di approvazione della norma.
Per comprendere la norma in esame ed il dibattito in ordine alla legittimità costituzionale della stessa, è opportuno ripercorrere brevemente gli eventi e i provvedimenti che si sono susseguiti in materia di misure straordinarie ed urgenti, adottate per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria[2].
Si ricordi, per una corretta ricostruzione della vicenda, che solo in data 11 marzo 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha effettuato un comunicato stampa nel quale l’emergenza epidemiologica in questione è stata definita come una vera e propria pandemia.
Il 31 gennaio 2020, in conformità con quanto previsto da c.d. codice della protezione civile, il Governo italiano ha dichiarato lo stato di emergenza per la durata di 6 mesi, quindi fino al 31 luglio, a causa del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili (Covid-19)[3].
Fino al d.l. n. 6 del 23 febbraio 2020, il Governo non aveva preso misure specifiche relative al settore dell’amministrazione della giustizia e non a caso, nello stesso periodo, in assenza di una previsione generale ed astratta, nei vari uffici giudiziari, di concerto con le disposizioni delle autorità sanitarie regionali, sono state emanate, per lo più, disposizioni in ordine alle misure igieniche da adottare per la prevenzione del contagio.
Nel mese di marzo 2020, con l’art. 10 d.l. 2 marzo 2020, n.9, salvo che per le questioni indifferibili ed urgenti previste dallo stesso decreto, è stata stabilita la sospensione fino al 31 marzo 2020 delle udienze nei procedimenti civili, penali, amministrativi e contabili da tenersi nei soli uffici giudiziari dei Comuni inseriti nella c.d. zona rossa prevista dall’allegato n. 1 al d.p.c.m. del 1° marzo 2020 o le udienze dei processi in cui risultava che le parti o i loro difensori fossero residenti o avessero sede legale nei predetti Comuni. Già nell’ambito di tale norma era stata prevista la sospensione dei termini di prescrizione.
Immediatamente dopo, l’Organismo congressuale forense, ritenendo del tutto inadeguate le misure poste in essere, prendendo atto delle plurime richieste di intervento con misure «più significative» e della presunta inerzia del Ministro della Giustizia, sebbene sollecitato dagli organi forensi «sia per le vie brevi […] sia in modo formale» a valutare «la gravità e la delicatezza della questione» e a sospendere le attività giudiziarie al fine di studiare misure di contrasto al contagio, ha indetto un’astensione collettiva dalle attività giudiziarie non indispensabili dal 6 al 20 marzo 2020 (revocata dopo l’entrata in vigore del d.l. 8 marzo 2020, n.11), dando avviso della necessità di considerare l’adesione all’astensione come un legittimo impedimento, al fine di garantire la salute e l’incolumità degli avvocati italiani (così il comunicato dell’O.C.F.).
L’8 marzo 2020, in un climax di ascendente emergenza, è stato pubblicato il d.l. n. 11/2020, con il quale è stata disposta la sospensione delle attività di udienza nei processi civili, penali e amministrativi su tutto il territorio nazionale dal 9 al 22 marzo 2020, fatte salve le eccezioni di cui all’art. 2 co. 2 lett. g), prevedendo la sospensione dei termini di prescrizione (e dei soli termini di cui all’art. 303 c.p.p.)[4]. Dal 23 marzo al 31 maggio 2020, invece, la possibilità del rinvio con sospensione dei termini di prescrizione (e di quelli di cui all’art. 303 c.p.p.) è stata rimessa alla decisione dei capi degli uffici giudiziari, sentiti l’autorità sanitaria regionale, per il tramite del Presidente della Giunta della Regione, e il Consiglio dell’ordine degli avvocati. Questi ultimi sono stati incaricati di adottare le misure organizzative necessarie per consentire il rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie fornite dal Ministero della salute, anche d’intesa con le Regioni, dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, dal Ministero della giustizia, nonché delle prescrizioni di cui all’allegato 1 al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020, al fine di evitare assembramenti all’interno dell’ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone[5]. Sono state, quindi, previste numerose misure adottabili in relazione al contingentamento degli accessi agli uffici giudiziari e alla trattazione degli affari giudiziari, dovendo scegliere (ragionevolmente secondo criteri di gradualità e adeguatezza) tra la possibilità di adottare linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze, di disporre la celebrazione delle udienze a porte chiuse (ex art. 472, comma 3 c.p.p. ed ex art. 128 c.p.c.), di disporre la trattazione delle udienze da remoto (laddove possibile) e, quale ultima ratio, di rinviare tutti i processi a data successiva al 31 maggio 2020, salve le predette eccezioni di cui alla lettera g) dell’art. 2 co. 2.
Con il successivo d.l. 17 marzo 2020, n. 18, il Governo è intervenuto in modo organico in tutti i settori coinvolti dall’emergenza epidemiologica, prevedendo misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese, in virtù della straordinaria situazione epidemiologica da COVID-19, che ha richiesto l’intervento di un atto avente forza di legge necessario ed urgente, considerata l’elevata contagiosità del virus in questione, le conseguenze sulla salute delle persone e l’incidenza della pandemia sul sistema sanitario nazionale.
Come si legge nelle premesse di tale decreto, il Governo è intervenuto, contemporaneamente, in vari settori, pubblici e privati, per potenziare il Servizio sanitario nazionale, la protezione civile e la sicurezza; prevedere misure di sostegno nel settore lavorativo pubblico e privato ed a favore delle famiglie e delle imprese; adottare disposizioni in materia di giustizia, di trasporti, per i settori agricolo e sportivo, dello spettacolo e della cultura, della scuola e dell’università; prevedere la sospensione degli obblighi di versamento per tributi e contributi, di altri adempimenti e incentivi fiscali, derogando agli obiettivi economici di medio e lungo termine, come autorizzato dalle Camere con deliberazioni dell’11 marzo 2020.
Tanto nel settore pubblico quanto nel settore privato, quindi, ci si è trovati dinanzi alla necessità di bilanciare numerosi interessi costituzionalmente tutelati: il diritto alla salute, il buon funzionamento del servizio sanitario nazionale, del sistema scolastico e universitario, dell’amministrazione della giustizia, nonché la finanza e l’economia. Tutto ciò, cercando di mettere i soggetti in posizione apicale al riparo da responsabilità di tipo colposo (preoccupazione che traspare in modo nitido dai vari provvedimenti governativi che si sono susseguiti).
In materia di amministrazione della giustizia civile, penale ed ammnistrativa, l’art. 83 d.l. n. 18/2020 (convertito dalla l. 24 aprile 2020 n. 27), riproducendo il meccanismo operativo già previsto dal precedente d.l. n. 11/2020, ha disposto un periodo di sospensione obbligatoria dell’attività giudiziaria e un ulteriore periodo di sospensione che si potrebbe definire facoltativa, perché, anche in questo caso, è stata rimessa alla decisione dei capi degli uffici giudiziari, secondo criteri di gradualità e adeguatezza previsti dallo stesso decreto e specificati dal C.S.M. (v. delibera del 26 marzo 2020).
È stato, quindi, previsto il rinvio d’ufficio per tutte le udienze, nel periodo dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020, fatte salve le eccezioni già previste dal precedente decreto; per la stessa durata sarebbero stati sospesi tutti i termini processuali, i termini di prescrizione e i termini di cui agli artt. 303 e 308 c.p.p.[6]. Con successivo d.l. n. 23/2020, il termine finale di tale sospensione nazionale è stato prorogato all’11 maggio 2020, salvo che per i procedimenti penali in cui i termini di cui all’articolo 304 c.p.p. scadevano nei sei mesi successivi all’11 maggio 2020 (cfr. art. 36 del medesimo decreto).
Per quanto riguarda la c.d. sospensione facoltativa operante dal 16 aprile 2020, invece, la sospensione ha riguardato solo i termini di prescrizione e quelli relativi alle misure cautelari (non anche tutti gli altri termini processuali). Problematica è stata l’individuazione del termine finale di tale fase, dal momento che il d.l. 18/2020 aveva previsto un periodo decorrente dal 16 aprile al 30 giugno 2020; con successivo d.l. 30 aprile 2020, n.28, il termine finale è stato sostituito con il 31 luglio 2020; infine, è stato riportato al 30 giugno dalla l. di conversione del 25 giugno 2020 (considerati non solo la diminuzione dei contagi, ma anche le varie mobilitazioni che hanno spinto per la ripresa delle varie attività economiche ed anche giudiziarie).
A seguito dell’emanazione di tali fluttuanti disposizioni, vi sono processi che, in applicazione dei provvedimenti dei singoli capi degli uffici giudiziari, tra il 30 aprile 2020 ed il 25 giugno 2020, sono stati rinviati a data successiva al 31 luglio 2020, nella convinzione dell’impossibilità di riprendere l’attività giudiziaria, per cui, stando alla lettera della norma, a prescindere dalla legittimità costituzionale della stessa, il decorso del termine di prescrizione è stato dapprima sospeso fino al 31 luglio ed ora fatto retroagire nuovamente al 30 giugno 2020. Ci si rende facilmente conto di come tali situazioni siano grottesche, considerando che ci si riferisce a termini chiamati ad incidere sull’estinzione del reato e sull’efficacia rieducativa della pena da applicare. Se è vero che, mai come in questo caso, il diritto penale dell’emergenza ha dovuto affrontare una vera e propria situazione contingibile ed urgente, è pur vero che forse non si dovrebbe mai perdere di vista la necessaria prudenza e ponderazione che la materia penale impone, evitando di trasformare l’emergenza in emergenzialismo[7].
In ogni caso, in un clima di totale disorientamento informativo, tra la persistenza dei casi di contagio, seppur in un numero di minore allarme sociale, la necessità dei capi degli uffici giudiziari di prendere provvedimenti per coniugare la ripresa dell’attività giudiziaria con la necessità di perseverare nelle misure di prevenzione alla diffusione del contagio, la politica pare voler prorogare lo stato di emergenza oltre il 31 luglio 2020.
4. La rilevanza dommatica e pratica del dibattito in ordine alla legittimità costituzionale della norma in questione.
Da un punto di vista dommatico, la questione di cui si discute è di primario interesse, dal momento che essa lambisce il tema della natura sostanziale o processuale della prescrizione, ed impone di soffermarsi sulle norme disposte in tema di sospensione del termine di prescrizione, per verificare se esse siano soggette o meno alle garanzie del diritto sostanziale penale e in che termini. Non va escluso, inoltre, che una disposizione come quella in esame può creare un precedente riproponibile in futuro anche per periodi di tempo più lunghi, capaci di incidere fortemente sul diritto all’oblio dell’imputato, nonché sull’effettiva efficacia integratrice della sanzione penale da applicare. Proprio per la sua rilevanza non stupisce che, in un periodo di tempo così ristretto, la questione sia stata oggetto di sindacato di legittimità costituzionale sollevata da ben quattro Tribunali di merito distinti e sia oggetto dell’odierna notizia di decisione[8].
Da un punto di vista strettamente applicativo, invece, data la brevità del lasso temporale preso in considerazione (dal 9 marzo al 12 maggio 2020, come previsto dall’informazione provvisoria o, al più, fino al 30 giugno 2020), si dubita fortemente che la sospensione del termine di prescrizione di cui si discute sia idonea ad incidere in modo significativo sull’estinzione del reato (a prescindere dall’applicazione della vecchia disciplina della prescrizione, della l. n. 103/2017 o della recentissima l. n. 3/2019, entrata in vigore solo il 1° gennaio 2020).
Considerato che un reato si prescrive, come minimo, in sette anni e mezzo o in cinque anni e considerati i numeri delle pendenze dei fascicoli ultrabiennali nei vari uffici giudiziari, si ritiene che sia limitato il numero dei casi in cui questi tre mesi e mezzo di sospensione saranno determinanti per le sorti della punibilità. Se, infatti, si considerano i gravi problemi di gestione delle pendenze che gli uffici giudiziari si troveranno ad affrontare nei prossimi mesi (valutati il numero delle pendenze, l’arretrato creato da quattro mesi di sospensione dell’attività giudiziaria e la necessità di rispettare misure di contingentamento degli ingressi negli uffici giudiziari, e rilevata la situazione critica dell’edilizia giudiziaria in numerosi uffici), è ben possibile che la sospensione della prescrizione non riesca ad impedire l’estinzione del reato (ci si riferisce, in particolare, ai fatti di reato commessi fino al 31 dicembre 2019). Le uniche ipotesi in cui essa pare chiamata a produrre un effetto pratico riguardano i processi in cui il termine di prescrizione scadeva tra il 9 marzo ed il 30 giugno 2020 e si era prossimi al passaggio in giudicato della sentenza di condanna o alla definizione di un grado di giudizio con costituzione di parte civile, atteso che, in tali casi, l’intervento di una pronuncia di merito diviene un incentivo\disincentivo importante per insistere nella domanda di risarcimento del danno da reato, eventualmente in sede civile.
5. Il principio di diritto espresso, in attesa delle motivazioni.
Per la comprensione effettiva del principio di diritto affermato, sarà necessario attendere la pubblicazione integrale del provvedimento.
Allo stato, è noto solo che la terza Sezione della Corte di Cassazione ha affermato la legittimità costituzionale della durata della sospensione della prescrizione dal 9 marzo all’11 maggio 2020, stabilita in via generale ed astratta su tutto il territorio nazionale con atto avente forza di legge, dal momento che essa non costituisce altro che il frutto del bilanciamento dei vari diritti fondamentali in conflitto (è proprio la Corte ad utilizzare l’espressione diritti fondamentali nell’informazione provvisoria).
La Corte sembra affermare il seguente principio di diritto: il legislatore è chiamato a contemperare le esigenze del caso concreto, ponderando tutti gli interessi coinvolti, per comprendere quanti e quali di essi vadano compressi e in che misura, dal momento che non esistono diritti che si pongano, in assoluto e inderogabilmente, in una posizione di superiorità gerarchica.
Che questo sia il percorso logico-argomentativo, è ricavabile dalla lettura dei precedenti giurisprudenziali citati nella stessa informazione provvisoria.
Come già ricordato, con la sent. n. 115/2018, la Consulta, in senso conforme ai principi espressi da consolidata giurisprudenza costituzionale, ha affermato: «La prescrizione pertanto deve essere considerata un istituto sostanziale, che il legislatore può modulare attraverso un ragionevole bilanciamento tra il diritto all’oblio e l’interesse a perseguire i reati fino a quando l’allarme sociale indotto dal reato non sia venuto meno (potendosene anche escludere l’applicazione per delitti di estrema gravità), ma sempre nel rispetto di tale premessa costituzionale inderogabile (ex plurimis, sentenze n. 143 del 2014, n. 236 del 2011, n. 294 del 2010 e n. 393 del 2006; ordinanze n. 34 del 2009, n. 317 del 2000 e n. 288 del 1999)». Si aggiunga che con la prescrizione il legislatore, oltre a bilanciare i predetti interessi meritevoli di tutela, assicura che la sanzione penale possa essere applicata in un tempo utile per svolgere la sua funzione di integrazione sociale o, almeno, di non ulteriore desocializzazione[9].
Nell’esprimere tale principio di diritto, la Corte ha richiamato quanto già osservato con l’ordinanza n. 24/2017, cioè che «un istituto che incide sulla punibilità della persona, riconnettendo al decorso del tempo l’effetto di impedire l’applicazione della pena, nel nostro ordinamento giuridico rientra nell’alveo costituzionale del principio di legalità penale sostanziale enunciato dall’art. 25, secondo comma, Cost. con formula di particolare ampiezza»[10].
Con la sent. n. 85/2013, invece, la Corte costituzionale si è espressa in ordine alla possibilità di comprimere i diritti assoluti, quando vi è necessità di contemperare plurimi interessi costituzionalmente tutelati in conflitto, giacché nessuno di essi si pone in una situazione di prevalenza gerarchica assoluta; pertanto il legislatore può intervenire con strumenti legislativi di bilanciamento, purché essi siano ragionevoli e proporzionati e non comportino un sacrificio del nucleo essenziale del diritto assoluto.
La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dal g.i.p. del Tribunale di Taranto e dallo stesso Tribunale di Taranto in funzione di appello ex art. 322 bis c.p.p. in ordine agli artt. 1 e 3 della l. 24 dicembre 2012, n. 231 (Conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 3 dicembre 2012, n. 207, recante disposizioni urgenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale) con i quali, di fatto, sono stati consentiti il prosieguo dell’attività produttiva dell’Ilva di Taranto e la commercializzazione dei prodotti finiti (sebbene impianti e prodotti fossero sottoposti a sequestro in virtù dei gravi reati ambientali per cui si procedeva)[11]. Il sindacato di legittimità è stato richiesto in relazione agli artt. 2, 3, 9 co. 2, 24, 25 co. 1, 27 co. 1, 32, 41 co. 2, 101, 102, 103, 104, 107, 111, 112, 113 e 117 co. 1 Cost.
Sottolineando solo quegli aspetti che interessano nel caso di specie, la questione relativa all’art. 1 l. n. 231/2012 (relativo alle norme dettate in via generale ed astratta per gestire la crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale e contemperare la tutela dell’ambiente e della salute con il mantenimento dei livelli di occupazione, anche in presenza di provvedimenti di sequestro giudiziario degli impianti) è stata dichiarata manifestamente infondata, rigettando l’assunto dei giudici rimettenti, in base al quale il diritto alla salute sarebbe stato leso in senso assoluto dall’intervento normativo in questione, per soccombere rispetto a logiche di tipo economico. Al contrario, la Corte ha insistito molto sul concetto per cui tale diritto è stato semplicemente compresso in misura proporzionata e necessaria per bilanciare la sua tutela con quella di altri interessi ritenuti primari[12].
In sintesi, la Corte ha sottolineato che la norma non avrebbe potuto incidere sul carattere illecito dei fatti perpetrati e sulla possibilità di applicare e mantenere misure cautelari reali, così come non avrebbe mai potuto creare un’aprioristica immunità della prosecuzione della produzione da responsabilità penali, civili e amministrative secondo le regole ordinarie, per le varie infrazioni alle norme poste a salvaguardia dell’ambiente e della salute; «la stessa norma, piuttosto, traccia un percorso di risanamento ambientale ispirato al bilanciamento tra la tutela dei beni indicati e quella dell’occupazione, cioè tra beni tutti corrispondenti a diritti costituzionalmente protetti».
La Corte, in particolare, insiste su tale concetto affermando che «non si può condividere l’assunto del rimettente giudice per le indagini preliminari, secondo cui l’aggettivo “fondamentale”, contenuto nell’art. 32 Cost., sarebbe rivelatore di un “carattere preminente” del diritto alla salute rispetto a tutti i diritti della persona. Né la definizione data da questa Corte dell’ambiente e della salute come “valori primari” (sentenza n. 365 del 1993, citata dal rimettente) implica una “rigida” gerarchia tra diritti fondamentali. La Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. La qualificazione come “primari” dei valori dell’ambiente e della salute significa pertanto che gli stessi non possono essere sacrificati ad altri interessi, ancorché costituzionalmente tutelati, non già che gli stessi siano posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto. Il punto di equilibrio, proprio perché dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato – dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo – secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale. Lo stesso giudice rimettente ritiene che la norma censurata “annienti completamente il diritto alla salute e ad un ambiente salubre a favore di quello economico e produttivo”. Se questa valutazione fosse rispondente alla realtà normativa, ci si troverebbe senza dubbio di fronte ad una violazione dell’art. 32 Cost., in quanto nessuna esigenza, per quanto costituzionalmente fondata, potrebbe giustificare la totale compromissione della salute e dell’ambiente, per le ragioni prima illustrate. Tale conclusione non è tuttavia suffragata da una analisi puntuale della disposizione censurata».
Due sono i punti su cui sarà interessante leggere le motivazioni della Corte di Cassazione: 1) quale sia il diritto primario che, secondo la giurisprudenza di legittimità, va posto in bilanciamento con il diritto alla salute, consentendo la sospensione del termine di prescrizione; 2) come possa sostenersi che un fattore esogeno quale l’odierna emergenza sanitaria, per usare le parole della Corte, comportando una tale modifica legislativa, non abbia pregiudicato il rispetto del principio di irretroattività della legge penale sfavorevole.
Se si parla di bilanciamento, occorre valutare, in primo luogo, che esso consiste in un’operazione di ponderazione contemporanea di più elementi che si può concludere sia con un giudizio di prevalenza\soccombenza di uno di essi (come avviene, in particolare, nell’ambito delle cause di giustificazione) sia con la compressione di uno o più di essi solo per la porzione minima possibile (ed è questo il caso della disciplina della prescrizione che, per sintetizzare, citando la sent. Corte cost. n. 115/2018, comporta il bilanciamento tra il diritto all’oblio dell’imputato e l’interesse dello Stato all’esercizio del potere punitivo).
Va, poi, considerato che si ritiene di poter bilanciare solo elementi tra loro analoghi o comunque equiparabili. Ciò vuol dire che possono essere ponderati contestualmente beni giuridici, diritti primari e interessi costituzionalmente tutelati e, entro certi limiti, possono essere messi in bilanciamento persino i principi fondamentali[13]. Ciò che non appare possibile, invece, è il bilanciamento tra diritti primari (quale può essere quello della salute) e principi fondamentali (come quello dell’irretroattività della legge penale sfavorevole), considerando, tra l’altro, che esistono principi di diritto del tutto inderogabili.
Fatta questa premessa, è evidente che il legislatore, nell’affrontare l’emergenza sanitaria, abbia tenuto in primaria considerazione, ai fini di un bilanciamento, il diritto all’assistenza sanitaria (considerando che il sistema sanitario nazionale, in quei giorni, era messo a dura prova dall’entità della domanda, a fronte della scarsa offerta di strutture e risorse umane e materiali), nonché il diritto alla salute di tutti coloro che gravitano nelle aule giudiziarie (avvocati, imputati, magistrati, personale amministrativo, testimoni). Il tertium comparationis, quindi, dev’essere necessariamente un’altra posizione soggettiva di vantaggio, quale potrebbe essere il diritto alla ragionevole durata del processo, valido tanto per l’imputato che per le persone offese e ritenuto comprimibile mediante una norma generale e proporzionata.
Non è detto che la Corte abbia considerato bilanciabile e, di conseguenza, derogabile il principio di irretroattività della legge penale sfavorevole[14]. Una soluzione del genere, infatti, non sarebbe comprensibile, considerando che il principio di irretroattività della legge penale (sfavorevole) non è un diritto, ma una norma fondante e caratterizzante del sistema penale. Tale corollario del principio di legalità costituisce una garanzia insuperabile per il destinatario di una sanzione volta alla reintegrazione sociale[15].
Tale carattere di inderogabilità del principio di irretroattività della legge penale emerge chiaramente dalla gerarchia delle fonti. L’art. 25 co.2 Cost., infatti, prevede che nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso. Trattasi di una norma che non potrebbe essere modificata da un atto avente forza di legge ordinaria. Ne consegue che un’affermazione di principio della Corte di Cassazione che si discosti da tali premesse giuridiche certe non sarebbe comprensibile o condivisibile.
Il principio di irretroattività della legge penale è, poi, confermato e specificato dall’art. 2 co. 1 c.p., in base al quale nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato.
Attesa la natura pacificamente sostanziale delle norme in materia di prescrizione, appare inevitabile che tale principio fondamentale si applichi anche alle norme in materia di estinzione del reato per decorso del tempo.
Il sistema penale ha, poi, previsto e disciplinato l’ipotesi di intervento di leggi eccezionali e temporanee: l’art. 14 delle Preleggi, equiparando la legge penale e le leggi eccezionali, afferma che esse non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati; l’art. 2 co. 5 c.p., nell’ambito della disciplina della successione di leggi penali nel tempo, prevede l’ipotesi di intervento di leggi eccezionali e temporanee, affermando, non a caso, che esse sono sottratte ai principi di non ultrattività della legge penale, e di retroattività della lex mitior (salvi i limiti del giudicato), proprio per consentire loro di trovare un’effettiva applicazione; in ogni caso, l’art. 2 co. 5 c.p. esclude che anche le leggi temporanee ed eccezionali possano sottrarsi al principio fondamentale di irretroattività della legge penale.
Se queste sono le premesse, occorre comprendere come la Corte abbia potuto ritenere che la sospensione della prescrizione prevista dall’art. 83 d.l. n. 18/2020 e successive modificazioni possa trovare applicazione anche laddove l’illecito penale sia già stato consumato.
L’unica notizia che si ha a disposizione è che, secondo la Corte, la sospensione della prescrizione in esame non ha compromesso il rispetto del principio di irretroattività della legge penale. Volendo dare rilievo alle poche righe a disposizione, oggetto del giudizio di ragionevolezza e proporzione, allora, non sembra la sospensione in sé, ma la sua durata. Si comprende, quindi, che è su questo specifico aspetto che, secondo la Cassazione, ha agito il giudizio di bilanciamento operato dal legislatore.
Se queste sono le premesse, è ben possibile che la Terza sezione abbia recepito lo spunto interpretativo desumibile da alcune delle citate ordinanze dei Tribunali di merito (in particolare dalle citate ordinanze del Tribunale di Roma e di Crotone), secondo cui l’art. 159 c.p. effettua un rinvio c.d. mobile a tutti i casi di sospensione del processo previsti dalla legge, anche quelli previsti con una norma successiva alla commissione del fatto. In altri termini, la previsione generica in base alla quale «il corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge, oltre che nei casi» tassativamente previsti dall’articolo in questione, poiché vigente al momento della consumazione del reato, sarebbe sufficiente per ritenere predeterminate le ipotesi di sospensione della prescrizione. La formula di cui all’art. 159 c.p., quindi, garantirebbe la prevedibilità della norma penale da parte dell’autore del fatto, essendo egli messo in condizioni di comprendere che il termine di prescrizione potrebbe essere sospeso qualora, per qualsiasi motivo, il legislatore ritenga di dover sospendere il processo[16].
Una prima lettura della vicenda in esame consente di individuare i seguenti argomenti a sostegno dell’una e dell’altra posizione possibile.
Sebbene il tempo necessario a prescrivere un reato sia previsto specificamente dal legislatore all’art. 157 c.p. ed il decorso di tale termine sia previsto specificamente dall’art. 158 c.p., l’imputato non ha la certezza della durata massima della prescrizione del reato (come invece avviene per la durata massima delle misure cautelari ai sensi degli artt. 303, 308 e 304 c.p.p.), dal momento che è indeterminabile il numero e la durata delle sospensioni del termine di prescrizione che si verificheranno nel corso del processo. In altri termini, il termine di prescrizione nasce di per sé definito nel minimo, indeterminato nel massimo e strettamente dipendente da una serie imprevedibile e imponderabile di “accidentalia processus”[17]. È questo, forse, l’argomento che maggiormente potrebbe convincere della legalità di un’ipotesi di sospensione del processo prevista come mera eventualità al momento della commissione del fatto e verificatasi come accidente concreto durante la celebrazione del processo. In tal senso, quindi, si potrebbe considerare che l’emergenza sanitaria sia un fattore esogeno al pari del legittimo impedimento dell’imputato o del suo difensore; si consideri, a tal proposito, che qualora non fosse intervenuta la sospensione dell’attività giudiziaria con un atto avente forza di legge, l’astensione indetta dall’Organismo congressuale forense avrebbe comportato la qualificazione dell’emergenza sanitaria proprio come un impedimento legittimo del difensore e del suo assistito. Si dovrebbe poter affermare, quindi, che l’intervento del d.l. n. 18/2020, come modificato dalle successive modifiche e leggi di conversione, non sia stato altro che una specificazione di una previsione già implicita e predeterminata nell’art. 159 c.p.
Occorre, poi, considerare quanto già rilevato dalla dottrina e dalla giurisprudenza citate nel presente commento, cioè che l’applicazione delle norme in materia di sospensione del termine di prescrizione sembra prescindere dal momento di consumazione del fatto di reato. È questo il caso della sospensione del processo dovuta all’irreperibilità di fatto del soggetto che non può essere considerato assente, prevista dalla l. n. 67/2014, la cui applicazione dipende dalla norma di diritto intertemporale di cui all’art. 15-bis aggiunto dalla l. n. 118/2014 (secondo un meccanismo tipico delle norme di tipo processuale), nonché della sospensione del processo per messa alla prova prevista sempre dalla l. 28 aprile 2014, n.67, che viene considerata applicabile anche ai fatti commessi dopo la sua entrata in vigore[18].
Nonostante ciò, non si può ignorare che la prescrizione resta pacificamente un istituto di carattere sostanziale, come tale soggetto alle garanzie del diritto penale, in primis al principio di irretroattività ex art. 25 co. 2 Cost.
Partendo da tale affermazione di principio, diviene difficile comprendere i motivi per cui una norma che regoli il suo funzionamento, come l’art. 159 c.p., dovrebbe essere esclusa dall’ambito di operatività di tale principio.
Non a caso, nessuno potrebbe dubitare dell’inapplicabilità retroattiva della riforma in materia di prescrizione entrata in vigore il 1° gennaio 2020 prevista dalla l. n. 3/2019, che prevede l’imprescrittibilità dei reati dopo il primo grado, ma che è comunque configurata come ipotesi di sospensione della prescrizione ex art. 159 c.p.
Per poter prendere posizione all’interno di tale complesso dibattito, occorre una ponderata riflessione sulle implicazioni dommatiche e politico-criminali che l’affermazione della legittimità costituzionale della sospensione del termine di prescrizione (operata ex art. 83 d.l. n. 18/2020 e successive modificazioni) comporterebbe sull’istituto sostanziale della prescrizione, un approfondimento sulle più recenti riforme in termini di prescrizione (considerando che esse hanno operato proprio sull’art. 159 c.p. creando casi sui generis di sospensione del termine di prescrizione), nonché una riflessione comparativa sulla successione nel tempo delle norme penali integrate da una fonte secondaria e sulla legittimità costituzionale dell’art. 83 d.l. n. 18/2020 e successive modificazioni in ordine alla sospensione dei termini delle misure cautelari ex artt. 303 e 308 c.p.p. Sono tutte riflessioni che non sono possibili in questa sede e che ci si riserva di affrontare in successivi approfondimenti del tema, attendendo le motivazioni della decisione del 2 luglio 2020 della Terza Sezione della Cassazione, nonché la decisione della Corte costituzionale sulle questioni sollevate dai Tribunali di Siena, Spoleto, Crotone e Roma.
* Giudice presso il Tribunale di Foggia, Dottoressa di ricerca in Sistema penale e processo presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II.
[1] Cfr. le ordinanze n. 1 e 2 del 25 maggio 2020 del Tribunale di Siena, le due ordinanze del 27 maggio 2020 del Tribunale di Spoleto, l’ordinanza del 18 giugno 2020 del Tribunale di Roma e l’ordinanza del Tribunale di Crotone del 19 giugno 2020.
[2] Sullo stesso argomento L. Fidelio L. – A. Natale, Emergenza COVID-19 e giudizio penale di merito: un catalogo (incompleto) dei problemi, in Quest. Giust. 16 aprile 2020.
[3] Il d.lgs. n.1 del 2 gennaio 2018 (Codice della protezione civile), all’articolo 7 (Tipologia degli eventi emergenziali di protezione civile), lettera c) dispone che gli eventi emergenziali di protezione civile sono «emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo». Lo Stato d’emergenza attribuisce al Governo e alla Protezione civile dei ‘poteri straordinari’ o ‘speciali’. Per l’attuazione degli interventi si provvede in deroga a ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico. Ai sensi dell’art. 24 co. 3 del codice della protezione civile, lo stato di emergenza può avere una durata massima di un anno, prorogabile, al massimo, di ulteriori 12 mesi.
[4] Sullo specifico tema della sospensione dei termini per le misure cautelari cfr. L. Stortoni, L’imputato ai tempi del COVID – 19, in www.penaledp.it, 16 aprile 2020; F. Malagnino, Sospensione dei termini nel procedimento penale in pandemia da Covid-19, in www.giurisprudenzapenale.com, n. 4/2020; E. Marzaduri, Le sorti dei detenuti sottoposti a custodia carceraria ai tempi del coronavirus, in www.legislazionepenale.eu, 24 marzo 2020; G. Spangher, Misure cautelari e diritto alla salute, in www.penaledp.it, 25 marzo 2020; nonché il Documento del Direttivo dell’Associazione tra gli Studiosi del processo penale del 30 marzo 2020, in www.sistemapenale.it, 2 aprile 2020.
[5] Sempre in virtù della medesima norma, per gli uffici diversi dalla Corte suprema di Cassazione e dalla Procura generale presso la Corte di cassazione è stato stabilito che le suddette misure sarebbero state adottate d’intesa con il Presidente della Corte d’appello e con il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello dei rispettivi distretti.
[6] Si noti, tra l’altro, la particolarità della previsione di una norma che, seppur chiamata a ratificare quanto già previsto dai precedenti decreti-legge, ha preteso di avere efficacia retroattiva, venendo pubblicata il 17 marzo 2020 e facendo decorrere i suoi effetti dal 9 marzo 2020, in materia di sospensione dell’attività giudiziaria, di prescrizione, di altri termini processuali e di termini delle misure cautelari personali.
[7] In argomento S. Moccia, La perenne emergenza. Tendenze autoritarie nel sistema penale, 2ª ed., Napoli 1997, passim.
[8] Sullo stesso argomento N. Madia, Prime questioni di legittimità costituzionale sulla prescrizione “da Covid 19”, in www.penaledp.it, 26 maggio 2020; Id., Tre questioni problematiche in tema di sospensione della prescrizione connessa all’emergenza Covid-19, in www.giurisprudenzapenale.com, 4 maggio 2020.
[9] Sull’importanza della scelta costituzionale della funzione della pena, come elemento di indirizzo dell’intero sistema penale orientato da considerazioni di politica-criminale, S. Moccia, Il diritto penale tra essere e valore. Funzione della pena e sistematica teleologica, Napoli 1992, p. 17 ss.
[10] Com’è noto, la questione di legittimità costituzionale riguardava l’art. 2 l. 2 agosto 2008, n. 130 di ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (in modifica del Trattato sull’Unione europea, del Trattato che istituisce la Comunità europea e alcuni atti connessi), poiché, modificando l’art. 325 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, così come interpretato dalla Grande sezione della Corte di giustizia 8 settembre 2015, in causa C-105/14, caso Taricco, avrebbe imposto al giudice di non applicare gli artt. 160 co. 3 e 161 co. 2 c.p. in materia di interruzione della prescrizione, qualora ne fosse derivata la “sistematica impunità” di “gravi frodi” in materia di imposta sul valore aggiunto a danno degli interessi finanziari dell’Unione punite dal d.lgs. 74/2000 (dove il concetto di gravi frodi si sarebbe dovuto interpretare alla luce dell’art. 2 della Convenzione PIF). Lo scopo perseguito dalla norma, così interpretata, era quello di applicare sanzioni effettive e dissuasive a tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea.
Si erano, quindi, posti problemi di legalità della disciplina della prescrizione, per contrasto con il principio di irretroattività – attesa la sua natura sostanziale e non processuale -, di determinatezza – a causa della genericità dei concetti di «grave frode» e di «numero considerevole di casi» in cui applicare i principi espressi dalla sentenza Taricco -, di sindacabilità da parte del giudice – perché verrebbe demandata una «valutazione di natura politico-criminale» che spetterebbe invece al legislatore – di ragionevolezza e di uguaglianza – per aver impedito di prevedere la data di prescrizione del reato e di valutare l’opportunità di accedere a un rito alternativo -, e di compatibilità con la funzione rieducativa della pena, legando il termine di prescrizione esclusivamente a considerazioni attinenti alla tutela di interessi finanziari.
La Grande sezione della Corte di giustizia, con sentenza 5 dicembre 2017, in causa C-42/17, M.A. S. e M. B., facendosi carico dei dubbi interpretativi della Corte costituzionale, ha affermato che l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare la normativa interna in materia di prescrizione, sulla base della “regola Taricco”, viene meno quando ciò comporta una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene, a causa dell’insufficiente determinatezza della legge applicabile o dell’applicazione retroattiva di una normativa che prevede un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato.
Facendo applicazione di tali principi, la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione per manifesta violazione del principio di determinatezza della norma penale; ne deriva per il giudice nazionale l’obbligo di applicare gli artt. 160 e 161 c.p. Ed infatti, un cittadino comune non avrebbe mai potuto avere la percezione della regola da seguire e del tempo di prescrizione del reato, pur conoscendo l’art. 325 TFUE e la stessa sentenza Taricco.
Nonostante ciò, la Corte ha colto l’occasione di ribadire il proprio orientamento in ordine alla natura sostanziale della prescrizione.
Sull’intera vicenda Taricco esiste una letteratura ormai sterminata; per un ampio confronto sul tema v. in particolare il Volume a cura di A. Bernardi – C. Cupelli, Il caso Taricco e il dialogo tra le Corti, Napoli 2017, passim.
[11] L’art. 1 del citato d.l. n. 207/2012 è stato censurato in quanto prevedeva che fosse possibile prorogare l’attività di impresa degli impianti sequestrati – fino ad un massimo di 36 mesi – per gli stabilimenti riconosciuti con d.p.c.m. di interesse strategico nazionale con almeno duecento persone impiegate, qualora necessario per la salvaguardia dell’occupazione e della produzione, nel rispetto delle prescrizioni impartite con una AIA – autorizzazione integrata ambientale – rilasciata in sede di riesame, che avrebbe consentito un’adeguata tutela dell’ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili.
Il successivo art. 3 è stato censurato poiché definiva l’impianto siderurgico Ilva di Taranto come stabilimento di interesse strategico nazionale a norma dell’art. 1; autorizzava la produzione negli impianti sottoposti a sequestro in conformità con l’AIA – rilasciata alla società Ilva il 26 ottobre 2012 -; reimmetteva gli imputati nel possesso degli impianti e dei beni già sottoposti a sequestro dell’autorità giudiziaria; di fatto, sottraeva alla possibilità di confisca i prodotti in giacenza, compresi quelli realizzati prima dell’entrata in vigore del decreto-legge, poiché questi potevano essere commercializzati dall’impresa.
[12] La continuazione della produzione, infatti, è stata sottoposta all’adeguamento alle misure predisposte dall’AIA, autorizzazione rilasciata solo se il gestore dell’impianto dimostra di adottare le migliori tecnologie disponibili (MTD), seguendone l’evoluzione; non a caso, si tratta di un provvedimento “dinamico”, contenente un programma di riduzione delle emissioni, che va riesaminato periodicamente (di norma ogni cinque anni). Anche la questione della mera applicazione di una sanzione pecuniaria per la violazione delle prescrizioni imposte non era fondata, in quanto comunque, restano applicabili tutte le disposizioni previste «dagli articoli 29-decies e 29-quattuordecies del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dalle altre disposizioni di carattere sanzionatorio penali e amministrative contenute nelle normative di settore […]». Inoltre, non sarebbe stata frustrata in alcun modo la possibilità di applicare o mantenere misure cautelari reali o, per i cittadini, la possibilità di adire l’autorità giudiziaria.
[13] V. sul punto R. Guastini, Principi di diritto, in Dig. Disc. Civ., XIV, Torino 1996, pp. 341-355, par. 6 e par. 17, secondo il quale i principi sono una specie del genus delle norme di diritto, come in effetti si desume dallo stesso art. 12 delle Preleggi; essi sono di difficile definizione e classificazione – dal momento che possono avere delle caratteristiche molto diverse gli uni dagli altri -; in ogni caso, appaiono differenziarsi per la loro portata fondante: «Sono norme che, agli occhi di chi parla, rivestono una speciale “importanza”, ovvero appaiono come norme “caratterizzanti” dell’ordinamento o di una sua parte. Per questa ragione e in questo senso si usa accompagnare il sostantivo “principio” con l’aggettivo “fondamentale”». Nonostante ciò, anche i principi possono entrare in conflitto tra loro, cosa che non è risolvibile secondo gli ordinari criteri di soluzione delle antinomie normative (gerarchico, temporale e di specialità), dovendo piuttosto procedere ad un bilanciamento in concreto degli stessi. Ciò vuol dire che vi possono essere dei casi in cui un principio venga sacrificato in favore di un altro principio ritenuto prevalente. Lo stesso illustre Autore afferma che il bilanciamento dei principi in conflitto è un’operazione complessa che porta a soluzioni che l’interprete è chiamato a valutare caso per caso.
[14] Per una prima impressione contraria G. L. Gatta, Covid-19, sospensione del corso della prescrizione del reato e irretroattività: una prima discutibile decisione della Cassazione e due nuove ordinanze di merito che sollecitano una rilettura dell’art. 159 c.p., in www.sistemapenale.it, 6 luglio 2020, nel quale si legge: «La Cassazione sembra avere invece optato per una terza via: ha ritenuto in via di principio applicabile l’art. 25, co. 2 Cost., in ragione della natura “sostanziale” dell’istituto della prescrizione del reato, salvo ritenere che nel caso di specie la disposizione costituzionale sia derogabile (…) come ho già avuto modo di osservare in un precedente contributo pubblicato su questa Rivista – e come nota il Tribunale di Crotone, nella parte finale dell’ordinanza qui allegata –, una via d’uscita dall’impasse rappresentato dall’affermata natura sostanziale della prescrizione del reato, che preclude l’applicazione retroattiva della relativa disciplina, non può essere individuata invocando una deroga al principio di irretroattività, sorretta da pur ragionevoli motivi di emergenza sanitaria».
[15] Sull’art. 25 co. 2 Cost. si veda, in particolare, F. Bricola, Commento all’art. 25 co. 2 e 3, in Commentario alla Costituzione a cura di G. Branca, Bologna, 1981, p. 269 ss. Sul punto, tra le molteplici affermazioni giurisprudenziali sul tema, si condivide il riferimento di G.L. Gatta, Covid-19, sospensione del corso della prescrizione, cit., che richiama quanto espresso da Corte cost., n. 32/2020, secondo cui il principio di irretroattività in malam partem è inderogabile, in quanto «è un fondamentale e irrinunciabile principio di civiltà del diritto che “erige un bastione a garanzia dell’individuo contro possibili abusi da parte del potere legislativo”».
[16] Il Tribunale di Roma arriva a tale affermazione di principio asserendo che, sebbene la prescrizione abbia natura sostanziale e, come tale, sia assoggettata alle garanzie di cui all’art. 25 co. 2 Cost., la sospensione della prescrizione, al contrario, avrebbe di fatto una natura processuale, come testimoniato dall’applicazione delle riforme all’art. 159 c.p. anche a fatti commessi prima della loro entrata in vigore. Diversamente, si sottolinea che a tale conclusione si arriva a prescindere dalla natura, sostanziale o processuale, della disciplina relativa alla prescrizione del reato, v. G.L. Gatta, Covid-19, sospensione del corso della prescrizione, cit.; Id., “Lockdown” della giustizia penale, sospensione della prescrizione del reato e principio di irretroattività: un cortocircuito, in www.sistemapenale.it, 4 maggio 2020, ove l’Autore, citando i termini del dibattito dottrinale sul punto e richiamando i principi espressi da giurisprudenza nazionale e straniera, ritiene che la legittimità costituzionale della norma in questione derivi dall’esclusione della garanzia dell’irretroattività della legge penale ex art. 25 co. 2 Cost. «in materia di modifiche in peius del regime della prescrizione del reato, intervenute prima che il relativo termine sia maturato».
[17] Si pensi, ad esempio, a tutti i casi in cui la sospensione del termine di prescrizione di reati procedibili a querela di parte avviene su richiesta della difesa dell’imputato e della parte civile per la pendenza di trattative di bonario componimento delle questioni civilistiche; al fatto che, in caso di astensione del difensore, la sospensione della prescrizione opera dal giorno dell’astensione al giorno del rinvio successivo che, per esigenze di ruolo, potrebbe essere molto lontano nel tempo; al fatto che, sebbene sia prevista una sospensione della prescrizione per soli 60 giorni successivi alla cessazione dell’impedimento, non è possibile prevedere la durata ed il numero dei legittimi impedimenti dell’imputato e del suo difensore. Si tratta di tutti casi che, a ben vedere, comportano una significativa compromissione dell’efficacia integratrice della pena, poiché potrebbero comportare un considerevole aumento del termine di estinzione del reato per decorso del tempo.
[18] Si consideri, però, che tale ultima norma potrebbe comunque essere considerata una norma successiva più favorevole, se è vero che, per interpretazione unanime dell’art. 2 c.p., la c.d. lex mitior tra quelle che si succedono nel tempo dev’essere valutata in concreto.
Sul tema si veda anche il contributo di Nicola Madia pubblicato in questo sito:
Nicola Madia – Prime questioni di legittimità costituzionale sulla prescrizione “da-Covid-19”
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