Misure cautelari e diritto alla salute

Giorgio Spangher - 25/03/2020
Decreto legge 17 marzo 2020, n. 18

 

Come si è avuto modo di sottolineare più volte, il d.l. n. 18 del 2020, noto come Cura Italia, in tema di giustizia penale, tra le altre riserve, ha evidenziato, negli artt. 123 e 124 dedicate al tema delle carceri, la lacuna relativa ai soggetti sottoposti a misura cautelare.

Al riguardo, si impongono alcune riflessioni, anche perché nella fase di conversione sia possibile introdurre, anche su questo punto, qualche intervento.

Sono due le premesse da cui appare necessario partire. In primo luogo, il provvedimento si inserisce in una condizione emergenziale e pertanto si tratta di assumere decisioni connesse a situazioni eccezionali e verosimilmente, per quanto protratte nel tempo, transitorie.

Ancorché manchi una espressa previsione alle situazioni emergenziali, non può negarsi che, seppur nei termini rovesciati, ferma la loro non irragionevolezza, possono comprimere i diritti civili e politici dei cittadini: artt. 13 e 14 Cost.

In secondo luogo, raccordandosi a quanto detto – in termini positivi – va richiamato l’art. 32 Cost. ove si prevede, che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.

Collegando, tuttavia, le due previsioni si dovrebbe ritenere che nell’eccezionalità di quanto emerge, la tutela della salute dell’individuo sia ritenuto diritto fondamentale. Non casualmente si parla di “individuo” in termini soggettivamente ampio e di diritto fondamentale e quindi insopprimibile.

Pertanto, nella situazione di emergenza, il bene “salute” appare decisivo in ogni situazione nella quale il problema possa prospettarsi.

Per le considerazioni svolte, pure chi dovesse escludere previsioni derogatorie, dovrebbe riconoscere che, anche in relazione alle carceri, anzi proprio in relazione alle carceri, non essendo consentito all’individuo una concreta alternativa, si impone la necessità di un intervento.

Una delle ragioni che sono state addotte per giustificare il mancato intervento è stata individuata, a differenza di quanto disposto dalla l. n. 199 del 2010, alla quale era possibile apportare selettive modifiche, dalla difficoltà di provvedere con procedure semplificate.

Il dato non coglie i provvedimenti cautelari che devono essere ancora emessi. Sotto questo profilo, bisognerebbe considerare quanto è già previsto nel libro IV del Codice di procedura penale.

Da questa prospettiva, bilanciando le esigenze cautelari con quanto previsto dall’art. 275 c.p.p., bisognerebbe considerare il rapporto tra la citata previsione costituzionale (art. 32 Cost.) e la disposizione che fa del carcere l’estrema ratio. Se il discorso appare insuperabile per quanto riguarda le situazioni di pericolosità presunta (artt. 270, 270 bis, 416 bis c.p.), nelle altre situazioni, sia in quelle di pericolosità relativa, sia in quelle di ordinaria pericolosità soggettiva, il p.m. richiedente ed il giudice che dispone la misura dovrebbe valutare quanto previsto dall’art. 275 bis, soprattutto tenendo conto della disponibilità dell’imputato di prestare il consenso all’adozione delle misure, potendo – se del caso – integrare gli arresti con decisioni molto stringenti.

Si consideri, del resto, che nelle situazioni soggettive di fragilità la legge già prevede la valutazione di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza (art. 275, comma 4, c.p.p.).

Questi riferimenti devono essere considerati anche in relazione alla condizione dei soggetti attualmente ristretti nelle strutture penitenziarie in stato di custodia cautelare.

Sotto quest’ultimo profilo, non può non considerarsi anche la disposizione costituzionale legata alla presunzione di non colpevolezza (art. 27 Cost.) e le eventuali implicazioni della restrizione in relazione agli sviluppi processuali, al tempo di durata della stessa, alla prossimità alla sua scadenza, alla prognosi di pena.

Dovrebbe considerarsi anche lo stato della struttura penitenziaria, il suo affollamento.

In altri termini, deve ritenersi che se lo stato di emergenza è destinato a protrarsi sino alla fine di luglio non mancano gli strumenti e i tempi per operare.

Non può escludersi neppure il ricorso a strutture con restrizioni diversamente modulate.

Dando attuazione alla risalente Risoluzione del comitato dei ministri del Consiglio d’Europa  si dovrebbero rafforzare i poteri d’ufficio del giudice chiamandolo a valutare il permanere, alla luce dell’emergenza sanitaria, delle condizioni restrittive  in carcere e la possibilità di modulare la cautela, anche attraverso il cumulo delle varie misure previste.

Senza approfondire ulteriormente il discorso che potrebbe diventare casistico, deve riconoscersi che il sistema presenta – a regime, ferme restando le possibilità di una disposizione specifica – tutte le possibilità di soluzioni equilibrate ispirate ai principi della dignità e della solidarietà, essi pure principi costituzionali e sovranazionali.

Il mantenimento della restrizione – nel contesto del diffondersi dell’epidemia – rappresenta una lesione ai diritti fondamentali della persona, non escluso quello dell’incolumità personale, cioè, del bene della vita.

E’ necessario traghettare il sistema, anche solo secondo le sue regole, alla fine di questo percorso, senza necessità di fughe in avanti ma anche senza ingiustificate resistenze.

Le esigenze processuali non paiono, se non eccezionali, in grado di pregiudicare la serie di tutele costituzionali che si sono evidenziate.

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